Henao, ma non avevi smesso? «No, sto in Colombia e mi diverto»

12.11.2024
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Immaginate la sorpresa, avendolo dato ormai per pensionato, quando la settimana scorsa il nome di Sergio Henao è spuntato in cima alla classifica generale del Tour do Rio. Non aprivamo da un po’ il suo profilo, avendo annunciato e consumato il ritiro alla fine del 2021. Quando lo abbiamo fatto, ci siamo accorti della vittoria brasiliana, di alcune belle prestazioni al Clasico RCN, delle vittorie nella Clasica Marinilla Ramon Emilio Arcil e al Tour de Antioquia, a capo di una stagione da 49 giorni di gara. Non proprio il ruolino di un corridore ritirato. Così abbiamo recuperato il suo numero e lo abbiamo contattato.

Nella sua vita precedente, Sergio Luis Henao – 36 anni di Rionegro – era stato professionista dal 2012 al 2018 con il Team Sky. Era poi stato ingaggiato nel 2019 dal UAE Team Emirates restandoci per due stagioni. Aveva vissuto il 2021 con il Team Qhubeka e poi, non avendo più trovato un ingaggio WorldTour, non senza amarezza aveva annunciato il ritiro. Accanto al ruolo di gregario nei Grandi Giri, la sua bacheca contiene la Parigi-Nizza del 2017, una tappa al Giro dei Paesi Baschi e una al Polonia, tanti secondi posti e vittorie in patria. Gli abbiamo fatto perciò un po’ di domande.

Foto di famiglia con la nuova maglia Nu, per Sergio, il piccolo Emmanuel e Carolina (foto Instagram)
Foto di famiglia con la nuova maglia Nu, per Sergio, il piccolo Emmanuel e Carolina (foto Instagram)
Sei tornato a correre, come mai? E ti aspettavi di poter ancora vincere?

Penso che in questa squadra ho trovato un altro modo di godermi il ciclismo, senza pressioni. Ovviamente non con la stessa pressione sperimentata in Europa, ma godendomi un po’ di più le mie origini, pedalando in Sud America e in Colombia.

Hai vinto tre gare a tappe, alcune poco note in Europa: che corse sono?

Gare a tappe piuttosto folli, dove vai sempre a tutta dall’inizio alla fine. Diciamo che non si corre in modo così tecnico e millimetrico come in Europa. Qui è un po’ diverso, non guardi tanto ai watt, ma sempre alle sensazioni. Sono gare molto esplosive e molto diverse.

Puoi descrivere la Nu Colombia con cui corri?

Nu Colombia è un nuovo sponsor arrivato quest’anno. Nu è una banca digitale che è nata in Brasile e ora si trova anche in Messico e Colombia. La squadra è nata dalla sponsorizzazione da parte del signor David Vélez, che è il creatore di questo grande marchio. Il team è guidato da un tecnico di grande esperienza che ha trascorso diversi anni in Europa correndo la Vuelta a Espana, il Tour de France e l’intero calendario europeo con Postobón. Il suo nome è Raúl Mesa.

Uno dei successi più belli della carriera di Henao è la Parigi-Nizza 2017, davanti a Contador e Martin
Uno dei successi più belli della carriera di Henao è la Parigi-Nizza 2017, davanti a Contador e Martin
Con te in squadra ci sono anche Contreras, che ha corso in Quick Step e Astana, e anche Ardila, che ha vinto il Giro d’Italia U23 nel 2019: cosa è mancato a loro per diventare forti in Europa, soprattutto ad Ardila?

Ho potuto avere Ardila come compagno di squadra nella UAE Emirates, mentre è la prima volta che corro assieme a Contreras. Penso che a volte bisogna essere fortunati, sono corridori con un grande talento e soprattutto una grande dedizione. Rodrigo all’improvviso, quando era in Europa, non ha trovato una squadra che sapesse gestirlo e capire come lavorare con un corridore colombiano. E’ difficile per alcuni lasciare il Paese e arrivare in Europa per vivere da soli e abituarsi a un ciclismo diverso e nuovo, perché sono cresciuti correndo in Sud America e soprattutto in Colombia. Parlo per Rodrigo, perché ha avuto diversi infortuni e si è ritrovato a vivere in Belgio e fare gare che non erano per lui, come quelle sul pavé. Ho parlato con lui e gli ho detto che devi essere fortunato nel trovare la squadra giusta in cui emergere.

E Ardila?

Ardila era molto giovane e pensava che vincendo il Giro Baby avesse già raggiunto il massimo. Invece all’improvviso, quando è passato professionista alla UAE, si è reso conto che non era così. Aveva molto da imparare e bisogno di tempo per ben figurare nel WorldTour. La squadra però non ha avuto pazienza e non ha saputo aspettarlo (Ardila è rimasto per tre stagioni, fra cui il 2020 del Covid, ndr). All’improvviso è stato come se anche le sue speranze fossero sparite e non ha avuto altra scelta che andare alla Burgos BH e alla fine anche lui è dovuto tornare in Colombia.

Tour de France 2017, il quarto di Froome: Sergio Henao ha brindato con lui
Tour de France 2017, il quarto di Froome: Sergio Henao ha brindato con lui
Com’è andata la vita sportiva da quando hai lasciato il ciclismo europeo?

Il ciclismo continua ad essere la mia passione, ciò che mi rende felice, che mi fa provare adrenalina e porta disciplina nelle mie giornate. Ovviamente è ancora il mio lavoro, ma ora è legato maggiormente al divertimento. Sono tornato ad apprezzare un altro modo di insegnare ai giovani, di fare gare che non avrei mai immaginato in vita mia, come correre di nuovo in Colombia, in Sud America, in Guatemala. Nonostante la mia età, è come continuare a scoprire cose nuove.

Quali ricordi porti con te degli anni in Europa?

La mia squadra, quella che mi ha dato tutto e reso quello che sono e mi ha dato anche la mia famiglia è sempre stata Sky. Ho ricordi molto belli, ho grandi amici in un ambiente che mi ha insegnato tanto, che mi ha formato, ma soprattutto mi ha fatto eccellere nel ciclismo di altissimo livello.

Però sei andato via e alla UAE hai trovato il Pogacar neoprofessionista…

Pogacar, da quando è arrivato in squadra come neoprofessionista, ha dimostrato subito di avere grande talento. Nel poco tempo in cui sono stato con lui, ha mostrato sprazzi di grande qualità come alla Vuelta a España del 2019, vincendo tre tappe, ai Paesi Baschi e in tante classiche. Ma la verità è che non avrei mai immaginato che diventasse il miglior corridore del mondo, un uomo che tende a battere tutti i record.

Come ti hanno accolto i tifosi colombiani?

La Colombia ha un grande affetto per me, ho sempre apprezzato l’affetto speciale che il pubblico ha per noi, il sostegno che ci danno in tutto il mondo. I tifosi colombiani mi hanno visto risorgere da tante cadute, come alle Olimpiadi di Rio (Henao finì a terra assieme a Nibali, ndr), poi la caduta in Svizzera. Mi hanno visto rialzarmi e vincere e mi hanno sempre rispettato moltissimo e anche il mio affetto per loro è tanto. La Colombia è un Paese che risveglia tanta, tanta gioia e tanto entusiasmo tra i tifosi ed è quello che secondo me ha permesso a tanti campioni di nascere in questa terra.

Che cosa rappresenta per te oggi il ciclismo?

Mi piace. Mi piace ancora la routine del corridore, la vita, prendermi cura di me stesso, allenarmi, sentire l’adrenalina di gareggiare, di vincere. Il brivido prima di una corsa importante, il gusto di prendere un aereo e poi incontrare la mia famiglia quando torno. Mi piace ancora sentirmi un corridore. Adesso i miei sogni o i miei obiettivi sono, come ho detto prima, godermi quello che sto vivendo adesso, questa squadra colombiana. Essere più vicino alla mia famiglia, alla gente, ma soprattutto anche insegnare ai giovani. Abbiamo una grande possibilità che la squadra continui a crescere e abbia la possibilità di tornare in Europa a fare un Giro di Spagna o un Giro d’Italia, come squadra colombiana e come marchio colombiano. Sono e siamo consapevoli che dobbiamo rinforzarci con corridori più forti, per essere competitivi e aspirare a ottenere un ottimo risultato. Vorrei tornare anche io a certe corse, ma se non avrò il tempo di farlo come corridore, mi piacerebbe essere parte di questo processo e della crescita della squadra.

Vuelta del 2019, il giovanissimo Pogacar vince tre tappe: Henao lo vede esplodere
Vuelta del 2019, il giovanissimo Pogacar vince tre tappe: Henao lo vede esplodere
Qual è la situazione del ciclismo colombiano, ora che Uran si è ritirato, che Bernal stenta e Quintana ha perso lo smalto?

Siamo tutti alla ricerca di trovare un nuovo Nairo Quintana, un Egan Bernal, che possano lottare per i Grandi Giri. C’è ancora tanto talento, ma il livello e la velocità dei corridori in Europa, soprattutto dei giovani, è cambiato rispetto a quando c’erano Bernal, Rigoberto, Nairo e quando c’ero io. Penso che ora il livello sia molto veloce e dobbiamo aspettare che il corridore colombiano si adatti. A ogni stagione oppure ogni pochi anni, lo sport si evolve, migliora, quindi dobbiamo aspettare e dare ai giovani il tempo per adattarsi. Con i giovani colombiani abbiamo bisogno di questo, ma so che il talento è sempre lì e anche la qualità. Un giorno torneremo anche noi ai primi posti.

Ti piacerebbe farti un altro… giro nel WorldTour?

Mi piacerebbe, certo, ma servirebbe che avessi il livello per fare bene e non so se sia più possibile. Vorrei che lo facesse la squadra, che trovasse corridori in grado di competere o vincere una tappa in una corsa importante. Io sono stato lontano tanto tempo, ma mi piacerebbe tornare, magari per salutare in modo migliore e farlo con questa squadra colombiana.

KASK pronta a festeggiare i “primi” vent’anni di successi

29.03.2024
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Il 2024 si annuncia decisamente importante per KASK. Il brand bergamasco si appresta a festeggiare i “primi” vent’anni di attività. Era infatti il 2004 quando, in un piccolo laboratorio, Angelo Gotti iniziava a sviluppare progetti innovativi di caschi, con il sogno di creare una propria produzione indipendente. Due anni dopo ecco i primi esemplari per il ciclismo che verranno presto indossati dai ciclisti di una squadra inglese, capace di scrivere alcune delle più importanti pagine della storia del ciclismo moderno. Stiamo naturalmente parlando del Team Sky, l’attuale Ineos Grenadiers.

La collaborazione con gli ingegneri e gli atleti di un team che ha saputo lasciare un segno indelebile nella storia del ciclismo ha permesso a KASK di progettare caschi sempre più sicuri e sempre più performanti, ma soprattutto vincenti. In questi anni sono infatti arrivati tantissimi successi. Fra i tanti che meritano di essere ricordati, sette vittorie al Tour de France, tre al Giro d’Italia e due alla Vuelta.

KASK ha affiancato negli anni il team Sky, diventato poi Ineos (foto Cauldphoto, Cyclingimages, Ineos Grenadiers)
KASK ha affiancato negli anni il team Sky, diventato poi Ineos (foto Cauldphoto, Cyclingimages, Ineos Grenadiers)

Oltre il ciclismo

I risultati ottenuti nel ciclismo hanno permesso all’azienda bergamasca di approcciarsi con successo ad altre discipline sportive. Nel 2009 sono arrivati i primi caschi dedicati allo sci, seguiti nel 2015 da quelli  per l’equitazione. KASK non è però solamente sport, ma anche sicurezza legata al lavoro.

Oggi il marchio è presente in oltre 80 Nazioni. Dalla propria sede di Chiuduno, in provincia di Bergamo, l’azienda è cresciuta sui mercati internazionali tanto da aprire filiali negli Stati Uniti e in Australia, grazie alle quali è stato raggiunto il numero di un milione di caschi venduti in un solo anno. Meritano un riconoscimento speciale gli oltre 170 dipendenti e il loro lavoro quotidiano presso le tre filiali.

KASK si è sempre impegnata per fornire prodotti interamente Made in Italy
KASK si è sempre impegnata per fornire prodotti interamente Made in Italy

Fedeli alla mission

In tutti questi anni è cambiato graficamente il logo dell’azienda. Ciò che è rimasto immutato è stato il colore verde lime che da sempre lo caratterizza, ma soprattutto la mission di offrire prodotti Made in Italy di alta qualità, mettendo al centro la sicurezza e la protezione dell’individuo, sia che si tratti di un atleta professionista o di un operatore di cantiere. Tutto questo non può che passare attraverso una ricerca e uno sviluppo continui a cui si aggiunge l’attenzione ai dettagli e controlli scrupolosi prima che il casco arrivi nei negozi.

A confermare tutto ciò sono le parole di Angelo Gotti, fondatore e CEO di KASK: «Ho sempre voluto trasmettere ai miei collaboratori la passione per lo sviluppo di prodotti di qualità. Ritengo infatti che le persone che lavorano all’interno della sfera KASK siano esse stesse il punto di forza per il successo dell’azienda: non solo le 170 donne e uomini che lavorano nelle nostre tre filiali, ma anche i partner, dai fornitori ai clienti, che contribuiscono ogni giorno al posizionamento internazionale del brand tanto da averlo reso un punto di riferimento nei singoli mercati».

Il 2015 ha visto l’inserimento di prodotti legati all’equitazione
Il 2015 ha visto l’inserimento di prodotti legati all’equitazione

Presto la festa

I festeggiamenti per il ventesimo compleanno di KASK prevedono un evento aperto al pubblico che si svolgerà il 29 e 30 giugno presso Daste Bergamo. Un weekend che includerà numerose attività legate allo sport, conferenze, l’esposizione dei caschi che hanno maggiormente segnato la storia di KASK e la presenza di un pop-up store.

Diego Zambon, General Manager di KASK, ha così parlato in merito alla ricorrenza per i venti anni dalla nascita di KASK: «Un traguardo importante quello dei vent’anni, che ci porta a tracciare un bilancio non solo numerico di quanto abbiamo realizzato, ma anche analizzare dal punto di vista qualitativo i risultati raggiunti. KASK ha un grande potenziale che può essere sviluppato in progetti di più ampio respiro e riteniamo che sapremo ancora stupire per quanto potremo realizzare».

KASK

Ricordate Peter Kennaugh? Ora guida la Trinity Racing

25.04.2023
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ROVERETO – Nel 2020 grazie al dominio di Tom Pidcock al Giro U23, abbiamo imparato a conoscere la Trinity Racing: in pratica un serbatoio di talenti, molti dei dei quali sono protagonisti ora in diversi team WorldTour. Da due stagioni alla sua guida c’è Peter Kennaugh, un ragazzo che era considerato una delle stelle più promettenti fra i corridori che stavano rilanciando il ciclismo britannico.

Il 33enne nativo dell’Isola di Man nel 2012 era riuscito a conquistare su pista un oro mondiale e uno olimpico con l’inseguimento a squadre. Su strada aveva raccolto belle soddisfazioni (su tutte spiccano due tappe al Delfinato), ma meno di quelle che gli avrebbero consentito le sue potenzialità. In totale ha corso per dieci stagioni fra Team Sky e Bora-Hansgrohe, nella quale quattro anni fa decise di smettere. O meglio, inizialmente doveva essere una sorta di pausa di riflessione, ma nel giro di poco tempo divenne una scelta definitiva. Il motivo è (sempre) lo stesso dei giorni nostri: lo stress. Al Tour of the Alps abbiamo incontrato Kennaugh ed è stata l’occasione per parlare con lui sia del suo ruolo sia della sua squadra, oltretutto sempre ben riconoscibile in gruppo per effetto di maglie a piccoli rombi bianconeri.

Peter saresti stato ancora oggi un corridore forte e tutto sommato giovane. Sei pentito di esserti ritirato così presto?

Non ho rimpianti, sono contento della mia decisione. Devo dire la verità che ci sono stati giorni in cui pensavo e ripensavo che mi sarebbe piaciuto essere lì a gareggiare a questo livello. Poi riflettevo con calma e mi accorgevo che non mi dispiaceva aver smesso. Ero arrivato in un momento della mia vita in cui non ero più felice. Era stata una decisione a caldo, difficile, magari per fermarmi per uno o due anni. Non avevo più passione per fare risultato e così nel frattempo ho iniziato a fare questo lavoro come tecnico di giovani corridori. E stare con loro mi ricorda l’amore che avevo alla loro età e anche il motivo per il quale avevo iniziato a pedalare.

Pensi che ci sia troppa pressione nel ciclismo attuale come ci ha detto il tuo ex compagno Sagan nelle settimane scorse?

Assolutamente sì. Adesso la ricerca del risultato è molto cambiata. Ogni cosa è monitorata e si conosce, dall’allenamento a quello che mangi. Obiettivamente per me è un po’ troppo. Credo che Peter abbia ragione, ma è così che va lo sport in generale. Anzi, lo sport di adesso lo trovo completamente differente da quando sono passato io professionista. I giovani corridori attuali non riescono a notare o comprendere questa importante diversità.

Per quale motivo?

Tutto è legato alla tecnologia. I ragazzi vogliono sapere tutto. Loro pensano che i risultati dipendano solo da questo. Lo vedo durante le riunioni pre-gara sul bus. Quando correvo io, bastavano meno informazioni. Prendevamo il road book e ci dicevano ad esempio dove erano i punti della salita al 10 per cento, dove si iniziava a salire o dove si scendeva e dove era l’arrivo. Ora io – dice mentre indica il suo tablet – mi trovo a dare tutte le informazioni del giorno. Su questa “app” possiamo vedere dove sono posizionate le nostre zone rifornimento oppure mostriamo foto di come sarà la strada o altre cose di questo genere. Ogni informazione per ogni singolo giorno. E’ cambiata la cultura, quasi che non esista più il diritto all’errore.

Secondo te è un bene questo aspetto?

Diciamo che adesso, con questo cambiamento, il ciclismo è diventato uno sport dove tutti possono provare a dare il loro meglio o trarre i migliori vantaggi in tanti modi. Si può sostenere lo sviluppo di questo cambiamento in una buona maniera. E in un certo senso questo è un bene perché ad esempio non abbiamo più casi di doping come prima. Ora si può puntare a nuovi obiettivi laddove ce n’è più bisogno, anche in piccole percentuali. Ricordo che quando il Team Sky aveva iniziato la sua attività, faceva già queste cose, che poi sono diventate sempre più stressanti.

E’ un argomento contraddittorio alla fine…

Non so dirvi se tutto ciò sia una buona o una cattiva notizia per il ciclismo ma, come dicevo prima, è lo sport che si è sviluppato così. Chiaramente il corridore ogni tanto può fare qualcosa di meno a causa dello stress. Bisognerebbe restare entro un certo limite perché altrimenti non ci si diverte più. Però attenzione, ci sono ragazzi a cui piace ricevere tante informazioni o numeri. Sono situazioni figlie delle generazioni. Io appartengo a quella di Peter (riferendosi sempre a Sagan, ndr) e insieme abbiamo vissuto questa transizione.

Il progetto della Trinity Racing invece cosa prevede?

E’ una bella domanda. Possiamo considerarci come un devo team, con la nostra filosofia ben precisa di allevare corridori. Tuttavia nei prossimi due anni la società vorrebbe diventare un team professional. Ora come ora, vogliamo far crescere i nostri ragazzi per poi mandarli nelle squadre professionistiche più importanti, come hanno già fatto molti di loro negli anni precedenti. Sto pensando a tanti programmi di corse, di allenamenti per i corridori e di altri lavori. Fare gare come il Tour of the Alps è importantissimo per noi. Ci fa migliorare davvero tanto.

Cosa insegna Peter Kennaugh ai suoi ragazzi?

Al momento sono team manager e diesse e cerco di trasmettere con enfasi l’esperienza che ho guadagnato da pro’. Voglio mostrare loro cosa devono fare in corsa. Ad esempio al “TotA” dicevo a Pickering di stare attento per portare a casa il miglior piazzamento possibile nella generale. Ma in generale dico ai ragazzi di… chiudere gli occhi e seguire la ruota davanti a loro (dice ridendo mentre ci saluta e raggiunge la sua squadra per gli ultimi dettagli pre-gara, ndr).

Wiggins 2012

Il Tour di Wiggins, quando nacque l’epopea Sky

26.04.2022
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Dieci anni fa. Quello che ricorrerà quest’estate non è un anniversario qualsiasi. Probabilmente allora non ce ne accorgemmo, ma la vittoria di Bradley Wiggins al Tour de France avrebbe avuto un peso enorme sull’evoluzione del ciclismo. Era iniziata l’epopea della scuola britannica (in quel Tour arrivarono ben 7 vittorie albioniche), ma soprattutto era iniziata l’epopea del Team Sky. Ancora oggi, con il nuovo nome Ineos Grenadiers, ci facciamo i conti e le ultime settimane, fra Martinez, Kwiatkowski e altri lo hanno detto a chiare lettere.

Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix
Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix

Come una rockstar

Quel Tour ha lasciato enormi strascichi anche nei suoi protagonisti. Sembra strano, ma forse Wiggins (nella foto di apertura con l’allora bimbo Ben, oggi corridore guidato dal padre di Pidcock) ha “digerito” quel successo solo negli ultimi anni, tanto è vero che tempo fa ha ammesso di aver vissuto quel trionfo nella maniera sbagliata.

«Mi sentivo come una rockstar – ha detto – alla quale tutto era dovuto. Oggi, guardando indietro, posso dire che ero polemico e volgare, veramente assurdo e infantile. Questo ha avuto un impatto sulle relazioni intorno a me».

Il suo rapporto con il Team Sky andò incrinandosi fino all’addio nel 2015 e il distacco avvenne in maniera davvero dolorosa. E oggi che Wiggins opera nell’ambiente come commentatore per Eurosport ammette che la responsabilità è stata sua.

Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen
Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen

Una squadra padrona

Per capire da che cosa nacquero i dissidi bisogna tornare indietro nel tempo, raccontare un Tour che venne gestito dai ragazzi del Team Sky come volevano e come avrebbero fatto negli anni successivi, fino all’avvento di un certo Pogacar. Nel cronoprologo Wiggins finisce a soli 7” da Cancellara, che chiaramente non è un fattore per la classifica.

Fino alla settima tappa non avviene nulla di eclatante. Lì, sull’ascesa di Planche des Belles Filles si palesa il dominio britannico, con Chris Froome che vince con 2” su Wiggins che prende la maglia gialla, con 10” su Evans.

Wiggins chiaramente sfrutta al meglio le sue doti di passista, di grande specialista delle prove contro il tempo. Nella crono di Besançon accumula altri 35” su Froome che sale al terzo posto in classifica a 2’07” dal connazionale, in mezzo Cadel Evans a 1’53”. L’australiano due tappe dopo cederà, mentre intanto si affaccia sul podio Vincenzo Nibali. Si arriva così alla 17ª tappa, quella con arrivo a Peyragudes, quella del “fattaccio”.

Attacca Alejandro Valverde, che vive una delle sue tante giornate epiche. Ma l’Embatido non ha velleità di classifica. Dietro i due britannici fanno il vuoto e restano soli all’inseguimento. A un paio di chilometri dalla conclusione, dopo un tornante, Froome stacca Wiggins e inizia a guadagnare.

Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca
Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca

Il rapporto va in pezzi

Valverde è davanti, ma neanche troppo lontano, potrebbe prenderlo. Dall’auricolare il manager Dave Brailsford urla a Froome: «Fermati!», Wiggins fa lo stesso, ma con quel poco fiato che ha è quasi un’invocazione: «Aspettami». Froome obbedisce, Valverde vince la tappa, Froome si dovrà accontentare della seconda piazza in classifica e anche nella crono finale.

Nelle dichiarazioni del dopo tappa c’è un fair play che maschera il dissidio. Wiggins ammette che «Chris voleva vincere la tappa, me lo ha chiesto e ho risposto sì. Ma poi ho perso la concentrazione, ero arrivato al limite e la mente non c’era più».

Froome davanti ai taccuini dei giornalisti rilascia frasi di circostanza improntate al successo di squadra (seguendo sempre gli ordini superiori) intanto però la fidanzata (e poi moglie) Michelle Cound twitta: «All’improvviso non sono più dell’umore di andare a Parigi. Che presa in giro…».

La realtà si saprà solo molto tempo dopo. Nel chiuso del pullman Sky Wiggins e Froome litigano di brutto e di fatto chiudono i rapporti. Solo molto tempo dopo, quando anche l’anglokenyano avrà lasciato la Ineos, i due avranno modo di chiarirsi e riappacificarsi.

Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins (alle sue spalle)
Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins

Dopo allora, niente più Tour

Wiggins il Tour, dopo quella vittoria non lo correrà più, continuerà a gareggiare fino al 2016, ma era già un’altra persona. A ben guardare, quella vittoria fu un po’ un controsenso del quale sono capaci solo i grandi campioni, perché Wiggins era un pistard prestato alla strada. Per vincere la maglia gialla, per un anno si concentrò solo sulle corse su strada, ma la pista restava padrona del suo cuore (5 titoli olimpici e 6 mondiali per 19 medaglie complessive, bastano questi dati per chiarire il concetto…).

Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015
Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015

Tutto per i Giochi

Anche recentemente Sir Bradley conferma quella scelta, senza il minimo pentimento: «I Giochi sono famosi in tutto il mondo, si disputano ogni quattro anni, quando vinci è come se entrassi in una famiglia privilegiata, ma enorme. Io ho vinto in 5 edizioni diverse, quando avvenne a Sydney 2000 erano pochissimi gli sportivi britannici che riuscirono in una simile impresa, a Rio 2016 eravamo una delle nazioni più medagliate. No, per me non è la stessa cosa».

Resta però il fatto che da quel Tour iniziò un modo diverso di correre, più “di squadra”. Dipendeva molto anche da come il Team Sky era costruito, dal fatto che puntava quasi tutto sulle tre settimane in terra francese. Ora le cose sono cambiate: per volontà e per necessità, la squadra sta mutando pelle. E forse un Bradley Wiggins oggi farebbe ancora comodo.

Daniela e Marco Ganna, genitori di Filippo, base aerea Rivolto, Giro d'Italia 2020

Pippo Ganna, orgoglio di mamma e papà

19.10.2020
4 min
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I fiori di Valdobbiadene, Filippo li ha regalati a sua madre. Niente di strano. Chi lo ha ascoltato bene, da Imola a Palermo, lo ha sentito dedicare ogni vittoria alla famiglia. Quei fiori Daniela li ha ancora tra le braccia e li stringe come si fa con un bambino. La tappa di Piancavallo è partita da pochi minuti. I genitori di Ganna sono venuti al via per salutare il figlio e ora riprenderanno la via di casa, dove la figlia Carlotta si è fermata per studiare e badare ai cani di famiglia.

Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020
Filippo, detto Top Ganna, con un vero Top Gun: al Giro succede anche questo
Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020
Top Ganna e Top Gun: trovate le differenze…

Cento all’ora

Daniela sorride sotto la mascherina. Ci incontrammo per la prima volta da loro, a Vignone, dopo il primo mondiale dell’inseguimento e il ricordo del calore di casa è ancora vivo.

«Siamo molto legati come famiglia – conferma – quindi a me emoziona molto questa cosa. Vedere come lui vuole bene a sua sorella, il rapporto che hanno loro due… Dico che abbiamo lavorato bene noi genitori».

Ma le mamme si preoccupano. E se abbiamo tremato noi vedendo Pippo scendere da Monreale a velocità folle sulla bici da crono, figurarsi lei. Che lo sottolinea con una risata argentina.

«Ho maledetto il cronista che diceva che stava andando a cento all’ora. Mi dicevo: non pensate alle mamme preoccupate per i loro figlioli? Ogni gara la vivo un po’ in ansia. Penso che per ogni mamma il ciclismo sia un bellissimo sport, con i suoi rischi, però non mi sono ancora abituata all’ansia e alla paura. Cerco di conviverci. Vedo Filippo sereno, convinto ed entusiasta di quello che fa e automaticamente anche io lo divento».

Il sogno Sky

Lo disse Filippo per primo: la squadra dei suoi sogni sarebbe stata la Sky. Poi passò alla Uae, ma il momento in cui Lombardi gli procurò un posto con Brailsford viene ancora festeggiato.

«E’ cresciuto tantissimo – ora è suo padre che parla – soprattutto da quando ha cambiato squadra. Lui ha bisogno di tranquillità. Con Villa è arrivato ai vertici della pista e qua con Cioni, che gli permette di lavorare senza pressione, è diventato grande. Ha inciso tantissimo anche la crono al mondiale dell’anno scorso, perché ha preso molta consapevolezza dei suoi mezzi. Quest’anno ha sempre lavorato bene e i risultati si vedono».

Peter Sagan, Filippo Ganna
Con Sagan nella tappa di Tortoreto Lido, vinta dallo Slovacco
Peter Sagan, Filippo Ganna
Con Sagan nella tappa di Tortoreto

Fiducia al top

Marco Ganna è andato alle Olimpiadi di Los Angeles con la canoa. E’ lui che spesso segue il figlio negli allenamenti e lo ha visto crescere.

«Prima del mondiale era tranquillo – dice – anche se arrivava da una crono favolosa come quella della Tirreno, dopo sei giorni a tirare per Thomas. Questo vuol dire che è cresciuto di testa. Sentirgli dedicare le vittorie alla famiglia è stato un’emozione e un orgoglio. Ci conosci, siamo molto uniti. Quando è partito per il Giro mai avremmo pensato, essendo la prima volta, che vincesse tre tappe. Per ora. Anche quando è partito per il mondiale… Io che lo seguo in allenamento lo vedevo che era migliorato nei suoi tempi, sulle nostre salite e sui nostri strappi, ma fra migliorare e vincere un mondiale ce ne passa».

L’arrivo in salita

E poi c’è il giorno Camigliatello Silano. Quello in cui il gigante vince in salita, aprendo la porta sul seguito di una carriera che potrebbe essere ancor più inatteso.

«Tutti dicevano che in quella fuga lavorava per Puccio – dice – e ho pensato: sì, perfetto, va bene. Poi quando c’è stato lo strappo più duro e mancavano ancora un po’ di chilometri, ho detto: fa una gara come quando era allievo o juniores, non guarda in faccia nessuno. E dopo i due scatti di Carrettero, gli hanno fatto girare le scatole. Ha messo la testa bassa e ha cominciato a menare. A quel punto ho pensato che sarebbe arrivato. L’hanno inquadrato in faccia, l’ho visto che stava bene, aveva una bella faccia».

Dire se avrà un futuro nelle corse a tappe è qualcosa che forse non vale neppure la pena indagare.

«Se lui cresce – dice – nessuno sa dove potrà arrivare. Se anche non diventerà uno da grandi Giri, si toglierà delle grosse soddisfazioni tra cronometro e classiche. Ricordiamoci che quest’anno sulla Cipressa, dopo quasi 300 chilometri, ha scollinato per secondo.

Filippo Ganna, Geraint Thomas
Con Thomas risalendo a fatica l’Etna

Ora i Ganna ripartono. Il viaggio fino a Vignone è lungo, ma l’ultima battuta è per la mamma.

«Già da un po’ vive ad Ascona – dice – che però è vicina. Se vogliamo vederlo, prendiamo la macchina e andiamo. Di una cosa potete essere certi: non si libererà molto facilmente della sua famiglia».