Adriano Malori, figlia Elettra 2020

La storia di Adriano è una lezione di vita

25.12.2020
8 min
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«Dalla mia storia – dice Adriano Malori – ho imparato che la base della vita sono le motivazioni. Una settimana ero in Brasile a provare il percorso delle Olimpiadi, quella dopo ero steso in un letto d’ospedale più morto che vivo. Eppure quando ero lì e mi imboccavano, pensavo alla bici. Poi al lavoro e costruirmi una vita. I problemi, i pensieri e i dolori faranno sempre parte di me come l’aspetto fisico. Ma per come si era messa, le cose vanno oltre ogni più rosea aspettativa».

Sorriso e potenza

Un metro e 82, 68 chili. Salute, sorriso e potenza. Il mondiale crono da under 23 e l’argento a Richmond fra i grandi, negli anni in cui i commissari tecnici non sapevano dove metter mano e si affidavano (e si affidano ancora) a Marco Velo.

«Un giorno Bettini – Malori sorride – ebbe l’umiltà di entrare nella stanza che dividevo con Pinotti e chiese consiglio proprio a Marco, nominandolo scherzando tecnico federale sul campo. Ci chiese che cosa dovesse fare e lo raccontò anche ai giornali. Paolo era l’uomo giusto per la nazionale. Non aveva problemi ad ammettere pubblicamente che non sapeva molto di certe cose».

San Luis, il 22 gennaio

Ci sono storie che ti restano addosso più di altre. Quella di Adriano Malori è una ferita che ci portiamo dentro dal giorno di San Luis, quando ci ritrovammo in pochi fuori dal piccolo ospedale. Senza dire una parola.

Una buca, tutto stava per finire a causa di una stupida buca.

«Fu per colpa mia – dice – si vede che era arrivato il mio momento. Il destino. Con mia moglie siamo appassionati di motociclismo e parlavamo proprio di questo. Avete visto cosa è successo ad agosto nel Gp d’Austria, quando Morbidelli si è toccato con Zarco e la sua moto è volata davanti a Rossi? Non lo ha preso per pochi centimetri. Si vede che non era il suo giorno…».

Il suo venne invece il 22 gennaio del 2016, nel corso della quinta tappa del Tour de San Luis, da Renca a Juana Koslay. Una buca. Le mani non troppo salde sul manubrio. La caduta. E il coma. Ma come tutti i corridori, Adriano Malori da Traversetolo – Parma – trovò il modo di rialzarsi e ripartire. Prima da atleta e poi da uomo.

Adriano Malori, Natale 2020
Uscita in bici alla vigilia di Natale, regalo provvidenziale (foto Instagram)
Adriano Malori, Natale 2020
Uscita in bici alla vigilia di Natale (foto Instagram)

Due birre e stop

Il discorso va avanti a strappi, come succede quando non ci si sente da tempo e ogni frase diventa l’aggancio per domande spesso scollegate, che colmano buchi e sciolgono nodi. La sua piattaforma di preparazione 58×11 e il suo centro di Basilicanova sono diventati un riferimento nell’affollato mondo dei preparatori.

«Ero alla Vuelta Castilla y Leon – racconta Malori – dopo la prima tappa che non riuscii a finire. Mi sedetti a Ponferrada, bevvi un paio di birre e presi la decisione. Avrei smesso. Ero già stato un kamikaze a tornare. Il neurologo che mi aveva in cura a Pamplona disse che se fossi caduto ancora e avessi battuto la testa, probabilmente non mi sarei più ripreso. Chiamai Zabala, che ai tempi era il preparatori della Movistar e mi era già stato tanto vicino. Gli chiesi di insegnarmi il mestiere e grazie a lui andai a un congresso di preparatori a Dusseldorf. Poi lo raggiunsi per tre settimane ad Alicante per imparare l’aspetto pratico del lavoro. E decisi che avrei intrapreso quel tipo di percorso».

Grazie Movistar

A volte la realtà è più dura. La Federazione dichiarò che si sarebbe presa a cuore questo suo figlio sfortunato che aveva conquistato l’argento nella crono ai mondiali 2015, come non succedeva dal 1994. Qualcuno propose di coinvolgerlo nella struttura tecnica per seguire le crono e non sciupare l’enorme esperienza. Ma esaurita la fase dei riflettori, come spesso accade, la proposta si sgonfiò.

«In tutta questa storia – dice – devo essere grato soprattutto alla Movistar, che mi è stata accanto sino all’ultimo senza pretendere neppure un titolo di giornale. Quando si trattò di riportarmi in Italia dall’Argentina, noleggiando un aereo medico, la squadra chiese un aiuto al Coni e alla Federazione. Costano caro quegli aerei. E solo quando capirono che dall’Italia non avrebbero ricevuto supporto, si mosse in prima persona lo sponsor Movistar, che sborsò 180 mila euro e diede l’ordine: “Riportiamo a casa quel ragazzo!”».

Silenzio azzurro

Per questo non si è più avvicinato all’ambiente e su certi argomenti fa fatica a restare obiettivo

«Ci fu un solo ritiro e le cose andarono così male – taglia corto Malori – che alla fine mi sentii in dovere di ringraziare i ragazzi, chiamare la Federazione e dire che io a quel modo non avrei voluto lavorare. La mia idea di nazionale sarebbe passata per coinvolgere Pinotti nel preparare una crono e magari Petacchi per un mondiale che finisce in volata, ma è un parco chiuso e l’ho capito. Sto alla larga dalle corse, non dagli amici. L’anno scorso sono stato al tricolore crono con De Marchi, Bettiol e Ganna. Sento spesso i ragazzi della Movistar, Bennati e Cataldo. E alla presentazione del mio libro sono venuti anche Capecchi, Bennati e Corioni».

Adriano Malori, conferenza di addio Tour 2017, Eusebio Unzue, Andrei Amador
Il 10 luglio 2017, l’addio nel primo riposo del Tour. La commozione di Andrei Amador…
Adriano Malori, conferenza di addio Tour 2017, Eusebio Unzue, Andrei Amador
Il 10 luglio 2017 l’addio alle corse

E’ nata Elettra

Elettra è nata il 10 novembre, accompagnata dalla dedica di Adriano a sua moglie Giorgia: «Le gioie più grandi e importanti della mia vita me le hai regalate tu… Ma stavolta amore mio ti sei superata!».

Adesso la piccola è in sottofondo che piange, in una di quelle fasi dei primi mesi in cui non capisci se abbia fame oppure un dolorino e la guardi e non sa dirtelo. Benvenuto nel club dei papà…

«Siamo tutti giù di testa – sorride – ma tenerla in braccio mi fa stare bene. Il problema è che se non dormo, anche fisicamente non miglioro. Per quella caduta dovrò allenarmi per ogni giorno della mia vita. Non andrà mai a posto. Ho un danno permanente che migliora sempre più lentamente. Prima ero una Ferrari con un danno, adesso posso essere una Golf».

La sveglia alle 6

L’ematoma era molto esteso, spiega, e ha distrutto un numero altissimo di neuroni, che non si riformano.

«Per farla semplice – spiega Malori – se una persona sana ha 1.000 neuroni, io posso usarne 400. Qualsiasi funzione ne richieda troppi manda in crisi le altre. E per questo devo allenarmi. Un giorno braccia. Quello dopo gli addominali. Il terzo le gambe, con bici e rulli. La bici va bene anche per la ciclicità della pedalata che riporta l’equilibrio. Metto la sveglia alle 6, faccio gli esercizi e vado al lavoro. Gli esercizi un po’ aiutano. Dipende dalla forza delle braccia, più sono allenato e meglio è. Mia moglie scherza dicendo che anche a 50 anni avrà il marito con la tartaruga, ma non è facile. Adesso che è nata Elettra poi ho quasi paura ad andare in bici, per cui scelgo solo stradine secondarie».

Adriano Malori visita a tricolore crono 2019: Alberto Bettiol., Filippo Ganna, Alessandro De Marchi
Nel 2019, Adriano Malori in visita al tricolore crono, con Bettiol, Ganna e De Marchi
Adriano Malori visita a tricolore crono 2019: Alberto Bettiol., Filippo Ganna, Alessandro De Marchi
Nel 2019 visita al tricolore crono, con Bettiol e Ganna

Le cose belle

Le ferite peggiori sono quelle che hai dentro. E ad ascoltare i racconti, anche quelli che è meglio non scrivere per il poco che da essi traspare, senti crescere la rabbia e ti chiedi come Adriano riesca a farci quotidianamente i conti.

«Penso alle cose belle – dice anticipando la domanda – il rammarico di come è finita ci sarà sempre. E’ chiaro anche che la mia vita precedente e quella attuale si staccheranno sempre di più, ma a tenerle unite ci sarà sempre una bicicletta. Il ciclismo mi ha dato l’opportunità di vivere esperienze bellissime, conoscere persone importanti che sono state di ispirazione, girare il mondo. Quello che ho me l’ha dato la bici. Anche in questo periodo del Covid. Temevamo tutti la crisi nel lavoro, ma è andata benissimo. Prima del lockdown, la gente continuava a venire. Poi abbiamo lavorato solo su appuntamento e questo mi ha permesso anche di risparmiare sui costi. Infine, da luglio in avanti, ho avuto l’assalto. La parte online del lavoro tira tantissimo. Seguo ragazzi in Puglia, in Francia, dalla Spagna e dalla Slovenia. All’inizio venivano per il nome, avevo un’immagine forte. Non ho smesso perché ero senza squadra. Io ho fatto secondo al mondiale e poi ho avuto un incidente. Ora invece vengono perché si trovano bene. Se passate, fate uno squillo, così ci mangiamo insieme un piatto di tagliatelle e vi faccio vedere. Quanto ad Adriano, all’uomo che sono… Ho una donna bellissima con cui sto da Dio e una figlia. Volete che vi dica una cosa? La mia vita prima era da 4, adesso è da 9 e mezzo!».

Dario Cataldo, Uae Tour, 2020

Cataldo ci guida nel ciclismo dei dettagli

03.12.2020
4 min
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Dario Cataldo si prepara a trascorrere il Natale in Svizzera. Non tanto perché non vorrebbe tornare dai suoi genitori in Abruzzo, ma per semplice senso di responsabilità.

«Sono convinto anch’io – dice – che se andassi in macchina, non mi fermerebbero e al massimo avrei da pagare una multa. Ma so anche che se vado in un negozio con la mascherina o anche al ristorante e la sera torno a casa mia, sono molto più protetto e rischio di fare meno danni che se andassi giù e dentro casa dei miei ci togliessimo tutte le protezioni. Bisogna essere onesti nell’ammetterlo…».

E così nella sua casa a pochi passi dal confine italiano, l’abruzzese ha ripreso gli allenamenti in modo ancora blando con motivazioni che vanno dalla voglia di riscatto personale a quella di dimostrare alla Movistar di aver scelto bene.

Dario Cataldo, Miguel Angel Lopez.Vuelta Espana 2018
Il prossimo anno alla Movistar arriva Miguel Angel Lopez. Eccoli insieme alla Vuelta 2018
Dario Cataldo, Miguel Angel Lopez.Vuelta Espana 2018
Alla Movistar lo raggiunge Miguel Angel Lopez
Stato d’animo di Cataldo?

Sono tranquillo e molto concentrato. In quel poco di stagione che si è fatta, hanno dominato sempre gli stessi. Ci sono corridori che normalmente avrebbero fatto vedere qualcosa, ma sono rimasti schiacciati. Capisco che uno come Nibali senta forte la voglia di rifarsi, perché lui ha responsabilità maggiori. Io sento lo stesso stimolo per me stesso, perché sono stato al di sotto di quello che avrei potuto e voglio dimostrare ciò che so fare. Preparare Tour e Giro così ravvicinati forse mi ha messo in difficoltà più di quanto avrei creduto.

Hai mai discusso sull’opportunità di farne uno solo?

No, davvero. Con le corse tutte sovrapposte, ho detto subito che avrei fatto quel che c’era da fare, mettendoci il massimo impegno. Ovviamente sapevo che sarebbe stata dura, ma avevo in testa che il mio focus principale sarebbe stato comunque il Giro con Soler capitano. Per questo non sono arrivato in super forma all’inizio del Tour, ma di colpo Soler lo hanno portato in Francia togliendolo dal Giro. Mentre io a metà della Boucle, che è stata super esigente, ho iniziato a sentire la fatica e ad imbarcare acqua. E con questa difficoltà addosso, al Giro non ho avuto il picco in cui speravo.

Come è andata nella Movistar che in un solo colpo ha perso Quintana, Landa e Carapaz?

I giovani scalpitavano ed è stato un peccato non aver fatto la stagione normale. Dopo il Tour, Soler si è rifatto vincendo una tappa alla Vuelta. Mas è stato quinto sia in Francia che in Spagna. Non ha brillato, ma credo che tanti firmerebbero per i suoi risultati. Diciamo che è stato un anno complicato anche per le novità e magari dal prossimo andrà tutto meglio. E poi arriva il piccolo Lopez

Andrà d’accordo con Mas e Soler?

Non è un gallo che crea scompiglio e noi non siamo Ineos, con 15 capitani. Abbiamo corso insieme all’Astana, lo conosco. Si divideranno la stagione cercando di portare a casa il meglio in ogni momento.

Come ti stai allenando?

Piano. Su strada, Mtb e qualche camminata. Dal 2020 lavoro con Patxi Vila (ex professionista basco che fino al 2019 era con Sagan alla Bora-Hansgrohe, ndr). E’ molto, molto, molto preparato. Una persona che stimo e ha la testa giusta per il suo lavoro. Mi ha cambiato qualche abitudine, come quella di farmi lavorare sulla forza. Non lo facevo, ma è bastato incrociare i test prima e dopo e ho capito che è necessario. E comunque anche i cambiamenti di preparazione richiedono adattamenti.

Dario Cataldo, La Roche sur Foron, Tour de France 2020
Al Tour del 2020, Cataldo pedala sulle strade bianche verso La Roche sur Foron
Dario Cataldo, La Roche sur Foron, Tour de France 2020
Tour 2020, sulla strada per la Roche sur Foron
Impossibile dimenticare una cena al tuo primo anno con Sky e la tristezza dei piatti che ordinasti…

E’ cambiato tutto. Sono cambiate le teorie con cosa, come, quando e perché. Si seguiva una linea nutrizionale che gli studi successivi hanno sconfessato o aggiustato. Ora si parla di alimentazione funzionale, in base all’allenamento o la corsa e addirittura in base al momento della giornata.

Mai più da soli?

Devi avere persone molto aggiornate per seguirti. Prima potevi avere delle linee in cui tenere il bilancio delle quantità e delle calorie. Ora si distingue fra quali tipi di grassi mangiare, quali proteine e quando. Essendo uno sport di endurance, tutto quello che facciamo noi ha una ricaduta in termini di salute sulle persone normali. Il bello è che tutti ormai seguono ke stesse linee e le nuove generazioni sono nate con questo imprinting.

Secondo te è il motivo di tanto ricambio?

Una buona parte. O stai al passo o sei fuori sin dalle prime corse. Andare a correre indietro di condizione per prepararsi ti porta più sberle che giovamenti. Il ciclismo è sempre stato duro, ma ora si sta andando tanto verso l’esasperazione.

Come in Formula Uno…

Il dettaglio fa la differenza. Il ciclismo ormai è velocità, bellissimo sotto l’aspetto sportivo. Ma in gruppo parliamo di come arginare tutto questo spingersi verso il limite. E non potendo limitare l’uomo, si ragionava di intervenire sulla bici. Che pesi di più e sia meno aerodinamica, per abbassare le andature. Ma sono discorsi che durano poco, il tempo di rendersi conto che sarebbe brutto fermare lo sviluppo delle bici. E’ uno sport bellissimo, che deve trovare i suoi equilibri.

Villella tra Lopez, Mas, la Liegi e il Giro

25.11.2020
4 min
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Per Davide Villella oggi è stato il terzo allenamento in vista della stagione 2021. Il corridore della Movistar ha ripreso a pedalare lunedì, dopo un mese di stop. Quattro settimane tonde, tonde in cui ne ha approfittato per staccare, fare qualche corsetta a piedi, far rigenerare il fisico da una stagione comunque dispendiosa.

Niente vacanze quindi?

Volevo andare al mare ma nulla. Alla fine sono tre anni che non ci vado. Un inverno perché ero impegnato a casa, uno perché sono andato a New York e quest’anno perché c’è il covid.

Partiamo dal tuo 2020…

Ero partito bene a Majorca e alla Valenciana. A Majorca avevo fatto terzo e Soler aveva vinto. E lì in qualche modo la stagione si è interrotta subito. Per uno come me che ha bisogno di correre e fare le corse a tappe per trovare la condizione, non è stato possibile. Prima del Giro ho disputato solo la Tirreno e le corse di un giorno, non molto adatte a me. Al Giro poi mi aspettavo un po’ di più, ma almeno ci siamo fatti vedere. Non avendo un leader ero spesso in fuga.

Davide Villella
Villella durante una delle sue uscite di running
Davide Villella
Villella durante una delle sue uscite di running
Tu e anche il tuo “gemello” Davide Formolo da dilettanti eravate due fenomeni, cosa vi è mancato tra i pro’?

Sinceramente non lo so. Sì, eravamo dilettanti di prima fascia: io ho vinto il Val d’Aosta, Formolo il Nettarine e comunque eravamo sempre lì a lottare. Poi, una volta che passi ti ritrovi improvvisamente con un livello più alto e tutto si fa più difficile. La gente aspetta sempre il nuovo Merckx, ma noi corridori siamo ragazzi. Una cosa è certa, non è che non ci mettiamo impegno.

Però Pogacar, Evenepoel, Bernal, Hindley… loro sono giovani e vanno forte. Che idea ti sei fatto?

Il mondo è andato avanti ed è sempre più estremo. Di sicuro hanno talento, ma magari hanno degli staff (preparatore, nutrizionista…) molto più preparati rispetto a 5-6 anni fa quando siamo passati noi. Un lasso di tempo che sembra ieri, ma in realtà non è poco, visto che le cose cambiano di anno in anno.

La Movistar ha cambiato molto in questo 2020 e ci stava che non raccogliesse come al solito, poi il covid ha fatto il resto, però è pronta a tornare…

Già lo scorso anno ci dissero chiaramente che con tutti i cambiamenti la stagione sarebbe stata diversa. Sono cambiate molte persone. Sono andati via Landa e Quintana e il lockdown non ha aiutato. Alla fine però abbiamo fatto quinti al Tour e alla Vuelta con Mas. Io credo che già il prossimo anno sarà diverso, anche perché ci sarà anche Lopez e i giovani hanno un anno di esperienza in più.

E il tuo ruolo quale sarà?

Non sono uno che vince sempre e quindi correrò in appoggio ai capitani.

E’ questa oggi la tua dimensione? Non ti piacerebbe tornare il vincente che eri da dilettante?

La speranza di tornare a vincere c’è, però aiutare i capitano non è uno smacco per me. Ottenere la loro fiducia è una bella cosa. Di campioni in grado di vincere un grande Giro ce ne sono pochi. E comunque in tre settimane un’opportunità per i gregari c’è. E’ che a volte servirebbe un po’ di fortuna oltre alle gambe.

Hai fatto dieci grandi Giri, ma non ancora il Tour: è nei tuoi programmi?

Mi piacerebbe farlo, ma non sappiamo ancora nulla. Il ritiro post Vuelta è saltato, quello di dicembre anche. Dovremmo farne uno a gennaio.

Davide Villlella
A Majorca ha corso con Valverde
Villella ha debuttato con la Movistar nelle gare majorchine
Okay facciamo un “gioco”. Stagione “covid free” e Unzue ti dà carta bianca: disegna il tuo calendario!

Partirei con la Valenciana. Poi Tirreno o Catalunya e farei il Trentino, che piace molto, ma saltando le ultime due tappe per andare direttamente alla Liegi. Questo è l’avvicinamento ideale. Poi da italiano dico il Giro, ma non nascondo che mi piacerebbe fare il Tour. E per finire la Vuelta. Di solito io facevo Giro e Vuelta, se dovessi andare in Francia farei Tour e Vuelta.

Quindi punteresti alla Liegi?

Eh sì, un picco di forma anche per il Giro. Il periodo è quello.

E andresti al Giro per…

Vincere una tappa.

Tra i capitani in Movistar con chi ti sei trovato particolarmente bene?

Alla fine io con Mas e Valverde ho corso poco, giusto alla Valenciana. Poi ci hanno diviso in gruppi cercando di mischiarci il meno possibile. Nel ritiro ad Andorra, a luglio, entrambi hanno mostrato grande serietà e professionalità. Valverde è molto alla mano: un bambino cresciuto!

In tutti questi anno di professionismo qual è stata la lezione più grande?

Io ho il vizio di allenarmi troppo. Nei primi anni da pro’ non esisteva più il riposo. Anche nel giorno di scarico alla fine facevo due ore e neanche tanto piano. Era sbagliato, anche mentalmente diventava pesante. Invece a forza di ascoltare i preparatori ed osservare i leader nei ritiri ho capito che il giorno di riposo serve.

E’ in arrivo Lopez, lo conosci? Sarai magari il suo ultimo o penultimo uomo per la salita?

Sì, e bene. Dai tempi dell’Astana ne abbiamo fatte molte di corse e di Giri insieme. Però ultimo uomo per la salita no! Spero di essergli a fianco. E lo stesso vale per Mas. Uno di loro due, prima o poi un grande Giro lo vince. Ma devono migliorare a crono.

Se dovessi scommettere 10 euro su chi lo vince prima su chi li punteresti?

Ma che domande (ride, ndr)! Tu su chi li punteresti?

Io su Lopez…

Beh, allora io dico Mas.

Alejandro Valverde, Vuelta Espana 2020

Unzue deciso: nessuno tocchi Valverde

19.11.2020
3 min
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«Credo che il problema di Valverde sia stato lo stesso di Nibali – dice Unzue – e che i processi in questi casi servano a poco».

Il team manager della Movistar molla per un secondo il proverbiale aplomb e fa capire che per difendere il suo capitano è stato già costretto a discutere.

«I veterani si sono trovati scomodi in questa nuova situazione – continua Unzue – ma nonostante questo si sono caricati la squadra sulle spalle. Non hanno vinto, ma hanno garantito un elevato livello sportivo. Quanto ad Alejandro, si è reso conto anche lui di aver chiuso il primo anno senza vittorie. Sto aspettando il 2021 perché torni a prendersi le vittorie sfuggite quest’anno! Ma scherzi a parte, è diventato padre per la quinta volta. Aveva anche altro cui pensare. E poi dopo 25 anni correndo allo stesso modo, allenandosi allo stesso modo e con lo stesso schema di corse, un cambiamento come quello che abbiamo vissuto lo ha destabilizzato».

Pensavi che avreste fatto un calendario così ricco?

Credo sia impossibile fare un bilancio consuntivo, perché quello preventivo era vuoto. La mia lettura di questo anno è molto positiva. Abbiamo corso con il mondo praticamente fermo, dopo lo stress del lockdown e il dramma che i nostri Paesi hanno vissuto. Sono molto orgoglioso del nostro sport, siamo stati esemplari con i nostri protocolli e la severità nell’applicarli. Solo qualche comportamento è stato poco chiaro.

Marc Soler, Enric Mas, Vuelta Espana 2020
Marc Soler ed Enric Mas durante la Vuelta Espana 2020
Marc Soler, Enric Mas, Vuelta Espana 2020
Soler e Mas, Vuelta Espana 2020
Ad esempio?

I ritiri di alcune squadre dal Giro. Comportamenti non compatibili con lo sforzo che tutti avevamo deciso di fare.

Cosa pensa Unzue della stagione Movistar?

Mi sarebbe piaciuto ottenere risultati migliori, ma onestamente è l’anno in cui abbiamo svecchiato la rosa, perdendo in più uomini come Carapaz, Quintana e Landa. Sono venute poche vittorie, ma in corsa abbiamo avuto un atteggiamento magnifico. Lo stile in certi momenti vale quanto una vittoria.

Soler e Mas ti sono sembrati all’altezza dei campioni che hanno rimpiazzato?

Mas si è piazzato quinto al Tour e poi si è ripetuto alla Vuelta. Ha confermato la sua regolarità, che ne è la caratteristica principale. Ha 25 anni, sono certo che migliorerà. Si è sperimentato per la prima volta nel guidare la squadra. Non so se vincerà un grande Giro, ma ho fiducia. Soler invece ha grandi qualità e forse più strada da fare. Ha vinto due corse, bisognerà capire dove collocarlo.

Sono arrivati dalla pista i fratelli Mora…

In certi momenti siamo un team bandiera del Paese e i due ragazzi potrebbero salire sul podio di Tokyo, come Sebastian ha vinto la corsa a punti agli europei.

Miguel Angel Lopez sarà il vostro leader dal prossimo anno?

Hombre, che domande mi fai. Non posso risponderti. Posso dire che ci interessa molto e che stiamo seguendo con grande attenzione il suo recupero dalla caduta del Giro. Entro una settimana si saprà qualcosa. Ma se devo darvi una percentuale, rimarrei fermo su 50 che verrà e 50 che non verrà.

Anna Trevisi, Tatiana Guderzo, Tour Down Under 2020

Piccolo, il WorldTour e un’azienda da guidare

01.11.2020
3 min
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Alessia Piccolo è la titolare dell’unica squadra italiana di WorldTour. E’ appassionata di ciclismo. Partecipa alle Gran Fondo. Della sua Alè Btc Ljubljana segue la parte logistica e quella dell’immagine. Di ciclismo, insomma, ne sa parecchio. Ma le piace anche giocare con la moda. Il suo altro lavoro, infatti, quello che altrove si definirebbe “più serio”, è dirigere la Alè Cycling, l’azienda che ha portato le sue note di colore nel vestire del ciclismo.

Alessia Piccolo, Ale Cycling
Alessia Piccolo, manager d’azienda e della squadra WorldTour (foto Alè Cycling)
Alessia Piccolo, Ale Cycling
Alessia Piccolo, manager a 360° (foto Alè Cycling)

Fra bici e azienda

In questo momento di pandemia e le comprensibili difficoltà che essa porta con sé, il discorso è un andare e venire tra il ciclismo e la vita quotidiana.

«Fino a metà ottobre – dice – non avevamo particolari limitazioni, se non le attenzioni rimaste dopo il lockdown. In azienda diamo la mascherina ogni giorno, igienizzante da tutte le parti, prendiamo la temperatura, si va in bagno uno per volta. Cerchiamo di stare attenti. Il rientro dopo la chiusura è stato uno choc. Il mondo reclamava le sue forniture, tanto che un giorno ho detto ai ragazzi che se fosse successo ancora, sarei scappata a Tenerife per tornare quando fosse tutto finito. E mentre stai attenta a tutto questo, scopri che la squadra resta bloccata in Belgio per un tampone positivo. Ci credo che Tatiana (Guderzo, ndr) non sia contenta, sono rimaste su per 20 giorni. Ma alla fine, sono cose che possono succedere…».

Gaudu ha vinto alla Vuelta vestito Alè Cycling
Gaudu alla Vuelta, vestito Alè Cycling
Perché il ciclismo femminile?

Non solo perché mi piace pedalare, anche perché vedo una forte crescita. Siamo ancora ai primi passi, ma la soddisfazione di essere arrivate nel WorldTour è enorme. Prima le straniere non si avvicinavano, adesso vogliono venire a correre da noi. Prima eravamo poco credibili.

Anche l’immagine del ciclismo femminile è cambiata.

Vero, non sono più solo maschiacci, ma si vedono in giro delle belle ragazze che tengono al loro aspetto. Prima si puntava solo sul ciclismo come sport di fatica. Oggi la fatica è sempre quella, ma se prima metti un filo di trucco, perché dovrebbe essere un problema?

Facile produrre per le ragazze?

Facilissimo (si fa una risata, ndr). In azienda siamo un gruppo di donne e andiamo tutte in bici. Però ce la caviamo bene anche col maschile. Abbiamo la Movistar e anche la Groupama (nel giorno dei campionati italiani di Breganze, in cui si è svolta l’intervista, Gaudu ha vinto alla Vuelta e Kung ha vinto il campionato svizzero. Vestiti Alè Cycling, ndr). Disegno io i capi, sono molto esigente.

Ma la moda è un’altra cosa?

Ci si diverte di più a disegnarla e seguirla. Fai colori inusuali, puoi spaziare e osare di più.

In che modo le vostre atlete sono testimonial del brand?

A parte vestire Alè Cycling in gara e allenamento, spesso le coinvolgo come tester di prodotti, anche se qualche altro sponsor mugugna. Bastianelli, Trevisi e Guderzo a volte escono con capi nuovi da provare, perché è molto importante avere chi ti dà una mano e pareri obiettivi.

Tatiana correrà anche il prossimo anno.

Uno dei regali del Covid. Avrebbe voluto smettere quest’anno con le Olimpiadi, proverà a farlo nel 2021. Poi potrebbe anche pensare di diventare direttore sportivo, perché vede bene la corsa ed ha un’esperienza infinita. Affiancata agli altri tecnici, può far crescere la squadra e restare un riferimento per le più giovani.

Passerà la tempesta?

Passera quando troveranno un vaccino. E nel frattempo spero che il Governo capisca che la salute è importante, ma l’economia è alla base di tutto il resto.

Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo

Sram al Giro con due guarniture diverse

30.10.2020
3 min
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Le parole di Frapporti sul gruppo Sram della sua Ktm ci hanno incuriosito e così, tirando il filo del discorso siamo arrivati da Stefano Faustini di Amg (uno dei due importatori italiani di Sram, l’altro è Beltrami) e ad una interessante scoperta.

Per quale motivo i corridori della Vini Zabù-Ktm hanno dovuto correre il Giro d’Italia (e le altre gare di stagione) con guarnitura 37-50 mentre Nibali e la Movistar (foto di apertura) hanno avuto il 52? E perché non è stato possibile un adeguamento per i corridori di Scinto?

«Quando è nato il Red Etap Axs a 12 velocità – spiega Faustini – sono state presentate nuove combinazioni di rapporti. Al posteriore ci sarebbe stato il pignone da 10 in due configurazioni (10-26 e 10-33). Questo avrebbe permesso un salto inferiore rispetto alle corone davanti, abbinate in combinazione 33-46, 35-48, 37-50. La più venduta sul mercato è stato subito la 35-48 mentre la 33-46 è più per cicloturisti veri e propri. L’obiettivo di Sram era di favorire i passaggi ravvicinati, tanto è vero che dal 10 al 17 i pignoni sono tutti in fila per uno…».

Guarnitura Sram 37-50 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 37-50 con cui ha corso la Vini Zabù-Ktm
Guarnitura Sram 37-50 Trek Segafredo
Sram 37-50 con cui ha corso la Vini Zabù-Ktm
Ma quando si parla di professionisti?

Diciamo che per la prima volta un gruppo è stato pensato per l’acquirente finale, quindi per un impiego amatoriale, e non per il professionista. Ma il problema si è posto l’anno scorso al Tour, quando la Katusha ci ha chiesto di avere corone più grandi. Il professionista ha più potenza di un amatore, è innegabile.

Quindi che cosa ha fatto Sram?

Dato che il passaggio da 11 a 10 al posteriore è impegnativo, sono state realizzate delle guarniture 41-54 con cui Mollema ha vinto il Lombardia e Pedersen il mondiale. Quest’anno la richiesta identica è partita da altri corridori, credo Nibali per primo. E così per Trek-Segafredo e Movistar abbiamo realizzato un 39-52.

E gli altri come la Vini Zabù?

Loro hanno avuto materiale di serie. La fornitura Trek e Movistar è stata frutto di un accordo privato fra Sram e le squadre, ma a questo punto…

A questo punto?

Non si potrebbe dire, ma visto che c’è richiesta per prodotti di quel tipo…

Li metterete in catalogo?

Sembrerà strano ma le guarniture classiche 39-53 rappresentavano il 3-5 per cento delle nostre vendite. Ma è chiaro che se si passa a un 52, il 10 viene sacrificato.

Ci hanno detto che il 10 è troppo piccolo e la catena nel girarci attorno genera troppo attrito.

Mi sembra davvero strano, perché la catena è stata riprogettata per il 10 con un diverso accoppiamento con il pignone. I piolini hanno diametro maggiore proprio per compensare gli attriti della catena standard. Diciamo che in questo settore molto spesso sono le abitudini a fare la differenza, ma è chiaro che se un certo tipo di richiesta esiste, non si può lasciarla inevasa…

Abus StormChaser

Lo StormChaser completa la gamma di Abus

07.10.2020
< 1 min
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La sicurezza è un must di Abus, il marchio tedesco che produce caschi e sistemi di antifurto per il mondo delle biciclette e non solo. Da alcune stagione i caschi Abus accompagnano le imprese dei corridori del Team Movistar. Fra i caschi in dotazione al team professionistico c’è anche lo StormChaser.

Dopo il GameChanger e l’AirBreaker la gamma dei caschi di punta di Abus si completa con lo StormChaser. Grazie alle sue caratteristiche questo nuovo casco, si presta a diversi utilizzi, dalla strada fino al ciclocross. La ventilazione è assicurata dalle 7 aperture presenti sul casco, coadiuvate dai 16 punti di estrazione dell’aria. La tecnologia Forced Air Cooling è un sistema di aerazione basato su una serie di canali interni disposti in maniera intelligente. In questo modo si garantisce un’adeguata aerazione interna anche in giornate molto calde.

Il sistema di regolazione micrometrico è stato studiato per consentire un utilizzo confortevole anche alle cicliste che portano i capelli raccolti a coda o treccia. La regolazione avviene con il sistema Zoom Ace Urban di Abus, che si concretizza con una rotella semplice da usare e precisa.

Proprio la grande attenzione per la sicurezza ha portato Abus realizzare degli inserti riflettenti. In questo modo il ciclista può essere visto dagli automobilisti anche in condizioni di scarsa visibilità. Lo StormChaser presenta un profilo ribassato per proteggere ulteriormente da eventuali ostacoli esterni, che si possono incontrare quando si pedala. Per chi apprezza togliere gli occhiali e riporli sul casco mentre pedala, lo StormChaser è dotato di AirPort. Si tratta di supporti aerodinamici per gli occhiali con alloggiamenti per le asticelle.
Per finire sottolineiamo che lo StormChaser è Made in Italy ed è disponibile in quattro taglie e in quattordici colorazioni.


Prezzo di euro 129,95

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