Cronometro individuale: una corsa contro il tempo, una corsa contro se stessi, era il regno di Malori. Adrenalina, potenza, intelligenza. Tutto si fonde in questa speciale disciplina del ciclismo. L’emiliano, un grande ex della specialità, ci spiega alcune cose, partendo da quanto visto nella crono di Monreale.
Adriano smise di correre nel maggio del 2017 in seguito alla bruttissima caduta in Argentina al Tour de San Luis un anno prima. Finì in terapia intensiva con frattura della clavicola e trauma cranico e facciale. TOrnò in bici, ma scoprì che nulla era come prima. Cadde ancora. E alla fine la piantò lì. Oggi gestisce un centro di preparazione al ciclismo, che segue i clienti a 360 gradi, dal posizionamento in bici ai comportamenti da tenere in gara. E di “consigli” noi glieli chiediamo per capire come si approccia una crono.
Adriano, come ci si prepara a gestisce uno sforzo così intenso? Serve pelo sullo stomaco per mettere le mani sulle protesi a 100 all’ora come a Palermo…
Paradossalmente una prova come quella di Monreale è più facile di quel che sembra. C’è infatti molta adrenalina che fa spingere e travolge tutto. Era una di quelle crono che quando arrivi non ti ricordi i primi 5 chilometri.
A Monreale però si partiva in salita…
Bisognava partire forte, sapendo che nel tratto in salita non si doveva perdere più 5 secondi. Avrei dato tutto. Avrei rifiatato nel pezzo in discesa. E nel finale sarei andato al massimo.
Il tratto in discesa non era così decisivo nonostante quei rapporti lunghi?
In ogni caso la forza che si imprimeva sui pedali era meno che quella in salita o nel finale. Chi andava piano lì andava, che so, a 80 all’ora; chi andava forte a 85. In salita chi spingeva andava a 40, chi andava piano andava a 30, forse. Se si guarda a Ganna, nello specifico, lui aveva dalla sua una posizione perfetta e un peso che lo ha aiutato soprattutto nella stabilità.
L’approccio. Come vanno gestite la vigilia e il pregara?
Ha molta, moltissima importanza la ricognizione. Per una crono di quella lunghezza, io avrei visto il percorso non meno di 4-5 volte. Avrei studiato le curve, soprattutto per uno che come me in discesa non era un drago. Si fa una cena leggera e una colazione normale. Un giro in bici di nuovo sul percorso e se possibile per tornare in albergo avrei cercato di fare una mezz’ora dietro macchina. A pranzo, solo del riso. Circa un etto e mezzo. Solo riso perché non dà il picco glicemico e riempie con poco. Niente verdure. E’ una tecnica che provammo in Movistar e ci trovammo bene.
E il riscaldamento?
Una fase determinante. Varia in base alla lunghezza della crono e anche dalle condizioni del corridore. In generale oscilla tra i 30 e i 45 minuti. Se le sensazioni sono buone, se senti la gamba pronta subito si fa un po’ meno. Si fanno delle progressioni fino alla soglia molto lentamente. Io ne facevo sei e l’ultima finiva a 8′ dal via. Gli ultimi 5′ in scioltezza mettevo guanti e casco da crono.
Quindi ci si scalda col body da crono?
I primi tempi lasciavo la parte superiore del body penzolante. Poi da quando ero alla Movistar e i body erano molto più aderenti direttamente col body. Infilarlo da sudati era impossibile.
E la gara quindi come si gestisce?
Una crono come quella di Monreale non si gestisce. Si va a tutta. In una più lineare invece nei primi chilometri si guarda ai watt perché tra adrenalina e gamba fresca se ci si affida alle sensazioni si spende troppo anche se non sembra. Dopo i primi 5 chilometri si aumenta.
Parli spesso di adrenalina, perché?
Perché in una crono è tanta. Soprattutto per gli specialisti. L’adrenalina può far bene, ma anche mandarti fuorigiri. Io avevo una tecnica. All’inizio mi affidavo al computerino, poi aumentavo e nel finale quando le gambe iniziavano a cedere pensavo alle cose che mi avevano fatto girare le scatole. In questo modo riprendevo quei 2-3 watt che magari mi facevano guadagnare un paio di secondi.
Quanto sono importanti i feedback dei compagni, mentre magari tu sei ancora in fase di riscaldamento?
Tanto. Di solito se si hanno specialisti o uomini di classifica si chiede a un compagno di fare questo o quel tratto a tutta. Serve per valutare i tempi di percorrenza, i reali approcci alle curve, per conoscere il vento. In una crono del 2015 in Algarve, che persi per due decimi da Tony Martin, fu importante ricevere le “dritte” di Amador. In un tratto sapevamo esattamente quanto stavamo andando forte rispetto agli altri.