Festa Alessandro De Marchi, Buja, 25 ottobre 2025, torta con i bambini

Con De Marchi nell’abbraccio di Buja, per il passo dell’addio

26.10.2025
8 min
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BUJA – «Adesso vi dirò una cosa che secondo me non vi aspettate – dice De Marchi quando gli viene chiesto quale sia il momento più indimenticabile della sua carriera – perché andremmo tutti alle immagini che abbiamo visto poco fa. In realtà uno dei momenti che ho più nella memoria è il mio compleanno. Io compio gli anni il 19 maggio e maggio significa Giro d’Italia. Per il compleanno del 2018, i miei tifosi della Red Passion (si sono definiti così), mi aspettavano sullo Zoncolan. E durante la tappa del Giro d’Italia, io li ho raggiunti, mi sono fermato, mi sono fatto cantare tanti auguri da tutti loro, ho bevuto un bicchiere di birra e poi sono andato all’arrivo. Quello è uno dei momenti che rimarrà indelebile nella mia memoria».

E’ la festa di addio di Alessandro De Marchi e non poteva che svolgersi nella Buja che gli ha dato i natali e il soprannome. Il Rosso non ha mai pensato di andarsene all’estero, anche se avrebbe potuto. Ha costruito la sua casa non lontano dal paese, perché fra lui e le sue montagne c’è un legame che solo qui, vedendolo fra la sua gente, si riesce a capire a fondo. E’ cominciato tutto nel primo pomeriggio con la gimkana per i bambini, voluta per ricreare la magia che tanti anni fa lo rese corridore.

Poi il gruppone si è spostato in questo spazio delle feste sul Mone di Buja, nello scorrere delle immagini e dei ricordi. Quando smette uno che ha solcato il professionismo per 15 stagioni, il lascito delle emozioni e delle lezioni è per forza enorme. Il senso che non andrà tutto sprecato trova conferma nell’annuncio che il prossimo anno De Marchi salirà sull’ammiraglia della Jayco-AlUla e il suo lavoro accanto ai giovani proseguirà, sia pure con un registro diverso.

L’aria frizzante dell’autunno

L’aria fuori inizia a farsi freschina, l’autunno ha portato colori e temperature adeguate. I bimbi continuano a giocare con le bici, ma uno dopo l’altro vengono fatti rientrare dai genitori, perché lunedì c’è da andare a scuola e non è davvero il caso di prendersi un malanno. Alessandro si trattiene fuori, osserva e intanto racconta. La sensazione che ancora non si renda conto è forte e la riconosce lui per primo.

«E’ arrivato il momento di dire basta – sussurra – è arrivato con il sorriso e la serenità giusta. Non è stato un fulmine a ciel sereno, l’ho comunicato prima e per me è stato importante. Forse non è stata una scelta che tutti hanno compreso, però io avevo il bisogno di essere chiaro prima con me stesso e poi con chi mi seguiva. Quindi è stato giusto dirlo, per non tornare indietro. E’ stato un lento processo che è arrivato al momento culmine nell’inverno scorso. Poi piano piano l’ho condiviso con i più vicini, poi con la squadra e con il resto del mondo delle due ruote».

Le montagne del Friuli

Sua moglie Anna sembra una trottola, presa tra i figli Andrea e Giovanni, le cose da fare per la festa e i tanti saluti. Per fortuna ci sono i nonni e gli amici che la sollevano da una parte delle incombenze. Ma del resto basta guardarsi intorno per capire che i bambini sono sicuri, guardati da tutti, come in una grande famiglia di paese.

«L’idea di fare qualcosa per i bambini – prosegue Alessandro – è venuta un po’ più tardi durante l’estate, quando si pensava a come festeggiare. E alla fine ricordando come ho iniziato io, ci siamo chiesti perché non ricreare una situazione simile e chiudere in qualche modo il cerchio. Non so se i miei figli diventeranno corridori, ma sono contento che amino la bicicletta. L’importante è che trovino il modo per esprimersi, qualunque esso sia, anche suonando uno strumento. Anche io ero un bambino, il percorso è stato lungo e a un certo punto mi ha spinto a partire.

«Sapete che da queste montagne mi sono sempre staccato, ma in un certo senso mai completamente. Adesso le guardo con un occhio diverso e continueranno a essere il luogo di cui non riesco e non voglio fare a meno. Voglio continuare a starci, anche se la mia vita continuerà nel mondo del ciclismo, sia pure dall’altra parte della barricata. Il primo effetto dell’aver smesso? Poter bere qualche birra di più ed essere meno severo con me stesso…».

Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata

L’onore delle ruote

Il momento del saluto alla Veneto Classic lo ha commosso. L’onore delle ruote. Le bici tutte in piedi e lui, come altri prima, a passarci in mezzo lungo il corridoio che di lì a poche ore lo avrebbe portato fuori dal gruppo. 

«E’ stato bello – dice – perché ormai è diventata una sorta di tradizione ed era una cosa cui guardavo con voglia. Esci dal tuo mondo di corridore e intanto speri di aver lasciato qualcosa. Il desiderio di seguire i propri istinti, continuare a fare le cose che ti piacciono. Ovviamente in questo lavoro si è portati sempre a rispondere a delle esigenze diverse, della squadra, del mondo che hai intorno. Invece forse, per continuare a gioire ed essere contenti di questo tipo di lavoro, devi riuscire a rimanere fedele allo slancio grazie al quale hai scelto la bicicletta. Non sarà facile, sappiamo bene come va il ciclismo, ma mi piacerebbe essere riuscito a far capire questo messaggio a quelli che mi sono stati più vicini».

Le interviste impegnate

E qui il discorso si fa più intimo, in una sorta di confessione che ci viene di fargli soprattutto osservando gli ultimi eventi mondiali e spesso il silenzio del gruppo e delle sue voci più autorevoli. Mentre la Vuelta veniva strattonata e fermata dalle proteste pro Palestina, quasi nessuno di quelli che c’erano dentro ha detto una sola parola sull’argomento, quasi fossero abitanti di mondi diversi. Invece dopo il Tour, De Marchi aveva ammesso in un’intervista con The Observer che avrebbe avuto difficoltà oggi a correre con la maglia della Israel Premier Tech indossata per due stagioni. E’ inevitabile così ora chiedergli se tanto esporsi e la nostra richiesta di farlo gli sia pesato e se tante interviste “impegnate” gli abbiano impedito di ricercare la leggerezza in quello che faceva.

«Forse a volte – ammette – avrei potuto essere più leggero, una cosa di cui abbiamo parlato spesso tra noi, soprattutto con mia moglie Anna e con i più vicini. Però alla fine uno trova il modo di esprimersi con un certo stile e in realtà chi mi conosce bene, sa che anche io ho i momenti in cui ricerco la leggerezza».

Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e Giovani
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e il piccolo Giovanni
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e Giovani
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e il piccolo Giovanni

Il senso della comunità

Non ci aspettavamo una risposta diversa e forse è questo il motivo per cui il Rosso di Buja è diventato una sorta di bandiera per la gente che si riconosce nel suo essere trasparente, a costo di sembrare spigoloso. E oggi che sono tutti qui per lui, il senso di appartenenza si percepisce davvero molto saldo.

«Speravo e sapevo che Buja avrebbe risposto così – dice – è la natura di questa zona e di questa gente. Quando viene chiamata è pronta a farsi comunità, a essere disponibile, ad aiutare, a partecipare. Per questo abbiamo unito alla festa la voglia di stare vicino al gruppo di Diamo un Taglio alla Sete, un gruppo di volontari che mi segue da un sacco di anni e che io seguo facendo delle cose insieme. Lavorano tantissimo, ci si può fidare. Sono stati i primi che ho contattato e i primi a rispondere in modo positivo. Sappiamo che quello che raccoglieremo questa sera va in una buona direzione, per scavare pozzi dove l’acqua manca e questo rende tutto più bello, no?».

Lo richiamano da dentro. Il ricavato del contributo di ingresso e della vendita del vino avranno una nobile destinazione. Perciò è tempo di riempire i calici che gentilmente ci hanno appeso attorno al collo, come si usa in Friuli, e iniziare la seconda parte della festa. Quando alla fine della serata il taglio della torta sancirà la fine della carriera di Alessandro De Marchi anche noi avremo la sensazione per una sera di aver fatto parte di una grandissima famiglia.

Visite medico Team Jayco AlUla 2025, Torino, Centro IRRIBA, Andrea Vendrame, colloquio con la nutrizonista Lausa Martinelli (foto Matteo Secci)

Vendrame e la Jayco, si comincia con le tabelle di Laura Martinelli

22.10.2025
5 min
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In vista della nuova avventura professionale, Andrea Vendrame non vuole lasciare nulla al caso. Lo scorso settembre vi avevamo svelato in anteprima del suo passaggio in Jayco-AlUla e subito dopo il Lombardia il veneto si è sottoposto alle visite mediche all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, dove ha potuto cominciare a conoscere la nuova realtà. 

«Lascio la Decathlon dopo sei anni – racconta – e ringrazio il vecchio manager Lavenu che mi ha accolto tra di loro nel 2020. Porterò sempre con me dei bei ricordi, ma ora voltiamo pagina, perché ci aspetta questa nuova avventura nel 2026. Sono molto curioso e spero di regalare subito delle belle soddisfazioni», ha cominciato a raccontarci in occasione del nostro incontro.  

Tra gli aspetti su cui sin da subito il club australiano ha voluto lavorare c’è quello dell’alimentazione. A Torino, Andrea ha potuto conoscere Laura Martinelli, nutrizionista della squadra oramai da diverse stagioni. Un primo colloquio introduttivo che ci hanno raccontato entrambi. «Il primo impatto è stato di grande familiarità – comincia a raccontare Andrea – il caso vuole che io e Laura abitiamo vicini, quindi c’è stato subito feeling, anche se non ci conosciamo ancora al 100 per cento. Di certo, rispetto alla Decathlon, ho visto che la Jayco-AlUla segue i suoi corridori in maniera molto più dettagliata sotto questo aspetto. Ho subito visto una pianificazione mirata e incentrata sul corridore».

Visite medico Team Jayco AlUla 2025, Torino, Centro IRRIBA, Andrea Vendrame (foto Matteo Secci)
Le visite si sono svolte all’indomani del Lombardia. Qui Vendrame alla reception dell’IRRIBA di Torino (foto Matteo Secci)
Visite medico Team Jayco AlUla 2025, Torino, Centro IRRIBA, Andrea Vendrame (foto Matteo Secci)
Le visite si sono svolte all’indomani del Lombardia. Qui Vendrame alla reception dell’IRRIBA di Torino (foto Matteo Secci)

Il primo impatto

La dottoressa Martinelli spiega come funziona la visita introduttiva con un nuovo arrivato: «In generale, quando facciamo le visite mediche per la nuova stagione, abbiamo soltanto 20 minuti per corridore, per cui non c’è tanto tempo per approfondire i vari temi. Comunque, cerco sempre di rompere un po’ il ghiaccio e di capire se ci sono criticità particolari da un punto di vista nutrizionale, allergie o intolleranze».

Stavolta, il colloquio è stato ancora più semplice, viste le origini comuni: «Conoscevo Andrea di vista perché il nostro ambiente è piccolo e poi siamo tra veneti. Io sono di Treviso e lui è di Conegliano e, come se non bastasse, conosco bene anche il coach che lo segue, Fabio Baronti, che è di Udine. Ci siamo già messi d’accordo per i prossimi passi».

Poi, la nutrizionista della squadra australiana, analizza il passato per studiare l’alimentazione futura: «Di solito chiedo le tre cose che sono andate male e su cui si vuole migliorare in prospettiva e le tre che sono andate bene e si vogliono mantenere. Una sorta di “riassunto nutrizionale”, che abbiamo fatto anche con Andrea. Altrettanto importante poi, è definire quando inizia la stagione. Per me, è fondamentale capire se il corridore dev’essere già pronto per l’Australia ad inizio gennaio o se abbiamo un altro mese di lavoro e possiamo concentrarci sulle gare di febbraio».

Negli anni alla Decathlon, Vendrame ha portato a casa due tappe del Giro: nel 2021 e nel 2024
Negli anni alla Decathlon, Vendrame ha portato a casa due tappe del Giro: nel 2021 e nel 2024

La prima pianificazione

Oltre al contatto umano, fondamentale anche ad alto livello, la componente tecnologica non è da meno. Sempre però con la supervisione dello staff medico, come sottolinea Martinelli: «Ho spiegato ad Andrea il funzionamento della nostra app interna, che ci aiuta a mantenere una comunicazione efficace col corridore. Ci sono tantissime applicazioni, anche gestite dall’intelligenza artificiale, ma sono molto più fredde. Dietro ogni messaggio che l’app invia, c’è sempre l’operatore umano che corregge e conferma i calcoli prima di inviarli».

Ci sono momenti in cui ciascun ciclista vuole essere seguito passo per passo e altri in cui bastano poche informazioni basilari per continuare sul giusto cammino verso il prosieguo della stagione.

«Ogni corridore – spiega – ha delle esigenze particolari. Noi, come nutrizionisti, possiamo variare il nostro supporto dalle semplici linee guida a indicazioni precise al grammo. Ho chiesto ad Andrea di guidarmi lui in base a quello che gli serve in questo determinato periodo della stagione. Per ora mi ha chiesto un approccio più generale per tipologia di giornata. C’è un foglio per le giornate di riposo, uno per gli allenamenti di basic endurance e così via. Poi, avvicinandoci ai ritiri di dicembre e gennaio, andremo più nel dettaglio e aumenteremo il livello di accuratezza». 

Visite medico Team Jayco AlUla 2025, Torino, Centro IRRIBA, nutrizionista Laura Martinelli (foto Matteo Secci)
Laura Martinelli è la responsabile della nutrizione del Team Jayco AlUla (foto Matteo Secci)
Visite medico Team Jayco AlUla 2025, Torino, Centro IRRIBA, nutrizionista Laura Martinelli (foto Matteo Secci)
Laura Martinelli è la responsabile della nutrizione del Team Jayco AlUla (foto Matteo Secci)

Progresso e carboidrati

Un approccio personalizzato e peculiare che ha colpito in positivo Vendrame. «Conosciamo molte applicazioni usate dalle altre squadre, gestite soltanto dall’intelligenza artificiale, mentre avere qualcuno che ti segue nel dettaglio è fondamentale». Vendrame è un corridore molto leggero (il suo peso oscilla tra i 61 e 62 kg) ma, come dice lui «c’è ancora margine per migliorare e ne ho parlato con Laura». Quando è pausa tra le stagioni però, il Joker ammette di concedersi qualche sfizio, come ad esempio «una bella bistecca con qualche amico e con la fidanzata».

Di certo, rispetto a una decina d’anni fa, l’alimentazione è uno degli aspetti su cui si è lavorato di più nel ciclismo e che ha subito una trasformazione immensa. Basti pensare anche ai consumi in corsa, come racconta la nutrizionista veneta, riportando l’esempio di Michael Matthews, all’attacco durante l’ultimo Lombardia.

«Si è tenuto sui 140 grammi all’ora per tutta la durata della corsa. Una volta se avessi dato questi numeri – sorride – mi avrebbero guardato straniti e pensato che sicuramente avrebbe dato problemi di mal di pancia. I prodotti però ora sono molto più tecnici e più buoni, oltre ad essere utilizzati meglio. Le competenze molto più avanzate e si gioca sui rapporti tra fruttosio e glucosio». 

Tirreno-Adriatico 2025, 3a tappa, Colfiorito, Andrea Vendrame
Tirreno-Adriatico 2025, 3ª tappa, Vendrame vince la bellissima volata di Colfiorito
Tirreno-Adriatico 2025, 3a tappa, Colfiorito, Andrea Vendrame
Tirreno-Adriatico 2025, 3ª tappa, Vendrame vince la bellissima volata di Colfiorito

Il sogno del Tour

Anche Vendrame, ripercorrendo la sua carriera da pro’, conferma questa tendenza: «Da quando sono passato nell’anno 2017 con l’Androni ad oggi, la nutrizione è entrata prepotentemente nel mondo sportivo, non soltanto nel ciclismo. Abbiamo visto che arriviamo tutti al 100 per cento di forma alle corse, per cui quel piccolo guadagno sulla nutrizione ti permette di fare la differenza. Ben venga questa ricerca, che non tocca solo il settore professionistico, ma anche quello amatoriale».

Tanti sacrifici per un obiettivo. Andrea ha le idee chiare: «Vorrei partecipare al Tour de France. Non ci sono riuscito con una squadra francese, per cui sarebbe bello invertire la tendenza. Alzare le braccia al cielo in una tappa poi, sarebbe il mio sogno».

De Marchi, la vita ricomincia dalla prima coppa

15.09.2025
5 min
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Hai davvero la prima coppa? «Ce l’ho ancora a casa dei miei – fa De Marchi, non immaginando la domanda successiva – la riconosco ogni volta che ci passo davanti». Senti Ale, la nuova vita riparte da quel trofeo, sarà come un passaggio di testimone: riusciresti a farti una foto come quel giorno del 1993? Il pezzo dovrebbe uscire domattina alle 10. «Cotta e mangiata, insomma (ride, ndr). Va bene, mi organizzo».

L’ultima corsa di De Marchi sarà il Giro del Veneto del 19 ottobre. Appena una settimana dopo, Alessandro radunerà il suo popolo a Buja e lì chiuderà la carriera di corridore. Lo farà passando il testimone a qualsiasi bambino che, giocando con la bici nella piazza del paese, sentirà scoccare la stessa scintilla di allora. Alessandro aveva sette anni quando ricevette la coppa per la gimkana alla Sagra di San Giuseppe del 1993. Cominciò tutto così. I ricordi si sovrappongono ai pensieri degli ultimi chilometri da corridore. Non è mai semplice mettere via la valigia che ti ha accompagnato fedelmente per così tante stagioni. Per questo la novità di debuttare da mercoledì al Giro di Slovacchia è diventata uno stimolo, nel momento in cui si avrebbe soltanto la voglia che tutto finisca alla svelta.

«Sono sfinito – ammette – non vedo l’ora di arrivare al 19 ottobre. Quest’anno è stato tutto un po’ così, la stagione non è mai svoltata e men che meno lo farà adesso che manca un mese alla fine. Per questo sono contento di fare una nuova corsa, che mi permette di trovare qualche motivazione».

Alessandro De Marchi è passato professionista nel 2010. Il 2025 vedrà la fine della sua carriera al Giro del Veneto
Alessandro De Marchi è passato professionista nel 2010. Il 2025 vedrà la fine della sua carriera al Giro del Veneto
Di solito quando si va in bici si pensa, a cosa pensa De Marchi in questi ultimi allenamenti?

Sto cominciando a capire quanto mi mancherà il fatto di uscire in bici, di stare fuori. Cercherò di ritagliarmi un certo tipo di routine, per garantirmi una decompressione graduale. Pedalare mi mancherà molto, ma come sto dicendo in queste ultime settimane, non mi mancheranno per niente le gare.

Com’è nata, nel momento in cui lasci il gruppo, l’idea di fare qualcosa per i bambini?

E’ nata ripassando il modo in cui tutto questo è cominciato. Ho ritrovato delle foto. Ho parlato con i miei genitori. E alla fine la mente è andata al momento in cui ho sentito iniziare qualcosa. Mi sono chiesto se questo mio addio in realtà non possa diventare il momento per festeggiare qualcosa. E allora perché non provare a ricreare la stessa situazione che a me fece scattare la scintilla?

Di quale situazione parli?

Io ho iniziato con una gimkana promozionale a Buia, una domenica di marzo del 1993. La Ciclistica Bujese organizzava questa manifestazione, in cui erano state coinvolte le scuole e io mi sono avvicinato così. E’ ovvio che poi ci sono stati mille altri passaggi, ma il vero inizio fu quello. E allora mi sono detto che ricreare una situazione simile sarebbe come chiudere il cerchio.

Perché dici che quella vota a sette anni scattò la scintilla?

Ho dei ricordi particolari. Portai a casa una coppa, perché davano qualcosa a tutti i bambini. Quel giorno a casa nostra c’erano i nonni e un po’ di parenti. Mio padre mi portò lì, facemmo la gimkana e rientrammo per il pranzo. E io ricordo di aver mostrato questa coppa ai nonni, agli zii, a tutti quelli che c’erano. Ho nella testa questi due momenti precisi, quindi quell’occasione, nonostante fosse solo il 1993, mi è rimasta molto impressa.

Tanti corridori si affrettano a dire che non vogliono la bici nella vita dei loro figli, tu invece organizzi un evento sperando che la bici ispiri altri bambini.

I miei figli si sono avvicinati alla bicicletta, senza che io dicessi niente. Oggi (ieri, ndr) sono andato in bici a una loro gara, li ho visti correre e poi me ne sono tornato a casa. Non ho alcun problema col fatto che vogliano fare ciclismo. L’essenza di quello che stanno facendo è stare insieme ad altri bambini, facendo uno sport e condividendo momenti, situazioni, esperienze. Credo che questo sia il nocciolo. Lo sport deve avere questo obiettivo di educazione. Il resto, le gare e tutto quello che viene dopo, succederà fra dieci anni, non possiamo parlarne quando hai a che fare con bambini che ne hanno sette.

Prima la bici e poi semmai il ciclismo?

Io voglio che ci siano bambini che usano la bici, che ci pensano come a qualcosa di positivo. Immagino un evento promozionale per avvicinare i bambini alla bicicletta, non necessariamente alle società. Anche se quel giorno nessuno di questi bambini si iscriverà a una delle due società, ma deciderà col papà di andare a fare una pedalata o andare a scuola in bicicletta, per me avremo raggiunto un grande obiettivo.

I bambini in bicicletta sono portatori di un modo diverso di vivere la mobilità e le città: le corse sono un’altra cosa (immagine Instagram)
I bambini in bicicletta sono portatori di un modo diverso di vivere la mobilità e le città: le corse sono un’altra cosa (immagine Instagram)
Come ti aspetti il Giro del Veneto, la tua ultima corsa?

Sarà una giornata così emotivamente carica e piena, che arriverò alla fine della giornata sfinito e contento. Ormai tutto ha un significato assoluto pensando a quel giorno. Io spero di riuscire a partire per andare in fuga, fare la cosa che mi è sempre piaciuta, interpretare l’ultimo giorno in quel modo lì. Ed è la cosa che in questo momento mi sta costando più fatica ed è forse il motivo per cui non sto riuscendo a godere appieno di questi ultimi scorci di stagione.

Ultimo giorno alla Marangoni, che vinse la sua unica corsa all’ultimo giorno di gara?

Quel giorno me lo immagino così. Proverò ad andare in fuga, fare una bella gara per poi arrivare e finire vicino a chi mi vuole bene. Sarebbe bello chiudere come Alan, però il ciclismo di Marangoni era diverso da quello di oggi. Insomma, non credo che riuscirò a vincere il Giro del Veneto…

De Marchi, il dado è tratto, ma c’è ancora tanto da fare

30.04.2025
6 min
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«Se ti ricordi, ci siamo visti a dicembre – attacca De Marchi – e sei partito subito con la domanda secca: è l’ultimo anno da corridore? In realtà lì non c’era di niente di deciso, ero ancora in una fase molto riflessiva, mettiamola così. Ho finito di riflettere e ho preso la decisione una quindicina di giorni dopo che ci siamo visti. Stavo per andare a Gran Canaria con la famiglia per allenarmi e poco prima di partire ne ho parlato con Anna ed ero arrivato a questa conclusione».

Dopo tanti anni, finisce che basta uno sguardo. Per cui, quando il 9 dicembre ci trovammo faccia a faccia, fu subito chiaro che avevamo di fronte un uomo al bivio e venne naturale fargli la domanda diretta per osservarne la reazione. Si era quasi alla fine del viaggio, serviva il tempo per dirselo nel modo giusto.

Lunedì 9 dicembre, primo pomeriggio ad Altea, Spagna. Si capiva che i pensieri di De Marchi fossero in subbuglio
Lunedì 9 dicembre, primo pomeriggio ad Altea, Spagna. Si capiva che i pensieri di De Marchi fossero in subbuglio

Lo capisci che si emoziona quando le frasi si allungano e le parole si ripetono, a tratti faticano per uscire. Non è facile raccontare quello che hai dentro. Non è facile mettere il punto e forse per questo il modo che ha scelto per farlo è stato un video molto emotivo in cui ha potuto dire la sua senza altri occhi addosso che la lente della telecamera.

Quando l’hai capito?

Non è stata una fase brevissima, è servito qualche mese e la calma dell’inverno è stata l’occasione giusta per mettere insieme i pezzi e guardarmi indietro.

La somma dei segnali?

Sembra assurdo, ma ho realizzato che uno dei campanelli d’allarme era suonato quando l’anno scorso ho vinto la tappa al Tour of the Alps. E’ stato stato sicuramente un giorno memorabile, di quelli belli che ti ricordi. Però pensandoci bene dopo, ho realizzato che rispetto ad altre vittorie e altre giornate, quello che avevo ricevuto indietro in termini di energia e di spinta era parecchio meno rispetto al passato. Quella cosa mi ha aperto gli occhi.

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Eppure non è il giorno speciale che pensava
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Eppure non è il giorno speciale che pensava
Ti ha dato la spinta per guardarci davvero dentro?

Alla fine, se ci pensi, la cosa difficile, almeno per me, è stato avere il coraggio di guardarmi allo specchio e ammettere che quello che ho fatto per 15 anni inizia quasi a non a non piacermi più. Che non è più la cosa principale in cui mi vedo guardando un poco più avanti. E’ stato decisivo anche capire che, quando pensavo al futuro, la prima cosa che mi immaginavo era diverso dall’essere vestito in lycra e correre in bici.

Hai pensato di far finta di non aver capito?

E’ la prima tentazione che ti assale: ignorare i segnali e rientrare nella solita parte. Non puoi farlo, è pericoloso, però è anche difficile prenderne atto. Significa smettere di essere la persona che sei stato per 15 anni. Devi fartene una ragione da un momento all’altro. Andare avanti significherebbe recitare una parte, ma perché dovrei farlo? Per come sono io, ho sempre corso per il piacere, per la passione, per riuscire a fare certe cose. Nel momento in cui ho capito che avrei potuto firmare un altro contratto solo per prendere i soldi, proprio in quel momento ho iniziato a vacillare.

Ci sarà tutto il tempo per fare bilanci, la sensazione di adesso qual è?

Mi sono tolto un peso. Il video è stato la fine di questo percorso. Il primo passo è stato ammetterlo a me stesso, dirlo a ad Anna, alla mia famiglia e quelli più vicini. Poi parlarne con la squadra. Avevo in mente da tempo questa cosa del video e devo dire che le ultime settimane, quando era tutto pronto e stavamo aspettando il momento giusto, sono state interminabili. Aspettavo con ansia quel martedì e quando il video è andato online, mi sono tolto effettivamente un peso.

Volta Catalunya, De Marchi al via della 15ª stagione da professionista, accanto ad Aleotti, altro figlio del CTF
Volta Catalunya, De Marchi al via della 15ª stagione da professionista
Sai che su ogni palco da qui a fine anno ti chiederanno cosa si prova a fare la tale corsa per l’ultima volta?

E’ già cominciato. E’ successo ogni giorno (ride, ndr), però ci si fa il callo, come per tante altre cose. E poi devo dire che è bello vedere la reazione di persone, amici e tifosi. Qualche giorno fa sono andato a vedere una gara di Andrea (il suo primo figlio, ndr) che corre nei giovanissimi. E sono stato letteralmente travolto da questa cosa. Persone che hanno visto il video e mi hanno fatto i complimenti per il modo in cui io l’ho annunciato. C’è stata una bella reazione e per me è la conferma di aver interpretato bene il mio mestiere in tutti questi anni.

Cancellara annunciò che avrebbe smesso e poi vinse l’ultima gara della carriera: le Olimpiadi di Rio a crono. Serve tanta testa: un annuncio del genere toglie motivazioni?

Ammetto di aver risentito soprattutto di questo processo di riflessione e poi l’attesa dell’annuncio. Non nascondo che questo mi ha tolto un po’ di energie. Ma dal momento in cui l’ho detto, è tornata la solita concentrazione. Ci tengo veramente tanto a fare bene il mio lavoro e questo ha ripreso il sopravvento. Correrò sicuramente con una nuova consapevolezza, cambia un po’ tutto. Adesso sono in preparazione per il Giro d’Italia, la testa è lì. Per essere perfetto o almeno il migliore possibile.

Come l’hanno presa Anna e i bambini?

Anna, ovviamente, era la prima ad aver intuito tutto. Mi ha lasciato fare i miei ragionamenti. E poi quando gliel’ho detto, mi ha confermato che lo sapeva già. E’ contenta, perché sa cosa significhi fare questo lavoro. I bambini hanno visto il video e soprattutto Andrea ne è rimasto sicuramente colpito, però sono sereni.

Uomo da grandi fughe e grandi tirate, De Marchi correrà domani a Francoforte, poi è atteso dal 9° Giro della carriera
Uomo da grandi fughe e grandi tirate, De Marchi correrà domani a Francoforte, poi è atteso dal 9° Giro della carriera
Quindi adesso una settimana a casa e poi si parte per l’Albania?

Anche meno, in realtà. Dopo il Tour of the Alps sono stato due giorni a casa. Poi si parte per Francoforte (la Eschborn-Frankfurt si correrà domani, ndr). Quindi torno a casa e, come tradizione vuole, farò un pranzo con gli amici più stretti del CTF Lab e compagnia, e poi si parte per il Giro.

E allora ci vediamo in Albania…

Volentieri. Però la prossima volta che dovremo parlare di cose serie, lo faremo con una birra davanti. Lo sapete che sono aperto a tutte queste cose…

Visconti talent scout, l’occhio dell’ex per scoprire il talento

05.03.2025
6 min
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Giovanni Visconti torna in carovana. Il popolare ex corridore, che aveva appeso la bici al chiodo 3 anni fa, non è rimasto a lungo lontano dall’ambiente che ama, trovando un incarico che più di altri solletica la sua fantasia e il suo interesse. Visconti è stato infatti assunto dal Team Jayco AlUla in qualità di talent scout, chiamato a scoprire i giovani più in vista da mettere sotto contratto. Sembra una definizione semplice, scarna, ma dietro c’è una grande complessità, che responsabilizza e intriga il 42enne di Palermo.

Palermitano (anche se nato a Torino), Visconti è stato professionista per 17 anni, con 34 vittorie tra cui 3 titoli italiani
Palermitano (anche se nato a Torino), Visconti è stato professionista per 17 anni, con 34 vittorie tra cui 3 titoli italiani

La scelta di Copeland

Visconti lavorerà a stretto contatto con Fabio Baronti e con l’ex diesse della Grenke Auto Eder Christian Schrot sotto la supervisione di Alex Miles, Lead Data Scientist del team australiano. Il tutto fortemente voluto da Brent Copeland per dare al team un futuro a lungo termine.

«Con Brent ci conosciamo da tempo, da quand’ero alla Bahrain – racconta l’ex campione italiano – due mesi fa mi ha prospettato l’idea e chiesto se mi andasse di rimettermi in gioco e io ho risposto con entusiasmo. Mi ha spiegato nei particolari che cosa si aspetta e mi ha parlato di questa figura che nel team ancora non c’era, proprio perché avendo smesso da relativamente poco ho ancora la sensibilità utile per cogliere aspetti sui giovani che altrimenti sfuggirebbero».

E’ una figura che esiste in altri team?

Sì, anzi è in rapida diffusione perché il ciclismo attuale va velocissimo, ma ha bisogno di figure che vadano oltre i semplici numeri che non dicono tutto su un atleta. Le indicazioni che arrivano dai tecnici, preparatori, ma anche dagli stessi strumenti sono importanti, ma noi dobbiamo metterci del nostro, conoscere questi ragazzi dal punto di vista personale, familiare, ambientale perché tutto influisce. Questo significa che bisogna girare per le gare, guardando con attenzione.

Ritiratosi 3 anni fa, l’ex campione italiano è pronto per una nuova avventura sfruttando la sua sensibilità ciclistica
Ritiratosi 3 anni fa, l’ex campione italiano è pronto per una nuova avventura sfruttando la sua sensibilità ciclistica
Il tuo lavoro riguarderà solamente l’Italia?

Decisamente no, infatti a fine marzo andrò in Belgio a seguire due classiche internazionali degli juniores, tra cui quella di Harelbeke. Il Team Jayco AlUla è internazionale e quindi aperto a corridori di tutto il mondo. Sarei felicissimo di poter consigliare qualche ragazzo italiano e qualche nome l’ho già segnato sul mio taccuino, ma andrò tanto all’estero proprio per questo, per conoscere ragazzi di ogni parte e verificare quali sono appetibili per il nostro team.

Quando tu eri junior, i talent scout non c’erano…

Era un ciclismo completamente diverso, nel quale ci si muoveva in autonomia e si seguivano strade diverse per approdare al professionismo. A me non piace fare paragoni, siamo in epoche diverse e oggi i ragazzi non sono minimamente paragonabili ai pari età di un quarto di secolo fa. Mi accorgo sempre di più che ci troviamo di fronte a giovanissimi che magari non sono ancora maggiorenni eppure hanno già la testa da professionisti, perché hanno dietro staff efficienti, anche a livello juniores, che li instradano verso preparazione, nutrizione, riposo, insomma tutto quel che serve.

Il Team Jayco-AlUla ha potenziato la struttura del devo team: Visconti si inserisce nel progetto sviluppo del team australiano
Il Team Jayco-AlUla ha potenziato la struttura del devo team: Visconti si inserisce nel progetto sviluppo del team australiano
A quali fasce guardi?

Gli juniores innanzitutto, ma seguirò anche gli under 23. Gli allievi no perché sarebbe troppo e a quell’età è più difficile trarre considerazioni. D’altronde quelli che vanno forte da allievi poi li ritroviamo al primo anno da juniores. A me interessa vedere come crescono, proprio perché i dati non dicono tutto. I ragazzini che vincono a più riprese devono poi darmi altri riscontri, che solo crescendo posso avere.

Che cosa cerchi in particolare?

E’ un discorso complesso. I numeri li vedono tutti, basta consultare le app, ma un corridore è fatto di tanto altro. Chi ha corso fino a ieri (magari l’altro ieri per me…) ha un occhio diverso, coglie in corsa aspetti che magari sfuggirebbero ma che sono importanti per capire un corridore: come si muove in gruppo, se è scaltro, se è un uomo squadra, sia nel dedicarsi agli altri che nel guidarli. Ma anche che vita fa, com’è la famiglia, che carattere ha, se ha problemi o meno a spostarsi, anche in un’altra nazione e che dimestichezza ha con le lingue. Sono tutti fattori fondamentali, ma che i numeri non ti dicono.

Non solo juniores. Visconti vuole cercare talento anche fra i più grandi, gli U23
Non solo juniores. Visconti vuole cercare talento anche fra i più grandi, gli U23
Dicevi che guarderai anche gli under 23. Dando quindi opportunità anche a chi si avvicina alla “spada di damocle” del cambio di categoria, rischiando di rimanere fuori?

Inutile raccontarci storie, sappiamo che nel ciclismo di oggi si cerca il giovanissimo talento, ma non dobbiamo precluderci nulla. Se c’è quel corridore emerso più tardi, maturato piano piano ma che ha quei valori (e uso questa parola nella sua accezione più piena) allora dobbiamo essere pronti a sfruttare l’occasione. Con la Hagens Berman abbiamo un devo team che aiuta i ragazzi a emergere, se hanno i mezzi non vengono certo buttati via. Io credo ancora in questa categoria, può dare molto.

Tu eri domenica al GP Baronti, la prova di apertura della stagione degli juniores (foto di apertura). Che impressione generale hai avuto?

L’impressione di un livello medio molto alto. Non nascondiamoci, i ragazzi talentuosi in Italia li abbiamo e per questo serve capire, andare sul campo, verificare chi ha davvero le qualità per emergere, per distinguersi. Sappiamo bene qual è il problema del ciclismo italiano: non avere uno sbocco interno, quindi essere costretti ad andar via. Ormai anche fra gli juniores i ragazzi italiani vanno a correre all’estero, poi l’esperienza di Finn ha dato riscontri e un seguito clamoroso.

Lorenzo Finn, in maglia Red Bull, è ormai un riferimento per i giovani italiani. Un esempio da imitare
Lorenzo Finn, in maglia Red Bull, è ormai un riferimento per i giovani italiani. Un esempio da imitare
Ma per un ragazzo che cosa significa inseguire un sogno? Tu l’hai fatto, lasciando la tua casa e la tua famiglia…

Questo è un lato del ciclismo attuale che rende il tutto molto più difficile. Allora come oggi servono un grande carattere, determinazione, resilienza e averli a quell’età non è facile. Ma io pur venendo dalla Sicilia avevo una prospettiva, un sogno da inseguire. Oggi è più difficile, per un ragazzo del Sud, perché anche la Toscana, l’Italia intera è il nuovo Sud. Il baricentro dell’attività è fuori dai nostri confini. Ormai, per avere chance, bisogna andare all’estero, c’è poco da fare.

Rincorsa ai carboidrati, partì davvero tutto col Covid?

04.02.2025
6 min
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Di colpo in gruppo si è cominciato a parlare di carboidrati e quanti mangiarne ogni ora per essere forti fino alla linea del traguardo. Niente più crisi di fame, massima efficienza dall’inizio alla fine e la necessità di allenarsi per mandarli giù e farci poi la pace. Sarà stato un caso, ma la svolta è diventata evidente a partire dal 2020, l’anno frenetico della ripresa post lockdown, quando ogni corsa rischiava di essere l’ultima per chissà quanto tempo ancora.

Che cosa è successo in quei tre mesi di chiusura totale? I nutrizionisti hanno avuto il tempo per studiare oppure si è andati avanti sulla cresta di un’onda che era già partita in precedenza? Cercheremo di scoprirlo coinvolgendo due nutrizionisti del gruppo: Laura Martinelli del Team Jayco-AlUla e Nicola Moschetti del Team Bahrain Victorious.

Laura Martinelli è la nutrizionista del Team Jayco-AlUla (foto Jayco-ALula)
Laura Martinelli è la nutrizionista del Team Jayco-AlUla (foto Jayco-ALula)
E’ stato per caso che di tanti argomenti si sia iniziato a parlare alla ripresa dal Covid?

MARTINELLI: «Da un lato forse è una coincidenza, dall’altro invece no. Un’attenzione così grande nei confronti della nutrizione, secondo me a volte anche eccessiva, è multifattoriale. Tra i fattori possono essere stati il Covid e la necessità di gestire il peso e la forma fisica senza la reale possibilità di allenarsi. Ci siamo tutti trovati in una situazione straordinaria in cui il corridore spesso lavorava sui rulli e non poteva uscire o poteva farlo in maniera limitata, senza sapere quando sarebbero riprese le corse. Però l’attenzione verso questi aspetti era già schizzata in maniera vertiginosamente alta fra il 2010 e il 2015. Probabilmente il Covid ha alimentato una tendenza che era già viva».

MOSCHETTI: «Forse è successo che fermandosi il mondo intero, si è approfondito di più l’aspetto. Dal punto di vista nutrizionale, fino a otto anni fa il massimo di carboidrati che si poteva pensare era di 90 grammi/ora. Invece gli ultimi studi evidenziano come 120 grammi/ora in sport di endurance o gare di alta intensità siano fondamentali per massimizzare la performance in tutte le categorie. Prima i più giovani non ponevano attenzione all’alimentazione, adesso la pongono e soprattutto si adattano. Arrivano anche loro a 120 grammi/ora e secondo me certe prestazioni sono la conseguenza. Mentre atleti più maturi, abituati da dieci anni a mangiare anche 50 grammi di carboidrati/ora, hanno sofferto per questa capacità di utilizzo che non avevano. Anche prima del Covid erano iniziati gli studi su questo assorbimento dei carboidrati, però poi è stata tutta un’evoluzione».

Nicola Moschetti è il nutrizionista della Bahrain Victorious
Nicola Moschetti è il nutrizionista della Bahrain Victorious
E’ pensabile che i nutrizionisti abbiano sfruttato il lockdown per studiare e mettere a punto nuove strategie?

MARTINELLI: «E’ innegabile che nei mesi di chiusura, io ad esempio abbia studiato molto più del solito. Eravamo a casa e ho avuto più tempo da dedicare all’aggiornamento e allo studio. Un po’ anche per necessità, dato che ci siamo dovuti confrontare con uno scenario nuovo e quindi nel cercare soluzioni alternative, ti metti a studiare. Almeno io faccio così. Ricordo che facemmo delle riunioni proiettando delle slide, delle presentazioni preparate insieme ai preparatori e ai medici, anche perché c’era anche una certa competitività con le altre squadre. Non era più legata a chi avesse i cavalli migliori, ma anche chi li gestisse meglio».

MOSCHETTI: «Il fatto che tutto questo sia avvenuto durante il lockdown può essere anche stato una coincidenza. Possono esserci più fattori che abbiano influenzato e spinto gli stessi professionisti della nutrizione ad approfondire la letteratura. Provo e sperimento, perché finalmente ho il tempo per farlo. Quello che ha dato la sferzata maggiore in effetti è stato il tempo, averne di più per riflettere e fare degli esperimenti». 

Per tre mesi nel 2020 i corridori si sono allenati sui rulli con diverse esigenze alimentari. Qui Roglic
Per tre mesi nel 2020 i corridori si sono allenati sui rulli con diverse esigenze alimentari. Qui Roglic
Può essere che l’attenzione sia aumentata per evitare che, allenandosi solo sui rulli, i corridori assumessero più carboidrati del necessario?

MARTINELLI: «Ricordo che ero ancora al Bahrain e con Landa si era fatta una programmazione in modo che non prendesse peso nello stare fermo. Quindi magari il Covid ha limitato l’allenamento, ma non ha limitato la nutrizione. Anzi, era una delle poche variabili che si riuscivano a controllare. Non credo però che si sia studiato per tenere sotto controllo il quantitativo di carboidrati che gli atleti prendessero quando si allenavano sui rulli. Perché alla fine erano gli amatori che passavano anche 5-6 ore sui rulli, i professionisti facevano al massimo un’ora, un’ora e mezza».

MOSCHETTI: «Forse c’è stata un’attenzione maggiore perché durante il lockdown la difficoltà principale per gli atleti era allenarsi senza poter uscire e quel periodo ha trasformato l’allenamento sui rulli. L’alimentazione è stata adattata, per la paura di aumentare di peso. Un’attenzione maggiore che su strada si è sposata all’aumento dell’intensità. E’ evidente che il livello di questi ultimi tre anni sia folle. In tutte le categorie, non solo nel WorldTour, lo vedo anche fra gli allievi, gli juniores e gli under 23».

Da principale fonte di carboidrati, la pasta è stata affiancata se non sostituita da prodotti specifici
Da principale fonte di carboidrati, la pasta è stata affiancata se non sostituita da prodotti specifici
Quindi è possibile che semplicemente il lockdown abbia fatto sembrare più brusco il cambio di passo, che però era già iniziato prima?

MARTINELLI: «Secondo me in ambito scientifico era un tema emerso prima e poi venuto fuori in maniera sempre più prepotente. La ricerca si è accorta che i trasportatori del fruttosio non si saturano a 20 grammi/ora come pensavamo prima e allora si è provato ad aumentare. Ci sono state varie congetture da parte dei soliti noti, i due o tre esperti mondiali di riferimento, che ci hanno visto giusto. Da lì poi hanno innescato un circolo virtuoso di nuovi ricercatori appassionati che hanno pubblicato sul carboidrato».

MOSCHETTI: «E’ possibile, come credo che non si potrà andare avanti a oltranza. Non penso che ora si possa arrivare a 200 grammi di carboidrati oppure anche 150-160, anche se il limite si sta spostando sempre verso l’alto. Adesso è alla quota di 130 grammi/ora, ma si ragiona già di più sulla distribuzione in gara, in base ai percorsi e al ruolo del singolo atleta. Si arriva a 130 se ad esempio nella seconda ora di gara hai una salita impegnativa, ma scendi a 100 se l’ora successiva si farà a ritmo più blando».

La quota carboidrati in corsa viene raggiunta principalmente tramite borracce o gel
La quota carboidrati in corsa viene raggiunta principalmente tramite borracce o gel
Se con i carboidrati abbiamo raggiunto il limite, su cosa si concentrerà ora l’attenzione?

MARTINELLI: «Qualcosa si sta muovendo con le proteine. Per decenni si è pensato che ci fosse un limite di assorbimento intestinale, oltre al quale l’eccesso di proteine veniva convertito in grassi. L’anno scorso invece un ricercatore ha avuto l’intuizione giusta e ha dimostrato il contrario, quindi mi aspetto a breve più interesse dalla comunità scientifica verso le proteine. Quel limite in realtà non era reale e quindi si proverà ad oltrepassarlo. La stessa cosa fatta dieci anni prima con i carboidrati. L’aspetto proteico potrebbe essere il prossimo fronte di approfondimento. Anche perché negli ultimi anni i corridori sono ovviamente magri, però secondo un concetto diverso di magrezza. Hanno una muscolatura superiore rispetto a vent’anni fa, quando la magrezza era piuttosto un deperimento».

MOSCHETTI: « Secondo me quello che accadrà sarà invece lo studio a livello di intestino, cioè la flora batterica intestinale che è diversa per ognuno di noi. Quindi si lavorerà sull’utilizzo di probiotici specifici, ragionando su tutto l’asse intestinale. Il microbioma intestinale, lo studio sul microbioma e l’aumento della personalizzazione. Proprio per questo li seguiamo 365 giorni l’anno. Inviamo loro la quantità di grammi di grassi e proteine che devono mangiare per ogni pasto. Dalla colazione fino alla cena: in ritiro, a casa e anche in gara. In base al tipo di allenamento, in base alla potenza che hanno fatto, in base ai tanti fattori nella vita di un atleta professionista».

Un mese per dirsi addio: il duro racconto di Del Barba

21.01.2025
3 min
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Una chiamata che non ti aspetti. E’ Mattia Cattaneo, pensi subito che sia successo qualcosa, ma che cosa? Dice che vorrebbe si facesse un articolo per un amico, un massaggiatore che conosciamo benissimo. Emanuele Del Barba, fino al 2024 alla Jayco-AlUla. Stamattina ha perso sua moglie, restiamo di sasso. Lui è accanto, due parole e la promessa di risentirci nel tardo pomeriggio. La giornata scorre in un continuo guardare il display, fino al momento di chiamarlo.

Ha la voce distaccata di quando la botta è così forte che ti ha portato via anche la disperazione. Chi ci è passato lo sa e riconosce la rassegnazione. Si parla per monosillabi, riallacciando storie personali e punti di contatto.

«Se ne è andata in un mese – dice – stamattina, a 43 anni. Non sono lucido, sono in mezzo a un botto di gente, ma sono anch’io disperato. Forse è perché lo so da un mese. Lavorando coi dottori forse mi sono preparato. Così stamattina ero lì col “Catta” ed è venuta a lui l’idea di fare un bell’articolo per la mia Rossella…».

Emanuele Del Barba, Rossella e Federico, 25 anni: una visita al Giro d’Italia
Emanuele Del Barba, Rossella, Federico, 25 anni, e il piccolo Edoardo, 7 anni: una visita al Giro d’Italia

Tutto in un mese

Era il 15 dicembre quando tutto è cambiato e adesso ogni cosa cambierà: se non per sempre, di certo per un lungo periodo. Ora ci sono due figli cui stare accanto. Uno di 25 anni, figlio di Rossella. E uno di sette, per il quale la botta sarà tremenda. Come glielo dici a un bimbo di sette anni che da stasera mamma non tornerà più a casa?

«Ho fatto gli ultimi due anni con la Jayco – racconta Del Barba – e adesso avevo firmato con la Movistar per un po’ di giornate. Invece andrà tutto a monte, ma va bene così devo stare tranquillo a casa con mio figlio e continuerò a lavorare nel poliambulatorio. Non andrò alle corse, ma è giusto così. Avrei dovuto fare il calendario italiano. Invece il 15 dicembre abbiamo saputo che stava male».

Rossella aveva 43 anni e, da buona bresciana, aveva finito con l’appassionarsi al ciclismo
Rossella aveva 43 anni e, da buona bresciana, aveva finito con l’appassionarsi al ciclismo

La passione per le corse

Il ciclismo era entrato a forza nella sua vita, come succede quando sposi uno che ci lavora dentro e che lo vive come una passione.

«Ho ricevuto dei messaggi – dice – ho messo una storia su Instagram, ma poco altro. Volevo farlo sapere a quelli più lontani, perché in un mese non c’è stato il tempo per avvertire nessuno. La passione del ciclismo gliel’avevo passata io, eravamo insieme da 18 anni e quindi cominciava anche lei a venire alle corse. Era bresciana, da noi il ciclismo lo respiri nell’aria».

Guardi la foto di quel sorriso bellissimo e poi finisci le parole. E’ una serata come tante, che in questa casa bresciana non riusciranno a dimenticare. La vita va avanti in salita, non resta che pedalare, con il ricordo doloroso e dolce di Rossella che non c’è più.

Nel nome di Rossella è stata creata una pagina di donazione: https://donazioneinmemoria.airc.it/eventi/nel-dolce-ricordo-di-rossella

Copeland, i devo team e le strategie della Jayco-AlUla

11.01.2025
6 min
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«Secondo me il problema non è per le squadre under 23 – dice Brent Copeland quando a fine intervista lo portiamo sul fronte italiano – quanto piuttosto per le professional. Le continental restano preziose per far crescere gli under 23, invece le professional devono reggere il confronto con le WorldTour e con i devo team e non hanno la certezza del calendario. Come Aigcp stiamo lavorando anche per questo, perché squadre come quella di Reverberi abbiano qualche certezza in più, anche se con questo calendario non è facile…».

Abbiamo chiamato il team manager del Team Jayco-AlUla per fare il punto sul doppio devo team della squadra australiana: quello degli uomini (in apertura foto Coltyn Present) e quello delle donne. Avendo intuito il grande lavoro che c’è dietro, ci incuriosisce capire se per una squadra WorldTour avere un team di sviluppo sia effettivamente una necessità. Fra gli uomini l’operazione è stata completata con l’assorbimento della Hagens Berman, la squadra di Axel Merckx, che in passato è stata anche professional e ha lanciato al professionismo, fra gli altri, Dunbar, Geoghegan Hart, Almeida, Philipsen, i gemelli Oliveira, Morgado, Herzog, Riccitello e Christen. Fra gli altri colpi del mercato, oltre ai corridori, c’è stato l’ingaggio di Christian Schrot, il tecnico/allenatore che ha portato Finn al mondiale juniores e ha costruito i successi del Team Auto Eder, vivaio U19 della ex Bora-Hansgrohe.

Matthew White, a sinistra, direttore di performance e racing, con Axel Merckx (foto Team Jayco-AlUla)
Matthew White, a sinistra, direttore di performance e racing, con Axel Merckx (foto Team Jayco-AlUla)
Come mai questo forte investimento sul devo team?

Già da un paio di anni stavamo lavorando con la squadra di Axel. Non dico che sia un’esigenza o un obbligo, ma l’unico modo di capire bene la crescita dei corridori prima che passino a livello professionistico. E questo non riguarda solo il livello performance o agonistico, ma anche il carattere, la cultura, conoscere bene da dove vengono. Tutti punti che per noi sono fondamentali. La collaborazione con Merckx stava funzionando molto bene, il problema era che non potevamo far correre i nostri corridori con loro o i giovani con noi perché non era una nostra squadra. Ecco perché quest’anno abbiamo fatto un passaggio in più, mettendoli sotto il nostro ombrello, diciamo così.

In modo da poter avere uno scambio continuo di corridori?

Esatto. I giovani più pronti potranno venire con noi per mettersi alla prova e allo stesso modo potremo mandare da loro uno dei nostri, ad esempio De Marchi, per portargli un po’ di esperienza dal mondo dei professionisti. E’ un impegno in più, è una squadra in più, però secondo me vale la pena, perché ormai è importante conoscere bene i ragazzi prima che passino al WorldTour.

Come mai secondo te Axel Merckx ha questa grande capacità di lanciare corridori?

Lui lavora molto sull’individuo prima che sul corridore, è la filosofia che già dal primo incontro ha spiegato a me e a Gerry Adams (il proprietario della squadra, ndr). Lui sa che al massimo il 50 per cento dei suoi corridori passerà professionista, la realtà è questa. E non vuole che l’altra metà che smette non abbia imparato niente, anche sul piano personale. Allora lavora molto sulla persona, la cultura, il carattere. Non insegue solo risultati e performance e questo ci ha fatto molto piacere, perché è una filosofia molto importante anche per noi.

Christian Schrot è stato il tecnico di Lorenzo Finn nel 2024 e del Team Auto Eder (foto Team Jayco-AlUla)
Christian Schrot è stato il tecnico di Lorenzo Finn nel 2024 e del Team Auto Eder (foto Team Jayco-AlUla)
Però in parallelo avete preso un tecnico come Schrot, molto bravo a gestire la performance dei giovani.

Persone come lui servono per trasmettere nel modo giusto le esperienze ai ragazzi, per seguirli bene. Se non hai le risorse giuste, il lavoro non viene fatto bene e allora è inutile creare un devo team.

Il devo team sfrutterà anche l’esperienza del gruppo Performance della WorldTour?

Certamente, avrà accesso a tutta l’esperienza della prima squadra. Abbiamo iniziato a farlo già dall’anno scorso. Tecnologia e innovazione, la parte ingegneristica che segue Pinotti, la parte della nutrizione che viene seguita da Laura Martinelli, la parte medica di Carlo Guardascione. Tutto questo viene messo a disposizione anche della squadra development. E’ importante che i giovani imparino nel modo giusto, senza esagerare perché non vogliamo viziarli troppo. Devono imparare già da giovani come sarà quando passano professionisti, per questo gli diamo una mano con tutte le risorse della squadra WorldTour.

Stessa cosa con il devo team femminile?

Esattamente. Abbiamo la stessa struttura in Olanda per le ragazze, dove abbiamo anche una ragazza italiana: Matilde Vitillo. Utilizziamo lo stesso schema e cioè che le squadre WorldTour sono di appoggio per le squadre di sviluppo.

Matilde Vitillo è l’unica italiana che già dal 2024 corre nel devo team femminile (foto Team Jayco-AlUla)
Matilde Vitillo è l’unica italiana che già dal 2024 corre nel devo team femminile (foto Team Jayco-AlUla)
Visto che i costi saranno aumentati, avete nuovi sponsor per le due squadre di sviluppo?

No, per gli uomini abbiamo incorporato la sponsorizzazione di Axel. Già lo scorso anno si chiamava Hagens Berman-Jayco e continuiamo con questo appoggio. Ovvio che ci costa qualcosina in più, ma il budget resta lo stesso. Ne abbiamo spostato una parte in modo diverso per dare più appoggio a loro, però le cifre sono quelle. Purtroppo non abbiamo un super budget che ci permetta di fare diversamente, ma riusciamo ugualmente a lavorare molto bene.

Chi si occupa del lavoro di scouting per il devo team?

Fino all’anno scorso, ci pensava da Axel che era anche in contatto con i vari agenti. Però era una struttura fatta non tanto bene e devo fare autocritica, perché non l’abbiamo seguita come dovevamo. Quest’anno invece cambia tutto, un’altra struttura. Abbiamo messo insieme un gruppo di lavoro di cui fanno parte Axel, il nostro data analyst, i due allenatori della nostra squadra, gli allenatori della squadra di Merckx. Un gruppo di lavoro di sei persone, che andranno a fare scouting, restando in contatto con i direttori sportivi della varie squadre e con gli agenti. Abbiamo creato un protocollo per cercare il corridore che ci interessa.

Si parte dai numeri dei test, ma si cerca anche altro?

Esatto. Magari ci viene indicato un under 23 o uno junior, dal suo procuratore o dal direttore sportivo della squadra in cui corre. Guardiamo i numeri, perché i numeri sono importanti. Però poi il secondo passaggio è conoscere la persona, da dove viene, il suo background, la sua vita privata. Ci chiediamo se sarà globalmente adatto alla nostra squadra.

Per il secondo anno, alla Hagens Berman-Jayco correrà Mattia Sambinello, assieme a Samuele Privitera (foto Coltyn Present)
Per il secondo anno, alla Hagens Berman-Jayco correrà Mattia Sambinello, assieme a Samuele Privitera (foto Coltyn Present)
Una valutazione a 360 gradi?

Ci sono tanti altri fattori che bisogna guardare bene prima che un giovane passi nella squadra di Axel e poi eventualmente nel WorldTour. Il gruppo di lavoro è stato creato anche per questo, per avere le persone che vanno fisicamente alle corse a conoscere i corridori. Io credo che questo sia il modo giusto per lavorare. L’anno scorso abbiamo preso De Pretto dalla Zalf, ad esempio, dopo che aveva fatto lo stage con noi nel 2023…

Ora lo portereste nel devo team?

Esatto. Lo avevamo valutato, ci serviva una squadra perché facesse esperienza e lo abbiamo affidato alla Zalf. Dal prossimo anno, passerebbe nella squadra di Axel, prima di salire nel worldTour. Sarebbe azzardato farlo passare direttamente in prima squadra, il lavoro di Axel ci serve per capire il corridore e investire su di lui con qualche certezza in più.

De Pretto: prima di ripartire, un pensiero per la Zalf

26.12.2024
5 min
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Alla cena in cui si è chiusa la lunga storia della Zalf Fior, Davide De Pretto si è ritrovato in mezzo a volti invecchiati che non conosceva e nomi di cui invece aveva certamente sentito parlare. Fu proprio Luciano Rui, nel raccontarci quella serata, ad accorgersi della differenza generazionale fra il vicentino di 22 anni e i suoi ragazzi del 1970 e anche prima. Eppure erano tutti lì, ciascuno con il suo pezzetto da ricordare e che ha ricomposto per l’ultima volta i 43 anni di una storia fuori dal comune.

«La Zalf ha aiutato molto la mia crescita – ci ha raccontato Davide nel ritiro di Altea, in Spagna – quando sono arrivato dalla Beltrami, che ero un po’ deluso dalla stagione. Invece sono entrato nella nuova squadra, ho visto un gruppo molto unito e sono subito riuscito ad emergere. Mi dispiace che abbia chiuso perché penso sia stata importante per ogni corridore che ha indossato la sua maglia. Però nel ciclismo di adesso, tutto corre veloce. Le devo team estere sono le squadre più importanti, quindi quelle italiane fanno anche fatica a recuperare i corridori forti per fare risultato. E’ stata una scelta forse inevitabile, dovuta».

De Pretto è stato per 3 anni alla Zalf FIor. Qui secondo al Belvedere 2023 dietro Staune-Mittet (photors.it)
De Pretto è stato per 3 anni alla Zalf FIor. Qui secondo al Belvedere 2023 dietro Staune-Mittet (photors.it)
Si dice che le squadre under 23 italiane non preparino effettivamente i corridori, tu sei arrivato qui senza le basi oppure te la sei cavata?

Diciamo che sono stato fortunato in una squadra come questa, perché avevo fatto dei risultati importanti come al Belvedere e alla Liegi. Però diciamo che mi mancavano le corse a tappe e non ero pronto come i corridori delle devo, che fanno già corse di un certo livello. Forse questo è stato anche il miglioramento che ho avuto quest’anno, facendo delle corse a tappe dove sono migliorato molto. E’ sempre un terno al lotto. Può essere che magari sei tanto preparato, quindi passi e non lo dimostri, oppure sei poco preparato, passi e fai valere le tue qualità.

Ti sei stupito della tua velocità di adattamento e dei risultati di quest’anno?

Sì, sono stupito perché dalla prima gara in Spagna e anche nel ritiro di gennaio ero andato bene, mentre ricordavo l’esperienza che avevo fatto con la Beltrami da under 23, in cui il professionismo mi sembrava un mondo irraggiungibile. Essere arrivato davanti in una gara, sia pure di seconda fascia, mi ha dato qualcosa in più anche per tutta la stagione.

Aver vinto al Tour of Austria ha fatto scattare qualcosa?

Era tanto che la inseguivo. Ho iniziato la stagione subito bene, sempre con qualche podio e qualche piazzamento nei cinque. Mi è mancata alla Coppi e Bartali, ma ero sempre piazzato. Fatalità, è arrivata al Tour of Austria che proprio non me l’aspettavo. Era uno sprint di gruppo, mi sono trovato davanti, ho fatto lo sprint e sono riuscito a vincere. Da lì mi sono sbloccato nei professionisti e mi ha dato la motivazione per continuare la stagione e adesso per affrontarne anche un’altra altrettanto positiva.

Prima vittoria al primo anno sul traguardo di Bad Tatzmannsdorf al Giro d’Austria (foto Tour of Austria)
Prima vittoria al primo anno sul traguardo di Bad Tatzmannsdorf al Giro d’Austria (foto Tour of Austria)
Quanto è impegnativo essere corridore e riuscire a mantenere tutti gli impegni cui siete chiamati?

È difficile, perché adesso il ciclismo è composto da tanti elementi collegati fra loro. Quindi se non segui tutto quello che ti dicono, non riesci a rendere come dovresti. Non riesci a raggiungere il 100 per cento nei periodi in cui è necessario esserlo. Ed è così impegnativo per ogni mese.

L’appetito vien mangiando per cui si punta in alto?

Certamente. Mi aspetto di migliorare ancora di più rispetto a quest’anno, perché penso di essere cresciuto man mano che passava la stagione. Ho chiuso il 2024 con buoni risultati e in buona forma, quindi sono riuscito a riposare bene e sono ripartito con più voglia di prima. Mi aspetto di fare una stagione importante.

Hai qualcosa da migliorare prima che inizino davvero le corse?

Ne parlavo con Pinotti, il mio preparatore. Quest’anno ho fatto tanti piazzamenti, ma mi è mancato sempre qualcosa allo sprint per riuscire a vincere le volate ristrette. Per cui adesso stiamo lavorando inserendo un po’ più di palestra per migliorare l’esplosività e trasformare i piazzamenti in vittorie.

Davide De Pretto è nato il 19 aprile 2022 a Thiene. E’ passato pro’ nel 2024
Davide De Pretto è nato il 19 aprile 2022 a Thiene. E’ passato pro’ nel 2024
Rileggendo la tua storia recente col senno di poi, mollare il ciclocross era una necessità inevitabile?

Per come è adesso, sì. Ero arrivato a un bivio. Potevo trasferirmi in Belgio e proseguire in una squadra belga, facendo tutto lassù dalla A alla Z. Oppure potevo scegliere la strada, che secondo me è quella che ti dà più da mangiare, a meno che non sei uno fra i primi dieci al mondo nel cross. Per cui penso sia stata la scelta migliore.

Il 2025 del giovane De Pretto comincerà il 15 gennaio con il secondo training camp del Team Jayco-AlUla. Da lì, passate le due settimane in cui gli allenamenti diventeranno importanti, il veneto punterà sulle prime corse proprio in Spagna. E così, dopo le vacanze in Kenya di novembre a suo dire troppo brevi fra safari e spiaggia, il primo training camp e il Natale alle spalle, con il nuovo anno si inizierà a fa salire i giri del motore. E a inseguire nuovamente la vittoria, che darà il senso di tanto tenere duro.