Il Tour della rinascita. Bernal vuole tornare… Bernal

26.06.2024
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Per certi versi passa inosservato e potrebbe questo essere anche un vantaggio. A Firenze, tra i partecipanti al Tour de France ci sarà anche Egan Bernal e già questo è un risultato eccezionale se si ricorda quanto gli è accaduto nel gennaio 2022. Parliamo di uno che il Tour l’ha vinto, nel 2019, di uno che sembrava destinato a collezionare grandi giri come caramelle, di uno che era accreditato, in quel maledetto mese, della fama di più grande avversario di Tadej Pogacar, quando ancora Vingegaard era solo un giovane di belle speranze.

C’è voluto tanto tempo per Bernal per tornare a essere Bernal. Forse oggi, per la prima volta, si può dire che il colombiano stia tornando se stesso, solo che sono passati oltre due anni che in questo ciclismo sono un secolo, un lasso di tempo nel quale moltissimo è cambiato e allora il colombiano resta un oggetto quasi sconosciuto, imponderabile.

Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato
Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato

Giovanni Ellena, diesse della Polti Kometa conosce bene Bernal, al quale è legato da una sincera amicizia e prima di parlare delle sue possibilità nella Grande Boucle ci tiene a sottolineare un aspetto che non deve mai essere dimenticato: «Il fatto che Egan sia qui è un miracolo. Quando ha avuto l’incidente era dato quasi per morto, la stessa ripresa come essere umano prima che come ciclista sembrava un miraggio. Invece oggi è qui e questa, a prescindere da come il Tour finirà, è una grande vittoria».

Tu gli sei stato vicino anche nei momenti immediatamente successivi al gravissimo incidente?

La sera stessa chiamai la madre che mi disse con molta schiettezza che c’era da far passare la notte per capire se all’indomani Egan ci sarebbe stato ancora. Eravamo a questo punto. A inizio stagione, tornando in aereo da O Gran Camino ci siamo ritrovati fianco a fianco e abbiamo parlato, ci siamo raccontati le nostre peripezie (anche Ellena è caduto durante un’escursione in montagna e ha rischiato di non camminare più, ndr). Entrambi abbiamo non so quante viti che tengono insieme il nostro corpo, ma per lui è diverso. Parliamo di uno sportivo, un ciclista, pensate che cosa significa gareggiare nelle sue condizioni…

Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Eppure sembra davvero che stia tornando lui, si è visto anche al Giro della Svizzera chiuso al quarto posto.

E’ a buon punto, io dico che è quasi come prima, solo che adesso ci sono fenomeni in giro e non solo loro a ben guardare. La concorrenza è spaventosa. Ma lui è tornato a un livello importante, in Svizzera l’ho visto andare davvero forte, ha trovato anche una notevole costanza di rendimento, finendo ogni corsa a tappe sempre nelle prime posizioni.

L’impressione guardandolo è che siamo di fronte a un corridore che si sta ancora scoprendo e che per questo corre molto coperto, senza prendere iniziative com’era solito fare…

Non è che corra in maniera passiva, è che deve capire ancora dove può arrivare. Ora pensa di più prima di attaccare. Io credo che tutto quel che ha passato l’abbia fatto maturare, ma dal punto di vista psicologico e mentale deve ancora fare un piccolo scatto per tornare completamente quello di prima. Al Tour correrà insieme a due altri capitani, si spartiranno i compiti e questo sarà un aiuto, potrà capire durante la corsa che cosa potrà fare. E’ però consapevole che, in mezzo ai più forti, a quelli che lottano per i quartieri alti della classifica ci può stare.

Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Credi che potrà un giorno tornare a competere ad armi pari con Pogacar e Vingegaard?

E’ una domanda alla quale potrà rispondere solo il tempo. Noi (mi ci metto in mezzo come suo amico ed estimatore) possiamo solo sperarlo. Il fatto è che il ciclismo corre, oggi è già differente rispetto al gennaio 2022. Io però confido nella sua capacità di adattamento: al Tour ad esempio ci sarà una tappa dove si andrà oltre i 2.000 metri, io penso che quello sia il suo pane e se sarà in forma metterà alla frusta gli altri. Tenendo sempre presente che in giro troverà veri fenomeni.

Lui se ne rende conto, di questo cambiamento?

Sì, ma non è uno che si adatta. Voglio dire che non è tornato in bici, si è sacrificato settimane, mesi, anni per essere uno che porta le borracce. Ha grandi ambizioni, vuole emergere e se è lì sa di poterlo fare. Non è uno che si adagia sulla mediocrità. E’ un leader, esattamente come quando vinceva Giro e Tour quindi mi aspetto che sia lì davanti.

Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Pensi che essere stato scelto per la gara olimpica del 3 agosto, insieme a Daniel Martinez, gli abbia dato motivazione in più?

Non credo, non ne ha bisogno. E’ sempre onorato se può vestire la maglia della nazionale e anche su un percorso certamente non proprio adatto alle sue caratteristiche farà il massimo per essere degno di quella maglia della nazionale, ma non ha bisogno di incentivi particolari. Bernal li ha già dentro di sé, sono sicuro che freme per la partenza da Firenze, per cominciare la lunga lotta…

Isola 2000, con Matxin nei giorni di Pogacar in altura

19.06.2024
6 min
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Le foto su Instagram mostrano un Tadej Pogacar giocherellone e di ottimo umore (in apertura, foto di Alen Milavec). Il ritiro in quota di Isola 2000, il primo della stagione, si concluderà domenica e poi ci sarà giusto il tempo per andare a casa e preparare la valigia del Tour. Il UAE Team Emirates si ritroverà a Firenze da mercoledì e poi, esaurita la trafila delle operazioni preliminari, sapremo quali saranno gli avversari e si aprirà la caccia all’accoppiata Giro-Tour.

Matxin ha raggiunto i suoi ragazzi dopo il Giro Next Gen, dove il devo team ha centrato il secondo posto con Torres alle spalle di Widar. Ci siamo rivolti a lui per farci raccontare che aria tiri in quello spicchio di Alpi Marittime, che per anni furono italiane e solo nel 1947 con Trattato di Parigi passarono alla Francia. Partiamo da Roma e dalla maglia rosa: che cosa ha fatto Pogacar dopo la festa di quella domenica sera?

«Il primo giorno dopo la fine del Giro – ricorda lo spagnolo – Tadej è restato a Roma per diversi impegni con alcuni sponsor. Accordi che ai corridori non piacciono, ma che si devono fare. Martedì invece è tornato a Monaco con Urska e ci è rimasto per una settimana, finché il 4 giugno è andato a Isola 2000. Non so dire esattamente quanto abbia pedalato quella settimana, era libero. Però conosciamo le abitudini del corridore, per cui qualche giretto lo ha fatto di sicuro, ma parliamo di passeggiate, al massimo di un paio d’ore con sosta al bar per un cappuccio. Quello che posso dire è che non è uscito stanco dal Giro, di gambe e tantomeno di testa».

La squadra in posa con la scultura del capricorno di Isola 2000 (foto Alen Milavec)
La squadra in posa con la scultura del capricorno di Isola 2000 (foto Alen Milavec)
A Isola 2000 ha trovato i compagni?

Sì, quelli del gruppo Tour. Quelli che stavano correndo lo hanno raggiunto mano a mano che finivano le corse. Oggi per esempio (ieri per chi legge, ndr), è arrivato Adam Yates. Nils Politt non c’è perché va a fare i campionati nazionali, però ci sono anche Ayuso, Soler, Pavel Sivakov, Tim Wellens e Almeida. E quando siamo stati al completo, abbiamo fatto la riunione pre Tour.

Gli allenamenti a Isola 2000 sono stati subito a buon ritmo?

No, noi facciamo sempre attenzione con tutti i corridori a fare i primi tre, quattro giorni in modo tranquillo, perché possano adattarsi all’altura. Poi certo anche Tadej ha il suo programma e ha iniziato a seguirlo.

Siete riusciti a vedere anche qualche tappa del Tour?

Abbiamo visto le ultime quattro, partendo quasi sempre in bici dall’hotel. A volte abbiamo fatto tutta la tappa, altre volte solo i finali, ma abbiamo preferito evitare di andare avanti e indietro con le macchine. Abbiamo visto quella di Barcelonette e anche Isola 2000 dove finisce la 19ª tappa.

Ayuso si è ritirato dal Delfinato e appena è stato bene ha raggiunto Pogacar in altura (foto Alen Milavec)
Ayuso si è ritirato dal Delfinato e appena è stato bene ha raggiunto Pogacar in altura (foto Alen Milavec)
Che sensazioni ti dà Pogacar in questa fase?

Lo vedo motivato, lo vedo tranquillo, lo vedo contento. Non posso dire niente di negativo, perché non c’è niente di negativo. Ride, scherza, con i compagni formano un bel gruppo. Capiscono che lui è il numero uno al mondo. Anche se abbiamo una squadra di rockstar, ovviamente credono in Tadej come leader di questa squadra per il Tour.

Siete riusciti anche a fare prove sui materiali?

Abbiamo testato qualche novità sulle biciclette, soprattutto nel segno della leggerezza. Abbiamo fatto prove per la crono. Piccole cose, che però fanno la differenza. Le bici sono le stesse del Giro, ma abbiamo provato ad alleggerirle un po’. 

Tadej rimarrà in quota fino a domenica?

Sì, poi scenderà a Monaco e ci resterà per un paio di giorni. Da mercoledì saremo tutti a Firenze.

Matxin e Maguire sono due tra le figure di rilievo per Pogacar al UAE Team Emirates (foto Fizza)
Matxin e Maguire sono due tra le figure di rilievo per Pogacar al UAE Team Emirates (foto Fizza)
Avete incontrato qualche squadra in ritiro a Isola 2000?

Sì, abbiamo visto Remco e la sua squadra. Martedì ho seguito l’allenamento di cinque ore, facendo la Bonette, e abbiamo incontrato Egan Bernal, De Plus e gli altri ragazzi della Ineos arrivati dallo Svizzera.

E’ capitato spesso di fare allenamenti così sostanziosi?

Direi di sì, ma questa è più l’area degli allenatori, in cui abbiamo piena fiducia. Non riesco a seguirli, però abbiamo condiviso il programma di allenamento e a volte lavorano in modo differenziato, non sempre tutti insieme. Per cui ci sono stati giorni in cui qualcuno ha fatto i lavori specifici e altri intanto riposavano. Lavorano a doppiette o triplette, però nell’80 per cento delle uscite erano in gruppo.

In questa routine, sai se Tadej ha seguito in televisione le varie corse?

Sì, sì certo, ha seguito tutto. Ogni volta che finivano un allenamento, si ritrovavano a pranzo tutti insieme e dopo aver mangiato guardavano le tappe. Ha fatto il tifo per i compagni, erano tutti felicissimi. Come dico sempre, Tadej non è solo un campione: è un leader che si preoccupa per i compagni. E se qualche giorno un compagno può vincere o fare un risultato, lui è il primo che spinge perché ci riesca. E’ stato contento di vedere i compagni sempre davanti, è una cosa che ha dato morale a tutti.

Wellens sarà il super gregario del Tour assieme a Politt (foto Alen Milavec)
Wellens sarà il super gregario del Tour assieme a Politt (foto Alen Milavec)
E loro che vincevano e adesso devono fare i gregari?

Sanno perfettamente che Tadej Pogacar è il numero uno al mondo, basterebbe leggere le interviste di Almeida e Yates dopo le varie vittorie in Svizzera. Credo che sia una squadra molto unita. E soprattutto, nel momento in cui parlo con i corridori per farli venire qua, parlo subito chiaro. Ragazzi come Adam Yates, come Sivakov, come Wellens e Politt, sanno che avranno il loro spazio, ma quando c’è Tadej, si corre per lui. Sono le condizioni che poniamo prima ancora di firmare il contratto. Non sono io quello che li fa firmare, ma ho una sola parola e quella va sempre rispettata. Quando Almeida e Ayuso mi hanno chiesto di venire al Tour, gli ho detto che andava bene, ma che avremmo corso con l’idea di un leader unico e non sarà fatto niente di diverso rispetto a quello che avevamo deciso.

Proprio a proposito di programmi decisi da dicembre: si è valutato di inserire Majka nel gruppo Tour, dopo il bel Giro che ha fatto?

No, mai. Il programma è fatto, definito e chiaro. Si cambia solo se un corridore sta male, come è successo per Jay Vine che è caduto. Per il resto, credo che la forza della nostra squadra sia proprio questa. Vedremo alla fine se anche questa volta il nostro metodo darà buoni frutti.

Svizzera blindato: ora Yates e Almeida verso il Tour con Pogacar

16.06.2024
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Primo e secondo per quattro giorni di seguito al Tour de Suisse: il dominio del UAE Team Emirates anche in questo caso è stato schiacciante. Pensare che Adam Yates e Joao Almeida ora andranno al Tour da gregari di Pogacar fa capire con quanta determinazione la squadra emiratina abbia voglia di ribaltare i verdetti degli ultimi due anni. L’incidente di Vingegaard rischia di sballare le previsioni e gli equilibri, in ogni caso la consistenza del team è piuttosto impressionante.

L’ultima sfida ha visto i due compagni di squadra scaldarsi uno accanto all’altro sui rulli nella zona di partenza. Neppure uno sguardo in cagnesco, piuttosto l’intima convinzione di tirare fuori il meglio dalla giornata. E il meglio ha significato per Almeida vincere la crono, con una gestione aggressiva della prova. Per Yates una tattica conservativa, sapendo che a meno di un tracollo il margine sarebbe stato sufficiente per portare a casa la maglia gialla. Quando Almeida è sceso dai rulli per andare alla partenza, i due si sono stretti la mano e poi la sfida è cominciata. Erano le 16,19: dopo 33 minuti 23 secondi e 870 millesimi, il portoghese ha conquistato l’ultima prova. Staccato di 8 secondi, il britannico ha sollevato l’ultimo trofeo.

Ottime, a margine, le prove di Skjelmose, Riccitello, Pidcock e Lenny Martinez, ma contro quei due la partita era ingiocabile.

Almeida ha vinto la crono con un finale pazzesco, fra agilità e grande velocità
Almeida ha vinto la crono con un finale pazzesco, fra agilità e grande velocità

Il finale di Almeida

Come tutti gli altri, anche Almeida è partito con la bici da crono e poi è passato alla Colnago da salita. Un cambio necessario, visto che il finale verso Villard sur Ollons era da tappa di montagna. E mentre tanti si sono intestarditi su un rapporto troppo lungo, gli ultimi due chilometri di Almeida lo hanno visto spingere con la corona più piccola, facendo velocità con la cadenza. Curiosità nel trionfo, pur essendo un grande cronoman e avendo fatto ottime prove in precedenza, Almeida non aveva mai vinto una crono WorldTour.

«Sono davvero contento della vittoria – dice – penso che sia stata la mia prima vittoria a cronometro, escludendo i campionati nazionali, quindi è molto buono. Sapevo sin dalla partenza che sarebbe stato praticamente impossibile vincere la classifica generale contro Adam. E’ abbastanza forte ed è un combattente. Per cui sono super felice anche del secondo posto dietro di lui.

«Non sapremo mai come sarebbe andata se non avessi dovuto lavorare per lui. E’ stata una settimana fantastica, di un perfetto lavoro di squadra. Poteva essere un’occasione anche per me, ma ci siamo detti che saremmo stati corretti e alla fine è bello vincere avendo questa consapevolezza».

Yates ammette di non aver avuto le gambe per accelerare nel finale: il margine era buono
Yates ammette di non aver avuto le gambe per accelerare nel finale: il margine era buono

I fantasmi di Yates

Yates e la sua barba sono crollati sull’asfalto, ansimando forte. E proprio mentre era lì che cercava di riconnettersi con la vita, dalle spalle sua moglie ha portato il peloso cane bianco che si è messo ad annusarlo e fargli festa. A volte gli organizzatori ci lasciano interdetti: sono così severi nel tenere lontani i fotografi e poi fanno arrivare un cane (sia pure il suo) addosso al vincitore della classifica.

«E’ sicuramente una delle vittorie più importanti della mia carriera – dice Adam – non ero sicuro di riuscirci. Ovviamente, avevo i distacchi rispetto a Joao, partito davanti a me e sapevo che alla fine avrebbe accelerato. Io invece non riuscivo proprio a farlo. Ero già al limite, quindi ho provato a tenere il ritmo e per fortuna è bastato. Sono ancora senza fiato perché è stato molto impegnativo. Avevo in mente da molto tempo il 2019, quando persi la Tirreno-Adriatico per un solo secondo nell’ultima crono (vinse Roglic, ndr) dopo essere stato in testa per cinque tappe. E questo fantasma era nella mia testa da anni. Per cui finalmente è bello vincere una corsa con un’ultima crono come questa.

«In più a inizio anno ho avuto un brutto incidente e la cosa peggiore è che non capivo quanto tempo mi sarebbe servito per tornare. Per fortuna le cose sono state abbastanza rapide e ne sono grato. Vincere la corsa è già una grande cosa, dividere il podio con Joao è una sensazione davvero speciale».

Sul podio, oltre ai due del UAE Team Emirates, anche Mattias Skjelmose
Sul podio, oltre ai due del UAE Team Emirates, anche Mattias Skjelmose

Chissà se Pogacar ha seguito quest’ultima crono e si è fregato le mani immaginando quale tranquillità potranno dargli questi due angeli custodi al Tour de France. Ormai tutti i tasselli stanno andando al loro posto. Firenze sta per diventare la capitale mondiale del ciclismo. Prima con il weekend dei campionati italiani e poi con la Grand Depart. Noi siamo pronti, la sensazione è che lo siano anche loro!

Guido Bontempi: bici o moto, basta che abbiano due ruote

12.06.2024
7 min
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Guido Bontempi ha avuto una carriera di altissimo livello tra gli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, in cui ha vinto molto, anzi moltissimo. Sedici tappe al Giro d’Italia, sei al Tour, quattro alla Vuelta, due Gand-Wevelgem, una Parigi-Bruxelles e una E3 Harelbeke, oltre a due podi alla Milano-Sanremo.

Dopo una seconda parte di carriera come direttore sportivo terminata nel 2012, ha riunito le sue due passioni, la moto e il ciclismo. Ha lavorato prima come pilota regolatore e poi come motociclista al servizio dei fotografi in alcune delle più importanti corse del mondo. L’ultima delle quali è stata il Giro d’Italia appena concluso. Ci siamo fatti raccontare la sua esperienza.

Il Giro 2024 è stato per Bontempi, classe 1960, il primo con un fotografo sulla moto
Il Giro 2024 è stato per Bontempi, classe 1960, il primo con un fotografo sulla moto
Guido, com’è nata questa passione per il motociclismo?

Sempre stato appassionato di moto, fin da ragazzo. La prima l’ho avuta già a 16 anni, una bellissima Vespa primavera ET3, poi sono passato ad una Cagiva 350 e poi una Yamaha. Durante gli anni da direttore sportivo ho messo tutto un po’ in stand-by, ma appena andato in pensione, nel 2012, quella passione è ripartita.

E ha fatto il grande passo: da stare in gruppo in bici a starci in moto…

Sì, mio fratello era già nel giro, mi ha un po’ motivato e quindi mi sono detto: perchè no? Nei due anni successivi ho fatto il corso di motostaffetta tramite la Federazione, poi quello di scorta tecnica ufficiale con la Polizia Stradale, che mi hanno abilitato a partecipare a tutti i tipi di corse. Poi Vito Mulazzani, che all’epoca era il responsabile delle moto di tutte le corse Rcs, mi ha introdotto in Rcs dove ho iniziato a lavorare come pilota regolatore con Longo Borghini. Da lì le mie conoscenze mi hanno permesso un po’ alla volta di spostarmi anche con i fotografi e gli operatori della televisione, un mondo che mi hanno aperte tutto un altro ventaglio di possibilità.  Per esempio ora collaboro anche con le corse di Unipublic – del gruppo ASO – come la Vuelta, l’Itzulia e la Volta Catalunya, oltre che con l’agenzia Sprint Cycling di Roberto Bettini. Diciamo che poi, essendo in pensione, posso decidere liberamente come e dove spostarmi, il che mi dà grande libertà.

Adesso quindi può decidere lei a quali gare partecipare?

Diciamo di sì, poi naturalmente dipende anche molto dalle richieste che ho. Cerco di andare sempre alla Parigi-Nizza, al Delfinato e al Giro. Anche la Strade Bianche è molto bella, anche se l’ho fatta solo da regolatore perché coincide con la Parigi-Nizza e in genere, appunto, in quel periodo sono in Francia. Comunque sia le gare mi piacciono tutte, perchè mi permettono di stare in gruppo, vedere i corridori da vicino, le loro espressioni, le loro emozioni anche. Quello che si vede in televisione io ho la fortuna di vederlo dal vivo. L’anno scorso ho fatto circa 100 giorni di corsa, che non è poco, ora dopo il Giro ho un po’ di riposo, poi a metà agosto si riparte per la Vuelta.

Bontempi e Giovanni Lombardi alla Vuelta 2022: entrambi velocisti, entrambi ancora nell’ambiente
Bontempi e Giovanni Lombardi alla Vuelta 2022: entrambi velocisti, entrambi ancora nell’ambiente
Per uno che fa il suo mestiere è davvero così importante aver fatto il corridore?

Sì, assolutamente. E’ fondamentale perché occorre conoscere bene il modo in cui si muove il gruppo, le dinamiche che si creano. Saper capire quali sono i momenti di nervosismo ed è meglio stare distanti e quando invece c’è più tranquillità e ci si possono permettere certe manovre. Secondo me si vede eccome la differenza tra un pilota che è stato corridore e uno che invece non ha mai gareggiato in bici. Lo vedi non solo dal modo di guidare, ma anche dall’attenzione per i punti migliori in cui piazzarsi per scattare la foto giusta.

A proposito di scatti, com’è andata quest’esperienza al Giro d’Italia con Bettini?

Direi che è andato molto bene, un Giro fatto sempre in prima linea assieme a Luca (Bettini, ndr). Intanto non siamo mai stati richiamati dalla giuria, neanche una volta, che è già un’ottima cosa. Per il resto è stato un Giro tranquillo, abbiamo avuto solo due-tre giornate di brutto tempo. Il bello di stare in gruppo con un fotografo è che puoi stare in mezzo alla corsa fino all’ultimo, che vuol dire fino a circa a 1 km dall’arrivo nelle tappe in salita e fino a 5-6 km dalla fine in quelle in pianura. Dipende un po’ dalla tortuosità del percorso. Poi la Giuria ti fa spostare per questioni di sicurezza, ma fino a quel momento te la godi tutta.

E allora cosa ti è parso della gara?

Da una parte è vero che Pogacar l’ha uccisa già dall’inizio, dall’altra però ha dato spettacolo comunque attaccando a ripetizione. Ha fatto il campione, ecco. L’ho visto sempre tranquillo, sempre nella posizione giusta, poi aveva una squadra che l’ha scortato benissimo in ogni tappa. Per cui quando è così – squadra forte e grandi gambe – viene tutto molto più facile. Quello che è certo è che non mi è mai sembrato in affanno. Adesso aspettiamo di vederlo al Tour con gli altri avversari.

Le moto precedono e seguono il corridore (qui Pogacar sul Grappa). Secondo Bontempi i corridori non ne colgono l’utilità
Le moto precedono e seguono il corridore (qui Pogacar sul Grappa). Secondo Bontempi i corridori non ne colgono l’utilità
Come ha visto gli altri corridori da classifica?

Hanno fatto quello che potevano, che non era granché contro uno così. Thomas ha fatto il suo, ma è a fine carriera. Martinez ha pedalato abbastanza bene, ma non mi ricordo grandi azioni tranne quelle dello sloveno. Mi ha impressionato sul Grappa, la prima salita l’hanno fatta tranquilla, la seconda invece è stato un trionfo personale della Maglia Rosa. Una passerella spettacolare resa ancora più bella da tutta la gente che c’era.”

Molto pubblico?

Sul Grappa davvero tantissimo, una folla ovunque. Ma anche nelle altre tappe c’era moltissimo pubblico. Mi ricordo sul Mortirolo per esempio o anche su altre montagne, molto più che negli anni scorsi.  Stessa cosa per le città, nella tappa di Napoli o anche a Roma, dove i turisti hanno approfittato per vedere da vicino i corridori. Credo sia merito dell’effetto Pogacar che ha attirato moltissima attenzione, dando una bella mano di freschezza al Giro.

Ha notato differenze tra il modo di correre attuale e quello che c’era ai suoi tempi?

Credo che adesso ci sia molto meno affiatamento tra le moto e gli atleti. Ai miei tempi, per esempio, capitava abbastanza spesso che si dessero dieci mila lire ai motociclisti per andare a prendere un ghiacciolo, ora queste cose non capitano più. Forse perché c’è la tv e il gruppo è sempre in diretta in ogni momento, oppure perché c’è un agonismo spinto all’eccesso, non lo so, però certo è cambiato molto. I corridori devono capire che le moto sono al loro servizio, invece a volte il gruppo non le lascia passare e posso assicurare che quando i corridori decidono che non si passa, non si passa e basta. Ma le moto sono lì per la loro sicurezza, senza quel lavoro i pericoli non possono essere segnalati e questo è un guaio. A volte basterebbe che si spostassero per 100 metri e passarebbero 10 moto. E poi c’è anche un’altra cosa diversa rispetto al passato.

Bontempi nella scia di Ghebreigzabhier: i fotografi percorrono la tappa in parallelo con gli atleti
Bontempi nella scia di Ghebreigzabhier: i fotografi percorrono la tappa in parallelo con gli atleti
Sarebbe?

Ora con i freni a disco i corridori vanno fortissimo, specialmente in discesa e non è semplice avvicinarsi il giusto per permettere al fotografo di fare lo scatto giusto. Occorre avvicinarsi e poi scappare via subito per non intralciare, e comunque molti corridori si lamentano. Invece quando correvo io, mi era molto utile avere una moto davanti. In base alle frenate del pilota infatti, mi regolavo sul tipo di curva che stavo per affrontare. Se vedevo una frenata leggera, sapevo che potevo buttarmi più deciso. Se invece lo vedevo pinzare due o tre volte, capivo che c’era una svolta secca e rallentavo di più. Quando sei capace di leggere la guida della moto che hai davanti, puoi andare molto più forte. Adesso invece la maggior parte dei corridori non lo fa più, anche se secondo me li aiuterebbe molto. Adesso la moto più che altro dà solo fastidio.

Ultima domanda Guido. Ha mai avuto giornate difficili in questi anni da pilota in gruppo?

Diciamo che quando piove bisogna sempre stare molto attenti, certo. Mi ricordo di una Strade Bianche in cui pioveva a dirotto e la moto in discesa sullo sterrato andava un po’ dove voleva lei, ma alla fine bastava farla scorrere, riprenderla alla fine e non abbiamo avuto problemi. Perché la verità è che se ti piace la moto e ti piace il ciclismo, di veri momenti difficili ne trovi gran pochi.

Il Giro di Pogacar e dei piccoli tifosi: storia di un cappellino firmato

09.06.2024
3 min
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Lo ha detto Daniel Oss, parlando di Pogacar dopo il Giro d’Italia vissuto sulla moto di Eurosport. «Che cosa posso dire… è stato emozionante! Il mio parametro è sempre se piaci ai bambini, in quel caso hai fatto centro…».

Il Giro di Pogacar è stato anche il Giro dei bambini, che Tadej ha reso protagonisti con una serie di gesti strappa applauso. La borraccia presa dal massaggiatore e regalata a un ragazzino sul Grappa. Il cinque e poi il sorriso scambiati con un altro, che non lo dimenticherà mai (guardate la foto di apertura). Così come non lo dimenticherà un ragazzo di 13 anni, Simone Ponzani, che ha avuto la sorte di incontrare lo sloveno alla partenza dell’ultima tappa del Giro. Quello che ha fatto è stato provare a descrivere le sue emozioni e poi ce le ha inviate.

ROMA – Domenica del 26 maggio è stato il giorno più fortunato della mia vita. Alla partenza dell’ultima tappa del Giro d’Italia infatti, sono riuscito a vedere dal vivo Tadej Pogacar. E’ il corridore che tifo da quando seguo il ciclismo e sono riuscito anche a farmi regalare un cappellino autografato da lui. E’ stata un’esperienza unica, proprio non ci credevo.

Sono riuscito anche a fare molte foto, che sicuramente stamperò appena ne avrò l’occasione e le incornicerò insieme al cappellino. Penso che sono stato uno dei pochi ragazzi quel giorno ad aver vissuto questa esperienza e ad aver visto un campione del ciclismo e tutta la sua squadra da così vicino.

Simone era decisamente in ottima posizione: ecco la sua foto del team UAE Emirates
Simone era decisamente in ottima posizione: ecco la sua foto del team UAE Emirates

I calzini rosa

Io e mio padre quella mattina ci siamo svegliati presto per andare a vedere la partenza dell’ultima tappa del Giro, sperando di incontrare Pogacar all’uscita dal pullman della UAE Emirates. Era pieno di persone che aspettavano l’uscita di Tadej. Attraverso la porta del bus si vedevano appena i calzini, le scarpette e una parte dei pantaloncini tutti rosa e subito la folla lo chiamava per farlo scendere.

Ovviamente davanti a me c’erano molte persone, ma sono riuscito a infilarmi davanti a loro cosi che potessi vedere Pogacar. Però non mi sarei mai aspettato di vederlo da così vicino. Infatti io ero nella zona dei giornalisti, cioè davanti ai corridori.

Poi andando con mio padre verso la partenza siamo riusciti a farci due selfie. Uno con Joxean Fernàndez Matxin, lo sport manager del UAE Team Emirates, e uno con Matteo Trentin, corridore della squadra Tudor.

Il cappellino con l’autografo di Tadej Pogacar, prima del via di Roma
Il cappellino con l’autografo di Tadej Pogacar, prima del via di Roma

Calciatore e ciclista

Mi chiamo Simone Ponzani, un ragazzo di 13 anni che pratica calcio. Nonostante ciò, sono un appassionato di molti sport ma soprattutto di ciclismo. Possiedo una bici da corsa con cui sia in inverno che in estate (molto più spesso) faccio insieme a mio padre dei giri abbastanza lunghi per me, circa 50 chilometri.

Ovviamente da italiano tifo i corridori italiani, ma se gareggia Tadej Pogacar tifo solo e soltanto per lui. Tifo per lui da quando si è dimostrato uno dei giovani più forti, quindi intorno al 2020, l’anno in cui vinse il suo primo Tour de France. Ma già da quando esordì come professionista, cioè nel 2019, avevo capito che da lì a pochi anni sarebbe diventato un fenomeno, oppure come dicono i telecronisti un “exaterrestre”.

Pogacar oltre ad essere un ciclista molto giovane (25 anni) in cui si rispecchiano molti ragazzi, è anche una persona che ha “molto cuore”. Lo ha dimostrato nella sedicesima tappa del Giro di Italia 2024 (21 maggio) quando, dopo aver recuperato un altro corridore, è andato a vincere la tappa. E a quello stesso ciclista, ha regalato maglia e occhiali. Dal quel momento appena penso a lui mi viene voglia di andare in bici e mi sento molto fortunato a vivere l’apice della sua carriera.

Simone Ponzani

Vingegaard favorito al Tour? Matxin, spiegaci il tuo pensiero

09.06.2024
5 min
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Subito dopo il Giro d’Italia dominato da Tadej Pogacar con distacchi da tempi eroici, mentre da una parte c’era chi vagheggiava addirittura la caccia al “triplete” Giro-Tour-Vuelta, Joxean Matxin buttava acqua sul fuoco. Anzi, riproponeva un leit-motiv quasi inaspettato visto tutto quel che è successo in questa prima parte di stagione: «Il favorito del Tour? E’ sempre Jonas Vingegaard».

Vingegaard al Tour 2023 in giallo. C’è ancora incertezza sulla sua presenza al via a Firenze
Vingegaard al Tour 2023 in giallo. C’è ancora incertezza sulla sua presenza al via a Firenze

Sapendo quel che il danese ha passato (e sta ancora passando, anche se almeno è tornato in bici) dopo la rovinosa caduta nei Paesi Baschi, le parole del tecnico spagnolo hanno spiazzato un po’ tutti, tanto che ci si chiedeva se sapesse qualcosa di più rispetto allo strettissimo riserbo di tutto il team Visma-Lease a Bike intorno al campione uscente della Grande Boucle.

Parlando con Matxin il suo pensiero è diventato chiaro, ma non senza qualche specifica che rende il tutto forse ancor più sorprendente: «Jonas ha vinto gli ultimi due Tour, è chiaro che in condizioni normali sarebbe il favorito. So bene quel che ha subìto, io sono anche andato a trovarlo in ospedale nelle ore successive all’incidente, era un atto doveroso e sentito. Non dimentichiamo che anche Tadej l’anno scorso era caduto e si era presentato al Tour con tanti dubbi sulle sue condizioni e sapete bene le conseguenze che ci furono».

Yates, terzo lo scorso anno si è detto entusiasta di ripetere l’esperienza, sempre al servizio di Pogacar
Yates, terzo lo scorso anno si è detto entusiasta di ripetere l’esperienza, sempre al servizio di Pogacar
Eppure l’incidente di Tadej non era così serio…

Ugualmente considerare il danese come favorito è una forma di rispetto dovuto, se sarà al via non lo farà certamente per essere un comprimario e avrà un peso notevole sull’evoluzione della corsa.

C’è anche un altro fattore che non viene molto considerato: se proviamo a rovesciare la medaglia, Vingegaard arriverà al Tour più fresco di Pogacar.

E’ vero. In questo momento è davvero difficile fare congetture sulla corsa francese, bisognerà vedere come starà lui e come staranno i rivali. Alcuni li stiamo vedendo all’opera al Delfinato, non sappiamo se Vingegaard farà qualche gara prima, magari anche solo per saggiare la gamba e riabituarsi al clima agonistico. E’ troppo presto per dare giudizi. Noi da parte nostra dobbiamo concentrarci su noi stessi mettendo da parte quel che è successo, sia in negativo con l’andamento del Tour e le difficoltà dello scorso anno, sia in positivo con la vittoria al Giro. E’ come se si cancellasse la lavagna, ora bisogna riscriverci sopra.

Per Ayuso compiti da luogotenente in salita per lo sloveno. La classifica sarà un obiettivo futuro
Per Ayuso compiti da luogotenente in salita per lo sloveno. La classifica sarà un obiettivo futuro
Ha stupito molto l’annuncio della squadra Uae al servizio di Tadej. Tutti leader, tutti specialisti delle salite salvo Politt. Non è una scelta azzardata?

Su questo voglio essere chiaro. Ho fatto un giro d’orizzonte fra tutti i corridori del team, tutti mi hanno detto che volevano fare il Tour. Con loro, Yates, Ayuso, Almeida in particolare sono stato inflessibile: al Tour le gerarchie saranno chiarissime, si corre per Pogacar, chi vuole essere della partita deve saperlo e mettere da parte le proprie ambizioni. Tutti mi hanno detto di sì, di essere pronti, anzi desiderosi di farlo, a quel punto è chiaro che corridori del genere sono il meglio che un campione possa richiedere al suo fianco.

Ma non sono corridori abituati a correre per aiutare, per costruire una finalizzazione altrui…

Hanno tutti un enorme rispetto per Tadej e non dimentichiamo che si tratta di gente che, quando sa qual è il suo obiettivo, lo finalizza. Guardate Almeida: lo scorso anno era partito per fare il Giro puntando al podio, alla fine lo ha conquistato. Io sono convinto che è la gente giusta per aiutare Tadej in ogni frangente.

Nel roster della Uae per il Tour Politt sarà chiamato a un super lavoro in pianura
Nel roster della Uae per il Tour Politt sarà chiamato a un super lavoro in pianura
Pogacar farà corse prima della partenza da Firenze?

No, abbiamo stabilito un programma diverso di allenamento. Sin da Roma e dalla conquista della maglia rosa abbiamo pensato che era fondamentale ricaricare le pile facendo tutto quel che serve e gareggiare non è fra queste opzioni.

Sia Tadej, che lo staff della Uae, tu stesso siete stati molto chiari nel declinare come impossibile quest’anno puntare al triplete. Ma secondo te, parlando per ipotesi, uno come Pogacar potrebbe provarci?

In un’altra stagione, più semplice nel suo sviluppo e quindi senza l’Olimpiade e un mondiale che è un target per lo sloveno, io credo di sì. Ma bisogna saperlo per tempo, programmare tutta la stagione in funzione di questo obiettivo. Inoltre vorrei sottolineare un aspetto: pensare alle tre gare nello stesso anno significa prevederne 5 in due stagioni, ossia in uno spazio di tempo di meno di 18 mesi. Obiettivamente non ne vale la pena per un corridore giovane come Tadej che ha ancora tanto da dare.

Pogacar in rosa. La possibilità di vederlo anche alla Vuelta è scartata a priori
Pogacar in rosa. La possibilità di vederlo anche alla Vuelta è scartata a priori
Pogacar a Parigi lo vedremo solo nella prova in linea o visto com’è andato al Giro potrebbe anche provare la cronometro?

Questa non è una mia competenza, decide la federazione slovena ma non dimentichiamo che il campione uscente è sloveno, un certo Primoz Roglic, è giusto che la preferenza spetti a lui considerando anche come va normalmente a cronometro. In questo comunque noi non abbiamo voce in capitolo…

Slongo, i giovani e i Grandi Giri: non è solo un fatto di gambe

05.06.2024
6 min
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Ieri Tiberi ha lasciato il Criterium del Delfinato, confermando che nella scelta di mandarcelo ci fosse qualcosa di stonato. Ne avevamo parlato lunedì con Fabio Aru, affrontando il tema della partecipazione del laziale alla Vuelta dopo il quinto posto del Giro. E mentre Aru si era detto tutto sommato favorevole al Delfinato e meno alla corsa spagnola di agosto, qualche preparatore aveva visto proprio nell’impegno francese uno sforzo immotivato subito dopo il Giro: se non fisicamente, di certo psicologicamente. Pertanto, prima di sapere che Tiberi sarebbe tornato a casa, avevamo chiamato Paolo Slongo.

L’attuale allenatore di Elisa Longo Borghini alla Lidl-Trek era all’Astana negli stessi anni di Aru, ma dalla parte di Nibali che ha ottenuto i migliori risultati sotto la sua guida. La curiosità era andare a fondo nelle parole di Fabio, secondo cui aver partecipato a due grandi Giri per anno sin dalla seconda stagione da pro’ potrebbe averlo danneggiato (in apertura il sardo batte Froome alla Vuelta 2014, dopo il podio del Giro, ndr). Il confronto con Pogacar che invece farà l’accoppiata quest’anno, al sesto da professionista, fa in qualche modo riflettere.

«Magari sul fatto che Tiberi possa fare due Giri – spiega però Slongo – sono un po’ contro corrente. Tra Giro e Vuelta c’è tutto il tempo per recuperare e non essere troppo tirati, cosa che magari non c’è se fai Giro e Tour oppure Tour e Vuelta. Anche se Antonio è un atleta giovane, nei due anni scorsi ha già fatto una corsa a tappe per stagione, quindi il terzo anno può fare due Grandi Giri, avendo il tempo di recupero. Secondo me non è male. Piuttosto nel caso di Tiberi non approvo il fatto che stia correndo il Delfinato, proprio perché in prospettiva deve fare anche la Vuelta».

Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Perché?

Dopo il Giro l’avrei lasciato tranquillo e non gli avrei chiesto, anche se era in condizione, di affrontare un’ulteriore gara. Perché tante volte, anche se fisicamente stai bene, per la testa certe scelte possono fare la differenza. Ci vai contro voglia dopo un ottimo Giro, in cui per la prima volta hai fatto classifica e sei arrivato quinto. Vorresti rilassarti qualche giorno, invece sei costretto ad andare a correre. Quello secondo me è controproducente, però i due Giri nello stesso anno non li vedo male.

Secondo Slongo, perché per Pogacar si è aspettato il sesto anno da pro’?

Secondo me perché puntavano al Tour e nei primi due o tre anni che sei professionista basta farne uno solo: vale sempre la gradualità del carico di quello che fai. Essendo il Tour in mezzo alle altre due corse e quindi troppo vicino a Giro e Vuelta, hanno dato la precedenza agli interessi della squadra, che come tutte, mira alla vetrina del Tour. Quindi secondo me la scelta non è stata dovuta solo alla crescita, ma anche a questo aspetto del calendario e all’opportunità di andare al 100 per cento solo in un Grande Giro.

Però gli ultimi due Tour non li ha vinti e ugualmente non lo hanno mandato alla Vuelta. Avrebbe potuto…

Probabilmente ci può essere anche una questione di gestione. Pogacar già è un talento precoce e magari, facendo così, gli allunghi un po’ la vita sul piano psicologico. Nel senso che non lo stressi troppo facendo subito due Grandi Giri, con tutto quello che gli va dietro. Quindi i ritiri, le cose fatte in una certa maniera e poi fare classifica, che è usurante anche se l’atleta è predisposto. La scelta è quella di dire: «Non gli diamo troppo subito, in modo che gli allunghiamo la vita negli anni». Questo sì ha senso.

Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Perché secondo te Aru dice che aver fatto due Grandi Giri da subito non è stato un bene?

Forse per questo aspetto. Secondo me c’è da mettere sul piatto anche in che modo li fai. Magari ad Aru veniva chiesto di essere competitivo, come poi è stato, e questo era usurante. Probabilmente lui non era ancora pronto, forse perché gli pesava psicologicamente oltre che fisicamente, quindi avrebbe preferito una crescita più graduale e meno stressante. Ognuno è diverso e forse col senno di poi Fabio avrebbe preferito fare qualcosa di più graduale, come Pogacar nei primi sei anni di carriera.

Nibali l’avete gestito diversamente. Lui ha fatto il primo Giro nel 2007, al terzo anno da professionista.

Vincenzo ha avuto una buona gradualità. E soprattutto quello che cambiava rispetto ad oggi è che, se anche lo portavamo ai Grandi Giri, andava a imparare dai capitani. Ha avuto davanti Di Luca, Basso e Pellizotti. Lui scalpitava, però non andava in corsa con la pressione psicologica di dover fare classifica in prima persona. Questo cambia anche l’approccio rispetto al ciclismo che c’è adesso. Oggi i giovani – il Tiberi di turno, come prima Pogacar ed Evenepoel – non hanno in squadra qualcuno che faccia classifica al posto loro. Qualcuno dietro cui nascondersi, avendo una gradualità di 2-3 anni in cui possano imparare il mestiere e semmai provare a vincere una tappa o mettersi alla prova. Una volta era un ciclismo diverso, invece adesso questi giovani si trovano subito in prima linea. E anche se sono forti fisicamente, l’aspetto mentale secondo me ha un peso importante. E poi c’è un altro aspetto…

Quale?

Quello dei punteggi dell’UCI. Il 2025 è l’anno delle promozioni e retrocessioni e per le squadre i punti diventeranno nuovamente un’ossessione. Quando hai un buon budget che però non ti colloca fra le prime 4-5 squadre al mondo, hai meno corridori da far girare. Un po’ come la panchina delle squadre di calcio o di basket. Segafredo Bologna e Milano sono quelle che hanno più soldi e se mandano in campo un sostituto, sei certo che sia competitivo. Se invece quelli forti sono solo nel quintetto base e gli altri non sono all’altezza, contro gli squadroni hai un problema. Una volta per essere nel WorldTour bastavano il budget, l’etica e la professionalità: non c’era il sistema di promozioni e retrocessioni. Ora è tutto diverso. E i corridori vengono mandati in gara per fare i punti. E fra i vari punti, quelli delle classifiche generali valgono tanto.

Una bella differenza…

Una volta andavi a correre, imparavi dal capitano e intanto crescevi senza pressioni psicologiche, perché lavorare è diverso dal fare la corsa. Adesso, anche se non puoi vincere, devi andare a fare punti: anche un ottavo posto diventa importante. E a quel punto certe scelte vengono dettate dalla ragione di Stato. Per carità, la squadra paga ed è giusto che pretenda se la cosa è importante. Però queste dinamiche ti impediscono di guardare solo all’aspetto tecnico e anche come preparatore devi fare lo slalom fra le esigenze del team e quelle del corridore.

Il Delfinato per crescere, prosegue la rincorsa di Evenepoel

04.06.2024
5 min
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Evenepoel al Delfinato si muove accorto e cauto, come uno che effettivamente ha solo bisogno di ascoltare le risposte del corpo. La tappa di ieri con oltre 2.500 metri di dislivello lo ha visto sfilarsi dalle primissime posizioni quando si è trattato di impostare la volata, ma non certo perdere terreno. Dopo l’arrivo nella nebbia, il campione belga ha confidato di non essersela sentita di rischiare, per le tante cose ancora da fare in questa unica settimana di corsa prima del Tour. E a ben vedere la tappa di ieri si è conclusa con una volata di gruppo in salita, con la guerra per prendere posizioni a rendere tutto poco rassicurante. In più il gruppo belga che accompagna Remco in questa rincorsa è fresco reduce da un periodo in altura, con la prevedibile fatica nei primi giorni di gara.

«E’  stata una giornata piuttosto dura – ha commentato Evenepoel – molto veloce per il vento sempre a favore. Però non mi hanno staccato e questo è importante, sono arrivato con il gruppo senza problemi. In realtà non è stata una vera tappa di montagna, non ho ancora avuto grandi risposte. Per quelle bisognerà aspettare il fine settimana».

La rieducazione di Evenepoel si è svolta al LAB Antwerp. Sulla maglia il tempo con cui ha vinto il mondiale crono 2023 (immagine Instagram)
La rieducazione di Evenepoel si è svolta al LAB Antwerp. Sulla maglia il tempo con cui ha vinto il mondiale crono 2023 (immagine Instagram)

Parlano le cicatrici

A 24 anni sembra di avere davanti un veterano. E se è vero che in guerra è il numero delle cicatrici a fare la differenza, probabilmente i pochi anni di Remco hanno avuto un’intensità media superiore alla norma. Per cui questa volta è stata l’esperienza a scandire i tempi del suo ritorno: non come quando cadde al Lombardia e si intestardirono a ributtarlo in mischia al Giro d’Italia.

«Quella volta – ha raccontato al belga Het Nieuwsblad – forse ho avuto troppa fretta di ritornare. Ora invece non ho saltato alcun passaggio e penso sia stata la decisione giusta. Ho ricominciato a pedalare il 25 aprile ed è stato davvero il primo giorno in cui mi sono sentito pronto. Ho imparato la lezione. In definitiva, l’obiettivo principale della stagione è il Tour: mancano sette settimane e c’è ancora molta strada da fare. Per questo non abbiamo forzato i tempi e siamo sempre stati attenti a non spingere troppo. Forse non è stato l’approccio migliore per il Delfinato, ma spero che lo sia per il Tour.

«Una clavicola rotta e una frattura alla scapola non saranno le fratture più grandi – ha aggiunto – ma devo dire che l’incidente ha avuto un grande impatto sul mio corpo. La spalla, ma anche i muscoli intorno erano piuttosto danneggiati. Avevo bisogno di tempo per riprendermi dall’operazione e dall’anestesia. E nonostante ciò, a volte le ferite danno ancora fastidio. Sulla bici da cronometro continuo ad avere strane sensazioni dalla scapola, una pressione diversa sulla spalla. Non sto correndo rischi, altrimenti non sarei qui. Ma la condizione è una storia diversa».

Nel 2024 due sole crono: una vinta in Algarve e una ai Baschi (foto) chiusa al 4° posto
Nel 2024 due sole crono: una vinta in Algarve e una ai Baschi (foto) chiusa al 4° posto

I rulli e la crono

Proprio la crono di domani sarà un primo test in questa corsa che proporrà le montagne nel weekend conclusivo. Da Saint Germain Laval a Neulise ci sono 34,4 chilometri vallonati, con la tendenza a salire. Comunque una crono veloce in cui il miglior Remco scaverebbe il solco fra sé e gli avversari. Di fatto però, al lungo periodo senza corse si aggiunge che quest’anno il belga ha corso due sole crono: l’ultima ai Paesi Baschi, quattro giorni prima della caduta.

«Domani sarà una prova importante – spiega – per vedere se riesco a sopportare a lungo quella pressione sulla spalla. Sono curioso di sapere come reagirà quando tenderò i muscoli per guidare nel modo più aerodinamico possibile. E’ il passo successivo nella crescita verso il Tour. La sensibilità delle gambe e della spalla è più importante del risultato. Nell’ultimo mese non ho potuto allenarmi spesso su quella bici».

Anche per questo, dopo l’arrivo di ieri, Remco ha pedalata sui rulli usando la bicicletta bianca da cronometro con le strisce iridate. Se è vero che questo esercizio al Giro è servito a Pogacar e Tiberi per sentirsi a proprio agio sulla bici speciale, a maggior ragione il campione del mondo deve ritrovare il giusto feeling dopo il lungo periodo di stop.

Assieme a Landa, Van Wilder e Moscon, Evenepoel rientra alle corse dopo uno stage in altura
Assieme a Landa, Van Wilder e Moscon, Evenepoel rientra alle corse dopo uno stage in altura

Pogacar fa paura

E così la rincorsa continua, seguendo un filo di razionalità e senza forse scoprire le carte più di quanto sia davvero necessario. Non deve essere facile stare buono al proprio posto, ma come si diceva il nuovo Remco è uscito dalla fase “bulletto” ed è entrato nella più interessante dimensione del campione. La consapevolezza di avere davanti il Pogacar stellare del Giro suggerisce cautela.

«Sarà soddisfatto di questa corsa – dice – se esco meglio di come sono entrato. Ho sofferto molto durante il ritiro in altura, non ho trovato un buon livello, ma devo essere paziente. Spero di migliorare, ma non inseguirò la vittoria come ho fatto alla Parigi-Nizza. Se fosse stato necessario allungare il blocco degli allenamenti sarei andato al Giro di Svizzera. Il fatto che sia qui vuol dire che la preparazione sta andando bene. D’altra parte quelli che vanno troppo forte a giugno, al Tour fanno fatica. Anche perché le ultime cinque tappe saranno durissime e decisive. Pogacar potrebbe dominare dal primo all’ultimo giorno come al Giro, ma non serve guardare gli altri. Adesso è importante lavorare e crescere. Se dovessimo uscire dal Delfinato con la scoperta di dover ancora lavorare molto, sarebbe troppo tardi. Ma se riesco a capire che siamo sulla strada giusta, allora questo sarà un buon segnale».