Look Keo Vision, il pedale di alta gamma che pensa alla sicurezza

Look Keo Vision, il pedale di alta gamma che pensa alla sicurezza

28.10.2025
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Nell’ottica di aumentare la sicurezza del ciclista, Look Cycle lancia un versione dei suoi pedali più rappresentativi, della famiglia Keo. Si chiama Keo Vision, adotta un led integrato e permette al ciclista di essere ben visibile fino ad un chilometri di distanza.

La luce dei nuovi Keo Vision è applicata posteriormente e non porta alcuna variazione alle caratteristiche tecniche di base del pedale che già conosciamo. Entriamo nel dettaglio.

Look Keo Vision, il pedale di alta gamma che pensa alla sicurezza
Ben visibili anche di giorno, dettaglio da non trascurare
Look Keo Vision, il pedale di alta gamma che pensa alla sicurezza
Ben visibili anche di giorno, dettaglio da non trascurare

La sicurezza non è un’opinione

Rendersi visibile, il primo deterrente che il ciclista dovrebbe considerare, non solo di tergo e frontalmente, ma anche ai lati. Le luci posizionate sul mezzo meccanico sono uno strumento eccellente e capace di incrementare il fattore sicurezza. Eppure le luci montate sul telaio, sul reggisella e/o sul manubrio mostrano anche dei limiti di orientamento e visibilità laterale. Anche da qui nasce la volontà di sviluppare un sistema di luci che segue il movimento della pedalata, visibile dietro e ai lati, ma anche in grado di fornire un’idea precisa di cosa rappresenta la stessa luce rossa che si muove ed è notata alla distanza.

La sicurezza non deve passare in secondo piano, ma è necessario rendersi visibili sempre, attirare l’attenzione e coprire un range di spazio il più ampio possibile.

Concetto Bio Motion

E’ un concetto tanto semplice, quanto utile. Le luci, applicate sui pedali, seguono il movimento della pedalata e creano una sorta di flusso continuo di luce, ben visibile ai lati, dietro, per un range complessivo di 180° e fino ad un chilometro di distanza.

A prescindere dalla modalità di attivazione del led integrato nei pedali, il flusso di luce si “muove” con il gesto, cambiando automaticamente intensità e creando al tempo stesso un caleidoscopio.

Look Keo Vision, il pedale di alta gamma che pensa alla sicurezza
Modello Blade vs Blade Vision, poco cambia
Look Keo Vision, il pedale di alta gamma che pensa alla sicurezza
Modello Blade vs Blade Vision, poco cambia

Tecnicamente di cosa si tratta

Il progetto Look Keo Vision abbraccia due famiglie di pedali Keo, ovvero l’ultima versione dei Blade (modello Ceramic) ed i Keo 2 Max. Le due versioni, rispetto a quelle standard, adottano una clip posteriore leggermente modificata, disegnata per far alloggiare in modo sicuro le due luci (destra e sinistra). Le stesse luci si possono rimuovere a piacere, utilizzano una batteria integrata e ricaricabile tramite porta USB-C, hanno un’autonomia dichiarata di oltre 40 ore (tantissimo). Inoltre sono dotate di modalità start&stop, vanno in pausa quando si è fermi, si riattivano quando la pedalata riprende, a prescindere dalla modalità impostata. Hanno un peso dichiarato di 20 grammi per singola luce e sono waterproof IPX7.

Ogni singolo led ha un potere massimo di 60 lumen (nella modalità day flash), non poco se consideriamo le dimensioni integrate e poco ingombranti del prodotto. Le modalità utilizzabili sono quattro: day e night flash, rispettivamente con picchi di 60 e 10 lumen, pulse e steady, rispettivamente a 3 e 2 lumen. Nella modalità notte ogni singola luce può arrivare ad un’autonomia di circa 40 ore senza ricarica.

Prezzi di listino ed upgrade possibile

Look Keo Blade Ceramic Vision ha un prezzo di listino di 250 euro, mentre ci vogliono 125 euro di listino per il modello Keo 2 Max Vision. Entrambi sono coperti da garanzia triennale. E’ disponibile anche il kit Vision upgrade, separato dai pedali. Ha un prezzo di listino di 60 euro e comprende le due luci ed i cavi per la ricarica, le due clip posteriori di supporto ai led, i perni di supporto per la clip e le nuove viti.

Con l’intento di offrire un prodotto rivolto alla sicurezza, estremamente integrato, moderno e compatibile, il kit Vision può essere montato anche sui pedali Blade Power che portano in dote il misuratore di potenza.

Look Cycle

Una piccola voce, ma parole sacrosante sulla sicurezza

04.08.2025
5 min
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Questa non è un’intervista a Pogacar e tantomeno a Jonathan Milan, Ganna o Ciccone. Si parla di sicurezza, che dopo i fatti di Terlizzi non è mai abbastanza, e Lucio Dognini, che ne è il protagonista, starebbe volentieri dietro le quinte, preferendo che ad esporsi siano nomi più importanti di lui. In linea di principio potrebbe avere ragione, ma non sono stati i grandi nomi che dopo la morte di Samuele Privitera e il nostro editoriale del 21 luglio hanno scritto una mail: lo ha fatto lui. E dalla mail abbiamo preso spunto per ricontattarlo (in apertura, Monica e Luigi, in camicia bianca e polo nera: i genitori di Privitera alla ripartenza del Giro della Valle d’Aosta).

Dognini, bergamasco di 60 anni, è il titolare di Travel&Service, l’azienda che per anni è stata secondo nome sulla maglia della Valcar fra le donne, nel ciclocross con la Fas Airport Services-Guerciotti-Premac e sponsor minore della Biesse-Carrera-Premac. E’ presidente del team juniores Travel & Service Cycling Team-3B Academy ed è fra gli organizzatori della Due Giorni di Brescia e Bergamo, ugualmente per juniores. Nella sua mail si dice totalmente d’accordo con ogni articolo che parli di sicurezza e del fatto che le strade siano piene di trappole per ciclisti e che le auto siano troppo grandi e veloci.

«Ma personalmente – scrive Dognini – penso sia anche un modo per non prenderci le nostre responsabilità. Sì, non prenderci le nostre responsabilità: noi che siamo gli attori principali di questo sport!!». 

Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Partiamo da qui: che cosa può fare il ciclismo?

Le squadre pagano ingaggi di milioni di euro, però non pensano che se uno di questi corridori si fa male, buttano via i soldi. Questo è il mio pensiero. Esattamente come il concetto del prevenire gli incidenti da parte di questi professionisti mega pagati quando sono in giro a fare l’allenamento. Quanti post avete visto, di squadre o di professionisti, che vanno in giro con le luci accese? Piuttosto vedi quello che mangia la pizza o si fa il selfie e per me è una cosa sbagliatissima.

Che cosa potrebbero fare invece?

Se facessero dei post in cui fanno vedere che vanno a fare gli allenamenti con le luci accese anche di giorno, con i lampeggianti davanti, darebbero l’idea che l’uso di certi strumenti li può aiutare a tornare a casa sani e salvi. Avremmo meno tragedie come quella di Sara Piffer e come lei Matteo Lorenzi. Meno ragazzi morti, meno ciclisti morti sulle strade. Invece fanno le loro esibizioni divertenti e non pensano che i ragazzi giovani li guardano. E le squadre non dicono niente. Glielo fanno mettere nel contratto che sono obbligati a rispettare il codice della strada?

I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
Cosa succede nelle categorie minori?

Pensiamo solo a farli correre, a farli andare sempre più veloci, ma non facciamo niente per la loro sicurezza. Durante le gare, dove mi dicono ci sia una commissione federale al lavoro, ma soprattutto durante gli allenamenti. I miei hanno 16-18 anni, si allenano 20 ore a settimana sulle strade di oggi, essere visibili è una necessità. Eppure se vai in bici, ti accorgi che neanche il 10 per cento dei ciclisti usa la luce davanti.

Come quando non si usava il casco…

Poi i professionisti sono stati costretti a usarlo e adesso ce l’hanno tutti, anche se la normativa italiana non lo impone. Se i professionisti lavorano per loro sicurezza, automaticamente diventerà una buona pratica e magari l’amatore spenderà il necessario per comprarsi il completino in cui magari hanno inserito un airbag superleggero.

Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Difficili da portare in una salita alpina del Tour se non trovano il modo di renderli leggeri, ma il discorso non fa una grinza. Anche perché le strade sono davvero fatte solo a misura di auto.

Vorrei portare un punto di vista diverso. Sicuramente ci sono anche troppi dossi, creati per rallentare gli automobilisti che vanno sempre più veloci. Questo è palese. Siamo certi però che Privitera, come il ragazzo che è morto alla Gran Fondo qua a Bergamo un mese e mezzo fa, non avesse le mani sopra che gli sono scivolate? Io li vedo i ragazzini. Hanno sempre le mani sulle leve dei freni, che sono di gomma e diventano scivolose. Alcuni nemmeno usano i guanti. Chi glielo ha insegnato?

Anche qui si va per emulazione?

Di sicuro nelle scuole di ciclismo non tutti insegnano ai ragazzi che in discesa si deve andare con le mani basse. Non tutti insegnano questo piccolo dettaglio tecnico, grazie al quale difficilmente perdi la presa del manubrio. Sono punti di vista, ma dico che il sistema deve fare qualcosa. La Federazione, l’associazione dei ciclisti, voi giornalisti come punto di incontro.

Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Sarà interessante sentire su questo qualche professionista.

Prendiamo la caduta di Pogacar alla Strade Bianche. Poteva tranquillamente lasciarci l’osso del collo, finire su una sedia a rotelle. Invece come ne è uscito? Un super eroe, è uscito come un super eroe. Sapete che cosa è successo qualche settimana dopo? C’è stata la Strade Bianche Juniores e mio figlio, che corre in un’altra squadra, nell’allenamento del giorno prima è andato con i compagni a vedere quella curva. Perché quando sei in bici ti sembra di poter fare tutto e che nulla possa succederti, mentre non è così. Io questi ragionamenti li ho fatti con Davide Martinelli il sabato dopo la morte di Samuele.

Di cosa avete parlato?

Mi ha chiamato lui, perché io ho mandato un messaggio al gruppo dei miei atleti. Gli avevo scritto di non aver paura di tirare il freno in gara. E Davide Martinelli, che è un ragazzo sensibile, mi ha chiamato per condividere con me il pensiero. Sono questi i personaggi che dovrebbero parlare di certi argomenti, non io. La mia è una piccola voce che non fa rumore, ma se serve per avviare il dibattito, allora sono a disposizione.

EDITORIALE / Privitera e le strade che ammazzano i ciclisti

21.07.2025
4 min
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Non conoscevo Samuele Privitera e non so se renderne grazie. Mi sarebbe piaciuto avere qualche esperienza condivisa con quel ragazzo entusiasta e solare, per contro tuttavia avrei attraversato i giorni della sua caduta e della morte rivivendo storie di ieri di cui porto ancora le cicatrici. Sono stati giorni pesanti, in cui ho toccato con mano lo sgomento di chi era sul posto e si trovava per la prima volta a contatto con la morte. Non ci si fa il callo, ma si impara il modo per tenerla a distanza, mettendo in atto dei meccanismi di autodifesa, che non sempre funzionano, ma di certo alleviano i colpi.

Il Giro della Valle d’Aosta è stato colpito da un’ondata di tristezza
Il Giro della Valle d’Aosta è stato colpito da un’ondata di tristezza

La famiglia del ciclismo

Ricordo come fosse ieri la caduta di Diego Pellegrini, al mio primo Giro della Valle d’Aosta, perché con lui avevo scherzato al via della tappa. Quella di Fabio Casartelli, che giusto prima di avviarsi aveva mostrato la foto del figlio Marco. Ricordo Wouter Weylandt, che non conoscevo tanto bene, ma era lì qualche ora prima e di colpo se ne era andato. La differenza a ben vedere la fa il fatto di conoscerli e aver condiviso il sogno, la rincorsa, il successo e anche il fallimento. Si fa parte della stessa famiglia e nelle famiglie succede anche questo.

Le statistiche della mortalità sulle strade dicono che ogni anno muoiono molti più ciclisti e anche più giovani di Samuele Privitera (in apertura foto @jcz__photos). Ma finché restano confinati nel conteggio e non hanno un nome, una storia e un sogno che ti coinvolgano, riesci a farli scivolare in modo più indolore. Se però nella statistica rimangono coinvolti (fra i tanti) Simone Tomi, Silvia Piccini, Tommaso Cavorso, Giovanni Iannelli, Davide Rebellin, Sara Piffer e mia zia Sandra che viveva a Bologna, allora capisci che è tutto vero.

Nei giorni della morte di Samuele abbiamo sentito parole dettate dallo sgomento, ma anche dalla brutta abitudine di drammatizzare i toni, quasi sentendosi in colpa per essere ancora qui, mentre lui non c’è più. Abbiamo sentito dire che il ciclismo è uno sport pericolosissimo, ma sarà vero?

Il Giro della Valle d’Aosta aveva anche altre ferite: questo il ricordo di Diego Pellgrini
Il Giro della Valle d’Aosta aveva anche altre ferite: questo il ricordo di Diego Pellgrini

A misura di SUV

Sono le strade a esserlo, italiane e non. Viviamo in un mondo a misura di automobile: veicoli sempre più grandi, veloci, violenti e insonorizzati. Un SUV di oggi ha lo stesso ingombro dei furgoni di un tempo, ma le carreggiate sono strette come 50 anni fa. Per farli rallentare non bastano i segnali di pericolo oppure ricordare che potrebbero esserci dei bambini che giocano: cosa gliene frega a un automobilista che ha fretta se travolge qualcuno? La donna che uccise Silvia Piccini proseguì e si presentò al lavoro.

Allora servono i dossi. Oppure si delimitano le corsie con vasi di calcestruzzo, rialzi e cordoli molto alti. Si è creata una geografia di ostacoli, che gentilmente vengono definiti arredi urbani e che dal mio punto di vista sono barriere architettoniche per chi vive la strada su due ruote, con o senza motore. Samuele è morto perché non si è accorto di un dosso del quale si sarebbe potuto fare a meno se la civiltà stradale fosse degna di questa definizione. Mattias Skjelmose è stato costretto a ritirarsi dal Tour perché si è trovato davanti, non segnalato, uno spartitraffico che lo ha fatto volare. Non serve a niente imporre cerchi più bassi e manubri più larghi se le strade sono queste.

Il dosso poco visibile che potrebbe aver provocato la caduta di Privitera
Il dosso poco visibile che potrebbe aver provocato la caduta di Privitera

Campi di battaglia

Il pavone Salvini, che si occupa di sicurezza stradale e infrastrutture e vuole legare a tutti i costi il suo nome a quel dannato ponte, dovrebbe essere più fiero di aver educato gli italiani a vivere civilmente sulle strade. Samuele Privitera è morto su un dosso che rappresenta il fallimento di questo tipo di educazione. Diverso il caso di Iannelli, ad esempio, probabilmente ucciso dall’assenza delle necessarie precauzioni in un rettilineo di arrivo. Diverso forse il caso di Diego Pellegrini, che in piena discesa trovò in traiettoria l’ammiraglia di un direttore sportivo che cercava di soccorrere il proprio corridore caduto. Non si venga a dire che il ciclismo è uno sport pericolosissimo, oppure si contestualizzi la frase.

Il ciclismo è uno sport pericolosissimo perché si svolge su strade come campi di battaglia. Siamo vittime del bullismo delle auto e delle trappole di chi cerca di arginarle. Se nelle vecchie zone di guerra i bambini continuano a morire ed essere mutilati per l’esplosione delle mine antiuomo, la colpa è loro che le hanno calpestate oppure di chi quelle mine le ha sepolte?

EDITORIALE / Il silenzio dei media non diventi rassegnazione

03.02.2025
3 min
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A cosa serve rimestare nel dolore? Certamente accresce il senso di fragilità, fa rivivere il dramma, ma in che modo incide sul fatto che oggi un uomo o una donna si metterà al volante e, leggendo messaggi nel suo smartphone, rischierà di uccidere qualcuno? 

Matteo Trentin ha detto una verità spietata: ci sono morti di serie A e morti di serie B. I morti del ciclismo, per qualche inspiegabile ragione, non scuotono le coscienze. Forse davvero se un dramma del genere toccasse le case della politica, allora si capirebbe la necessità di intervenire. Non accade nulla quando viene ucciso un campione come Scarponi, quando tocca a Rebellin e neppure quando muore una ragazzina di 19 anni. Importa ai loro cari, importa a noi che in qualche modo ne condividiamo la passione e gli ideali, ma per il resto il mondo là fuori sembra anestetizzato.

Il 27 gennaio, Palù di Giovo ha dato l’ultimo saluto a Sara Piffer, uccisa da un automobilista a 19 anni (TGR Trento)
Il 27 gennaio, Palù di Giovo ha dato l’ultimo saluto a Sara Piffer, uccisa da un automobilista a 19 anni (TGR Trento)

L’informazione assente

E’ anestetizzato o imbavagliato anche il mondo dell’informazione (in apertura, immagine depositphotos.com). Si cerca il pezzo scritto bene, che magari faccia piangere. Ma se guardiamo, sono parole e reazioni che restano fra noi, come di commiato al funerale. Si ha la sensazione di quando c’è un formicaio e te ne infischi di cosa accade là sotto quando gli versi sopra il veleno o un secchio d’acqua. Solo che questa volta le formiche siamo noi e stiamo facendo il loro gioco.

Ci sono media di serie A e media di serie B, siamo consapevoli anche di questo. Non per dignità o capacità giornalistiche, quelle siamo pronti a rivendicarle, ma per la potenza di fuoco. Di fronte al dramma, i loro giornalisti si sfogano sui social personali, ma per il resto sono inchiodati a ordini diversi. Possiamo metterci tutto l’ardore che vogliamo, ma giochiamo in una lega minore rispetto ai colossi che hanno alle spalle grandi aziende e interessi superiori a quelli di cui stiamo parlando. Interessi che forse impongono il silenzio: altrimenti perché anche loro non sono qui a pretendere una svolta? Evidentemente ai loro capi bastano Sinner, Hamilton e il calcio per essere felici.

Nessuna protesta, va tutto bene. Perché il ciclismo non si ribella al silenzio della politica davanti al dramma reiterato? (depositphotos.com)
Nessuna protesta, va tutto bene. Perché il ciclismo non si ribella al silenzio della politica davanti al dramma reiterato? (depositphotos.com)

Ma anche le formiche a volte…

Qualche giorno fa abbiamo proposto di mettere in strada una manifestazione che invada pacificamente Roma e rivendichi i diritti degli utenti deboli della strada: deboli, non insignificanti. Abbiamo ricevuto reazioni e adesioni da parte di atleti professionisti e anche da associazioni di primissima grandezza. Non è detto che non sarà una strada da percorrere e ci piacerebbe condividerne l’ideazione anche con altri che abbiano a cuore come noi il problema.

Avevamo in animo di aprire la settimana parlando dei giganti. Di Van der Poel e di Pogacar, in uno sport che vive fasi esaltanti per la presenza di campioni immensi. Avevamo già cominciato a scrivere, eppure qualcosa ci ha impedito di farlo. Con quale cuore si può sperare che un bambino o una bambina segua le loro impronte, se proporglielo significa implicitamente far rischiare loro la vita? Lo capite perché c’è bisogno di una rivoluzione pacifica ma niente affatto morbida? Bisogna bonificare l’Italia. Forse è il tempo di lasciare da parte gli strumenti della cicala e diventare un po’ più spesso concreti come le formiche. Ricordando, come dice il libro, che a volte anche le formiche nel loro piccolo…

EDITORIALE / La morte di Sara merita una risposta decisa

27.01.2025
4 min
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Il padre di Sara Piffer ha raccontato al Corriere del Trentino di aver ascoltato la preghiera di suo figlio, coinvolto nello stesso incidente, e di aver perdonato l’uomo che, guidando un’auto, aveva da poco ucciso sua figlia (immagine Instagram in apertura). Forse è il solo modo per assorbire un colpo del genere e forse è possibile solo con una straordinaria fede in Dio. L’uomo ha definito la ragazza un dono e ha ringraziato Dio per avergliela mandata.

E’ già difficile accettare la morte di un figlio per un male oscuro che se lo porta via, ma se di mezzo c’è la mano dell’uomo, allora è diverso. Non so se io ci riuscirei. Forse è possibile solo se nasci e cresci in un posto come Palù di Giovo, che guarda il cielo negli occhi e la valle là in basso sembra infinitamente lontana.

Il funerale di Sara Piffer sarà celebrato oggi alle 15 a Palù di Giovo (immagine Instagram)
Il funerale di Sara Piffer sarà celebrato oggi alle 15 a Palù di Giovo (immagine Instagram)

La fretta e il bullismo

«Papà, noi stiamo sempre attenti – diceva a suo padre – sono gli altri che non stanno attenti a noi». E così è stato. Sara è morta proprio laggiù, dove le persone hanno fretta e dove il Trentino con gli anni è diventato rumoroso e distratto come altre parti d’Italia, in cui le biciclette sono l’anello più piccolo della catena alimentare.

La fretta. Aveva fretta la donna che ha ucciso Silvia Piccini, come pure l’uomo che ha ucciso Michele Scarponi. Aveva fretta il camionista che ha ucciso Davide Rebellin. Dicono sempre che avevano fretta, come chiunque non abbia ben chiaro che i limiti di velocità esistono unicamente per motivi di sicurezza. Ciò che sta diventando insopportabile è l’indulgenza verso i carnefici, che alla lunga si fa sempre largo nell’animo della gente buona del ciclismo.

La bontà sta diventando un limite, perché la gente dimentica. Il bullismo sulle strade, alla pari di quello nelle scuole, ha radici nella morbidezza con cui viene affrontato. Nella debolezza davanti alle frasi deliranti di Vittorio Feltri. Nel tollerare un certo modo di esprimersi sui social che legittimano l’aggressione al ciclista. In questo Giorno della Memoria, paragonare i ciclisti sulle strade a quello che accadeva in quegli anni maledetti appare meno fuori luogo di quel che si potrebbe pensare.

Nel 2023 Sara Piffer aveva partacipato la mondiale juniores di Glasgow, chiudendo al 18° posto
Nel 2023 Sara Piffer aveva partacipato la mondiale juniores di Glasgow, chiudendo al 18° posto

Per colpa di tutti

La fretta è il male di questo secolo popolato di tecnologie che rendono tutto possibile. Avete mai avuto, guidando, l’impulso di riempire il tempo comunicando con qualcuno, cercando un’informazione sul web, mandando un messaggio? Avete mai provato a fare un esercizio di autodisciplina, riservandovi di farlo quando vi sarete fermati? Avete provato la sensazione di frustrazione di quando il telefono non ha campo e vi sentite fuori dal mondo o impossibilitati a ottimizzare il tempo, organizzando il lavoro nel tempo della guida?

Sara e tutti gli altri sono morti per colpa nostra, incapaci di dare un valore alla loro vita. Per colpa di chi usa il telefono durante la guida. Per colpa di chi beve e sa di dover guidare. E per colpa di chi pensa che a lui andrà sempre bene e si ritrova un giorno davanti a una ragazza morta a procurarsi le scuse che a lei non ha concesso. Sara è morta per sempre, mentre lui tornerà presto alla sua vita. Con un peso sul cuore, diamolo per scontato, come quello di Giuda che seppe scegliere per sé l’uscita di scena che meritava.

Prima di Sara, anche Silvia Piccini fu uccisa da una donna che aveva fretta di andare al lavoro e neppure si fermò
Prima di Sara, anche Silvia Piccini fu uccisa da una donna che aveva fretta di andare al lavoro e neppure si fermò

Lo sciopero delle bici

Oggi alle 15 in quel paesino che ha dato i natali ai fratelli Moser e a Gilberto Simoni si celebreranno i funerali di Sara Piffer, 19 anni, uccisa sulla strada da un uomo al volante della sua auto. Finché qualsiasi veicolo non sarà considerato alla stregua di un’arma del delitto – di una pistola o di un coltello – la giustizia avrà una falla.

Gli scioperi dei ferrovieri hanno messo in ginocchio l’Italia da qualche mese a questa parte. Se c’è un invito che ci sentiamo di fare alla Federazione Ciclistica Italiana, all’ACSI, alla FIAB e a tutte le sigle che raccolgono sotto le loro insegne milioni di ciclisti è quello di proclamare per un giorno lo sciopero nazionale delle biciclette. Andiamo tutti a Roma e blocchiamo il centro e i palazzi del Governo. Questo non è un invito alla sedizione, è un grido disperato. Almeno quello, forse, riusciranno a sentirlo.

Da Canyon un aiuto concreto contro gli incidenti

08.08.2023
3 min
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Non passa giorno in cui non veniamo informati di incidenti che vedono coinvolti dei ciclisti, spesso con esiti purtroppo mortali. Da tutte le parti si cercano soluzioni, vengono fatte proposte di legge. Tutto ciò sembra però non essere sufficiente. Canyon di recente ha deciso di dare il suo contributo concreto a salvaguardia della salute dei ciclisti grazie alla definizione di una partnership con Autotalks, leader mondiale nelle soluzioni di comunicazione V2X (Vehicle-to-Everything). 

La tecnologia V2X integra le informazioni provenienti da altri sensori, in particolare in situazioni con carenza di visuale, condizioni meteorologiche avverse o di scarsa illuminazione. L’obiettivo finale è quello di migliorare notevolmente la sicurezza stradale complessiva.

Gli incidenti stradali si contano praticamente ogni giorno, Canyon insieme a Autotalks ha ideato una soluzione
Gli incidenti stradali si contano praticamente ogni giorno, Canyon insieme a Autotalks ha ideato una soluzione

Aumenta la sicurezza

Con questo nuovo accordo, Canyon ha deciso di integrare la tecnologia V2X in alcune delle sue e-bike premium, consentendo così ad altri veicoli dotati della stessa tecnologia di ricevere una notifica quando una bici Canyon si trova nelle vicinanze. In questo modo si vuole garantire ai ciclisti una maggiore sicurezza quando si trovano in mezzo al traffico.

La tecnologia V2X oggi è presente in un numero in costante crescita di veicoli a motore. Consente ad auto e camion di comunicare con altri veicoli dotati di tecnologia V2X e di essere avvisati in anticipo di situazioni potenzialmente pericolose. La soluzione V2X di Autotalks supporta sia gli standard europei (DSRC) che gli standard statunitensi e cinesi (LTE-V2X).

Il sistema sfrutta il segnale V2X e consente di essere avvisati in caso di situazioni pericolose
Il sistema sfrutta il segnale V2X e consente di essere avvisati in caso di situazioni pericolose

Obiettivo crescita

Attualmente sulle strade europee circola circa un milione di auto dotate di tecnologia V2X e circa 20.000 mezzi stradali attrezzati per l’infrastruttura. Nelle intenzioni dei responsabili di Autotalk questi numeri dovranno aumentare notevolmente nei prossimi anni. A confermarlo è Yuval Lachman, vicepresidente marketing e sviluppo aziendale di Autotalks.

«La sicurezza delle biciclette – ha dichiarato – illustra l’efficacia della tecnologia V2X nella prevenzione degli incidenti e costituisce una componente fondamentale del piano di implementazione globale di V2X. La leadership di Autotalks nello sviluppo della tecnologia V2X per prevenire gli incidenti in bicicletta invia un forte messaggio all’ecosistema sulla dedizione dell’azienda a proteggere coloro che sono più vulnerabili sulla strada».

In Canyon sono molto soddisfatti dell’accordo raggiunto con Autotalks, come conferma Lionel Guicherd-Callin, Global Director per le soluzioni Canyon Connected.

«In Canyon, vogliamo ispirare le persone di tutto il mondo a pedalare di più. Consideriamo la sicurezza sulla strada come un ostacolo per far sì che più persone vadano in bicicletta, quindi siamo entusiasti di collaborare con Autotalks per portare più biciclette abilitate V2X sulle nostre strade e consentire un comportamento di guida più responsabile dei veicoli a motore».

In Canyon si prevede di avere la disponibilità commerciale della tecnologia V2X sulle biciclette disponibili esclusivamente su canyon.com entro la fine del 2026.

Canyon

“Sulla stessa Strada”: la video serie di Scott Italia e Guidare Oggi

17.07.2023
3 min
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Scott Italia e Guidare Oggi hanno recentemente presentato una specifica “web-series” dedicata alla complessa, ma necessaria, convivenza in strada tra automobili e biciclette.

Da sempre, il rapporto tra auto e bici sulle strade rappresenta un argomento di grande rilevanza e di grande sensibilità per Scott. Negli ultimi anni, l’incremento dell’uso delle biciclette come mezzo di trasporto è stato notevole: la crescita è stata quasi esponenziale, soprattutto in epoca pandemica e post pandemica. Tuttavia, nonostante questa diffusione del mezzo sostenibile bicicletta, la convivenza tra auto e bici rappresenta ancora oggi una sfida importante, da vincere, con inevitabili problemi legati al tema sicurezza. E a tal proposito, la mancanza di un’adeguata educazione stradale, e di una profonda cultura della condivisione della strada, contribuisce ancora moltissimo ad alimentare tensioni e conflitti tra automobilisti e ciclisti. 

“Sulla stessa strada” è la campagna che vuole sensibilizzare gli utenti sulla sicurezza stradale
“Sulla stessa strada” è la campagna che vuole sensibilizzare gli utenti sulla sicurezza stradale

Educazione e rispetto

Ed è proprio per cercare di dare una risposta, di portare un contributo alla soluzione di questo problema, che nasce ”Sulla stessa Strada”: una serie molto ben strutturata di “pillole video” realizzate in collaborazione con Andrea Brusadin, insegnante di scuola guida, ideatore e proprietario della pagina YouTube Guidare Oggi. 

L’obiettivo di questa produzione – fruibile ovviamente a titolo gratuito – è quello di offrire semplici consigli e utili informazioni per rendere più sicura la convivenza sulla strada, con l’obiettivo dichiarato di utilizzare al meglio questo importante e sensibile spazio comune. I video si basano sull’apprendimento di semplici ma basilari regole della circolazione: come ad esempio l’utilizzo delle piste ciclabili, l’equipaggiamento che i ciclisti dovrebbero avere, le accortezze che spesso vengono sottovalutate ma che potrebbero fare la differenza in occasione di frangenti rischiosi… 

E’ nata dalla collaborazione tra Scott Italia e Guidare Oggi
E’ nata dalla collaborazione tra Scott Italia e Guidare Oggi

”Sulla Stessa Strada” è una serie di cinque video fruibili sui canali social sia di Scott Italia che di Guidare Oggi. Il primo episodio, andato in onda venerdì 7 luglio, ha trattato un tema semplice come quello dell’apertura delle portiere e dell’attenzione del ciclista quando si passa accanto ad una macchina parcheggiata.

A seguire, si affronteranno problematiche essenziali legate al tema del sorpasso delle macchine sui ciclisti, delle piste ciclabili (quando usarle e quando non usarle), della differenza di utilizzo tra attraversamento ciclabile e pedonale, di come prendersi il giusto e corretto spazio sulla carreggiata, di come andare in fila indiana senza affiancarsi al proprio compagno di pedalata.

Scott

EDITORIALE / Silvia, Davide e le foto ricordo

05.06.2023
5 min
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«Sopravvivo»: un abbraccio e questa sola parola per raccontare la sua vita da quel giorno di aprile 2021, quando l’auto guidata da una donna con troppa fretta e zero senso di responsabilità portò via sua figlia Silvia Piccini.

Come per Marco Scarponi e Marco Cavorso, la vita di Deyanira Reyes e del marito Riccardo da allora sono diventate una dolorosa esposizione perché l’immenso sacrificio non sia stato invano. Li abbiamo incontrati al Giro d’Italia sulla cima del Monte Lussari, nell’hospitality ricavata sul tetto della stazione della cabinovia, con le magliette che ricordano il sorriso della figlia e la possibilità da quest’anno di donare il 5 per mille in dichiarazione dei redditi per promuovere le loro iniziative (gli estremi a questo link, ricercando Aps Con il Sorriso di Silvia Piccini).

Due mesi dopo la morte di sua figlia, Riccardo aveva pedalato dal Friuli fino a Piazza San Pietro, per portare Silvia a Roma. Lo avevamo incontrato alle porte della Capitale e le sue parole ci avevano scosso. Da quel viaggio, il friulano non ha più toccato la bicicletta, come se la pagina si fosse chiusa in quel momento e senza Silvia su quei pedali non ci fosse più un senso.

Il camionista sparito

E’ davvero difficile vendere il cambiamento, convincersi che qualcosa si stia muovendo. E’ difficile non sentirsi presi in giro, vedendo per l’ennesima volta il servizio realizzato dalle Iene sulla morte di Rebellin e il camionista che lo travolse.

«Dopo mezz’ora avevano tutto per prenderlo – dice il barista veneto intervistato – invece l’hanno identificato dopo tre giorni».

Già, perché il tipo non sarebbe affatto scappato, come farebbe comodo far credere per giustificare il fatto che se ne stia impunito in Germania. Ha visto sì il corpo di Davide – racconta suo fratello – poi sarebbe rimasto sul posto ad aspettare per 10 minuti. Da lì ha fatto pochi chilometri ed è andato a caricare due bancali di vino. In seguito si è spostato a Verona per un altro carico e lì ha dormito. L’indomani ha caricato a Pastrengo e alle 12 a Bolzano. E solo a quel punto è passato in Austria e da lì in Germania.

«La stampa italiana ha già spiegato tutto – il fratello rincara la dose – se la Polizia avesse fatto il suo lavoro e non la stampa, la questione sarebbe stata già chiarita».

Anche se è difficile da credere, il fratello dice che Wolfgang Rieke non si sarebbe accorto di aver procurato lui l’incidente. In ogni caso, forse viziati dalle serie tivù da cui siamo bombardati, troviamo difficile capire. Possibile che un camion segnalato non sia stato rintracciabile nei suoi spostamenti nelle 24 ore successive all’incidente?

Al funerale di Rebellin sono state spese tante belle parole, cadute però nel vuoto
Al funerale di Rebellin sono state spese tante belle parole, cadute però nel vuoto

La condanna indecente

Silvia ha una storia tutto sommato simile. Anche la donna che l’ha uccisa ha ritenuto opportuno rinnegare l’umanità e rifuggire qualsiasi forma di contatto con la famiglia Piccini, evitando persino di presentarsi alle udienze che hanno portato al patteggiamento. Lo stesso giudice lo ha fatto notare, ma la donna aveva il diritto di farlo e ne ha approfittato. Condanna a un anno e 4 mesi, sospensione della patente per tre anni e ugualmente un’annotazione sui social secondo cui il 2021 sarebbe stato un anno molto positivo.

A cosa serve aver istituito il reato di omicidio stradale se poi la punizione è così blanda? E mentre Riccardo Piccini raccontava scenari per nulla (purtroppo) sorprendenti sul fatto che magari certe sanzioni si possono anche aggirare perché tanto nessuno ti controlla, ci è venuta in mente la vicenda di Niccolò Bonifazio.

Il 12 luglio scorso, un’auto che marciava contromano investì e trascinò il corridore ligure. Solo che in questo caso l’investitore, un anziano delle sue parti, ha preso a chiamarlo e perseguitarlo. Nonostante il ritiro della patente, ha continuato a guidare. Finché, solo di recente è stato nuovamente fermato e la storia si è chiusa.

A cosa porterà l’incontro fra il presidente Dagnoni e il ministro Piantedosi? (foto Federciclismo)
A cosa porterà l’incontro fra il presidente Dagnoni e il ministro Piantedosi? (foto Federciclismo)

Le foto ricordo

Giusto ieri, alla partenza della Green Fondo Paolo Bettini di Pomarance (foto di apertura), alla partenza faceva bella mostra di sé il cartello sul metro e mezzo da osservare al momento di sorpassare un ciclista. Ne abbiamo parlato molto ed è giusto continuare a farlo: Silvia Piccini non sarebbe morta, invece l’Audi che la uccise viaggiava a velocità troppo sostenuta e la agganciò per un pedale. Tutti i corridori, chi più e chi meno, hanno messo la faccia su iniziative simili. La loro Associazione ha apposto il proprio logo, ma le cose non cambiano. Il presidente federale Dagnoni ha incontrato il Ministro dell’Interno Piantedosi, poi sono state presentate delle proposte di riforma al Codice della Strada.

Servirebbe a qualcosa fermare o ritardare una tappa del Giro d’Italia in onore dei morti della strada, anziché per le avverse condizioni del meteo?

Nel 2021, anno della morte di Silvia Piccini, come pure oggi, i notiziari riportavano gli orrendi numeri dei femminicidi in Italia: 119 donne ammazzate, numeri da bollettino di guerra. Negli stessi 12 mesi i ciclisti ammazzati sulle strade sono stati invece 229, quasi il doppio. Peccato però che loro non facciano per nulla notizia.

Le funzioni Garmin, valore aggiunto per la sicurezza

06.03.2023
4 min
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Il Garmin, quasi un simbolo per il ciclista che utilizza questa parola per identificare un prodotto: una categoria, un ecosistema e sempre più lo si usa anche come strumento di supporto. Il computerino ed i suoi accessori diventano un valore aggiunto, che non azzera i rischi, ma può essere d’aiuto quando si tratta di sicurezza stradale.

Come utenti della strada, i ciclisti devono utilizzare tutto quello che la tecnologia gli mette a disposizione, per diminuire le variabili di pericolosità e per essere visibili, sempre, comunque e a lunga distanza.

Le versione RCT del Garmin Varia, con mini cam integrata registra filmati e immagini (foto Garmin)
Le versione RCT del Garmin Varia, con mini cam integrata registra filmati e immagini (foto Garmin)

Garmin e luci sempre accese

La luce posteriore dovrebbe essere uno strumento dal quale non si può e non si deve prescindere. Aumenta la visibilità del ciclista e permette allo stesso all’automobilista di vedere il ciclista, che è mediamente più lento rispetto al traffico motorizzato. Lampeggiante oppure fissa, intermittente o personalizzabile nelle modalità, il led posteriore ha degli ingombri minimi che non infastidiscono neppure il più agonista dei ciclisti. Essere avvistati in lontananza ad 1,5 chilometri non è cosa da sottovalutare (lo strumento Varia Radar attira l’attenzione dell’automobilista anche oltre questa distanza). Capire che un veicolo (o una serie di veicoli in sequenza) giunge alle nostre spalle, senza per forza voltarci perdendo di vista la strada davanti a noi, è un altro dei fattori che contribuiscono a limitare le distrazioni. Acceso e configurato, il radar rileva fino ad 8 veicoli motorizzati che dovessero eventualmente sopraggiungere.

La strada è di diversi attori e tutti sono protagonisti. Talvolta non sono sufficienti il buon senso e l’educazione, perché le variabili in gioco sono diverse e la più importante è quella umana. Così come noi ciclisti abbiamo imparato a usare il device gps, il casco ed il power meter, perché non imparare ad usare le luci su strada quando usciamo ad allenarci? La tecnologia di oggi ci aiuta, sta a noi imparare a sfruttarne le potenzialità a nostro favore. Se poi vogliamo andare oltre e fare uno step aggiuntivo, allora una luce con la mini-cam integrata può offrire un ulteriore vantaggio (e può anche essere divertente). E in caso di sinistro ci può fornire un aiuto.

Come un salvavita

L’ecosistema, che poi è quello di Garmin ed è una grande famiglia di strumenti tutti connessi tra loro, ci permette inoltre di comprendere quanto la connessione tra i vari strumenti porti dei vantaggi. Il radar posteriore è acceso e comunica con il device che avvisa quando un veicolo è in avvicinamento. La luce lampeggia e la mini-cam si attiva in loop e registra dei brevi filmati e immagini.

La funzione di rilevamento incidente è in modalità on, così a casa stanno più tranquilli. Si attiva quando viene rilevata un’avaria e ai contatti pre-impostati viene inviata la propria posizione, all’istante. Questa permette a chi è dall’altra parte di vedere esattamente dove siamo, con una risoluzione degna di nota. Il tutto avviene con un semplice messaggio.

In conclusione

Diminuire le variabili negative che si generano inevitabilmente quando siamo sulla strada e la stessa sicurezza stradale vanno ben oltre l’utilizzo di un prodotto Garmin. Ma è pur vero che se questo stesso dispositivo mi rende visibile e mi asseconda nell’attività outdoor, ben venga tutto quello che la tecnologia è in grado di offrire.

Garmin