Omrzel prepara l’entrata nel WorldTour. Senza guardare a Pogacar

Omrzel prepara l’entrata nel WorldTour. Senza guardare a Pogacar

02.11.2025
6 min
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Che cosa rappresenta Tadej Pogacar per il suo Paese? I successi del campione vincitutto hanno sensibilmente condizionato l’evoluzione della percezione sportiva in Slovenia che principalmente grazie a lui (e in ambito femminile ai successi di Anja Garnbret nel freeclimbing) non è più vista solamente come una nazione forte negli sport invernali e basta. Di questa percezione ha parlato anche Jakob Omrzel.

Parliamo di uno dei giovani più in vista in ambito internazionale in questa stagione, con dalla sua il successo al Giro NextGen e la conquista della maglia bianca di miglior giovane al Giro di Slovenia e di Croazia (un’accoppiata che non poteva passare inosservata visti i rapporti fra i due Paesi, in apertura la foto di Omrzel in Croazia) e il titolo di campione nazionale che gli sono valsi la firma di un contratto con il team Bahrain Victorious. Il diciannovenne di Novo Mesto non è però definito solo dai risultati, ma soprattutto dal suo atteggiamento verso lo sport e la vita e in un’ampia intervista a Siol.net, un’importante sito nazionale, ha toccato anche l’argomento del rapporto indiretto con il numero uno mondiale, attraverso una chiacchierata toccando anche argomenti delicati.

Il giovane della Bahrain insieme a Pogacar, alla serata di festa del ciclismo sloveno (foto Mediaspeed)
Il giovane della Bahrain insieme a Pogacar, alla serata di festa del ciclismo sloveno (foto Mediaspeed)
Il giovane della Bahrain insieme a Pogacar, alla serata di festa del ciclismo sloveno (foto Mediaspeed)
Il giovane della Bahrain insieme a Pogacar, alla serata di festa del ciclismo sloveno (foto Mediaspeed)

«Io voglio essere “solo” Omrzel…»

«Spesso capita di essere paragonati a lui, questa è una legge alla quale ogni ciclista sloveno quasi soccombe. Ma io non voglio essere “come” Tadej, io voglio essere solo Jakob Omrzel, essere paragonato a me stesso. Certamente ammiro Tadej e ci sono aspetti ai quali mi ispiro, in primis la disciplina. Tadej dedica tutto il suo tempo al ciclismo. Credo di poter imparare molto da questo e cerco di seguire il suo esempio. Anche a lui piace andare in bici nel tempo libero: tutto è subordinato al ciclismo, alimentazione, riposo, allenamento… Se vuoi essere il migliore non puoi prescindere da questo».

Omrzel ha staccato completamente la spina alla chiusura della stagione, per ricaricare le batterie e appropinquarsi nella maniera migliore alla nuova stagione, la prima “tra i grandi”: «Mi rendo conto di quanto sia importante prendersi davvero questo periodo per riposare. Cerco di fare il meno possibile fisicamente e allo stesso tempo di staccare la testa dalla bici. Poi ricomincio lentamente a correre, camminare o andare in mountain bike».

Omrzel a casa con al fianco la maglia rosa conquistata al Giro NextGen (foto Ana Kovac)
Omrzel a casa con al fianco la maglia rosa conquistata al Giro NextGen (foto Ana Kovac)
Omrzel a casa con al fianco la maglia rosa conquistata al Giro NextGen (foto Ana Kovac)
Omrzel a casa con al fianco la maglia rosa conquistata al Giro NextGen (foto Ana Kovac)

L’importanza della maglia di campione sloveno

Un anno importante quello che lo attende, innanzitutto perché entrerà nel massimo consesso con indosso la maglia di campione nazionale che rappresenta anche qualcosa che ti tiene sempre davanti ai riflettori: «E’ vero e ne sono davvero orgoglioso, perché dà una sensazione speciale e allo stesso tempo è un ulteriore incentivo. Sai di essere competitivo e di essere dove sei per un motivo per qualcosa che hai fatto ma soprattutto per qualcosa che rappresenti».

Non tutto però è andato nel migliore dei modi. Attesissimo al Tour de l’Avenir dopo la vittoria al Giro NextGen, poi non è stato un fattore per la vittoria: «Penso che i momenti di delusione siano i più importanti nello sport – risponde Omrzel in maniera schietta e matura – Quando tutto va secondo i piani e tutto è perfetto, niente ti è difficile: provi soddisfazione quando ottieni un buon risultato. Ma è completamente diverso quando non va, come è successo anche al Giro della Valle d’Aosta. E’ proprio dai momenti di crisi e dal tentativo di superarla che si impara di più. Ho capito che è molto difficile raggiungere due picchi di forma in una stagione. In Francia non mi sentivo al meglio, dovevo recuperare la forma ed ero proprio in quella fase in cui non ero al massimo. Ma la situazione è migliorata verso fine stagione, con il culmine al Giro di Croazia».

Il trionfo ai campionati nazionali di Slovenia, del tutto inaspettato per lui ancora U23 (foto Luka Kotnik)
Il trionfo ai campionati nazionali di Slovenia, del tutto inaspettato per lui ancora U23 (foto Luka Kotnik)
Il trionfo ai campionati nazionali di Slovenia, del tutto inaspettato per lui ancora U23 (foto Luka Kotnik)
Il trionfo ai campionati nazionali di Slovenia, del tutto inaspettato per lui ancora U23 (foto Luka Kotnik)

La tragedia di Privitera, un peso enorme

Omrzel non cita il Giro della Valle d’Aosta a caso, perché quella corsa, per lui come per tutti gli altri in gara, non è stata più la stessa dopo la tragica fine di Samuele Privitera: «Quello è stato il fattore principale: qualcosa che ti butta completamente a terra. Soprattutto mentalmente. Ho imparato molto da quell’esperienza, soprattutto su come ha reagito il mio corpo in quel momento e su come io stesso ho percepito gli eventi. Se dovessi scegliere, direi che questa è stata la gara più difficile che abbia vissuto. Devo dire grazie al mio allenatore Alessio Mattiussi. E’ stato lui a venire nella mia stanza e a parlare con me. Senza di lui, probabilmente non avrei continuato la gara. Alessio è in un certo senso il mio contrappeso. Nei momenti in cui potrei essere un po’ amareggiato per la mia vita, lui mi dice come stanno le cose e quindi calma la situazione. Penso che giochi un ruolo molto importante nella mia carriera».

I successi di quest'anno hanno destato grande attenzione fra i media sloveni
I successi di quest’anno hanno destato grande attenzione fra i media sloveni
I successi di quest'anno hanno destato grande attenzione fra i media sloveni
I successi di quest’anno hanno destato grande attenzione fra i media sloveni

Il “clan” sloveno alla Bahrain Victorious

Un altro aspetto importante per Omrzel, che l’ha spinto a continuare la sua esperienza alla Bahrain facendo il salto diretto nella prima squadra, è stato il fatto di poter far gruppo con i suoi connazionali: «C’è Zak Erzen con cui siamo cresciuti insieme all’Adria Mobil e siamo ottimi amici, stiamo insieme praticamente ogni giorno e il fatto che ora saremo anche compagni di squadra è la cosa più bella. Anche il meccanico del team, Aljaz Zefran, è un buon amico, e mio fratello Aljaz guida il pullman della squadra, quindi siamo tutti insieme, il che è fantastico. E’ più facile allentare la tensione quando si ha un ambiente che ti sostiene».

Il ruolo di capitano, ricoperto più volte nel corso della stagione, non lo spaventa: «Saper creare un legame con la squadra, mantenere la calma e prendere decisioni rapide è un fattore importante. Ho dovuto abituarmi un po’. ma quando si crea un legame con i ragazzi e un’atmosfera positiva nella squadra, allora non è affatto difficile. Ma non è difficile nemmeno fare l’assistente. Al Giro di Slovenia e Croazia ho anche detto che non ho problemi ad aiutare gli altri. Quel che conta è che so che posso ancora imparare molto e migliorare».

Omrzel a Kigali, con la maglia della nazionale. Nel 2026 gli europei casalinghi saranno un suo obiettivo
Omrzel a Kigali, con la maglia della nazionale. Nel 2026 gli europei casalinghi saranno un suo obiettivo
Omrzel a Kigali, con la maglia della nazionale. Nel 2026 gli europei casalinghi saranno un suo obiettivo
Omrzel a Kigali, con la maglia della nazionale. Nel 2026 gli europei casalinghi saranno un suo obiettivo

Obiettivo: migliorare a cronometro

Molto da migliorare anche nelle sue prestazioni: «Sotto quasi tutti gli aspetti. Quest’anno mi sono dedicato poco alla cronometro, ad esempio, semplicemente perché non c’era abbastanza tempo. La prossima stagione dovrò approfondire molto di più questa disciplina. Sarà importante costruire un buon calendario, ma credo che non ci saranno disaccordi sulla composizione del programma. Sappiamo che sono ancora giovane e che partecipare ai Grandi Giri in questa fase sarebbe ancora inutile. Se voglio avere una carriera di qualità che duri anche a lungo, allora penso che non ci sarà nulla di male nell’aspettare un po’ di più. E’ meglio concentrarsi su gare di una settimana che sorpassare con gare di tre settimane».

La vittoria che serviva. Alzini si rilancia e punta all’azzurro in pista

25.08.2025
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Anche a noi Martina Alzini ha ridabito un concetto scritto in un suo post social: quando vinci è più facile ringraziare tutti. Sicuramente viene spontaneo farlo, avere tanti pensieri in testa e vedere tutto sotto un’altra luce, ma è altrettanto vero che la milanese della Cofidis quest’anno ha dovuto fare i conti con momenti sfortunati.

Il suo successo in Belgio all’Egmont Cycling Race Women di martedì scorso (in apertura foto Jens Morel) è il coronamento del supporto prodotto da tutte le persone che le sono state vicine, dalla squadra al Centro Sportivo Esercito fino agli amici. Dopo la caduta in pista a maggio, forse Alzini è riuscita a raddrizzare una stagione che aveva preso una piega non desiderata. Per la verità il morale non le è mai mancato ed è sempre stata equilibrata nei suoi concetti, però adesso può essere più serena e fiduciosa nel mirare ai propri obiettivi.

Alle spalle di Alzini si sono piazzate Uneken e Tonetti (foto Cofidis)
Alle spalle di Alzini si sono piazzate Uneken e Tonetti (foto Cofidis)
Martina questa vittoria ci voleva più per te che per le statistiche. Che sapore ha?

Sono arrivata a 28 anni (dice sorridendo, ndr) che ho conosciuto certe situazioni per la prima volta o tante cose nuove di me. Mi sono rotta la scapola ed è stata la prima volta che mi operavo qualcosa. Di conseguenza è stata la prima volta che facevo fisioterapia. Devo ringraziare la Cofidis che ancora una volta si è confermata una seconda famiglia. Sotto il lato umano mi hanno lasciato il tempo necessario per tornare a correre per bene. E al Tour de Pologne Women ho corso senza pressioni. Si vede che mi conoscono bene.

E qualche giorno dopo è arrivato subito un bel successo. Ci racconti quella giornata?

E’ stato tutto bello l’insieme di cose che ci ha portato alla vittoria. Io ho solo dovuto finalizzare. La capitana era Amalie (la ex iridata Dideriksen, ndr), ma è rimasta coinvolta in una caduta ad inizio gara e allora ha deciso di fare la regista per noi visto che correvamo senza radioline. Quando c’era da attuare il piano B, tutte le mie compagne hanno fatto il mio nome per puntare alla vittoria. La squadra sa che sono onesta quando so di stare bene o meno. Mi sono presa le mie responsabilità e in pratica ci siamo capite fra noi quasi senza parlarci.

Assieme a Martina ha fatto festa tutta la squadra. Le sue compagne hanno lavorato a fondo e lei ha finalizzato (foto Cofidis)
Assieme a Martina ha fatto festa tutta la squadra. Le sue compagne hanno lavorato a fondo e lei ha finalizzato (foto Cofidis)
Guardando le immagini, avete fatto un gran finale.

Sì, alla grande. Le mie compagne sono state bravissime perché hanno dato il massimo per me tirando a tutta per andare a chiudere sull’ultima fuggitiva quando ormai eravamo vicinissime al traguardo. A quel punto ho leggermente anticipato la volata sapendo che su un arrivo del genere posso esprimere al meglio la mia velocità. Ed è andata bene.

Confermi che è difficile vincere in qualsiasi gara?

So perfettamente che era una gara di classe 2, ma qualità e ritmo in corsa non sono mai mancati. Quando poi si corre in Belgio, non esiste una gara facile o di status minore. Avevo visto già tanta gente in Polonia, ma lassù c’è sempre una cornice di pubblico incredibile che esalta l’atleta. Comunque è sempre difficile gareggiare e vincere ovunque. Ad esempio alla Egmont ho fatto tanti miei record.

Questa vittoria è la riprova della considerazione che la squadra ha per Martina Alzini, giusto?

Credo che sia la dimostrazione che nella vita tutto torna. Sono sempre a disposizione delle compagne tutto l’anno e loro hanno fatto altrettanto per me. Ho ripagato il loro lavoro e la vittoria è stata una conseguenza, anzi la ciliegina sulla torta del nostro gruppo. A luglio ho fatto il ritiro in altura a Tignes con la formazione che avrebbe corso il Tour Femmes. Mi ha fatto piacere essere stata inserita in quella parte di squadra anche solo per accelerare la ripresa della condizione.

Abbiamo visto che hai avuto un pensiero legato a Privitera. Come hai vissuto la sua scomparsa?

Non conoscevo Samuele di persona, ma il suo incidente mi ha toccato profondamente. Facciamo tutti lo stesso sport e quando capitano questi episodi ti chiedi se ne valga la pena o meno continuare. Ho avuto modo poi di conoscere la sua fidanzata Vittoria (Grassi, ndr) che ha fatto quarta quando ho vinto io. Anche lei è una ragazza che arriva della pista, con un grandissimo talento e fa parte della nostra famiglia. Lei ha sofferto tantissimo. L’ho abbracciata quando l’ho vista perché immagino cosa abbia passato e come stia adesso. E’ vero che bisogna saper andare avanti, ma credo che dobbiamo fare qualcosa per il ciclismo. Ognuno di noi e tutti in generale. Queste morti non possono passare così senza che si provi a cambiare qualcosa.

Alzini è rientrata in gara al Tour de Pologne Women vinta dalla sua amica Consonni. Potrebbero ritrovarsi ai mondiali in pista
Alzini è rientrata in gara al Tour de Pologne Women vinta dalla sua amica Consonni. Potrebbero ritrovarsi ai mondiali in pista
Da adesso in avanti a cosa punterai?

Il mio programma è proseguito col Gp Van Impe, continuerà col Simac Ladies Tour ed altre gare tra Francia e Belgio. Il mio vero obiettivo però saranno i mondiali in pista a Santiago del Cile. Uno dei primi allenamenti che ho fatto dopo la caduta è stato proprio nel velodromo di Montichiari. Un po’ perché non ci sono le sollecitazioni che trovi in strada, un po’ perché la pista è il mio grande amore e volevo che fosse uno stimolo per guadagnarmi la convocazione in Sud America. La vittoria in Belgio mi ha dato tante nuove motivazioni.

Luci e airbag: non c’è spettacolo senza sicurezza

06.08.2025
7 min
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Parlando con Lucio Dognini per l’intervista pubblicata lunedì mattina, il riferimento alla sua telefonata con Davide Martinelli dopo la morte di Samuele Privitera continuava a risuonarci nella mente e per questo abbiamo chiamato il giovane tecnico del team MBH Bank-Ballan. Di cosa hanno parlato? E perché le parole di Dognini hanno provocato reazioni stizzite nell’ambiente del ciclismo, anziché avviare un dibattito che potrebbe portare a una maggiore sicurezza per i corridori in allenamento?

Martinelli sta preparando le prossime corse. Fra Poggiana, campionati italiani cronosquadre, Capodarco e le gare successive tra i professionisti, agosto propone un menù sostanzioso per il quale bisogna farsi trovare pronti, ma il tema merita un approfondimento.

Sul podio dei tricolori cronosquadre del 2024, Martinelli e la sua MBH Bank vincente (photors.it)
Sul podio dei tricolori cronosquadre del 2024, Martinelli e la sua MBH Bank vincente (photors.it)
Secondo te il ciclismo può fare qualcosa per diventare più sicuro? Dognini ha detto cose giuste?

Si corre su strade dove si prova a rallentare le macchine, ma intanto le bici vanno sempre più veloci e questo va un po’ in contrapposizione. Il ciclismo diventa spettacolare quando è veloce, perché c’è più selezione. Trovo interessante la linea dell’UCI, ma non so se si riuscirà a rallentare il gruppo limitando i rapporti. Forse andrebbe messo un limite di peso anche alle ruote, invece di alleggerirle ulteriormente, perché la massa rotante è quella che ti dà la velocità. E forse abbasserei anche l’altezza dei profili. Il limite massimo sarà di 65 mm ed è raro che se ne usino di più grandi. Forse scenderei anche a ruote da 45 o da 35, però ci sono in ballo degli aspetti economici, perché già le aziende si sono lamentate per il cambio di rotta. E non basta…

Cosa?

Intervenire sulla larghezza del manubrio per me è fondamentale e l’ho sempre pensato da quando ho cominciato a vedere un po’ di estremo, come i manubri da 36. Su questo sono super d’accordo.

Sei d’accordo nel dire che sarebbe utile utilizzare il faretto anteriore sulle bici?

Penso di sì. Diventi più visibile anche nei casi in cui le macchine escono dagli stop e riescono a vederti meglio. Ormai il Varia posteriore (sistema di Garmin che segnala l’avvicinamento di autoveicoli alle spalle, ndr) lo utilizzano in tanti e c’è tanta differenza, perché inspiegabilmente vedendo la luce, le auto ti considerano come un veicolo. Io cerco di uscire quando trovo un compagno per pedalare, che di solito è un ex professionista o qualcuno che sa come stare in strada. E poi vivo in Franciacorta e non c’è tanto traffico, ma è un fatto che quando hai la luce, ti notano di più. Quando hai la luce, molte meno persone ti fanno il pelo. Non capisco perché accada e non capisco perché tanti devono passarti così vicino, pur avendo lo spazio per superare.

La luce del Varia di Garmin è abbinata a un radar che segnala al ciclista l’arrivo di veicoli: la sicurezza ne guadagna
La luce del Varia di Garmin è abbinata a un radar che segnala al ciclista l’arrivo di veicoli: la sicurezza ne guadagna
Sei stato un pro’ fino a due anni fa, nessuno dei tuoi ex colleghi pubblica foto in cui usa le luci sulla bici…

E’ il mercato che muove tutto, i corridori sono spinti dai brand e finché non viene capito quanto sia importante, la situazione resta questa. I team potrebbero fare certamente di più, anche se io sposterei il focus sull’abbigliamento. Bisognerebbe davvero inventarsi qualcosa su questo aspetto, più che sulle luci. Ancora non tutti capiscono di dover utilizzare la luce posteriore. La grande svolta c’è stata quando Garmin ha introdotto il Varia e quando le squadre hanno iniziato a darlo ai corridori. Parlo di Garmin perché sono stati i primi, ma ce ne sono anche di altri brand. Credo che per per la luce anteriore ci sarà bisogno di più tempo.

Tu utilizzi il Varia?

Sì, da quando me lo ha dato la squadra, ed è tanta roba perché ti segnala il veicolo in avvicinamento. Ho cominciato a usarlo, come me hanno cominciato a farlo altri professionisti in giro per il mondo e con il passa parola hanno iniziato a usarlo tanti altri. Ma tornando alle strade, mi sto rendendo conto di quanto sia pericoloso il ciclismo proprio da quando sono salito in ammiraglia.

Più adesso di quando correvi?

Finché corri, hai lo sguardo sul corridore davanti e non ti rendi conto di quanti spartitraffico, ringhiere laterali e paletti devi schivare. Ho corso tanto in Belgio e lassù sei sempre al limite, è una cosa incredibile. Mentre adesso in ammiraglia, anche nelle fasi più rilassate di gara, bisogna essere super concentrati perché ti accorgi di pericoli che da corridore non vedi nemmeno, perché ti senti in una bolla. Penso che correre con una maglia e un pantaloncino che insieme pesano 200 grammi non sia più sufficiente.

Il ciclismo spinge i suoi protagonisti a velocità elevate senza protezioni: un tema di sicurezza
Il ciclismo spinge i suoi protagonisti a velocità elevate senza protezioni: un tema di sicurezza
La sensazione è che stia per arrivare un però…

Però non ho la soluzione e questo è quello di cui parlavo al telefono con Lucio (Dognini, ndr). Se ci pensate, da questo punto di vista il ciclismo è lo sport più pericoloso. Non c’è un’altra disciplina in cui raggiungi certe velocità senza una protezione. E non cambia nulla fra le maglie da 30 grammi di oggi e quelle da 200 grammi di una volta. La maglia di 15 anni offriva la stessa protezione di quelle di adesso. Magari ti salvava da una mezza bruciatura, mentre adesso ti rovini di più la schiena. Io parlo proprio dei traumi, dei colpi che arrivano se finisci contro un paletto. Per fortuna gli organizzatori stanno facendo tanto. Ci sono sempre più segnalatori, sempre più persone che bloccano gli incroci. Da questo punto di vista RCS è imbattibile, nelle poche gare che ho fatto da diesse, ho visto davvero un’organizzazione super.

Perché un’intervista come quella di Dognini genera critiche e non dibattito?

Penso sia sotto gli occhi di tutti che bisogna fare qualcosa di più. Il problema secondo me è grande, ma nessuno sa bene che cosa si possa fare. Quindi tante volte quando non sai cosa fare, non fai niente e non dici niente. Lucio ha fatto bene a contattarvi, io forse non lo avrei fatto, perché non ho soluzioni da dare e in quel caso preferisco stare zitto. Ci rendiamo conto che effettivamente si va troppo forte, però non troviamo la soluzione.

Da corridore avresti accettato di correre con una maglia dotata di airbag o protezioni?

Se diventa obbligatorio, si usa e basta. Se diventa obbligatorio, magari si accorciano leggermente le tappe nelle giornate più calde. Penso che la spettacolarità del ciclismo debba essere subordinata alla sicurezza. Se anche si perde un 10 per cento di spettacolo, ma salviamo un ragazzo, penso che tutti accetterebbero. Io sono nato proprio quando fu imposto l’uso del casco e so che il gruppo si oppose. Non sarà facile introdurre l’airbag, se quella sarà la soluzione, ma sono sicuro che arriverà. Bisogna trovare qualcosa di molto efficiente, con la grandezza delle tasche piene di gel, che è già una bella dimensione. Quando abbiamo le tasche piene, contengono una decina di gel, 5-6 barrette, quindi penso che ci sia uno spazio interessante, l’equivalente di un paio di borracce. Ovviamente non rigide, ma penso che con quella ampiezza si possa fare qualcosa.

L’abbassamento dei telai fa sì che la presa bassa sia scomoda e l’assetto aero migliore sia quello con le mani sopra
L’abbassamento dei telai fa sì che la presa bassa sia scomoda e l’assetto aero migliore sia quello con le mani sopra
Dognini ha parlato anche delle mani sul manubrio e dei corridori che le tengono sempre sopra.

E’ così perché si è abbassata molto l’altezza del cannotto di sterzo, quindi il telaio davanti è molto basso e impugnare il manubrio nella parte inferiore è un po’ estremo. Si sono rubati 4-5 cm sotto l’attacco manubrio, per cui la posizione più comoda e aerodinamica è quella in presa alta. Sotto sei scomodo. Quindi la bici si guida molto bene con le mani sopra, però c’è un fattore di sicurezza quando sei in discesa. Perché un conto è perdere la presa a 40 all’ora, ma se succede quando vai a 70, allora diventa grave. In discesa serve tenerle sotto e sarebbe un aspetto facile da risolvere. Basterebbe imporre delle altezze minime del tubo di sterzo.

Dopo la morte di Privitera, i corridori sono sembrati più interessati al tema della loro sicurezza?

Nell’immediato, chiaramente no. Ero anche io in Valle d’Aosta e abbiamo cercato di tenerli tranquilli perché emotivamente erano molto provati. Per il resto, se ne parla sempre. Ma non essendoci la soluzione efficace e applicabile, si riduce tutto a delle chiacchiere. E alla fine si smette anche di parlarne.

Una piccola voce, ma parole sacrosante sulla sicurezza

04.08.2025
5 min
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Questa non è un’intervista a Pogacar e tantomeno a Jonathan Milan, Ganna o Ciccone. Si parla di sicurezza, che dopo i fatti di Terlizzi non è mai abbastanza, e Lucio Dognini, che ne è il protagonista, starebbe volentieri dietro le quinte, preferendo che ad esporsi siano nomi più importanti di lui. In linea di principio potrebbe avere ragione, ma non sono stati i grandi nomi che dopo la morte di Samuele Privitera e il nostro editoriale del 21 luglio hanno scritto una mail: lo ha fatto lui. E dalla mail abbiamo preso spunto per ricontattarlo (in apertura, Monica e Luigi, in camicia bianca e polo nera: i genitori di Privitera alla ripartenza del Giro della Valle d’Aosta).

Dognini, bergamasco di 60 anni, è il titolare di Travel&Service, l’azienda che per anni è stata secondo nome sulla maglia della Valcar fra le donne, nel ciclocross con la Fas Airport Services-Guerciotti-Premac e sponsor minore della Biesse-Carrera-Premac. E’ presidente del team juniores Travel & Service Cycling Team-3B Academy ed è fra gli organizzatori della Due Giorni di Brescia e Bergamo, ugualmente per juniores. Nella sua mail si dice totalmente d’accordo con ogni articolo che parli di sicurezza e del fatto che le strade siano piene di trappole per ciclisti e che le auto siano troppo grandi e veloci.

«Ma personalmente – scrive Dognini – penso sia anche un modo per non prenderci le nostre responsabilità. Sì, non prenderci le nostre responsabilità: noi che siamo gli attori principali di questo sport!!». 

Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Partiamo da qui: che cosa può fare il ciclismo?

Le squadre pagano ingaggi di milioni di euro, però non pensano che se uno di questi corridori si fa male, buttano via i soldi. Questo è il mio pensiero. Esattamente come il concetto del prevenire gli incidenti da parte di questi professionisti mega pagati quando sono in giro a fare l’allenamento. Quanti post avete visto, di squadre o di professionisti, che vanno in giro con le luci accese? Piuttosto vedi quello che mangia la pizza o si fa il selfie e per me è una cosa sbagliatissima.

Che cosa potrebbero fare invece?

Se facessero dei post in cui fanno vedere che vanno a fare gli allenamenti con le luci accese anche di giorno, con i lampeggianti davanti, darebbero l’idea che l’uso di certi strumenti li può aiutare a tornare a casa sani e salvi. Avremmo meno tragedie come quella di Sara Piffer e come lei Matteo Lorenzi. Meno ragazzi morti, meno ciclisti morti sulle strade. Invece fanno le loro esibizioni divertenti e non pensano che i ragazzi giovani li guardano. E le squadre non dicono niente. Glielo fanno mettere nel contratto che sono obbligati a rispettare il codice della strada?

I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
Cosa succede nelle categorie minori?

Pensiamo solo a farli correre, a farli andare sempre più veloci, ma non facciamo niente per la loro sicurezza. Durante le gare, dove mi dicono ci sia una commissione federale al lavoro, ma soprattutto durante gli allenamenti. I miei hanno 16-18 anni, si allenano 20 ore a settimana sulle strade di oggi, essere visibili è una necessità. Eppure se vai in bici, ti accorgi che neanche il 10 per cento dei ciclisti usa la luce davanti.

Come quando non si usava il casco…

Poi i professionisti sono stati costretti a usarlo e adesso ce l’hanno tutti, anche se la normativa italiana non lo impone. Se i professionisti lavorano per loro sicurezza, automaticamente diventerà una buona pratica e magari l’amatore spenderà il necessario per comprarsi il completino in cui magari hanno inserito un airbag superleggero.

Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Difficili da portare in una salita alpina del Tour se non trovano il modo di renderli leggeri, ma il discorso non fa una grinza. Anche perché le strade sono davvero fatte solo a misura di auto.

Vorrei portare un punto di vista diverso. Sicuramente ci sono anche troppi dossi, creati per rallentare gli automobilisti che vanno sempre più veloci. Questo è palese. Siamo certi però che Privitera, come il ragazzo che è morto alla Gran Fondo qua a Bergamo un mese e mezzo fa, non avesse le mani sopra che gli sono scivolate? Io li vedo i ragazzini. Hanno sempre le mani sulle leve dei freni, che sono di gomma e diventano scivolose. Alcuni nemmeno usano i guanti. Chi glielo ha insegnato?

Anche qui si va per emulazione?

Di sicuro nelle scuole di ciclismo non tutti insegnano ai ragazzi che in discesa si deve andare con le mani basse. Non tutti insegnano questo piccolo dettaglio tecnico, grazie al quale difficilmente perdi la presa del manubrio. Sono punti di vista, ma dico che il sistema deve fare qualcosa. La Federazione, l’associazione dei ciclisti, voi giornalisti come punto di incontro.

Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Sarà interessante sentire su questo qualche professionista.

Prendiamo la caduta di Pogacar alla Strade Bianche. Poteva tranquillamente lasciarci l’osso del collo, finire su una sedia a rotelle. Invece come ne è uscito? Un super eroe, è uscito come un super eroe. Sapete che cosa è successo qualche settimana dopo? C’è stata la Strade Bianche Juniores e mio figlio, che corre in un’altra squadra, nell’allenamento del giorno prima è andato con i compagni a vedere quella curva. Perché quando sei in bici ti sembra di poter fare tutto e che nulla possa succederti, mentre non è così. Io questi ragionamenti li ho fatti con Davide Martinelli il sabato dopo la morte di Samuele.

Di cosa avete parlato?

Mi ha chiamato lui, perché io ho mandato un messaggio al gruppo dei miei atleti. Gli avevo scritto di non aver paura di tirare il freno in gara. E Davide Martinelli, che è un ragazzo sensibile, mi ha chiamato per condividere con me il pensiero. Sono questi i personaggi che dovrebbero parlare di certi argomenti, non io. La mia è una piccola voce che non fa rumore, ma se serve per avviare il dibattito, allora sono a disposizione.

Chiusura e vittorie, il suo Samuele e il suo futuro. Parla Malaga

28.07.2025
6 min
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Queste ultime sono state settimane particolarmente intense e non semplici per il Team Giorgi. L’annuncio della chiusura della società, la scomparsa improvvisa dell’ex pupillo Samuele Privitera e le vittorie ritrovate. Una successione di sentimenti che messi sui piatti della bilancia restano difficili da pesare e quantificare, ma con cui di sicuro bisogna saper continuare a conviverci.

Col diesse Leone Malaga abbiamo ripercorso questo lasso di tempo, cercando di capire soprattutto il futuro suo e dei suoi attuali juniores, che nel frattempo hanno ripreso ad aggiornare la casella dei migliori risultati. In questo ultimo weekend sono andati a segno Giacomo Rosato in Piemonte a Pian della Mussa (sabato) e Thomas Bernardi nel trevigiano a Loria (ieri) dopo che in quello precedente si erano… ri-sbloccati. Ora il tassametro del Team Giorgi parla di 17 vittorie, la squadra al momento più vincente della categoria (in apertura foto Team Giorgi).

Pietro Solavaggione è un primo anno che ha ottenuto 4 vittorie destando tanto interesse (foto Team Giorgi)
Pietro Solavaggione è un primo anno che ha ottenuto 4 vittorie destando tanto interesse (foto Team Giorgi)
Come ha reagito il vostro gruppo a questo vortice di circostanze?

Non siamo stati in grado di farlo, siamo stati travolti dalle notizie. Qualcuno mi ha fatto notare che è stato un brutto scherzo del destino che il Team Giorgi salisse agli onori della cronaca prima con la chiusura e poi con la morte di uno dei suoi migliori talenti cresciuti. Samuele è venuto a mancare mercoledì sera, noi giovedì mattina eravamo in partenza per la Ciociarissima (la gara a tappe di tre giorni, ndr). Ero in viaggio con 6 ragazzi ed eravamo in condizioni pietose.

Immaginiamo…

A parte me e i nostri accompagnatori, la disgrazia del Val d’Aosta ha toccato da vicino pure Lorenzo Basso, che ha subito molto il colpo. Lui è di Sanremo e conosceva bene Samuele col quale si allenava quasi sempre assieme. Pensate che era stato proprio Samuele a segnalarmi Lorenzo, nonostante fosse più vecchio di due anni. Anche questo per dirvi chi era “Privi”, un uragano di ragazzo. E vista la sua famiglia non mi stupisco. Anzi permettetemi di raccontarvi un piccolo aneddoto accaduto recentemente.

Thomas Bernardi ha vinto a Loria concretizzando un bel momento di forma (foto italiaciclismo.net)
Thomas Bernardi ha vinto a Loria concretizzando un bel momento di forma (foto italiaciclismo.net)
Prego, ascoltiamo volentieri.

Samuele non voleva il funerale perché aveva sempre detto, dopo la recente scomparsa del nonno, che non avrebbe voluto una funzione in cui tutti erano tristi per lui. Quindi il 24 luglio ci siamo trovati con la sua famiglia e molti ex suoi compagni per un ritrovo in sua memoria. Sono partito disperato con tanti pensieri, ma sono rientrato a casa col sorriso grazie ai suoi genitori. Sono stati mamma e papà di Samuele che hanno sostenuto me e altri ragazzi presenti. Penso a Monister, Vesco e Leali che erano legatissimi a lui. Siamo tutti tornati con una grande forza interiore per andare avanti. I genitori di Samuele sono persone incredibili.

Nel frattempo la corsa laziale era andata bene. Cosa è successo?

Bisogna dire che quando sei in trasferta svaghi la mente perché hai mille cose da fare e da seguire. Forse questo ci ha permesso di concentrarci un po’ di più sulla gara. Alla prima tappa Marangon ha colto un secondo posto inaspettato con una grande prova. Le due frazioni successive le abbiamo vinte con Solavaggione e dominando come siamo in grado di fare. Peccato per la generale perché Solavaggione aveva perso tanto tempo il primo giorno. Penso che in quei giorni non pedalassimo da soli…

Edoardo Raschi ha vinto il titolo regionale a Reda di Faenza. E’ un secondo anno con buon mercato (foto Team Giorgi)
Edoardo Raschi ha vinto il titolo regionale a Reda di Faenza. E’ un secondo anno con buon mercato (foto Team Giorgi)
C’era una sorta di angelo custode?

Penso proprio di sì (risponde con più di un pizzico di emozione, ndr). O meglio, io non credo a certe cose ultraterrene, ma per me c’è stato qualcosa in quel weekend. Domenica 20 luglio abbiamo vinto tre gare in una giornata con tre atleti diversi, che diventano quattro contando anche il sabato. Ci era già successo nel 2024, però eravamo in un periodo vincente. Stavolta invece era un mese e mezzo che non vincevamo e non facevamo nulla. Poi penso alle tante cadute evitate alla Ciociarissima dove c’erano strade non curatissime. Sono convinto che Samuele ci abbia guidati ed aiutati da lassù.

Questo è il miglior modo per proseguire e finire la stagione?

Parlando dell’aspetto agonistico, personalmente ho assorbito il colpo della chiusura del Team Giorgi, dove ci sono da dieci anni. L’annata deve andare avanti come se nulla fosse. Noi tecnici e dirigenti per valorizzare il nome della società, i ragazzi per valorizzare se stessi visto che avranno tutti un futuro nuovo.

Matteo Mengarelli ha fatto una grande prima parte di stagione con due vittorie e tanti piazzamenti (foto italiaciclismo.net)
Matteo Mengarelli ha fatto una grande prima parte di stagione con due vittorie e tanti piazzamenti (foto italiaciclismo.net)
Sappiamo che Rosato passerà U23 nel devo team della Bahrain Victorious. Partiamo facendo un cenno sugli altri del secondo anno?

Sono in sei a salire di categoria. Bernardi ha vinto ieri e se lo meritava perché stava andando forte. Mengarelli invece ha fatto una bella prima parte di stagione con due successi e tanti piazzamenti. Gardani ha vinto due gare in volata, ma per me può diventare un corridore da gare più mosse. Raschi ha conquistato una gara, adatto a percorsi misti, però è stato sfortunato a rompersi il gomito al campionato italiano. Testa Pulici ha una grande costanza di rendimento sulle gare dure a ridosso dei primi. Gli manca solo un bel podio e un pizzico di grinta in più, ma può crescere ancora. L’ucraino Lahuta invece non so se continuerà a correre o meno.

Si sa anche dove andranno l’anno prossimo?

Posso dirvi che VF Group Bardiani CSF Faizanè, Beltrami TSA Tre Colli e qualche altro team continental si sono interessati a loro. Al netto dei risultati ottenuti o delle loro capacità, alcuni di loro hanno bravi procuratori che non hanno problemi a trovare mercato. Mancano alcune ufficialità, ma sono quasi tutti sistemati.

Simone Gardani ha conquistato finora due successi. Per Malaga non è solo un velocista (foto italiaciclismo.net)
Simone Gardani ha conquistato finora due successi. Per Malaga non è solo un velocista (foto italiaciclismo.net)
Il futuro di Leone Malaga invece dove sarà?

Sarò col Team Junior Guerrini Senaghese (il cui presidente è Stefano Guerrini, ex pro’ per quattro anni ad inizi 2000, ndr). Quasi tutti gli juniores del primo anno che ho adesso nel Team Giorgi verranno con me, uno invece potrebbe andare all’estero a correre il secondo anno. Considerando gli allievi che passano, nel 2026 avremo una squadra di 14/15 juniores. Il progetto è nato a maggio, ma si è concretizzato molto dopo quando Carlo Giorgi aveva deciso di chiudere. La tragedia di Samuele è dura da accettare e vi dico però che se fosse successa prima della firma con la nuova squadra, avrei lasciato il ciclismo o comunque mi sarei preso una lunga pausa. Ora vado avanti anche in suo onore, però il ciclismo sta diventando troppo pericoloso per tanti, troppi motivi.

Privitera e Giaimi: i ricordi di una vita pedalando insieme

27.07.2025
7 min
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«Se chiudo gli occhi e penso a Samuele (Privitera, ndr) vedo una nostra foto insieme di quando ho vinto il Giro della Valdera da juniores. Correvamo entrambi per il Team Fratelli Giorgi e quella gara l’ho conquistata grazie a lui, mi aveva dato una mano incredibile. Aveva tirato per tutta l’ultima tappa (i due sono insieme nella foto di apertura, al centro Leone Malaga, diesse del team Giorgi, foto Rodella, ndr)».

A parlare è Luca Giaimi, l’atleta del UAE Team Emirates è a Livigno per preparare il finale di stagione e smaltire le fatiche degli europei. La notizia della scomparsa di Samuele Privitera lo ha raggiunto durante la rassegna continentale su pista. Da quel momento andare avanti è stato difficile, i giorni sono passati, ma l’incredulità resta. Sui social i ricordi e le foto di Privitera sono praticamente infiniti e, accanto a lui, spesso si vedeva il volto di Giaimi. I due, classe 2005, sono cresciuti insieme sulle strade della Liguria e il loro cammino si è incrociato presto.

Samuele Privitera davanti e Luca Giaimi alle sue spalle in una delle prime gare su strada in Liguria
Samuele Privitera davanti e Luca Giaimi alle sue spalle in una delle prime gare su strada in Liguria

Gli anni da giovanissimi

«Privitera e io – racconta ancora Giaimi, che nel parlare del suo amico ha un sorriso dolce – ci siamo incontrati per la prima volta nella categoria G3, da avversari. Ogni fine settimana ci scontravamo sulle strade della Liguria e ci univa un senso di rivalità e amicizia. Volevamo mettere uno la ruota davanti all’altro. I primi anni ci incontravamo sui sentieri in mtb perché io ancora non correvo su strada, ho iniziato qualche anno dopo. Lui correva sia su strada che in mtb ed era uno dei più forti in gruppo, anche sui sentieri. A “Privi” la bici è sempre piaciuta tantissimo, un amore viscerale. Per renderlo felice dovevi farlo pedalare».

Crescendo, Giaimi e Privitera hanno continuato a correre l’uno contro l’altro legati da rispetto e amicizia
Crescendo, Giaimi e Privitera hanno continuato a correre l’uno contro l’altro legati da rispetto e amicizia
Com’era da piccolo?

Gli piaceva la competizione, ma una volta finita la gara eravamo amici. Parlava con tutti. Dopo l’arrivo restavamo a guardare i più grandi e aspettavamo le premiazioni giocando insieme. Ci sfidavamo nel fare le impennate e mangiavamo insieme il classico panino con la salamella. Forse è anche merito suo se poi sono arrivato a correre su strada.

Perché?

Alla fine in mtb vincevo tanto e mi sono detto: «Perché non provare anche su strada?». I ragazzi più forti erano Privitera e altri due gemelli, che poi hanno smesso. Le prime gare me le hanno rese davvero dure, arrivavo sempre dietro. Poi sono migliorato ed è diventato un “dare e avere”. 

Quando si è trattato di passare alla categoria juniores entrambi hanno scelto il Team Fratelli Giorgi, qui in foto con Carlo Giorgi
Quando si è trattato di passare alla categoria juniores entrambi hanno scelto il Team Fratelli Giorgi, qui in foto con Carlo Giorgi
Negli anni successivi?

Da esordiente e allievo era più forte, la mia sfida personale era provare ad arrivare al suo livello. Quando eravamo allievi era tanto conosciuto anche a livello nazionale. La cosa che ricordo era che alle corse parlava con tutti, conosceva ogni persona. Fino a quel tempo avevamo corso tra Liguria, Piemonte e Lombardia. Arrivavamo alle gare nazionali e “Privi” chiacchierava con ragazzi della Toscana, Trentino, Veneto. Io mi chiedevo come facesse a conoscerli. Ma lui era così, un carattere aperto, dopo due secondi parlava con tutti, anche i sassi. Il suo carattere lo portava spesso al centro dell’attenzione ma non in maniera egoista, creava subito gruppo, aveva una dote innata. Vi faccio un esempio…

Dicci pure…

Alla presentazione del Giro Next Gen, lo scorso giugno, arrivo per salire sul palco e sento una voce che tiene banco. Era Privitera che stava distribuendo crostata a tutti i suoi compagni di squadra e non solo. 

Privitera e Giaimi, entrambi liguri, hanno passato tanto tempo insieme nella casetta del team durante i ritiri rafforzando la loro amicizia
Privitera e Giaimi, entrambi liguri, hanno passato tanto tempo insieme nella casetta del team durante i ritiri rafforzando la loro amicizia
Una volta juniores da avversari siete diventati compagni di squadra, al Team Fratelli Giorgi. 

Appena arrivati, eravamo i due ragazzi che venivano da lontano. La squadra è della provincia di Bergamo e i ragazzi arrivavano da quelle zone. Durante i ritiri abbiamo passato tanti momenti insieme nella casetta del team, siamo andati tantissime volte a mangiare la pizza insieme e facevamo a gara a chi ne mangiasse di più.

Com’è stato vivere con lui?

Sapeva fare tutto, anche da piccolo. Avevamo 16 o 17 anni e lui era capace di fare ogni cosa in casa, invece io ero parecchio imbranato. Mi ha insegnato a fare la lavatrice e a cucinare il porridge. Una volta avevo provato a farlo e mi era uscita una cosa immangiabile. “Privi” invece era uno sveglio, sapeva tutto. Inoltre la sua enorme passione per il ciclismo lo portava a informarsi di continuo. Avevamo due caratteri opposti, lui parlava tantissimo ed era espansivo, io al contrario sono molto timido. Una giornata con Samuele partiva con lui che iniziava a chiacchierare a colazione e finiva che andavamo a letto e ancora aveva da dire. Era divertentissimo. 

Privitera era capace di creare un legame forte con i compagni, caratteristica che lo ha portato a essere il capitano in corsa del Team Giorgi
Privitera era capace di creare un legame forte con i compagni, caratteristica che lo ha portato a essere il capitano in corsa del Team Giorgi
Cosa vi siete detti quando avete firmato entrambi per un devo team?

Io sono stato il primo a firmare e Privitera era felicissimo per me. Sapete, in questi casi può capitare che nella felicità percepisci un po’ di invidia, con lui no. Era genuinamente felice per me. Lì ho definitivamente capito che ci univa un legame di vera amicizia. Quando ha firmato lui ero contento perché se lo meritava davvero. E’ sempre stato l’uomo squadra al Team Fratelli Giorgi. 

Come si comportava in gruppo?

Parlava tantissimo e aveva la capacità di prendere decisioni. Era comunicativo e schietto, due qualità che lo hanno fatto eleggere capitano in corsa. Non che si corresse per lui, ma era quello capace di gestire la gara. In gruppo non sono mai stato un leone e capitava spesso di finire in fondo, lui veniva a prendermi e riportarmi in testa. Tante volte altri miei compagni mi hanno lasciato là, facendo finta di non vedermi. 

Privitera ha fatto vedere grandi qualità nella categoria juniores che gli sono valse la chiamata della Hagens Berman tra gli U23 (foto Rodella)
Privitera ha fatto vedere grandi qualità nella categoria juniores che gli sono valse la chiamata della Hagens Berman tra gli U23 (foto Rodella)
Una volta passati under 23?

Ci vedevamo meno perché le nostre qualità atletiche ci portavano a fare gare diverse. Quelle poche volte che ci incontravamo voleva dire che uno dei due era in una corsa non troppo adatta alle sue caratteristiche, quindi ci cercavamo in gruppo per darci morale. A casa, il fatto di allenarci su distanze più lunghe ci permetteva di incontrarci a metà strada, io partivo da Pietra Ligure e lui da Soldano. Così passavamo il tempo insieme e pedalavamo in compagnia. 

Di cosa parlavate durante l’allenamento?

Dei vari programmi di gara, delle corse che avremmo fatto così da sapere se poi ci saremmo visti. Ci confrontavamo sugli allenamenti. Ma più che altro volevamo stare insieme, condividere il tempo in bici.

Ecco Giaimi e Privitera (qui al centro in maglia Hagens e UAE) in una delle prime gare da U23
Ecco Giaimi e Privitera in una delle prime gare da U23
E ora?

Non ho ancora metabolizzato la cosa, era talmente presente nella mia vita che non posso immaginare di tornare in Liguria e non vederlo più. Pensare che quest’inverno non ci sarà “Privi” che mi scrive: «Oh Luca, cosa facciamo oggi?» non riesco a realizzarlo. Andare alle corse senza qualcuno con cui scherzare quando la corsa è dura o noiosa. 

Vi sentivate spesso?

Tutti i giorni. Era il primo a scrivermi quando facevo un risultato. Quando ho vinto l’europeo su pista da juniores lui era davanti al computer nella casetta del Team Giorgi insieme agli altri a vedere la gara, c’è un video in cui esulta come un matto. Forse ho iniziato a realizzare che “Privi” non c’era più agli europei di settimana scorsa, lui mi avrebbe scritto entro dieci minuti dalla fine della gara. 

Il lutto, il dolore e la forza del gruppo: parola alla psicologa

24.07.2025
6 min
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I cinque giorni del recente Giro Ciclistico della Valle d’Aosta non sono stati semplici, per nessuno. La scomparsa di Samuele Privitera, avvenuta a seguito di una caduta durante la prima tappa, ha messo tutti i presenti davanti alla morte. Un qualcosa di crudo per il quale non si è mai abbastanza pronti, soprattutto quando si è giovani e davanti si hanno tanti sogni e una vita intera da affrontare. Samuele Privitera non ci sarà più in gruppo: pensare e realizzare tutto questo non è un passaggio semplice. Un compagno di squadra, un avversario, un amico, o più semplicemente un membro della famiglia del ciclismo che smette di pedalare accanto agli altri e che lo fa nel modo peggiore possibile. 

Abbiamo chiesto alla dottoressa Manuella Crini, psicologa cui ci siamo spesso rivolti per indagare le profondità della mente, di aiutarci a capire cosa abbia rappresentato per questi giovani ciclisti un momento così duro e quali sentimenti ed emozioni si creino nel lutto. 

Il Giro della Valle d’Aosta è sprofondato nel dolore dopo la notizia della morte di Samuele Privitera
Il Giro della Valle d’Aosta è sprofondato nel dolore dopo la notizia della morte di Samuele Privitera
Come ci si rapporta a una perdita così?

Parliamo di ragazzi con età compresa tra i 18 e i 22 anni che probabilmente non hanno mai toccato con mano la morte, soprattutto di un coetaneo. Il lutto è caratterizzato da una serie di fasi che sono comuni per tutti, alle quali ognuno reagisce in maniera diversa. 

Cerchiamo di rompere il ghiaccio con un esempio concreto: chi scrive era presente in corsa, la prima reazione è stata scrivere un messaggio a Privitera…

E’ normale, fa parte dello sconcerto, che è la prima fase alla quale andiamo incontro. Il cervello ha immagazzinato una serie di immagini che fatichiamo a cancellare, non sarete stati gli unici a mandare un messaggio per sincerarvi delle sue condizioni. A primo impatto si fatica a credere che sia successa una cosa del genere.

Poi cosa arriva?

Disperazione, rabbia e alla fine c’è l’accettazione. Non sono sentimenti che si affrontano tutti insieme, ma uno per volta. Quando si è adulti queste fasi appena elencate arrivano con ordine, mentre in giovane età si possono mischiare. Stiamo parlando di under 23, quindi di per sé ragazzi molto giovani. Tuttavia sono degli atleti, quindi mentalmente hanno una maturità diversa rispetto ai loro coetanei. 

L’organizzazione, nella tarda serata del giorno dell’incidente, ha comunicato che la tappa successiva non si sarebbe disputata.

Una decisione corretta. In quelle ore ogni ragazzo ha potuto sviscerare le proprie emozioni. Chi era arrabbiato, chi sotto shock, altri magari sembravano anestetizzati. Non c’è giusto o sbagliato, solo un pacchettino di dolore che ognuno custodisce come crede. 

Le squadre hanno detto di aver passato quella giornata senza corsa con l’obiettivo di restare tutti insieme…

E’ stato giusto, nel lutto il confronto serve. Restare tutti insieme ha permesso di elaborare l’accaduto. Non è necessario però parlare, anche il silenzio fa assorbire la cosa. Si inizia a fare i conti con la realtà, c’è un vuoto e va accettato. Non tutti ci riescono immediatamente, ogni ragazzo ha una storia di vita diversa dall’altro. 

Poi si è ripartiti con la terza tappa neutralizzata nei primi 40 chilometri, decisione corretta?

Quella di ripartire assolutamente. Per il ciclista il gruppo è una cosa sola, un ente a sé stante. Tenerli insieme ha aiutato a far vivere loro altre emozioni. 

Alla fine di quei 40 chilometri per alcuni momenti i ragazzi sembravano intenzionati e interrompere la gara. 

In quell’ora e mezza fatta a velocità controllata il gruppo ha avuto modo di pensare, ognuno per i fatti suoi. E’ stata la loro marcia funebre, il saluto finale a Samuele. Una parte dei ragazzi in quei chilometri avrà avuto modo di pensare e fare i conti con il dolore. Anche in questo caso entrano in gioco tante emozioni diverse. Come la rabbia, che è positiva perché è un sentimento attivo. 

Può essere che i ragazzi con una personalità più forte abbiano fatto emergere i propri sentimenti, qualsiasi essi fossero?

Sì. I capofila di quel gruppo magari erano gli stessi corridori che sono dei leader in corsa. Altri ragazzi magari si sono messi alle loro spalle e si sono fatti trasportare. Il potere del gruppo è immenso. Spesso l’emozione del vicino ci contagia. Quei 40 chilometri forse sono stati un po’ troppi, per alcuni stare da soli in mezzo al gruppo è un modo per isolarsi, per altri è stato un modo per amplificare i sentimenti negativi

Poi la corsa è ripartita, ma c’è chi ci ha messo un giorno in più per riprendersi.

La cosa importante, nel giorno della ripartenza, era salire in bici e arrivare al traguardo. Era il modo giusto per proseguire. Non si deve mettere il dolore in un cassetto, perché poi non sai mai come reagirai una volta riaperto. Interrompere la gara sarebbe stato come negare il legame con il gruppo, che invece c’è. 

La cerimonia di addio a Privitera è stata fatta a casa sua, in Liguria, sabato, mentre la corsa era ancora in fase di svolgimento. 

Se vuoi ricordare un amico o un parente che non c’è più, basta un posto mentale. Non serve per forza un luogo fisico. Ogni corridore avrà dentro di sé un piccolo o grande spazio riservato a Samuele.

EDITORIALE / Privitera e le strade che ammazzano i ciclisti

21.07.2025
4 min
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Non conoscevo Samuele Privitera e non so se renderne grazie. Mi sarebbe piaciuto avere qualche esperienza condivisa con quel ragazzo entusiasta e solare, per contro tuttavia avrei attraversato i giorni della sua caduta e della morte rivivendo storie di ieri di cui porto ancora le cicatrici. Sono stati giorni pesanti, in cui ho toccato con mano lo sgomento di chi era sul posto e si trovava per la prima volta a contatto con la morte. Non ci si fa il callo, ma si impara il modo per tenerla a distanza, mettendo in atto dei meccanismi di autodifesa, che non sempre funzionano, ma di certo alleviano i colpi.

Il Giro della Valle d’Aosta è stato colpito da un’ondata di tristezza
Il Giro della Valle d’Aosta è stato colpito da un’ondata di tristezza

La famiglia del ciclismo

Ricordo come fosse ieri la caduta di Diego Pellegrini, al mio primo Giro della Valle d’Aosta, perché con lui avevo scherzato al via della tappa. Quella di Fabio Casartelli, che giusto prima di avviarsi aveva mostrato la foto del figlio Marco. Ricordo Wouter Weylandt, che non conoscevo tanto bene, ma era lì qualche ora prima e di colpo se ne era andato. La differenza a ben vedere la fa il fatto di conoscerli e aver condiviso il sogno, la rincorsa, il successo e anche il fallimento. Si fa parte della stessa famiglia e nelle famiglie succede anche questo.

Le statistiche della mortalità sulle strade dicono che ogni anno muoiono molti più ciclisti e anche più giovani di Samuele Privitera (in apertura foto @jcz__photos). Ma finché restano confinati nel conteggio e non hanno un nome, una storia e un sogno che ti coinvolgano, riesci a farli scivolare in modo più indolore. Se però nella statistica rimangono coinvolti (fra i tanti) Simone Tomi, Silvia Piccini, Tommaso Cavorso, Giovanni Iannelli, Davide Rebellin, Sara Piffer e mia zia Sandra che viveva a Bologna, allora capisci che è tutto vero.

Nei giorni della morte di Samuele abbiamo sentito parole dettate dallo sgomento, ma anche dalla brutta abitudine di drammatizzare i toni, quasi sentendosi in colpa per essere ancora qui, mentre lui non c’è più. Abbiamo sentito dire che il ciclismo è uno sport pericolosissimo, ma sarà vero?

Il Giro della Valle d’Aosta aveva anche altre ferite: questo il ricordo di Diego Pellgrini
Il Giro della Valle d’Aosta aveva anche altre ferite: questo il ricordo di Diego Pellgrini

A misura di SUV

Sono le strade a esserlo, italiane e non. Viviamo in un mondo a misura di automobile: veicoli sempre più grandi, veloci, violenti e insonorizzati. Un SUV di oggi ha lo stesso ingombro dei furgoni di un tempo, ma le carreggiate sono strette come 50 anni fa. Per farli rallentare non bastano i segnali di pericolo oppure ricordare che potrebbero esserci dei bambini che giocano: cosa gliene frega a un automobilista che ha fretta se travolge qualcuno? La donna che uccise Silvia Piccini proseguì e si presentò al lavoro.

Allora servono i dossi. Oppure si delimitano le corsie con vasi di calcestruzzo, rialzi e cordoli molto alti. Si è creata una geografia di ostacoli, che gentilmente vengono definiti arredi urbani e che dal mio punto di vista sono barriere architettoniche per chi vive la strada su due ruote, con o senza motore. Samuele è morto perché non si è accorto di un dosso del quale si sarebbe potuto fare a meno se la civiltà stradale fosse degna di questa definizione. Mattias Skjelmose è stato costretto a ritirarsi dal Tour perché si è trovato davanti, non segnalato, uno spartitraffico che lo ha fatto volare. Non serve a niente imporre cerchi più bassi e manubri più larghi se le strade sono queste.

Il dosso poco visibile che potrebbe aver provocato la caduta di Privitera
Il dosso poco visibile che potrebbe aver provocato la caduta di Privitera

Campi di battaglia

Il pavone Salvini, che si occupa di sicurezza stradale e infrastrutture e vuole legare a tutti i costi il suo nome a quel dannato ponte, dovrebbe essere più fiero di aver educato gli italiani a vivere civilmente sulle strade. Samuele Privitera è morto su un dosso che rappresenta il fallimento di questo tipo di educazione. Diverso il caso di Iannelli, ad esempio, probabilmente ucciso dall’assenza delle necessarie precauzioni in un rettilineo di arrivo. Diverso forse il caso di Diego Pellegrini, che in piena discesa trovò in traiettoria l’ammiraglia di un direttore sportivo che cercava di soccorrere il proprio corridore caduto. Non si venga a dire che il ciclismo è uno sport pericolosissimo, oppure si contestualizzi la frase.

Il ciclismo è uno sport pericolosissimo perché si svolge su strade come campi di battaglia. Siamo vittime del bullismo delle auto e delle trappole di chi cerca di arginarle. Se nelle vecchie zone di guerra i bambini continuano a morire ed essere mutilati per l’esplosione delle mine antiuomo, la colpa è loro che le hanno calpestate oppure di chi quelle mine le ha sepolte?

Il Valle d’Aosta riparte: Widar vince nel silenzio e nel dolore

18.07.2025
5 min
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GRAN SAN BERNARDO – Il Giro Ciclistico della Valle d’Aosta riprende dopo due giorni di dolore profondo, nel quale le parole sono state poche. In cima al Colle del Gran San Bernardo vince Jarno Widar, che come fatto ieri da Tadej Pogacar a Hautacam, indica il cielo (in apertura foto Giro della Valle d’Aosta). Si ferma e il massaggiatore del team Hagens Berman Jayco, presente dopo l’arrivo, gli stringe la mano. Al belga della Lotto Development tremano le labbra per il vento freddo e la commozione, poi parla: «Privitera e io abbiamo condiviso la stessa stanza due anni fa mentre eravamo in altura e siamo diventati amici. Era un ragazzo con un grande spirito da combattente. Volevo correre per lui e così ho fatto, questo successo è per Samuele».

La Hagens Berman Jayco è ripartita insieme a tutto il gruppo, nella mattina le squadre sono andate a fare un saluto e far sentire la loro vicinanza
La Hagens Berman Jayco è ripartita insieme a tutto il gruppo, nella mattina le squadre sono andate a fare un saluto e far sentire la loro vicinanza

Ripartire

Pré-Saint-Didier, sede di partenza della terza tappa, abbraccia il nome di Samuele Privitera e il suo ricordo. La Hagens Berman Jayco ha deciso, anche su richiesta della famiglia, di scendere in strada. Ai mezzi del team australiano si susseguono saluti e abbracci, per dare forza e supporto nel momento più difficile. Rimettere il numero sulla schiena rende ancora più reale il dolore e l’accaduto. La corsa riprende ed è giusto così, non perché si debba dimenticare ma per dare sostegno e ascoltare l’ultima richiesta di una famiglia che ha trovato la forza di non lasciare da soli i ragazzi e lo staff della Hagens.

Ieri la tappa annullata ha messo ognuno dei 125 corridori davanti a tante riflessioni. Le squadre, nel rimanere accanto ai propri ragazzi, si sono date da fare senza farli sentire soli davanti al dolore. C’è chi ha improvvisato una partita a bocce, chi ha pedalato in maniera blanda e chi invece sulla bici ha sfogato la frustrazione nell’aver perso un amico e un compagno di avventura. 

Prima della partenza, con corsa neutralizzata per 40 chilometri, c’è stato un minuto di silenzio in ricordo di Samuele Privitera
Prima della partenza, con corsa neutralizzata per 40 chilometri, c’è stato un minuto di silenzio in ricordo di Samuele Privitera

Il minuto per Samuele

La tappa inizia alle ore 12,25 con i primi 40 chilometri neutralizzati come scelto ieri tra organizzatori e team. Prima del via, in piazza a Pré-Saint-Didier, si è tenuto un minuto di silenzio in onore di Samuele Privitera. Sullo sfondo del palco alla presentazione delle squadre scorrevano le foto che ritraevano Privitera intento nel fare la cosa che più amava, pedalare. Oggi non è stata fatta una presentazione ufficiale ma gli atleti si sono recati liberamente al foglio firma. 

Poi tutti schierati, pronti per il via. I caschi si slacciano, gli occhiali da sole tolti e il silenzio che già regnava diventa ancora più profondo. Si parte, davanti c’è la macchina della giuria, dietro i quattro atleti della Hagens Berman Jayco e alle spalle il gruppo. 

Piede a terra

La corsa arriva, ad andatura controllata, al chilometro quaranta, ovvero il punto concordato tra i team e l’organizzazione nel quale il Giro della Valle d’Aosta avrebbe poi ripreso il suo corso. Negli attimi in cui la direzione corsa aspettava di dare l’inizio ufficiale della tappa, accorciata a 81,7 chilometri, dal gruppo arriva Filippo Agostinacchio. Il leader della corsa si è fatto portavoce degli animi e dei sentimenti dei corridori e sembra che non si voglia ripartire. Due minuti concitati nel quale l’organizzazione e la direzione di corsa mantengono il patto mantenuto: si corre. Se qualcuno non dovesse sentirsela rimane libero di fermarsi.

«Ho parlato con tutte le squadre – dice Agostinacchio ancora vestito di giallo sul traguardo – e c’erano tante voci diverse. Omrzel e Tuckwell volevano ritirarsi dopo il tratto neutralizzato, mentre non erano chiare le idee di altri. La decisione di non correre o di fare qualche richiesta diversa all’organizzazione andava presa ieri. L’organizzazione ha lavorato per mettere comunque in piedi il tutto e ripartire. Io ho deciso di farmi portavoce della maggioranza del gruppo, che alla fine ha voluto correre».

La decisione della Hagens

La notizia che la Hagens Berman Jayco sarebbe ripartita è arrivata nel pomeriggio di ieri. I genitori di Samuele Privitera hanno voluto fare al team quest’ultima richiesta.

«Ieri mattina – ci dice Koos Moerenhout, diesse del team – non abbiamo preso parte alla riunione dei diesse perché avevamo deciso di rispettare qualsiasi decisione presa dal gruppo. I diesse avevano trovato l’accordo per ripartire, insieme all’organizzazione, e per noi andava bene così. Dei nostri atleti solo Fergus Browning aveva deciso che si sarebbe fermato dopo i primi 40 chilometri. Degli altri tre corridori rimasti Rafferty e Moreira hanno poi avuto problemi e non hanno terminato la tappa di oggi».

«Capisco che molti ragazzi – conclude – una volta saliti in bici non se la sentissero di proseguire, quando sei di nuovo in strada tante sensazioni cambiano ed è normale avere qualche dubbio o non sentirsela a livello morale. E’ un momento difficile per tutti».

Domani il Giro della Valle d’Aosta ripartirà con Jarno Widar in maglia gialla, con un vantaggio di 1’ 48” su Aaron Dockx della Alpecin Development e di 1’ 53” su Jean-Loup Fayolle della Arkea B&B Continental.