Per il dottor Magni ha ragione Van Aert: il Covid va ripensato

02.03.2022
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«La paura adesso è anche più alta. Non devi nemmeno essere malato per pensare di aver contratto il Covid, basta un test positivo e tutta la tua preparazione è vanificata», parole di Wout Van Aert. E ancora: «Presto dovremo prendere in considerazione l’idea di non basarci più su un test positivo. Dovremo iniziare a guardare al Covid nello stesso modo in cui vediamo le altre malattie». 

Il belga ha messo in discussione l’atteggiamento della società, e indirettamente anche dell’UCI, riguardo al Covid.

Ci si chiede allora: ha ragione quando dice che certe restrizioni sono esagerate? Il tema non è affatto banale. La variante Omicron ha scombussolato il sistema sanitario e, ancora una volta, la società. Stavolta a fronte di un numero di positivi impressionante si è tenuto botta.

Visto l’argomento così delicato, abbiamo chiesto lumi al dottor Emilio Magni, da anni nel mondo dei professionisti, oggi in forza all’Astana Qazaqstan del “suo” Vincenzo Nibali.

Un tampone rapido negativo. La lineetta T non è comparsa quindi l’atleta è libero
Un tampone rapido negativo. La lineetta T non è comparsa quindi l’atleta è libero
Dottor Magni, ha ragione Van Aert quindi?

Io direi di sì. Tutti dobbiamo pensare che la pandemia va rivista. Si è trattato di un evento devastante a livello sociale, psicologico, economico, sanitario… ma adesso le dimensioni sono meno gravi rispetto ai mesi scorsi.

Nonostante Omicron…

Certo. Omicron, che è stata molto contagiosa, ha avuto un’aggressività epidemiologica più lieve. Ed è stato così per i cittadini comuni e per gli sportivi. Bisogna pertanto prendere dei provvedimenti nel limitare le restrizioni. Il tutto però senza sottovalutare la cosa.

Cioè?

Il fatto che sia meno contagiosa, non deve farci dimenticare cosa è stata questa pandemia in passato. Non si deve abbassare la guardia. 

In caso di positività al Covid, cosa prevede la norma attuale per i corridori?

Dalla prima positività c’è uno stop di una settimana. Si fa un tampone, anche quello antigenico va bene. Se questo è negativo l’atleta può fare la visita di idoneità, la “Return to Play”. Se anche questo dice che tutto è okay, il corridore può riprendere la sua attività.

Anche se non hanno mai avuto sintomi devono fermarsi?

Sì: anche se non hanno avuto sintomi. Meglio che stiano fermi. Non dimentichiamo che i loro “motori” sono sempre spinti al massimo. E’ preferibile una ripresa graduale e moderata. Dopo il Covid, c’è chi è stato subito pronto e chi invece l’ha pagato un po’ di più e prima di tornare ad avere sensazioni piacevoli ci ha messo del tempo.

Giro d’Italia 2020, Giulio Ciccone si ritira. E’ accompagnato dal dottor Emilio Magni (all’epoca in Trek-Segafredo)
Giro d’Italia 2020, Giulio Ciccone si ritira. E’ accompagnato dal dottor Emilio Magni (all’epoca in Trek-Segafredo)
L’esempio di Ciccone al Giro 2020 è emblematico in tal senso. Giulio si allenò anche sotto Covid e nonostante fosse guarito aveva grosse difficoltà respiratorie in quel periodo. Quindi coloro che sono asintomatici non fanno neanche i rulli?

Attualmente no: il protocollo è abbastanza restrittivo. E’ meglio non fare niente, almeno all’inizio. Per fortuna abbiamo visto che quest’ultima ondata non si prolunga. Mediamente dopo 4-6 giorni ci si negativizza. Però, ripeto, anche se non ci sono sintomi, problemi più grandi sono dietro l’angolo.

Omicron è stata meno aggressiva perché c’erano i vaccini?

Grazie al vaccino sicuramente si va verso una remissione dei contagi. Ma ci si va anche perché le varianti di un virus, di base, sono una “sconfitta” per il virus stesso. Questo, per attecchire deve mutare e nel mutare perde forza, anche se qualche volta può creare comunque dei problemi.

Insomma, detto in parole molto povere, dottore, adesso possiamo paragonare il Covid all’influenza che arriva tutti gli anni?

Direi di sì. I sintomi sono pochi per fortuna. Ma mi rendo conto che anche psicologicamente dopo due anni di lotta non è facile. La si può paragonare ad un’influenza, ma è bene stare attenti.

Vaccino per (quasi) tutti, virus meno forte e una conoscenza maggiore del Covid: ci si auspica che presto anche gli atleti non siano fermati in caso di positività. E che addirittura si abbandoni il “concetto del tampone”. Ma come? Saranno i sintomi a determinare lo stato di un atleta? Vedremo la comunità scientifica come si proporrà. Intanto godiamoci il pubblico sulle strade che abbiamo rivisto in Belgio.

Come cambia la percezione della fatica col passare degli anni?

19.11.2021
5 min
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La fatica è l’anima del ciclismo. Il gioco è tutto lì, lo spettacolo è tutto lì. Ma le grandi storie derivano dal fatto che non sempre chi fa più fatica è anche colui (o colei) che vince. Anzi, spesso chi ne fa di più sono coloro che arrivano dietro. Ma a dare spettacolo è chi più resiste.

In un atleta, nel corso degli anni il rapporto con la fatica cambia. Si evolve, per assurdo può anche piacere, ma il più delle volte si arriva ad odiarla. E non sarebbe un qualcosa di strano, visto che è nella natura dell’essere umano cercare di farne il meno possibile.

Elisabetta Borgia già collaborava con la Trek-Segafredo, adesso è entrata a farne parte ufficialmente
Elisabetta Borgia già collaborava con la Trek-Segafredo, adesso è entrata a farne parte ufficialmente

Fatica ed età

Ma torniamo al ciclismo e poniamo la questione come cambi la percezione della fatica col passare degli anni ad Elisabetta Borgia, psicologa dello sport entrata ufficialmente a far parte della Trek-Segafredo.

«Da un punto di vista fisiologico – dice la Borgia – sappiamo che si fa più fatica sugli scatti, perché si perde esplosività. Estremizzando il concetto: si diventa più portati per le corse a tappe che per le classiche. Ma questa parte non è di mia competenza. Lo è quella mentale.

«La percezione della fatica nasce dalla consapevolezza di riuscire a starci, in quella zona di fatica appunto. Spesso sento dire dagli atleti: non riesco a fare fatica. Ebbene, molto dipende dalla motivazione e dal senso di autoefficacia che si ha. Il senso di autoefficacia è quanto ci si sente forti, per semplificare al massimo».

«Il rapporto con la fatica – riprende la Borgia – è strettamente personale. La differenza tra giovani e veterani potrebbe essere la fame di successi che si ha. E’ l’aspetto motivazionale, è il riuscire ad esprimersi sempre al massimo.

«Un atleta più maturo invece riesce magari anche a prevenire certe situazioni, ha una visione più equilibrata della corsa o di un determinato periodo e si crea le condizioni per raschiare meno il barile. Quando un giovane deve partire tre settimane per l’Australia dice: “Wow, che bello si parte”. Al corridore più esperto magari tutto ciò pesa: “Eh ma qui lascio la casa, non vedo i figli…”. Gli costa più fatica partire. E in qualche modo pensa già al suo “dopo lavoro”».

Stringere i denti. Lottare sino all’ultima goccia di sudore. L’età tende quindi a smussare questa attitudine, se così si può chiamare?

«Non credo che il mollare prima o dopo dipenda poi così tanto dall’età. Credo piuttosto dipenda dal soggetto. L’adulto magari non ha bisogno di fare fuorigiri in modo continuo come il giovane, perché l’adulto ci arriva di mestiere, sa tenersi qualcosa solo per quelle determinate situazioni. Ma se è motivato porta la sua fatica fino al limite».

Fatica e stress possono trasformarsi in paura
Fatica e stress possono trasformarsi in paura

Paura e blocco

Col passare degli anni si può avere “paura” di fare fatica? Il corpo, e di conseguenza la mente, la ripudiano.

«In fin dei conti il momento di fatica massima per un atleta è un momento molto importante. Il corridore si può sentire invincibile o vulnerabile.

«Invincibile, se per esempio, sta facendo tanta fatica ma è davanti da solo. In quel caso tutto gli viene bene e fare fatica quasi non gli costa.

«Vulnerabile, invece, quando è in un momento della corsa, della stagione o della carriera in cui fa tanta fatica ma non sta dove vorrebbe essere. In quel caso non riesce a raggiungere quel limite che ben conosce. I battiti cardiaci non salgono perché magari è stanco fisicamente o perché la mente non lo fa arrivare a quel limite perché non lo vuole più, perché è nauseato. Si crea un blocco».

La Borgia spiega che tutto ciò si risolve con degli approfondimenti e la prima cosa è risalire alle cause di questo blocco. Bisogna capire il perché. Bisogna capire se è un momento o se si è in una vera fase discendente della carriera. 

«In questo caso, se per esempio ti fa fatica fare anche le cose più piccole, devi accettare il fatto che magari non devi più correre. Di sicuro devi analizzare che tipo di paura hai nel far fatica: hai paura di tutto? Hai paura quando ti passano? Serve un’analisi approfondita».

Francesca Barale stremata dopo la crono iridata: il più delle volte i giovani riescono a dare anche più del 100%
Francesca Barale stremata dopo la crono iridata: il più delle volte i giovani riescono a dare anche più del 100%

Valverde, regola ed eccezione

Insomma, e lo dice anche la Borgia, c’è uno strettissimo legame tra fatica e motivazione. Sino a quando la motivazione è alta la percezione della fatica “tarda” ad arrivare o comunque in qualche modo è accettata. E questo a prescindere dall’età. E Valverde (foto in apertura) in qualche modo è sia colui che conferma la regola che l’eccezione.

«Un corridore come lui – conclude la Borgia – riesce ogni volta a rimodulare i suoi obiettivi e a trovare di conseguenza le giuste motivazioni. Ha la voglia di un ragazzino, pronto a rischiare in discesa, a stare manubrio contro manubrio e farsi tirare il collo. Nello specifico parliamo di un campione fisico e mentale.

«E’ come chiedere ad un atleta che ha vinto tutto cosa lo motiva. Pensare di vincere per una seconda o terza volta quella determinata gara non potrà avere lo stesso carico motivazionale e invece lui ci trova la stessa gratificazione che in altri atleti non trovi».

Sogni azzurri (infranti), colite e speranza: cosa dice Bettiol?

20.10.2021
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«Mi dispiace tanto per il mondiale, ma proprio tanto… Perché con me, e guarda un po’, anche con Trentin e Ballerini, nel finale saremmo stati davanti in sei e avremmo potuto giocare di superiorità numerica. lo scatto di Alaphilippe lo avrei tenuto di sicuro». Parole forti, parole decise e anche un po’ nostalgiche, quelle di Alberto Bettiol. Il corridore della EF Procycling poteva essere il gioiello degli azzurri a Leuven.

Il momento dei crampi per Bettiol a Tokyo (immagini Eurosport)
Il momento dei crampi per Bettiol a Tokyo (immagini Eurosport)

Quei crampi di Tokyo

Il corridore toscano è sparito dai radar dopo le Olimpiadi. Perché? Cosa lo ha tenuto lontano dalle corse? Alberto è tornato a soffrire della colite ulcerosa che lo aveva fortemente penalizzato già lo scorso inverno. È una patologia che lo aveva debilitato moltissimo. Solo in primavera si era ripreso e infatti al Giro d’Italia aveva conquistato la tappa più lunga, dominando nettamente il finale.


«Anche a Tokyo ho dimostrato che quando sto bene ci sono – racconta Bettiol – Però dopo quella gara ho cominciato a non stare più bene. Questi crampi che mi si presentavano così improvvisi non mi “tornavano”, non mi erano chiari. Pertanto ho fatto degli esami ulteriori per capire cosa stesse succedendo. E la risposta è stata che la cura che stavo facendo non andava più bene. Serviva qualcosa di più forte e di diverso.

«Ho dovuto fare una terapia ospedaliera, con delle flebo e del cortisone che chiaramente non mi permettevano di correre. Avrei dovuto fare un programma particolare e una procedura specifica con la squadra. Una procedura che tenesse conto di esenzioni e tempistiche per poter gareggiare. Come si sa in competizione il cortisone è considerato un dopante. Ma proprio in accordo con il team, tanto più che non potevo chiaramente allenarmi bene abbiamo deciso di fermarci prima».

Dopo le Olimpiadi Alberto è tornato a Livigno, ma dopo una settimana ha dovuto alzare bandiera bianca (foto Instagram)
Dopo le Olimpiadi Alberto è tornato a Livigno, ma dopo una settimana ha dovuto alzare bandiera bianca (foto Instagram)

Nuova terapia

Alberto parla di un iter piuttosto complesso fatto di entrate ed uscite in ospedale, giorni di riposo forzato per far attecchire meglio la terapia e tutta una serie di tempistiche da rispettare. Alla luce di tutto questo, partecipare al mondiale era davvero impossibile?
«Assolutamente sì – risponde deciso Bettiol – Come potevo allenarmi bene in quel modo? Dopo le Olimpiadi avrei dovuto fare la Vuelta, ma sentivo che non riuscivo ad allenarmi come dovevo. Così ho avvertito la squadra. Abbiamo rifatto il programma. A quel punto avrei fatto Eneco Tour e le gare italiane prima del mondiale.

«Così sono andato a Livigno, Ma anche lì non riuscivo ad allenarmi bene. Dopo una settimana l’ho comunicato alla squadra. E abbiamo deciso di fermarci, come vi ho detto, e in qualche modo di pensare già all’anno che verrà».

«Alla fine io sono sempre un po’ uscito in bici, adesso anche 3-4 volte a settimana. Sono andato anche in mountain bike. Uscite tranquille, giusto per mantenere, ma nulla più. Riprenderò la preparazione vera e propria a novembre».

Giro d’Italia 2021, a Stradella Bettiol stravince: «Quando sto bene – dice – tengo i migliori anche in salita»
Giro d’Italia 2021, a Stradella Bettiol stravince: «Quando sto bene – dice – tengo i migliori anche in salita»

Obiettivo: inverno sereno

Alberto è molto disponibile. Il suo timbro di voce nonostante sia ferito è comunque propositivo, cosa non proprio scontata. Tanto più perché con questa colite ulcerosa dovrà imparare a conviverci.

È facile andare giù di testa in queste situazioni. L’obiettivo principale adesso è quello di passare un buon inverno.

«Sì, senza dubbio l’obiettivo principale è quello di passare un inverno senza intoppi, anche perché sarebbero due di seguito. Iniziare a novembre è un po’ prestino, ma la mia idea è quella di poter correre il prossimo anno abbastanza presto».

«Di testa non è facile, credetemi – conclude Alberto – È vero dovrò imparare a conviverci con questo problema, però le ultime terapie sembrano funzionare bene. Addirittura vanno bene anche per il Covid per chi non può fare il vaccino».

«Mi dispiace tanto, soprattutto dopo aver visto com’è andato il mondiale. Poteva essere per me e per la nostra nazionale. Però è così… Chi mi è stato vicino? Le solite persone, la mia famiglia, la mia ragazza Greta, il mio ex diesse Gabriele Balducci, i miei amici. Devo dire che sono stato parecchio tempo in Toscana. Almeno in questo periodo di fermo ho approfittato per fare alcune cose che nel pieno della stagione non si fanno mai!».

Calzini, perché è sbagliato darli per scontati…

14.09.2021
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Scarpe e calzini da ciclismo sono un binomio indissolubile, le prime stanno facendo passi da gigante nell’evoluzione e nell’adattamento all’atleta. Ci sono modelli sempre più leggeri e resistenti. La traspirabilità è uno dei temi chiave, insieme però, al miglioramento del trasferimento di potenza dal corridore al pedale. Molto dello studio fatto dalle case produttrici di calzini è incentrato su questi argomenti: stabilità e trasferimento di potenza.

Per capire meglio quale sia il connubio tra scarpa e calza abbiamo chiesto l’intervento di Mauro Testa, biomeccanico di fama mondiale. Mauro è stato uno degli sviluppatori tecnici della pista di Tokyo che ha portato all’atletica azzurra due ori (nei 100 metri piani e nella staffetta maschile della 4×100). 

Qual è il rapporto tra calze e scarpe dopo le innovazioni tecniche avvenute in questi anni?

Bisogna partire dalla scarpa, negli anni abbiamo visto alleggerirsi la parte della tomaia, mentre la suola è andata sempre verso una maggiore rigidità. Questo per garantire un miglior trasferimento di potenza. Questo fatto però ha una controindicazione: la chiusura.

Lo studio di Mauro Testa è iniziato dall’analisi del piede
Lo studio di Mauro Testa è iniziato dall’analisi del piede
In che senso?

Se il mio piede appoggia su un corpo rigido e stringo la scarpa fino in fondo, ovvero il massimo grado di chiusura, costringerò lo stesso ad avere poca elasticità, e quindi un effetto negativo, di dolore e formicolio.

Ci spieghi meglio…

Il piede ha numerosissime ossa, 28 per la precisione. Queste accumulano energia potenziale elastica e la trasferiscono poi alla suola e di conseguenza al pedale. Stringendo troppo il rotore o il velcro, si blocca il piede ma lo si fa nel modo sbagliato, poiché non accumula più energia elastica e provoca fastidio al ciclista.

Come si può risolvere questo problema?

Noi di Biomoove abbiamo pensato di inserire alla base dei calzini una parte in silicone antiscivolo, questa soluzione permette di fermare il piede anche senza stringere eccessivamente la scarpa. 

Quali sono le altre problematiche che avete riscontrato?

Sono due principalmente: il ritorno venoso e la stabilità del polpaccio.

Partiamo dal ritorno venoso

Il corpo umano per far risalire il sangue si basa sul ritorno venoso: un liquido tende a trasferirsi da un punto di alta pressione ad uno di bassa. Quando siamo in piedi la pressione è maggiore nella zona dei piedi e questa spinge il sangue verso zone di minor pressione:, testa e cuore. Al contrario, in bici la pressione maggiore è sulla sella ed il sangue deve essere trasferito nelle zone periferiche, facilitando il ritorno venoso nella zona dei piedi si facilita la circolazione. 

E per quanto riguarda la stabilità del polpaccio?

Nel pedalare su strada il polpaccio subisce delle piccole scosse, il nostro sistema nervoso centrale tende a salvaguardare il corpo. Per stabilizzare il muscolo si sforzano le fibre rosse, quelle veloci, così da non dislocare il polpaccio, questo però influisce negativamente sulle prestazioni dell’atleta.

Van der Poel fermato dalla schiena? Problema serio

01.09.2021
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Molti ciclisti professionisti sono caduti preda del mal di schiena, una patologia che causa molto dolore e che può portare anche all’interruzione dell’attività agonistica per periodi abbastanza lunghi, se non curata in tempo. Da Pinot a Bernal, passando, infine, per Van Der Poel (che ci è anche caduto sopra e rischia un lungo stop): tutti sono colpiti da dolori alla schiena.

Abbiamo interpellato il dottor Massimo Besnati, medico della nazionale italiana, per capire le cause di queste patologie. Non tutte sono uguali e le cause vanno ricercate un po’ ovunque, ecco cosa abbiamo scoperto.

Il massaggio alla schiena consente di scaricare molte tensioni ed è anche preventivo (foto Andrea Righeschi)
Il massaggio alla schiena consente di scaricare molte tensioni ed è anche preventivo (foto Andrea Righeschi)
Dottore, i tre atleti sopra citati hanno sofferto di mal di schiena, ma le cause sono diverse immaginiamo…

Assolutamente, bisogna fare una distinzione tra chi corre su strada e chi corre su terreni sconnessi, come Mtb o ciclocross. La superficie su cui si pedala influenza notevolmente la risposta del fisico. Per esempio: dopo una Roubaix il 98 per cento dei corridori soffre di mal di braccia e dolori cervicali, in una corsa su strada invece i corridori che soffrono per un problema di questo tipo sono pochissimi. Si contano sulle dita di una mano.

Come si può curare o evitare il mal di schiena?

Partiamo con l’evitare, quindi la prevenzione. Lo studio del soggetto è fondamentale, bisogna capire se l’atleta è portato ad avere disturbi o patologie anche senza effettuare attività fisica. Il passo successivo passa per il posizionamento biomeccanico e la messa in sella. Come dico spesso è la bici che si deve adattare all’atleta e non viceversa.

Una volta in corsa, invece, come si agisce?

C’è ancora una parte decisiva, legata alla biomeccanica, ovvero la pedalata. Se un atleta tende ad accompagnare con il busto ogni singola pedalata andrà ad affaticare oltremodo la schiena, questo però è legato anche alle abitudini dei singoli. E’ difficile cambiarle, si possono però prevenire.

Gli allenamenti del core zone non andrebbero mai abbandonati, neanche in piena stagione
Gli allenamenti del core zone non andrebbero mai abbandonati, neanche in piena stagione
E come?

Per tutti i ciclisti è fondamentale la fase di stretching dopo l’attività fisica. Generalmente si fa del defaticamento sui rulli e poi in pullman si prosegue con delle estensioni. Queste servono ad allungare la muscolatura compressa durante lo sforzo.

Invece per quanto riguarda le attività di supporto? Come il rafforzamento in palestra?

Non serve ammazzarsi di pesi, la cosa migliore è allenare il core che è l’insieme della muscolatura interessata alla specifica pratica sportiva, quindi schiena, spalle, addominali e braccia. Si tratta di stimolare quelli che sono i punti di sostegno.

Per quanto riguarda invece la doppia disciplina, quali sono le accortezze da attuare?

Qui è diverso, come detto all’inizio. Il tipo di terreno su cui si corre influisce su quelli che possono essere disturbi muscolari. Chi pratica la doppia disciplina, come Van Der Poel, deve avere sempre un periodo di transizione da strada e sterrato e viceversa. Si tratta di due o tre settimane in cui l’atleta deve far adattare il proprio fisico a quel determinato sforzo, quindi, non deve correre ma allenarsi a ritmi più blandi per permettere questo adattamento.

Ma questo periodo di transizione dovrà farlo sempre?

Sì, non importa quanto sei forte e allenato. Anzi più passano gli anni, più sarà necessario. Ora il corridore (Van Der Poel, ndr) è giovane, ma andando avanti con gli anni perderà la capacità elastica dei muscoli.

Il trenino delle ragazze prende le misure e punta su Parigi

04.08.2021
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Seste al mondo nella loro prima Olimpiade. Un gruppo giovane e affiatato, che nel mirino ha già Parigi 2024, ma che ieri al velodromo di Izu ha cominciato a prendere le misure col podio a cinque cerchi per farsi trovare preparato tra tre anni, proprio come avevano fatto i colleghi uomini, quinti nel 2016 a Rio e fra poche ore in pista per inseguire un sogno tutto d’oro.

Letizia Paternoster, Elisa Balsamo, Vittoria Guazzini e Rachele Barbieri hanno migliorato di più di un secondo il record italiano (4’10”063) nella sfida che valeva la finale, ma la Germania (poi medaglia d’oro) era inarrivabile e l’ha dimostrato anche nell’atto conclusivo in cui ha realizzato il secondo record del mondo in meno di due ore: 4’04”242 il nuovo limite planetario

Salvoldi sapeva bene da subito che Tokyo sarebbe stato una tappa verso Parigi 2024
Salvoldi sapeva bene da subito che Tokyo sarebbe stato una tappa verso Parigi 2024

Obiettivo Parigi

Così Letizia Paternoster: «Un po’ di rammarico c’è, però siamo serene per la nostra prestazione e di quello che abbiamo dato, perché ci siamo migliorate di più di un secondo dal precedente primato e avremmo battuto il record del mondo di Rio 2016. Solo quello era impensabile per noi, per cui siamo felici. Più di così non potevamo fare, le gambe che abbiamo sono queste». 

Le fa eco Elisa Balsamo: «Sono contenta, ho tirato più lungo di ieri e anche più forte. Forse dobbiamo ancora migliorare per restare ancor più compatte nelle prime fasi di gara, per cui lavoreremo su questo».

Paternoster, Balsamo, Guazzini: ultime pedalate del quartetto alle Olimpiadi di Tokyo
Paternoster, Balsamo, Guazzini: ultime pedalate del quartetto alle Olimpiadi di Tokyo

Tutto possibile

Nella finalina per il 5° posto poi, L’Italia si è arresa all’Australia, chiudendo in 4’11”108. Il ct Dino Salvoldi ha schierato Martina Alzini al posto di Rachele Barbieri. Le ragazze scendono dalla sella e prende la parola Elisa Balsamo. «Penso di parlare a nome di tutte – spiega – nel dire che non ce l’aspettavamo di fare questo tempo. Alla fine, abbiamo confermato che 4’10” o 4’11” ormai è nelle nostre gambe perché l’abbiamo fatto ben tre volte. Poi, ovviamente, abbiamo perso questa finalina e c’è un po’ delusione. Il livello è altissimo e nelle altre gare, che sono più di situazione, può succedere di tutto». 

Prima esperienza anche per Rachele Barbieri, la new entry del quartetto
Prima esperienza anche per Rachele Barbieri, la new entry del quartetto

Battesimo di fuoco

Racconta così la sua prova Rachele Barbieri, la ragazza delle Fiamme Oro arrivata a Tokyo scalando la piramide a suon di risultati.

«Era da diverso tempo che non correvo un quartetto – dice – e farlo alle Olimpiadi é stato qualcosa di speciale. Ho lavorato davvero duro per farmi trovare pronta per salire in pista e dare il 110 per cento e così è stato. Purtroppo sarebbe servita un po’ più di gamba nella seconda tirata per fare un ottimo lavoro (da parte mia). Sono partita molto forte, le ho lasciate molto veloci, nel primo quartetto sono riuscita a tirare un giro e mezzo e sono stata molto contenta, un po’ in calo l’ultima parte ma é uno sforzo duro e ho dato il massimo. Contro la Germania sono partita più forte, abbiamo girato a tempi che non avevamo mai visto prima e quando mi sono ritrovata davanti a tirare è stata dura, ma ho dato tutto quello che avevo. Vittoria ed Elisa (Guazzini e Balsamo, ndr) sono state fenomenali. Spero di rimanere a questo livello e accumulare più esperienza possibile nei quartetti per arrivare ai prossimi importanti appuntamenti».

Al parco giochi

Sorride Martina Alzini, all’esordio a cinque cerchi: «Sono molto contenta perché con questo gruppo non sono mesi, ma anni che lavoriamo insieme e possiamo dire che quest’Olimpiade è stata come una cosa costruita mattone per mattone, partita dagli Europei di Glasgow che è stata la prima qualifica, fino ad arrivare a oggi. Guardando la finale, leggevo le età delle nostre avversarie e dico che non abbiamo nulla da invidiare perché abbiamo tanti anni per migliorare noi stesse. Essendo la prima esperienza per me, come per tutte le altre, mi sentivo come al parco giochi perché nulla può competere con la magia dell’Olimpiade. Parigi è fra tre anni e speriamo di arrivare dove vogliamo».

Per alcune le Olimpiadi continuano: Salvoldi deciderà oggi quali ragazze schierare
Per alcune le Olimpiadi continuano: Salvoldi deciderà oggi quali ragazze schierare

Tokyo continua

Per le altre, invece, le gare non sono ancora finite e Letizia non vede l’ora di tornare in pista: «Sono super carica, non vedo l’ora di affrontare i prossimi impegni, perché le sensazioni stanno migliorando dopo un anno brutto e crudele. La testa è già lì, anche se non sappiamo ancora chi correrà». Al cittì Salvoldi l’ardua scelta, fra poco ne sapremo di più e ve ne daremo conto.

Parte la Vuelta, cosa c’è nella valigia del dottore?

04.08.2021
7 min
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La prossima settimana parte la Vuelta. E come in passato abbiamo chiesto ai meccanici cosa mettano nella cassetta degli attrezzi e ai massaggiatori cosa portino nella borsa delle creme, questa volta ci siamo concentrati sul medico. E ci siamo intrattenuti con Luca Pollastri, 37 anni di Castello di Brianza (Lecco), medico del Team Bike Exchange, per sapere come sia fatta e cosa contenga la valigia del medico che a sua volta parte per un grande Giro. Pollastri è già in Spagna. Ha seguito la squadra a San Sebastian e ora alla Vuelta Burgos. Poi sarà tempo di Vuelta España.

«Abbiamo una valigia che contiene le medicazioni – spiega – e che rimane normalmente sul mezzo anche durante la competizione e una valigia, che la sera portiamo in camera, in cui ci sono i farmaci per gli interventi più comuni. Poi c’è una piccola quantità di farmaci che segue sempre il medico. Sono quelli che usiamo per le urgenze e alcuni sono all’interno della lista Wada, per cui non li lasciamo mai incustoditi. Quindi diciamo che teniamo separate le medicazioni che sono sempre sul bus e possono essere anche disposizione di altro personale che magari può dare una mano se non siamo presenti».

Luca Pollastri alla Vuelta Burgos con Damien Howson
Luca Pollastri alla Vuelta Burgos con Damien Howson
Quali sono gli interventi ordinari che si fanno in corsa?

Dobbiamo distinguere fra quelli traumatici, quindi causati da cadute, e poi quelli possiamo definire medici. Quando si cade, si passa dalle abrasioni superficiali alle ferite più profonde che magari necessitano anche un passaggio ospedaliero, quando addirittura non intervengono fratture. Se parliamo di abrasioni, anche dopo il passaggio in ospedale, dobbiamo garantire che non vi sia nessuna infezione nonostante i ragazzi prendano acqua e polvere.

Si dice che i corridori abbiano la soglia del dolore molto alta, per cui ripartirebbero in qualunque condizione.

Uno dei passaggi più importanti e spinosi è proprio quello di capire quando un atleta può tornare a gareggiare o no. Se può riprendere la corsa, che in caso di caduta è responsabilità del medico di gara. Però quando la scelta si sposta al termine la competizione, sta a noi decidere se ci sono le condizioni fisiche adeguate per andare avanti. A volte le opinioni possono essere diverse, per quelle che sono le aspettative dell’atleta che a volte superano la buona logica e la buona pratica medica. Quando racconto ad amici come alcuni siano riusciti a terminare alcune gare per svolgere sino in fondo il proprio compito, che magari semplicemente era aiutare il capitano, quasi non ci credono. 

Al Catalunya di quest’anno, Rui Costa completamente “pelato” riparte stringendo i denti
Al Catalunya di quest’anno, Rui Costa completamente “pelato” riparte stringendo i denti
Quali sono le altre problematiche?

Problemi intestinali e infezioni delle alte vie respiratorie sono le più frequenti. Poi ci sono gli sfregamenti nella regione perineale a contatto con la sella, che subisce uno stress molto importante e merita un’attenzione particolare, perché sono problemi che potrebbero impedire di performare bene. Per il resto, pensiamo a ogni cosa possa accadere a una persona che fa attività sportiva. Nella nostra valigia abbiamo anche degli antibiotici perché possono verificarsi infezioni. Abbiamo prodotti specifici per l’asma. Di solito però cerchiamo di lavorare in modo preventivo, anche per problemi apparentemente banali come una micosi alle dita dei piedi, che potrebbe rendere abbastanza difficile stare per 5 ore con gli scarpini stretti. E poi ci sono terapie per le urgenze, come gli antistaminici per eventuali allergie, fino al defibrillatore che teniamo sul pullman.

Hai parlato di problemi intestinali, cosa si fa se arrivano?

Si agisce con il supporto del nutrizionista e dello chef, cerchiamo delle strategie alternative di nutrizione perché mangino quel minimo che serve per andare avanti. Si ragiona molto sulle ore di corsa, si gestisce in funzione di esse ad esempio anche la dissenteria. La flora batterica cambia durante le tre settimane e cambia anche la loro dieta che diventa prevalentemente a base di carboidrati. Quindi può capitare che avvertano gonfiore o anche solo una pesantezza che riduce la voglia di ingerire qualsiasi cosa, che però va evitato assolutamente. Per cui si ricorda loro di mangiare durante la corsa: una cosa che fanno soprattutto i direttori sportivi che lo hanno capito bene. E spesso via radio, soprattutto a fronte di giornate particolarmente impegnative o calde, gli impediscono di svuotarsi. Come dicevo, è un lavoro di prevenzione.

Come si fa?

Dobbiamo fare in modo che non sorgano questi problemi. Si parte dalla ricerca quasi maniacale di igiene nel cibo, anche se non tutto si può evitare. Quando piove o ci sono giornate molto polverose, i ragazzi sono i primi che vengono a dirti a fine tappa di aver mangiato un sacco di schifezze…

Al Giro d’Italia, Battistella ha convissuto a lungo con una gastrite che gli impediva di mangiare
Al Giro d’Italia, Battistella ha convissuto a lungo con una gastrite che gli impediva di mangiare
Quanto è importante la comunicazione con l’atleta? Di fatto è lui che deve accorgersi del sintomo…

Avendo cambiato squadra quest’anno (fino al 2020 il dottor Pollastri era al Team Bahrain, ndr) una delle difficoltà più importante è proprio capire e riconoscere queste piccole sfaccettature. Ci sono atleti che segnalano la minima problematica, quindi c’è tutto il tempo per intervenire tempestivamente. E altri che si lamentano solo quando non ne possono più, quando è tardi. Non amo questa modalità, però ognuno è fatto a modo suo. Una volta che li conosciamo bene, sappiamo che quando la sera facciamo il nostro giro delle camere, dobbiamo stimolarne alcuni maggiormente per tirargli fuori se c’è qualche problemino. E’ una delle parti più belle, nel conoscerli e lavorarci in sintonia.

Quanti contatti ravvicinati si hanno nella giornata durante un Giro?

Il giro delle stanze serale si fa tutti i giorni. Poi li vediamo la mattina, prima o dopo colazione. Prima della corsa e nell’immediato post gara una volta sul bus. Almeno questi 4-5 appuntamenti sono fissi.

Con la conoscenza aumenta la capacità di riconoscere il disagio?

Si coglie dalle diverse modalità con cui si rivolgono agli altri membri dello staff, ai compagni e a noi medici. Sono sfumature, si vedono, ma anche noi dobbiamo essere bravi a trovare la giusta empatia perché non tutti i momenti sono uguali.

Al Tour 2021, nella prima tappa maxi caduta: Lemoine non riparte, fermato dal medico di gara
Al Tour 2021, nella prima tappa maxi caduta: Lemoine non riparte, fermato dal medico di gara
Il corridore parte per la Vuelta portando con sé i farmaci di cui ha bisogno?

No, per regolamento sanitario interno, non possono portare farmaci, se non quelli autorizzati e prescritti per una terapia cronica che hanno già in corso e che quindi fanno anche a casa. Tutto il resto viene fornito dal medico. E questo è il nostro compito, avere come dicevo prima tutto ciò che può servire, sia dal punto di vista dei medicinali sia dell’integrazione. Forniamo tutto noi, attingendo dalla famosa valigia, anche per la semplice aspirina.

Ci sono rapporti tra il medico della squadra e il medico di gara?

C’è uno scambio di dati. Diciamo che se le cose vanno bene, non c’è grandissima interazione. Se invece c’è un problema, soprattutto se ci servono altre informazioni che non abbiamo potuto valutare perché non eravamo presenti, a quel punto ci mettiamo in contatto e cerchiamo le informazioni necessarie. Adesso si parla tanto della concussione cerebrale e a volte conoscere l’esatta modalità con cui è avvenuto un incidente o comunque come il collega è intervenuto, può servire per decidere se e come continuare.

In Spagna andrete incontro a giornate molto calde, cosa si fa?

Si cerca assolutamente di operare preventivamente, nel senso che si cerca di attuare delle pratiche che possono portare una preparazione adeguata. La stessa Vuelta a Burgos che stiamo facendo ha lo scopo di far abituare al grande caldo i corridori che poi faranno la Vuelta, per ottenere un adattamento a queste temperature. Poi ci sono da valutare le problematiche cutanee legate all’esposizione solare, ma è qualcosa su cui non devo spingere troppo in questa squadra. Perché gli australiani sono molto attenti e difficilmente si scottano. In più ci sono i massaggiatori che ci danno una mano. Per la tappa di oggi avevamo chiesto in hotel di avere un sacco con 25 chili di ghiaccio per tenere in freddo le bevande e anche per metterlo in piccoli sacchetti che al rifornimento si passano ai corridori perché possano metterli sotto la maglia sul collo.

L’intervento leggero del medico di gara viene riferito in squadra dal corridore
L’intervento leggero del medico di gara viene riferito in squadra dal corridore
Si fa ancora la pesata mattutina per valutare la disidratazione?

Sempre. La mattina valutiamo il peso specifico delle urine e confrontiamo il peso pre e post gara, quindi raccogliamo una serie di informazioni che ci permettono di agire di concerto con i nutrizionisti e i massaggiatori. Non potremmo fare tutto da soli. E soprattutto è proprio bello lavorare con massaggiatori che hanno un’esperienza importante di anni e conoscono anche qualche trucchino da suggerirci, qualche modalità per sfuggire dal caldo.

C’è differenza fra squadre italiane e straniere, oppure ormai nel WorldTour anche il lavoro medico è allineato?

C’è grande omogeneità. Forse l’ambiente più anglosassone richiede protocolli un po’ più definiti, ma le modalità di lavoro non cambiano molto. Lo scorso anno con il Bahrain e l’arrivo di Ellingworth si era messo tutto un po’ più per iscritto. Senza poi in realtà sconvolgere le modalità di lavoro, ma per avere un riferimento nero su bianco a cui tutti potessero attingere nel momento in cui ci fossero dubbi: questa è forse la più grande differenza. Poi dal punto di vista operativo non posso dire che ci siano grosse differenze perché ormai ogni squadra a livello internazionale si è allineata agli stessi standard.

Tutto pronto per la Vuelta?

Sono in Spagna già da una settimana, ho dovuto preparare una valigia davvero grande. Ma per fortuna a metà Vuelta mi daranno il cambio. Un mesetto fuori però non me lo toglie nessuno…

Si avvicina il “fine lavori” del nuovo Fisioradi Center

17.07.2021
3 min
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Lavori in via di conclusione per la nuova, bellissima sede del Fisioradi Center: il poliambulatorio specialistico multifunzionale e centro di riabilitazione con sede a Pesaro. E proprio a Pesaro, tra la fine agosto e i primi di settembre la struttura di Maurizio Radi traslocherà nella sua nuova “casa” in Via Lambro, nel quartiere Vismara.

Il progetto del nuovo centro di Via Lambro
Il progetto del nuovo centro di Via Lambro

Ristrutturazione da record

«Il nuovo centro – ha dichiarato a bici.PRO Maurizio Radi – fornirà moltissimi servizi in più. Soprattutto quelli che riguardano lo sport, e il ciclismo in particolare, che rimarrà un pilastro fondamentale della nostra attività. Anzi, rilanceremo. Offriremo servizi non solo da un punto di vista strettamente sanitario. Ci stiamo difatti organizzando per poter offrire ai nostri pazienti una copertura a 360 gradi».

La realizzazione del nuovo Fisioradi Center ha inoltre segnato un record del tutto particolare. Pensate, la progettazione ha avuto inizio ai primi giorni di settembre del 2020 (l’Architetto che segue i lavori è Ferdinando Leoni), mentre il cantiere per l’effettivo “start” dei lavori è partito il 15 marzo scorso. Ebbene, per poter consegnare la struttura entro il mese di luglio spesso hanno lavorato simultaneamente in cantiere anche 32 operai! 

Un altro rendering degli interni del centro di Pesaro
Un altro rendering degli interni del centro di Pesaro

Efficienza energetica totale

Il nuovo Fisioradi Center sorgerà sulle ceneri di un vecchio capannone artigianale. Gli uffici sono collocati al piano superiore della palazzina principale. La diagnostica (Raggi X, Mammografia, TAC, Risonanza Magnetica, MOC) invece andrà in quello inferiore.

Nell’area posteriore occupata dal precedente capannone troveranno spazio gli ambulatori, mentre nella parte nuova verranno collocate le vasche terapeutiche. Il nuovo edificio è stato completamente ristrutturato seguendo le pratiche più aggiornate sia in tema di adeguamento sismico (l’intera struttura è slegata nei quattro settori) che di efficientamento energetico. Sono stati installati pannelli fotovoltaici sulla copertura ed è stato creato un notevole cappotto termico attorno alla struttura.

Con Fisioradi benessere garantito per tutti: dal professionista all’amatore
Con Fisioradi benessere garantito per tutti: dal professionista all’amatore

Fisioradi: crescita senza sosta

Il Poliambulatorio Fisioradi Center è nato nel 2001 a Pesaro grazie all’intuizione di Maurizio Radi (fisioterapista, osteopata, chiropratico, chinesiologo). L’obiettivo era di strutturare il centro in maniera completa al fine di poter liberare dal dolore chiunque si affidasse alle sue mani, garantendo ai pazienti di ritornare nel più breve tempo possibile alla propria vita.

Il centro è stato ben presto frequentato da campioni di basket e ciclismo, oltre che da professionisti del calcio, del volley e del rugby. Spinto dalla volontà di creare qualcosa di importante, con il passare degli anni, Radi ha pensato di creare un centro innovativo. Un centro che in questi 20 anni ha subito una costante crescita e diverse ristrutturazioni per potersi mantenere sempre… un passo avanti.
Oggi, gli specialisti medici “in squadra” con Fisioradi Center sono oltre quaranta, andando a coprire la maggior parte delle branche e rappresentando così un vero e proprio punto di riferimento sul territorio per quanto riguarda la salute delle persone.


fisioradi

Thomas e la lussazione della spalla. Di cosa si tratta?

06.07.2021
4 min
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Thomas che cade nella terza tappa del Tour e riporta la lussazione della spalla, come gli era già successo in allenamento nel dicembre del 2020. Gli esce la spalla, in gergo si dice così. Ma si rialza, è dolorante eppure riparte e giorno dopo giorno recupera fino ad essere in grado di fare il forcing che tutti abbiamo visto verso Tignes. Ma in cosa consiste la lussazione della spalla? Abbiamo chiesto l’intervento del dottor Maurizio Radi, Fisioterapista Osteopata, titolare del Centro Fisioradi di Pesaro, che tra l’altro ha da poco inaugurato la nuova sede. Ecco che cosa ci ha detto.

Cinque articolazioni

La spalla è un complesso articolare composto da 5 articolazioni – Acromion-clavicolare, Scapola-toracica, Gleno-omerale, Sterno-clavicolare, Sottodeltoidea – la più importante delle quali è quella scapolo-omerale, che collega l’omero alla scapola.

Il movimento della spalla è reso possibile da ben 26 muscoli. Essi sono in grado di eseguire movimenti davvero complessi. Nonostante sia protetta da molte strutture anatomiche che comprendono i muscoli, i tendini ed i legamenti, quella scapolo-omerale è una delle più instabili del nostro corpo. Essa infatti è dotata di grande ampiezza di movimento.

Ecco l’immagine tipica della fuoriuscita della testa dell’omero
Ecco l’immagine tipica della fuoriuscita della testa dell’omero

La lussazione della spalla

La lussazione è un evento traumatico che causa la perdita permanente dei rapporti fra le ossa di un’articolazione. Conseguenze possono essere la rottura della capsula e dei legamenti che stabilizzano l’articolazione. In tali lesioni si possono associare anche quella della cartilagine, dei vasi, delle ossa, dei nervi.

La lussazione della spalla è pertanto quell’infortunio caratterizzato dalla fuoriuscita permanente della testa dell’omero dalla cavità glenoidea della scapola. Si tratta della cavità dove solitamente alloggia per formare la cosiddetta articolazione scapolo-omerale. Viene chiamata anche lussazione gleno-omerale.

Due tipologie

Esistono due tipologie. La lussazione anteriore della spalla, in cui la testa dell’omero fuoriesce dalla cavità glenoidea della spalla spostandosi in avanti e verso il basso. E la lussazione posteriore della spalla, in cui la testa dell’omero fuoriesce dalla cavità glenoidea della spalla spostandosi dietro 

La lussazione anteriore della spalla è la tipologia di lussazione della spalla più comune. Essa caratterizza il 95 per cento di tutti i casi di lussazione della spalla. 

La manovra per rimettere la spalla nella sua sede va eseguita da personale qualificato
La manovra per rimettere la spalla nella sua sede va eseguita da personale qualificato

Sintomi e diagnosi

La diagnosi di lussazione è semplice ed immediata. Il danno infatti è visibile ad occhio nudo. I sintomi, tipici di ogni caduta sono dolore violento, impossibilità di movimento dell’arto, il braccio rimane penzolante vicino al corpo, oppure palpando la spalla non si avverte più la sua caratteristica rotondità. L’intervento più frequente in questi casi è il riposizionamento. Esso deve sempre essere effettuato da personale esperto con una manovra particolare. E’ buona norma sottoporre prima il paziente ad una radiografia (inutile dire che in caso di caduta durante una corsa, la spalla viene rimessa nella sua sede senza tale esame, ndr).

Approccio conservativo o chirurgico

In caso di prima lussazione, l’approccio è quasi sempre con terapia conservativa. Perciò, dopo il corretto riposizionamento dell’omero nella sua sede naturale, il braccio verrà immobilizzato tramite un tutore. Suo compito sarà tenere il braccio aderente al corpo per circa due settimane.

Dopo questo primo periodo, è bene procedere ad una corretta riabilitazione dell’articolazione. L’obiettivo sono il recupero totale dei movimenti ed un adeguato rinforzo muscolare per stabilizzare l’articolazione ed evitare incidenti simili in futuro.

La lussazione della spalla può tuttavia causare il distacco del cosiddetto “labbro glenoideo”. Si tratta di una piccola guarnizione che garantisce lo scivolamento dell’omero nella cavità glenoidea.

Questa struttura cartilaginea può cicatrizzare e riposizionarsi nella sede corretta. Tuttavia può anche succedere che guarendo assuma una scorretta posizione o che non cicatrizzi. Questo può portare ulteriori problemi e lussazioni. Quindi nei soggetti giovani e nei soggetti sportivi soprattutto professionisti, va fatta una corretta valutazione. In molti casi si tende ad intervenire chirurgicamente per stabilizzare l’articolazione, scongiurando eventuali recidive.

Un tutore terrà il braccio aderente al corpo per circa due settimane
Un tutore terrà il braccio aderente al corpo per circa due settimane

L’intervento

Di solito l’intervento viene effettuato in artroscopia. La spalla deve restare immobilizzata per circa 3/4 settimane, dopo di che il soggetto verrà sottoposto a sedute di fisioterapia e riabilitazione. Si recuperano così il movimento articolare, il tono muscolare ed il gesto motorio necessari per la ripresa della attività lavorativa e/o sportiva. Questa fase può durare indicativamente 3/4 mesi. Un tempo indispensabile per stabilizzare adeguatamente la spalla.