In viaggio con Biz nel mondo del Caneva

17.04.2021
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C’era una volta la Record Cucine Caneva, con la maglia gialla, nera e bianca. Correvano con quei colori corridori come Lombardi, Piepoli, Colombo e Contri, Cerioli e Villa, Conte e Tomi, Galati e Di Lorenzo, Di Luca, Perez Cuapio, Spezialetti, Valjavec… Li guidavano Ezio Piccoli, detto “Stecca, unico al mondo” e Gianni Biz. Il primo sull’ammiraglia con la sua storia di gelataio in Germania. Il secondo dalla sua panetteria di Caneva, ancora di proprietà della famiglia. Li incontravi alle corse e mettevano soggezione come oggi la Ineos.

«Mi racconta l’avvocato Celestino Salami – sorride Michele Biz – che in quegli anni era dilettante in Veneto, che quando arrivava il Caneva e scendevano dai furgoni, i rivali erano subito in soggezione. Questa cosa, facendo le dovute proporzioni, è la stessa che capita oggi ai nostri ragazzi quando arrivano altre squadre più vittoriose. I nostri tecnici non si capacitano, come probabilmente non si capacitavano gli altri direttori in quegli anni. Però ci sono molti ex che pubblicano sui social le loro foto di quegli anni. Un po’ per nostalgia e un po’ per senso di appartenenza a una squadra che aveva dei numeri importanti in un ciclismo diverso e in un mondo diverso».

Stefano Benedet, ha mostrato buona condizione al Giro Primavera
Stefano Benedet, ha mostrato buona condizione al Giro Primavera

Nuovo corso

Quel mondo iniziò a sgretolarsi. Prima quando venne meno il supporto della Record Cucine, poi nel 2012 con la morte di Gianni Biz ad appena 69 anni, mentre fu nel 2017 quando se ne andò anche Piccoli che svanì l’ultimo sprazzo di memoria. Oggi la Gottardo Giochi Caneva è una società che opera con allievi e juniores e dall’anno scorso ha rivolto lo sguardo ai giovanissimi: non ancora con finalità agonistiche, ma per il gusto di mettere in bici anche i più piccoli.

Al timone dell’antico vascello è salito Michele Biz, figlio di Gianni. Perché nel ciclismo nulla è mai per caso.

Come va, Michele?

Siamo ripartiti. Vista la penuria di gare, ci siamo rimboccati le maniche e assieme ad altre cinque società abbiamo cominciato a organizzarne noi, badando all’essenziale. Quindi rimanendo nei confini comunali, in modo da ottenere facilmente tutti i permessi. Bisogna che la Federazione capisca come è cambiata la categoria juniores. Erano 10 anni che non organizzavamo qualcosa, ma c’era un valido motivo. Abbiamo riproposto il percorso che facevamo in notturna con i dilettanti a Stevenà. Quasi mille metri di dislivello, temevo fosse troppo, ma è piaciuta e magari la riproporremo.

Nove juniores affidati a Stefano Lessi e 11 allievi per Nunzio Cucinotta
Nove juniores affidati a Lessi e 11 allievi per Cucinotta
Bisogna che la Federazione capisca come è cambiata la categoria juniores…

E’ evidente che gli juniores stiano acquistando peso. La categoria U23 ormai è appannaggio delle continental e sempre più ragazzi approdano al professionismo senza neanche passarci. All’estero alcune squadre WorldTour non si limitano ad avere la squadra U23, ma rivolgono lo sguardo ai più giovani. Da noi ci sono i problemi di tesseramento e un calendario che non permette di lavorare bene, basti pensare che abbiamo due internazionali a maggio-giugno che creano problemi a chi va a scuola. I 17-18 anni sono un’età particolare.

Pensi ci sia la volontà di metterci mano?

Ho parlato con Roberto Amadio, che è a capo della Struttura tecnica. Si è messo a studiare ed è venuto alle nostre corse per vedere e ascoltarci e questo è molto positivo. Anche quando era nella Liquigas, è sempre stato attento ai giovani e poi ha fatto con noi tutta la carriera giovanile. La sua scelta probabilmente fa capire che c’è dietro un disegno. Tanto per occupare un posto, ne avrebbero avuti di nomi…

Foto di azione per Perin, uno dei nove juniores
Foto di azione per Perin, uno dei nove juniores
Come va il ciclismo a Caneva?

Stiamo vivendo anni di carestia. Nelle ultime cinque stagioni abbiamo avuto poche vittorie, ma di qualità. Se una squadra riesce a fissare e centrare gli obiettivi che sono alla sua portata, vuol dire che è consapevole dei suoi mezzi. E noi lo siamo. Abbiamo un bel gruppo di allievi che renderà in prospettiva e negli juniores abbiamo dei ragazzi che altrove non si sono espressi e che vogliamo far crescere come uomini.

Chi li guida?

Con gli allievi c’è Nunzio, il papà di Claudio Cucinotta, che ha l’esperienza e l’età giuste. Con gli juniores abbiamo Stefano Lessi, che ha 31 anni, ha fatto il corridore e per come ragiona sembra anche più maturo.

I ragazzi hanno la consapevolezza del grande passato della società?

Non troppo, li vedo più presi ad ammirare i ragazzi della Borgo Molino, come un tempo altri ammiravano il Caneva. Ma noi andiamo avanti a costruire. Abbiamo degli amici come i nostri sponsor che credono nel progetto e senza i quali non si potrebbe fare molto. E speriamo di esser bravi a ricostruire quella grandezza, perché domani anche i ragazzi di oggi abbiamo il senso di appartenenza dei ragazzi di ieri.

Con Amadio i pro’ entrano in Federazione

25.03.2021
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La sua nomina ha destato molta sorpresa: nella prima riunione del nuovo consiglio federale, Roberto Amadio è stato nominato Presidente della Struttura Tecnica Nazionale Strada e Pista, acquisendo la carica da Ruggero Cazzaniga oggi vicepresidente della nuova Fci. Una scelta sorprendente soprattutto per la storia di Amadio, lungamente legato anche per trascorsi agonistici alla pista ma più facilmente identificato come uomo della strada, con un lungo e glorioso passato come direttore sportivo e team manager.

Una nomina che a molti è sembrata gettare un ponte fra la struttura federale e il mondo professionistico, spesso entità lontane e magari addirittura in contrasto, dando così seguito a quelle idee che il presidente Cordiano Dagnoni aveva specificato nella sua campagna elettorale.

«Quando ho iniziato ad avvicinarmi al mio nuovo ruolo – dice Amadio – mi sono accorto di quanto sia un compito arduo e soprattutto ampio. Riguarda regolamenti tecnici, stipula del calendario di attività, attribuzione dei campionati Italiani, gestione delle nazionali e tanto altro ancora. Il lavoro è molto, io porterò dentro e ci metterò tutta la mia esperienza acquisita in una vita, da corridore e dirigente, inserendomi in una strada già tracciata da Cazzaniga e dal segretario Giorgio Elli, che hanno già fatto molto e bene».

Amadio, qui con Davide Bramati, ha iniziato come Ds nel 1992 alla Jolly Componibili
Amadio, qui con Bramati, ha iniziato come Ds nel 1992 alla Jolly Componibili
Può essere il primo passo verso un nuovo rapporto tra Fci e mondo professionistico?

Ci dovrà essere un forte e continuo dialogo con la Lega e le squadre, ma anche con gli organizzatori. E avendo vissuto in questo mondo per tanti anni, ci metterò tutto me stesso per favorirlo. Non sono due mondi contrapposti, anche se hanno compiti diversi, bisogna trovare le giuste sinergie.

Che cosa puoi fare dalla tua posizione per favorire la crescita di un vero e proprio team italiano di WorldTour?

Io credo che nella situazione attuale pensare a una squadra italiana al massimo livello sia prematuro, ma chiaramente bisogna lavorare tutti, nel proprio ambito, perché quest’idea un giorno si realizzi. La Fci può dare una mano e nella mia posizione farò di tutto per farlo, ma bisogna innanzitutto pensare a potenziare la Federazione in base agli impegni che le si pongono davanti: nel nostro caso specifico i grandi eventi internazionali a cominciare dalle Olimpiadi.

Con il quartetto dell’inseguimento Amadio vinse il Mondiale dell’85
Con il quartetto dell’inseguimento Amadio vinse il Mondiale dell’85

Il progetto Club Italia

Chiacchierando con Cassani e non solo, si era parlato dell’idea di importare nel ciclismo l’idea del Club Italia, una sorta di squadra nazionale permanente che agirebbe come team continental e coinvolgerebbe i migliori talenti giovani delle varie discipline ciclistiche (strada, Mtb, pista, ciclocross) per far acquisire loro esperienza su strada.

Pensi che sarebbe possibile?

Sarebbe un progetto importante, nel quale possiamo muoverci come Federazione. La strada della multidisciplina è il ciclismo del terzo millennio, questo è indubbio. Un’idea simile c’era già negli anni Ottanta e diede buoni frutti, soprattutto per la pista. Sicuramente permetterebbe ai vari tecnici nazionali di lavorare su un club gestendo al meglio la preparazione e la programmazione degli appuntamenti. Ci si può ragionare…

E’ attraverso idee simili che può ripartire la crescita del movimento italiano di vertice o ci sono anche altri passaggi da pensare?

Per tutte le specialità serve programmazione, soprattutto oggi dove scienza e tecnologia sono arrivate a livelli da Formula 1 nel supporto dell’attività. L’Italia nel complesso sta lavorando bene, basta guardare gli enormi progressi della pista. Per la strada resto convinto che bisogna partire dalla base, lavorare con cura sulle categorie giovanili, juniores e under 23, per stimolare la crescita dei giovani talenti e invogliare sempre più gli sponsor a investire sul ciclismo. A tal proposito sono sempre scettico al pensiero che arrivi qualcuno che investa una valanga di soldi per creare un team di WorldTour, per questo dico che bisogna andare per gradi.

Con Nibali, Basso e il patron Paolo Dal Lago: era il 2012, il suo ottavo anno alla Liquigas
Con Nibali e Basso: era il 2012, il suo ottavo anno alla Liquigas
Che cosa ti rimane delle tue esperienze in ammiraglia?

Tanti bei ricordi, legati soprattutto ai campioni con cui ho lavorato. Da Basso a Nibali a Sagan, ho avuto la fortuna di lavorare con loro imparando anche da loro. Questo mi ha dato una conoscenza dell’ambiente a 360°, senza dimenticare che le mie radici sono legate alla pista per la quale ho un amore inestinguibile. Spero di poter dare indietro parte di quello che ho ricevuto, attraverso questo nuovo incarico.

Che cosa ti auguri per questo quadriennio così breve?

La Federazione imposta il suo lavoro sulle Olimpiadi, noi siamo entrati in corso d’opera e Tokyo sarà frutto per lo più dell’impegno di chi c’era prima. Io guardo già a Parigi 2024 e mi piacerebbe che per allora potessimo dare importanti segnali in quelle discipline nelle quali per ora siamo ai margini, come ad esempio la velocità su pista. Tre anni sono pochi, lo so, per ottenere risultati di vertice, ma possiamo gettare una base solida, portando maturità ed esperienza nelle categorie giovanili, perché è da lì che nascono i campioni.

Amadio e la sua Liquigas, una pioggia di campioni

26.01.2021
6 min
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Liquigas prima, Cannondale poi… ma sempre del grande team di Roberto Amadio parliamo. La corazzata verde è stata l’ultima squadra stellare battente bandiera italiana. Una corazzata durata dieci stagioni, che ha visto una lunga sfilza di campioni, tra cui Basso, Nibali e Sagan.

Da sinistra: Danilo Di Luca, Stefano Garzelli e Luca Paolini
Da sinistra: Di Luca, Garzelli e Paolini

Garzelli il primo a firmare

«Ma il primo fu Garzelli – ricorda Amadio – La Liquigas in qualche modo nacque a Genova, alla partenza del Giro del 2004. Lì, incontrai Paolo Dal Lago, amministratore delegato di Liquigas, che mi chiese del WorldTour. Gli dissi come la pensavo. Rimanemmo che casomai ci saremmo rincontrati. Ad agosto ci ritrovammo dal dottor Paolo Zani, patron di Liquigas, e iniziò l’avventura. Garzelli fu il primo capitano. Puntammo al Giro, ma Stefano da persona intelligente quel era capì che non poteva più puntare ai grandi Giri e così si concentrò sulle corse di un giorno. E infatti successivamente vinse la Tre Valli Varesine e altre tappe. Stefano firmò ai primi di settembre di quella stessa stagione. Ma subito dopo arrivarono tanti altri campioni: Di Luca, Paolini, Pozzato Partimmo subito bene. La filosofia mia e della dirigenza fu quella d’investire sui giovani. E il primo investimento fu prendere Nibali. Ma anche altri: Kreuziger, Oss, Viviani, Guarnieri che all’inizio faticò parecchio ma che oggi è uno dei migliori apripista».

Nibali e Basso nella tappa di Montalcino, al Giro del 2010
Nibali e Basso nella tappa di Montalcino

La sfida di Basso

Ma certo quel che fece della Liquigas un “dream team” fu l’accoppiata Basso-Nibali.

«Ivan lo volli io – racconta Amadio – e fu una scelta coraggiosa prenderlo dopo la sua squalifica. In quel periodo certe scelte erano mal viste nel mondo ciclismo. Ma con Aldo Sassi e il Centro Mapei a cui si rivolse Ivan riuscimmo a dimostrare chi era Basso».

Il varesino vinse il Giro del 2010, uno dei più belli e che in qualche modo aizzò anche un certo dualismo tra “bassisti” e “nibaliani”. Il momento di tensione arrivò nella tappa di Montalcino proprio al Giro 2010.

«Quel giorno fu tremendo, tra pioggia, freddo, cadute, incidenti vari… Però noi eravamo partiti con Basso capitano e tenemmo fede a quella linea, anche se avremmo potuto lasciare andare Nibali. Vincenzo si mostrò intelligente. Eravamo un bel gruppo. Lui poteva fare di più, ma prevalse la squadra. Se avesse potuto vincere il Giro? Di sicuro Vincenzo è stato penalizzato in quella tappa, ma credo di no. Alla fine Ivan è andato davvero forte».

Amadio ricorda anche la tappa di Aprica, quella con il Mortirolo, la più bella secondo lui. Un’azione di squadra molto importante, supportata anche da Scarponi (Androni), che forse si aspettava di vincere la tappa, come poi avvenne.

«Ricordo con piacere la mentalità di quella tappa che era lo specchio della mentalità Liquigas: fare la corsa e vincere. Avevamo dimostrato la nostra forza al 100%. E non fu facile. Perché dopo la discesa del Mortirolo, nella quale Basso aveva avuto dei problemi, Arroyo in maglia rosa stava rientrando. Non si fece la strada classica, ma si scese nella parte vecchia di Edolo prima di risalire verso Aprica e lì c’era uno strappo duro che mise in difficoltà Arroyo e di fatto decise il Giro».

Nibali sulla Bola del Mundo alla Vuelta 2010
Nibali sulla Bola del Mundo alla Vuelta 2010

Re Nibali

Amadio ha parlato dei giovani. E’ in questo gruppo che è maturato, che è cresciuto il suo staff a partire da Slongo e Pallini, che si è creato il feeling con il dottor Magni.

«Cavallo di razza? Si sapeva che Nibali era un corridore importante già dalle categorie giovanili. Aveva fatto una stagione alla Fassa Bortolo. Firmò nella sede Liquigas a Milano. Venne con Alex e Johnny Carera. Per lui preparammo un triennale e non un biennale come per gli altri. Era timido… ma si vedeva che era determinato, che aveva voglia d’imparare e che in tutte le corse voleva vincere».

«Ma il mio ricordo di Nibali è la vittoria della Vuelta 2010 e come avvenne. Su quella salita terribile all’ultima tappa, la Bola del Mundo. Fu il compimento di un lungo percorso. Un’immensa soddisfazione personale. Fu davvero una cosa grande, vidi la determinazione sua e del gruppo. Un qualcosa di così forte, ma contrario, quindi delusione, lo provai quando fece secondo alla Liegi. Non per la sua prestazione, chiaro, ma per come andò. Se la meritava».

Peter Sagan vince la sua prima corsa tra i pro’ alla Parigi-Nizza del 2010
Sagan vince la sua prima corsa tra i pro’ alla Parigi-Nizza del 2010

L’era di Sagan

E poi arrivò Peter Sagan. Era l’autunno del 2009…

«Peter – racconta Amadio – me lo aveva segnalato Zanardo del cross di Treviso. Mi disse che era un ragazzo polivalente, che spaziava dal cross alla Mtb. Da lì iniziammo a seguirlo. Durante i mondiali dissi a Stefano Zanatta di andarci e di contattarlo, io ero in America in quel periodo. Trovammo subito l’accordo.

«Era un ragazzino. Aveva 19 anni quando l’ingaggiai, ma dimostrò subito di che pasta era fatto. In Australia alla prima corsa tra i grandi fece degli ottimi piazzamenti, andò in fuga con Armstrong e i migliori. Poi un giorno cadde. Aveva una brutta ferita al braccio. Lo portarono in ospedale e mentre lo ricucivano fece al dottor Magni: io domani parto. E così andò. Aveva gli attributi già a 19 anni!

«Peter fu subito simpatico – riprende Amadio – I ragazzi mi parlavano di lui e mi dicevano delle sue qualità fisiche e in gruppo. Alla prima Parigi-Nizza che fece lo volli seguire nel prologo. Era duro, con una rampa finale di 400 metri ben oltre il 10 per cento. Parte e subito si mette in posizione a spingere l’11. Cavolo, faccio tra me e me, questo va forte. Sempre composto, seduto. Poi inizia lo strappo e resta seduto. Non si alza. Taglia il traguardo e ancora è seduto. Alla fine sigla il miglior tempo provvisorio e il quinto a fine tappa. Vado a parlagli e gli chiedo perché non si fosse alzato. Lui mi rispose: mi hanno detto che a crono dovevo mantenere la posizione e così ho fatto, non sapevo che potevo alzarmi. Questo era Peter!».

Mario Scirea, Dario Mariuzzo, Paolo Slongo, Biagio Conte, Stefano Zanatta, Alberto Volpi, diesse Liquigas
Da sinistra: Scirea, Mariuzzo, Slongo, Conte, Zanatta e Volpi, i diesse della Liquigas
Dario Mariuzzo, Paolo Slongo, Biagio Conte, Stefano Zanatta, diesse Liquigas
Da sinistra: Mariuzzo, Slongo, Conte e Zanatta, i diesse Liquigas

La forza del gruppo

La Liquigas, che nelle ultime stagioni era diventata Cannondale, ha lasciato un’immagine positiva di sé. Una squadra ben organizzata, mai fuori dalle righe. Ai tifosi di certo piaceva.

«Eravamo al Tour. Sul bus dissi: siamo la Cannondale e non possiamo non vincere. Oggi eliminiamo tutti i velocisti. Attacchiamo da lontano e vedrete che otterremo il risultato. I ragazzi fecero così. Saltarono Cavendish, Greipel… e tutti gli altri e Peter vinse. Era la forza del nostro gruppo.

«Gli ultimi acquisti furono Mohoric, Formolo, Bettiol e Moser. Moserino un talento infinito, peccato non sia riuscito ad esprimersi. Ha fatto una scelta di vita e okay… Bettiol, me lo segnalò il povero Mauro Battaglini. Mi disse: prendilo perché è un fenomeno. E infatti arrivò giovanissimo. Quando ha vinto il Fiandre non sono rimasto stupito. Da Formolo mi aspettavo qualcosa di più sul fronte dei grandi Giri. Deve capire cosa vuol fare perché va forte anche nelle corse di un giorno. E Mohoric è un ragazzo di un’intelligenza esagerata. E’ un po’ mancato nelle ultime due stagioni, ma resta un buon corridore…

«Eh sì, ne sono passati di campioni da noi. Cipollini, De Marchi, Caruso… Ma anche buoni corridori, Carlstrom, Bodnar… Ho avuto un centinaio di corridori con i quali abbiamo ottenuto oltre 200 vittorie. E’ stata una bella soddisfazione!».

Remco Evenepoel, Vuelta San Juan 2020

San Juan scalda i motori, svelati i dettagli

20.12.2020
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Mentre la Colombia annunciava l’annullamento del Tour Colombia 2.1, dall’Argentina è arrivata tramite Roberto Amadio che la Vuelta San Juan si farà (in apertura Remco Evenepoel, vincitore nel 2020). Sarà certo un’edizione più controllata da tutti i dispositivi anti Covid quindi sicuramente meno calorosa delle edizioni cui eravamo abituati, ma chiamerà comunque ad un primo confronto dei campioni di fama indiscussa. Un po’ perché partire al caldo fa sempre bene. E un po’ perché alcuni di loro hanno un evidente bisogno di mettere chilometri nelle gambe e rinviare il debutto troppo avanti significherebbe partire in qualche modo a handicap

Roberto Amadio, Mario Scirea, Vuelta San Juan 2020
Roberto Amadio con Mario Scirea, che con lui collabora, alla Vuelta San Juan 2020
Roberto Amadio, Mario Scirea, Vuelta San Juan 2020
Roberto Amadio con Mario Scirea alla Vuelta San Juan 2020
Tutto incanalato nella giusta direzione?

Sembrerebbe davvero di sì. Stiamo lavorando. Abbiamo elaborato un protocollo Covid abbastanza importante. E alla fine abbiamo accettato la soluzione dell’autodromo di El Villicum, che sarà completamente chiuso al pubblico e ci permetterà di mantenere la bolla. All’interno inoltre c’è una clinica per ogni evenienza. In sostanza, l’unico arrivo fuori dall’autodromo sarà quello in salita al Colorado, ma anche lassù ci saranno misure stringenti.

Come sarà gestita la logistica delle squadre?

Dormiranno in tre hotel, anche lì con l’obbligo di rimanere dentro se non per allenamenti e andare alla corsa. Come organizzazione metteremo a disposizione personale aggiuntivo che possa fare la spesa e tutto quello di cui i team possano avere bisogno in città.

Tamponi come al Giro d’Italia?

Chiederemo di effettuare il primo nelle 72 ore precedenti alla partenza. Si volerà con un aereo in comune per tutta la corsa da Parigi a Ezeiza, lo scalo di Buenos Aires. Poi appena atterrati, si farà un tampone rapido e di lì si creerà la bolla. Due giorni prima della gara altro giro di tamponi e poi valuteremo giorno per giorno l’evolversi della situazione. Se ci sarà un caso isolato, abbiamo trovato una clinica privata che si è messa a disposizione per accoglierlo.

Peter Sagan, Vuelta San Juan 2020
Peter Sagan è uno dei corridori più affezionati alla Vuelta San Juan
Peter Sagan, Vuelta San Juan 2020
Anche quest’anno ci sarà Peter Sagan
Fin qui la logistica, veniamo ora ai partecipanti…

Ci sarà ancora una volta un bel gruppo. Avremo Sagan e Froome. Ci sarà Viviani con la Cofidis, poi Ganna, Moscon e Leonardo Basso. E poi ci saranno i pistard azzurri con Villa, in preparazione per le Olimpiadi.

Avete mai pensato di non farcela?

Un momento difficile c’è stato a settembre, quando il virus in Argentina aveva ripreso davvero forte. Poi però sono ripartiti anche loro. Nell’autodromo hanno già organizzato tre gare, come a Imola da noi a fine luglio, e c’è stata la conferma che si riesce davvero a controllare tutto. L’unica limitazione che ci è stata imposta e che tutto sommato si potrà gestire sarà limitare la presenza della stampa internazionale, dato che non si potrà parlare direttamente con i corridori. Ma ci siamo attrezzati anche per questo e produrremo immagini e contenuti su richiesta.