Ravanelli tra gli italiani che stentano e una condizione in crescita

28.04.2022
5 min
Salva

«Sono stato il primo italiano al Tour of the Alps? Beh, allora vuol dire che non siamo messi molto bene!». Scherza Simone Ravanelli. Scherza ma in fondo solleva una questione affatto secondaria: dove sono finiti gli italiani? Ne abbiamo parlato anche nell’editoriale di questa settimana.

Con l’atleta della Drone Hopper-Androni Giocattoli parliamo di questo, ma anche della sua buona prestazione. In fin dei conti non è certo lui, che appunto è stato il migliore, a dover “portare la croce”.

Simone Ravanelli (classe 1995) è stato il primo italiano al TOTA: 37° a 22’57” da Bardet
Simone Ravanelli (classe 1995) è stato il primo italiano al TOTA: 37° a 22’57” da Bardet

Covid e bronchiti

«E’ un momento un po’ triste per il nostro ciclismo – riprende Ravanelli – non abbiamo corridori nei primi 15-20 né alle classiche, né nelle corse tappe. E per il movimento non è certo un bene.

«Poi però è anche vero che ogni annata ha la sua storia. Lo scorso anno per esempio Sonny (Colbrelli, ndr) ha vinto europeo e Roubaix, mentre quest’anno ci sono molti acciacchi in gruppo. Soprattutto dopo la Tirreno si sono verificati tanti casi di bronchite, oltre al Covid. Io stesso a causa del Coronavirus ho saltato una grossa fetta di stagione: niente Tirreno, niente Coppi e Bartali».

«In gruppo so che tanti ragazzi non se la passano bene. Dopo il Covid, faticano a riprendere al massimo. Se ci mettiamo che il ciclismo è cambiato, che si va più forte (guardate la media della Roubaix), che i wattaggi sono aumentati, oggi anche solo rallentare un po’ significa non essere competitivi. Significa fare fatica a finire la gara».

Durante l’inverno Ravanelli aveva lavorato sodo. Eccolo, in ritiro, alle prese con un piccolo incoveniente meccanico
Durante l’inverno Ravanelli aveva lavorato sodo. Eccolo, in ritiro, alle prese con un piccolo incoveniente meccanico

Il TOTA un test

Come dicevamo, Ravanelli si è difeso bene. Nella Drone Hopper c’è quasi il “diktat” di andare in fuga. Lui però aveva un po’ di spazio per sé. Poteva puntare alla classifica. Merito di un buon rientro in Sicilia.

«In realtà – spiega il bergamasco – più che puntare alla classifica sono partito per trovare la giusta gamba dopo 40 giorni lontano dalle gare. Ero rientrato al Giro di Sicilia e ho visto che tutto sommato le sensazioni erano buone. Così al TOTA ho provato a tenere duro giorno per giorno.

«Poi con il livello che c’era, dieci WorldTour, i primi 25 erano irraggiungibili. Io però non ho mai avuto cali durante tutti e cinque i giorni di gara e questo è stato un buon segnale. 

«Mi do un sette. Visto l’avvicinamento che ho avuto e con solo 20 giorni di allenamento nelle gambe, va bene.

Nell’ultima frazione del Tour of the Alps grande freddo e pioggia (foto Tornanti CC)
Nell’ultima frazione del Tour of the Alps grande freddo e pioggia (foto Tornanti CC)

Italiani in difficoltà

«Poi ragazzi – dice Ravanelli, con una consapevolezza ammirabile – parliamo di un 37° posto, non c’è da festeggiare. Sono contento a livello personale, per come è arrivato e infatti la squadra mi ha fatto i complimenti, ma non credo che a Fabbro per esempio, che era subito dietro di me, abbiano detto bravo. Anche Matteo so che non era al top, ha avuto un sacco di problemi».

«Se mi aspettavo che ci fosse qualche italiano davanti a me? Sì, ma non qualcuno che si giocasse la vittoria o da primi dieci posti. Alla fine con quei nomi che c’erano l’unico italiano che se la poteva giocare sarebbe potuto essere Damiano Caruso. E non è detto che avrebbe vinto. Al Giro di Sicilia si vedeva che “giocava”, ma poi alla Liegi, corsa di altro livello, non è stato così. E questo credo valga anche per il Giro. Corridori italiani per una top ten magari ci sono, ma non vedo chi possa lottare per la maglia rosa.

«Ci sono stati pochi italiani perché l’ultima tappa l’abbiamo finita in pochi corridori, solo 64. Pioggia tutto il giorno e 5°, siamo saliti una volta a 1.300 metri e una a 1.500: tanti sono finiti fuori tempo massimo e tanti altri si sono ritirati.

Il bergamasco ha corso già due Giri d’Italia
Il bergamasco ha corso già due Giri d’Italia

La fuga giusta

Eppure in fuga un giorno Simone ci era andato. Il problema per lui e per gli altri undici che cercavano di scappare nella penultima tappa, è che c’era andato anche Bouchard, che voleva la maglia dei Gpm. La Bahrain-Victorious non ha lasciato spazio.

«Al massimo abbiamo preso due minuti di vantaggio. E poi ci hanno ripreso. Però sulle salite scollinavo davanti con Bouchard e De La Cruz. Un peccato che ci fosse il francese, perché negli ultimi due giorni le fughe sono arrivate. Una di queste è stata quella che è partita dopo che ci hanno ripreso».

Obiettivo Giro

E da queste buone sensazioni Simone Ravanelli può guardare avanti. La Drone Hopper non ha ufficializzato la squadra per la corsa rosa. E lui stesso non sa se sarà della partita. Chiaramente ci spera.

«Ovviamente – conclude Ravanelli – mi piacerebbe esserci. Ho visto il percorso e l’ultima settimana come sempre è molto dura. Il mio obiettivo è centrare le fughe, come ho fatto anche l’anno scorso, ma sperando in un risultato migliore.

«Le tappe adatte per le fughe sono almeno cinque o sei, ma bisogna avere la gamba. Tanta gamba. Bisogna averla per prendere la fuga e per arrivare. Perché il problema è che quelle 5-6 tappe fanno gola anche ad altri 50-60 corridori. E quelle sono le frazioni in cui andare in fuga è difficilissimo. Serve un’ora e mezza prima che parta. Ed è una lotta… E quando ci entri, se ci entri, sei già finito!».

Umba il bimbo gentile, raccontato dai suoi compagni

02.08.2021
5 min
Salva

Santiago Umba, ennesimo volto di un ciclismo professionistico sempre più giovane. Anzi, giovanissimo. Il colombiano dell’Androni Giocattoli-Sidermec non ha ancora 19 anni, li compirà a novembre. In Alsazia ha colto già la sua prima vittoria da pro’ e lo ha fatto su una salita che è un simbolo del ciclismo e tra l’altro molto cara a noi italiani: la Planche des Belles Filles. 

Ragazzo serio, educato (questa potrebbe essere la “parola d’ordine” di Umba) e chiaramente molto forte. Di lui ci parlano i suoi compagni. Coloro che lo vedono in gruppo e fuori.

Umba vince a la Planche des Belles Filles
Umba vince a la Planche des Belles Filles

Non solo scalatore

«Certe volte ti fa sembrare facili delle cose che facili non sono – dice il più esperto Alessandro Bisolti – Tu sei a tutta e lui a fianco a te “tira una sassata” e va via. Non sto qui a parlare di watt, numeri e valori, non spetta a me, ma per avere 18 anni corre davvero bene. Nei momenti decisivi c’è sempre. E poi sì, va forte in salita, ma è anche veloce. Su strappi e salite corte forse va anche più forte che sulle lunghe scalate. E questo va molto bene pensando al ciclismo moderno».

Bisolti lo vede in gruppo. Parla di un ragazzo che non ha paura a buttarsi dentro nella bagarre e non è poco alla sua età.

«Okay, il ciclismo è cambiato – a Livigno ho visto addirittura degli allievi fare altura – ma io quando avevo 18 anni ero a fare la corsa del campanile a Brescia e lui vince alla Planche. Ma quello che più mi piace di Umba è com’è fuori dalla bici – riprende Bisolti – In 12 anni di professionismo ne ho visti di corridori, ma Santiago ti porta a sputare l’anima per lui. Quando sono tornato a casa l’ho detto a mia moglie Sara: Umba è di una gentilezza e di un’educazione incredibili. Impossibile non aiutarlo al massimo. Nell’ultima tappa è caduto e noi lo abbiamo aspettato. Era tutto rotto e a fine tappa ci ha detto: scusatemi che vi ho fatto faticare. Oppure quando era in testa alla classifica: potete tirare? Non l’ho mai visto lamentarsi di nulla: delle trasferte troppo lunghe, della bici, del cibo che soprattutto quando vai in Francia non è mai super».

Bisolti (a destra) al fianco di Umba al Tour d’Alsace
Bisolti (a destra) al fianco di Umba al Tour d’Alsace

Giovane ma motivato

Con Bisolti, il più esperto dei compagni ci dilunghiamo. Alessandro ha l’occhio lungo. Il bresciano non è da molto all’Androni e non ha poi così confidenza con i sudamericani. Essendo stato alla Nippo-Fantini ha più dimestichezza con russi ed asiatici e allora ecco che l’unico paragone calzante è quello con Sosa.

«Santiago però è più completo: in pianura va più forte. Se mantiene queste caratteristiche fisiche e questo carattere potrà fare molto bene. E poi è un ragazzo che ascolta. Tu gli parli e vedi proprio che elabora ciò che gli stai dicendo. E lo mette in pratica.

«Ha una grande motivazione. Qualche sera fa si parlava dello stare lontano da casa. Io gli ho detto che non so se sarei in grado di stare tre mesi di seguito senza la famiglia, con moglie e bimbe. Lui mi ha risposto: ma a me, Alessandro, piace correre!».

Umba (di spalle) ringrazia Ravanelli dopo la vittoria a la Planche des Belles Filles
Umba (di spalle) ringrazia Ravanelli dopo la vittoria a la Planche des Belles Filles

Faccia da bimbo, gambe da campione

Un altro di coloro che più è stato vicino ad Umba in questa sua prima stagione europea è Simone Ravanelli. Anche Ravanelli parla di un ragazzo che ringrazia sempre, che è educato

«Umba è un colombiano atipico – spiega Simone – non è uno dei tipici sudamericani “pieni di vita”, ma è più tranquillo e introverso. La prima volta che l’ho visto è stata quest’inverno in ritiro ad Alassio. Mi ha colpito la sua faccia da bambino. Si vedeva che aveva 18 anni. Per esempio abbiamo in squadra anche Ponomar che ha 18 anni, ma lui è un uomo. Santi è un “bimbo”! Me ne parlarono Malucelli e Tagliani che lo avevano visto qualche settimana prima in quanto avevano corso con lui la Vuelta al Tachira. Mi avevano detto che pedalava bene, molto bene».

E’ molto interessante poi il giudizio tecnico di Ravanelli. E qui si scopre un Umba che deve ancora lavorare un po’ per quel che riguarda la tattica. Perché se è vero quel che dice Bisolti, cioè che non ha paura a buttarsi nella mischia, è anche vero che deve farlo meglio.

«Per me – dice Ravanelli – deve prendere un po’ più confidenza in gruppo. Per esempio, in Alsazia è caduto due volte nell’ultima tappa. E poi sta spesso dietro. E’ una questione anche di mentalità. Tu lo porti avanti, ma fa fatica a restarci. Era successo anche alla Coppi e Bartali che cadesse quando era nelle prime posizioni. Però di buono è che ascolta i consigli. E poi è sì giovane e con la faccia da bimbo, ma fisicamente è abbastanza maturo. Guardate le sue gambe: sono messe bene. E ha comunque margine di crescita. In più non ha eccessi. Fa la “vita giusta”, ma senza esagerare come per esempio nell’alimentazione».

Umba sui rulli in quota a Gressoney
Umba sui rulli in quota a Gressoney

Esplosività e sterrati

E di margini, di educazione e voglia di fare ci parlano anche Mattia Bais e il diesse Giovanni Ellena, con il quale Umba è in quota a Gressoney in questi giorni.

«Umba – dice Bais – è un ragazzo tranquillo. E’ simpatico ed amichevole. La cosa che mi ha colpito del suo profilo da ciclista è che è molto forte in salita, ma al tempo stesso è anche esplosivo. È ancora parecchio giovane ma sta già dimostrando tanto».

Chi sta lavorando per limare quei margini e per farlo crescere nel migliore dei modi è Giovanni Ellena, tecnico bravissimo e dalla sensibilità sopraffina. Giovanni lo sta seguendo in montagna. E a volte gli stimoli passano anche attraverso piccole “variazioni di programma”, magari facendo di necessità virtù. I ragazzi escono in allenamento. Fanno i loro chilometri, le loro uscite e poi per tornare in hotel devono prendere un impianto di risalita. Che però non li porta precisamente a destinazione. Con lo zaino in spalla e le scarpe da ginnastica risalgono il tratto finale… in bici.

«E’ un tratto ripidissimo – dice Ellena – l’hotel è a quota 2.450 metri. La funivia parte da 1.700 metri e arriva a quota 2.350. Quindi si fanno gli ultimi 100 metri di dislivello in bici su strada sterrata».