Dalla bici all’ammiraglia è un passo che molti hanno compiuto nel ciclismo, ma in pochissimi lo hanno fatto in modo così repentino. Gianluca Brambilla ci aveva accennato, nelle ultime interviste, della volontà di restare nell’ambiente, ma nessuno avrebbe pensato che tutto accadesse così velocemente. Praticamente in meno di 50 giorni cioè dall’ultima gara a cui ha preso parte, la Veneto Classic, ha fatto tutto!
E’ vero che lo avevamo visto sui social ad Aigle, intento a studiare e seguire i corsi all’interno del velodromo dell’UCI in Svizzera, tuttavia quando lo abbiamo sentito di nuovo per sapere come andavano le cose non ci aspettavamo un messaggio del tipo: «Ho diretto il mio primo allenamento da diesse». Una storia che merita di essere raccontata, quella di Brambilla, che ci ha risposto dalla costa valenciana, dove è in ritiro con la sua ex squadra, la Q36.5 Pro Cycling Team. Che poi ex non è!
Il corso di Aigle? Una vera full immersion di cinque giorni (quattro di lezione più uno d’esame)Il corso di Aigle? Una vera full immersion di cinque giorni (quattro di lezione più uno d’esame)
Gianluca, dicevamo, ci avevi accennato alla volontà di restare nell’ambiente e, perché no, di fare il direttore sportivo, ma sembrava una cosa non così immediata… Com’è andata realmente?
E’ vero, ma è andata così. Sicuramente per la passione che ho per il ciclismo e perché ha inciso molto la squadra dove ero e dove sono. L’idea comunque non era così remota: ho avuto l’opportunità di fare subito il corso ad Aigle, è andato bene e con la squadra ho continuato. Appena finito il corso sono rientrato come direttore.
Quindi sei un direttore sportivo a tutti gli effetti?
Sì, soprattutto dopo la riunione fiume di quattro ore con gli altri direttori sportivi al primo giorno di ritiro! Bisogna iniziare. Ho visto che in auto me la cavo, devo solo prendere mano con i compagni, anzi con i corridori…
Cosa avete fatto ad Aigle? Com’era strutturato il corso per direttori sportivi indetto dall’UCI?
Il corso è abbastanza impegnativo, sia a livello di ore sia di esame. Io poi non ero più abituato a fare tante ore di scuola: lezioni teoriche dalle 9 alle 18, dal lunedì al giovedì, quindi quattro giorni di vera full immersion. E poi al venerdì mattina c’era il test.
Brambilla è dunque sull’ammiraglia in questi primi giorni di training camp nella costa valenciana (foto d’archivio CAuldPhoto)Brambilla è dunque sull’ammiraglia in questi primi giorni di training camp nella costa valenciana (foto d’archivio CAuldPhoto)
In cosa consiste il test?
E’ un test a risposta multipla su tutto ciò che ci hanno spiegato: regolamenti, anti-doping, regole di gara, organi e organigramma UCI, i vari corpi che vi sono in seno alla stessa UCI e che vengono coinvolti nelle gare, a chi rivolgersi quando si ha un problema o quando, al contrario, si vuole richiedere qualcosa…
Il corso quindi non tratta tattiche o aspetti tecnici?
No, tattica zero. E’ una formazione burocratico-teorica.
Come si tenevano le lezioni?
I professori, chiamiamoli così, erano tanti e molto diversi tra loro. Molti erano direttori di corsa, altri giudici. C’era anche Bertogliati, che conoscevo e che è stato un direttore (e manager, ndr). Altre figure lavorano all’interno dell’UCI e sono preposte alla formazione dei tecnici e ai regolamenti. Per esempio si è parlato parecchio delle regole tecniche della bicicletta: larghezza del manubrio, arretramenti, posizione da crono… Addirittura, ed è stata la cosa che mi ha colpito di più, c’era un ex investigatore dell’FBI incaricato di spiegare i controlli sulle frodi tecnologiche.
Tu Gianluca, ad Aigle sei potuto andare in quanto professionista e quindi hai avuto accesso diretto al terzo livello?
No, non ci sono andato come ex professionista, ma perché ho chiesto l’invito tramite la squadra. Altrimenti, da privato, ci vorrebbe molto più tempo. Mi spiego: se è una squadra di professionisti che ti propone, puoi accedere direttamente al corso UCI di Aigle e questo basta per essere un direttore sportivo a tutti gli effetti.
La sfida più ardua per Brambilla in questa fase è quella di uscire dai panni del compagno di squadra e indossare quelli di diesseLa sfida più ardua per Brambilla in questa fase è quella di uscire dai panni del compagno di squadra e indossare quelli di diesse
E’ come se fosse un quarto livello?
Se lo rapportiamo a quello italiano, sì. Tuttavia devo fare una precisazione: attualmente, anche se sono un diesse, voglio completare il percorso pure con la Federazione Ciclistica Italiana. A breve terminerò il secondo livello.
Com’è ritrovarsi dall’altra parte della barricata di punto in bianco? Prima, ad esempio, li chiamavi ancora “compagni”…
Vero, ora devo chiamarli corridori. Per ora la prima cosa è che al buffet ho il mio posto da diesse… ed è un buffet migliore! Scherzi a parte, i primi contatti sono proprio di questi giorni. Mi hanno già assegnato qualche corridore, ma la lista non è ancora definitiva.
Emozioni? Tu, Gianluca, sei un tipo sensibile…
Sono molto curioso e super motivato. Prima del primo allenamento la cosa che mi preoccupava di più era guidare l’ammiraglia tra gli atleti, ma vedo che va bene. Dovrei esordire in Oman, come seconda ammiraglia e lì non sarebbe male: le strade sono ampie, rettilinee e la corsa non è super stressante. Per il resto c’è da iniziare questo nuovo rapporto con i miei ex compagni.
E quindi ci siamo… «Siamo ai titoli di coda!». Gianluca Brambilla, vicentino classe 1987, annuncia il ritiro dalle competizioni. Lo fa dopo 16 stagioni da pro’, tutte vissute alla grande. «Alla fine è stato un bel viaggio, una bella avventura. Il film di un ragazzino che inizia a pedalare guardando il Giro d’Italia al pomeriggio e poi per fortuna, capacità e altre mille variabili è riuscito a diventare corridore».
“Brambi” dice basta insomma. E lo fa per scelta sua e non per contrarietà. Cosa determinante a nostro, ma soprattutto a suo, avviso. Per salutarlo abbiamo deciso di fare un’antologia: dieci foto, dieci momenti della sua carriera che lo stesso Gianluca ha estrapolato per noi e che ci racconta.
E’ il 19 giugno 2010′ Brambilla vince il GP Nobili, la sua seconda gara in assoluto da pro’E’ il 19 giugno 2010′ Brambilla vince il GP Nobili, la sua seconda gara in assoluto da pro’
La prima vittoria
La prima foto è subito di una vittoria, la prima. Quella che non si scorda mai, ma anche le altre non si dimenticano. Solo che suona bene dire così! «Avevo firmato il contratto a casa di Reverberi – inizia Brambilla – Loro già mi seguivano, ma dopo la mia vittoria da Under 23 al Palio del Recioto mi fecero firmare subito. E furono bravi, perché poi arrivarono altre squadre grandi, ma era tardi ormai. Di questa scelta sono contento, perché poi di campioncini che passano subito in squadroni e poi si perdono ce ne sono stati tanti. Io invece sono potuto crescere gradualmente».
«Venendo alla foto, quella è la vittoria al GP Nobili Rubinetterie e si può dire che in parte era anche la mia prima corsa da pro’. Era giugno più o meno. Avevo esordito a Lugano, ma non stavo bene. Già da dicembre avevo una fortissima tendinite, rischiavo l’operazione. Il mio viaggio stava per finire ancora prima di cominciare. Restai fermo per mesi, ripartii da zero e quel giorno tutta la sfortuna girò alla grande. Ero incredulo, perché comunque era una gara impegnativa. Mi ricordo benissimo: c’era fuori una fuga ed io ero riuscito a partire dal gruppo. Rientrai in discesa e sul San Carlone staccai tutti».
Il sogno realizzato. Gianluca indossa la maglia rosa al Giro 2016Il sogno realizzato. Gianluca indossa la maglia rosa al Giro 2016
La maglia rosa
La seconda foto che ci ha inviato Gianluca è un giovane Brambilla in maglia rosa. Il sogno. «Eh già – sospira Brambilla – quello è proprio il sogno da bambino. Presi la maglia rosa vincendo la tappa, il famoso “tappa e maglia”. Si arrivava ad Arezzo dopo aver scalato l’Alpe di Poti, salita sterrata. Ero già in fuga e rimasi da solo. Discesa a tutta, pancia a terra in pianura e riuscii a tenere a bada il gruppo che tirava per Valverde. La cosa bella è che il giorno dopo c’era la crono e riuscii a tenerla per pochi secondi».
Fu un momento toccante per Brambilla e per la sua famiglia, anche per la sua compagna Cristina che in qualche modo era cresciuta con lui. «Ci siamo conosciuti quando io ero all’ultimo anno da dilettante».
Alla Vuelta 2016, Brambilla precede Quintana nella 15ª tappaAlla Vuelta 2016, Brambilla precede Quintana nella 15ª tappa
Big battuti
Per questo terzo momento, Brambilla ha scelto il podio della sua vittoria di tappa alla Vuelta 2016. Quel giorno riuscì a battere i grandissimi. C’erano davanti gente come Quintana e Contador, tanto per dirne due.
A questo punto viene da chiedersi che corridore era il miglior Gianluca Brambilla. «Direi un attaccante, un uomo da fuga che quando in forma sbagliava poco. Anche contro campioni, perché quel giorno in Spagna si andò fortissimo. Finirono in 90 fuori tempo massimo. Poi furono riammessi. In quell’attacco c’erano grandi atleti e anche dei loro compagni che tiravano a tutta per staccare il più possibile Froome, che infatti andò alla deriva».
La voglia d’azzurro. Brambilla ha corso due mondiali da pro’La voglia d’azzurro. Brambilla ha corso due mondiali da pro’
Amore azzurro
Tra i momenti clou, Brambilla ha inserito anche la nazionale. Una foto che lo ritrae con Pellizotti ad Innsbruck.
«Fu il primo mondiale tra i pro’ – racconta Gianluca – ma non la prima maglia azzurra. Infatti avevo fatto gare con la nazionale maggiore, tipo la Tre Valli, il Pantani… E da under 23 corsi a Mendrisio. Quell’anno il cittì era Cassani, io ero stato uno degli ultimi ad essere inserito perché andai forte in quelle classiche gare premondiali. La volevo proprio quella maglia e me l’ero guadagnata. Ci tenevo tantissimo».
«Credo che qualche tempo fa la maglia azzurra fosse più prestigiosa, più ambita. Senza andare contro nessuno, ma soprattutto dopo il caso Gazprom iniziando a fare tante gare era diventata quasi come una squadra di club».
I primi anni con Reverberi li ricorda con serenità. Eccolo con Nicoletti, suo primo procuratoreI primi anni con Reverberi li ricorda con serenità. Eccolo con Nicoletti, suo primo procuratore
Gli amici…
Brambilla ha scelto una foto semplice, quasi una scena di vita quotidiana: lui con Moreno Nicoletti, all’epoca suo procuratore.
«Moreno – racconta Brambilla – mi ha aiutato nel passaggio al professionismo. Quando firmai con Reverberi c’era lui. Tra l’altro eravamo vicini di casa e mi vedeva sgambettare sin da piccolo. Mi avvicinò che ero under 23. Sono rimasto con lui per quasi dieci anni, poi per altri 3-4 ho fatto da solo e adesso sono con i Carera».
Ma è chiaro che nella carriera di un atleta professionista le figure che ruotano attorno a lui, anche non per forza tecniche, sono diverse, anche per il morale. Sicuramente la mia compagna è stata importante. E oltre a lei mi vengono in mente altri due personaggi. Uno è Gianni Faresin. Lui è stato un po’ quello che mi ha scoperto. Ero con lui ancora prima della Zalf, mi fece passare da juniores prima alla Breganze U23 e poi mi portò alla Zalf. Mi ha seguito anche nei primi anni da pro’. Era il mio confidente. Poi quando passai in Quick-Step, dove non si potevano più avere allenatori esterni, abbiamo interrotto. Ma un occhio me lo dava sempre!».
Altra figura centrale, anzi centralissima, è il mio amico Filippo Conte Bonin. «Lui mi ha aiutato tantissimo. Era stato massaggiatore in Bardiani, anche se non quando c’ero io. Mi faceva i massaggi a casa, il dietro moto, mi supportava negli spostamenti e persino nei traslochi! E c’è tuttora. Sono anche il suo compare di nozze. Oggi lavora presso una ditta di distribuzione bevande, però spesso e volentieri salta la sua pausa pranzo per farmi fare dietro motore. Io sono proprio un rompi c…i!».
Brambilla è stato con molti capitani. Uran (alla sua ruota) uno di quelli con cui ha più legatoBrambilla è stato con molti capitani. Uran (alla sua ruota) uno di quelli con cui ha più legato
E i grandi leader
La sesta foto l’abbiamo scelta noi ed è venuta in seguito alla chiacchierata. Stando in grandi squadre Brambilla è stato vicino a grandi campioni.
«Pidcock mi piace parecchio, è un bel leader, ma non lo conosco benissimo. Non ci sono poi stato così tanto a contatto. Che dire, ho corso con Uran, Cavendish, Boonen… difficile dire un nome. Boonen aveva la fama del festaiolo, però in ritiro la mattina alle otto era il primo a fare “core stability”. Era una macchina d’allenamento, aveva un fisico mostruoso. E tosto era tutto il gruppo belga o del Nord nei ritiri di dicembre e gennaio. Erano già in modalità classiche e mi uccidevano. Partivamo e appena sentivi il “clac” del pedale che si agganciava, eri già a 43 all’ora fisso. Ancora mi ricordo le curve per uscire da Calpe, quei su e giù a tutta. Una sofferenza. La prima volta rimasi al vento! Giuro… mi staccai subito. Poi lo sapevo. Dovevi mangiare poco, perché sennò vomitavi l’anima, partendo così forte con quei bestioni».
«E poi Cav… talento puro. Anche Uran e la sua simpatia. Eravamo sempre in camera assieme io e Rigo. Lui era veramente “tranquillo style”. Mai vista una persona così pacata. Gli hanno rubato un Giro d’Italia – perché secondo me quell’anno le staffette a scendere dallo Stelvio fecero un bel casotto – e lui in camera che diceva a me: “Tranquillo, non c’è problema».
Tappa e maglia al Tour des Alpes Maritimes, l’unica corsa a tappe in bachecaTappa e maglia al Tour des Alpes Maritimes, l’unica corsa a tappe in bacheca
La sua corsa a tappe
«Ho scelto questa foto – va avanti Brambilla – perché ritrae la vittoria di tappa e dell’unica corsa a tappe che ho vinto: il Tour des Alpes Maritimes. Ci tengo anche perché all’epoca abitavo a Monaco e quella salita dove vinsi era la salita di “casa”. Anche lì, feci tappa e maglia. Ve l’ho detto che quando riuscivo ad andare in fuga ero pericoloso!».
«Non ho vinto tanto, ma ho vinto di qualità e soprattutto ho vinto in tutte le squadre in cui sono stato… Devo ancora farlo con la Q36.5 Pro Cycling Team. Spero di riuscirci in queste ultime otto gare. Sarebbe il top, ma con il livello che c’è è difficilissimo».
Una foto amarcord per Brambilla…Una foto amarcord per Brambilla…
Ecco la Q36.5
In qualche modo, Brambilla lancia il tema Q36.5, la squadra che lo ha accolto dopo l’uscita dalla Trek-Segafredo. Tra l’altro, una foto in cui si sta mettendo i gambali seduto sul portabagagli dell’ammiraglia.
«Questo scatto mi piace perché è un po’ amarcord e non ce ne sono più così. E’ una foto di vecchi tempi. L’ammiraglia oggi non si usa più. Ci sono il bus o il camper, siamo al chiuso… qui invece eravamo per strada, come una volta. Mi piace questo senso di semplicità».
Cosa significa stare in questa squadra? Che ciclismo rappresenta? «E’ il ciclismo di una squadra moderna – spiega Brambilla – sono tre anni che sto qui e l’ho vista crescere tantissimo, soprattutto nell’ultimo anno con l’innesto di Pidcock e del suo staff. E vedo come stanno impostando l’anno prossimo. Vogliono il salto di qualità. Si vede anche dagli innesti importanti: vuol dire che la squadra vuole essere protagonista. Vuole arrivare nel WorldTour e vuole farsi trovare pronta una volta lì».
Strade Bianche 2016, uno stratosferico Cancellara lo rintuzza portandosi dietro il compagno StybarStrade Bianche 2016, uno stratosferico Cancellara lo rintuzza portandosi dietro il compagno Stybar
Il “rimpianto”
La nona foto che ha scelto Brambilla è il podio della Strade Bianche 2016. Ne eravamo sicuri anche noi. Potremmo descrivere quel giorno, visto che eravamo a bordo strada poco prima che entrasse a Siena e Cancellara lo riacciuffasse. Fu a tanto così da una vera impresa. Ne riparlammo anche la sera stessa nel suo hotel…
«Questo – racconta Brambilla – è forse l’unico rammarico della mia carriera. Non aver vinto quella corsa mi è rimasto qui. Ma non perché fosse la Strade Bianche in quanto corsa prestigiosa, ma per come l’avevo affrontata sul piano fisico e tattico. Perfetto. A me non successe niente: niente crampi o nervosismo. Fu Cancellara che andava il doppio. Soprattutto quando nel finale dentro Siena iniziò il pavé. Io iniziai a rimbalzare e lui invece restava saldo a terra e faceva proprio un’altra velocità. E’ andata così… ma tra le tante questa è una corsa che mi piace tantissimo, bellissima. Una gara che andrò a vedere a bordo strada».
Gianluca è alla Q36.5 da tre stagioni. Chiuderà la carriera in casa, con il “suo” Giro del Veneto e Veneto Classic Gianluca è alla Q36.5 da tre stagioni. Chiuderà la carriera in casa, con il “suo” Giro del Veneto e Veneto Classic
Il presente e il futuro
Questa ultima è il presente. Quello che è adesso Brambilla. Un corridore a tutti gli effetti fino alla Veneto Classic. Anche questa è una foto di vita quotidiana per un pro’.
«Lì ero al Tour de l’Ain, quest’estate. Una gara in cui sono andato bene. Ho finito settimo nella generale e c’erano bei nomi, gente che era uscita dal Tour de France. Questa foto, che può sembrare banale, in qualche modo per me rappresenta il mio presente. Un atleta professionista fino alla fine».
E qui va detta una cosa fondamentale. Brambilla smette per sua scelta, non perché non avesse un contratto. Detta fuori dai denti, la Q36.5 lo avrebbe tenuto, proprio per chi è, per il dietro le quinte e anche per i risultati (giusto qualche giorno fa è arrivato quinto al Romagna).
«Non volevo trascinarmi e smettere perché non avevo alternative. Questo mi rende tranquillo, sereno. Non dico “voglio smettere”, mi risulta difficile. Sembra quasi che uno rifiuti il proprio lavoro o denigri quello che ha fatto fino adesso. Ma è piuttosto: voglio finire perché magari inizio altro, perché lo scelgo io e non gli eventi».
E allora caro Gianluca buon viaggio e che la grande festa abbia inizio. Prima però sotto con le altre corse, a partire dal Giro dell’Emilia di oggi. Fino al 19 ottobre sei ancora un pro’!
Ha esordito nella cronometro a squadre prevista nella quinta tappa di questa Vuelta Espana, stiamo parlando del nuovo casco Scott Split Mips utilizzato dai corridori del team Q36.5 Pro Cycling. Un prodotto realizzato con lo scopo di offrire il miglior supporto aerodinamico e con l’obiettivo di aumentare la velocità durante le prove contro il tempo. Ogni minimo dettaglio è in grado di fare la differenza nel ciclismo odierno, e per permettere ai ciclisti di essere competitivi ogni azienda lavora per ottimizzare i propri prodotti.
Scott e i suoi ingegneri si sono messi all’opera esattamente con questo obiettivo: realizzare il casco da cronometro più veloce e versatile di sempre. Non solo tecnica ma anche comfort, infatti il nuovo Scott Split Mips offre a ogni ciclista la possibilità di personalizzare le prestazioni in base alla propria corporatura, disciplina e condizioni di gara.
Il nuovo casco da cronometro di Scott ha fatto il suo esordio in corsa alla VueltaIl nuovo casco da cronometro di Scott ha fatto il suo esordio in corsa alla Vuelta
Diverse soluzioni
La rivoluzione portata da Scott riguarda il fatto che questo nuovo casco, lo Split Mips, offre una perfetta integrazione grazie alla calotta intercambiabile. Il risultato è che si adatta alla posizione del ciclista ottimizzando l’aerodinamica e le prestazioni. I diversi test eseguiti in galleria del vento hanno dimostrato che ci sono delle differenze tra il prodotto e ciò che poi si traduce sulle prestazioni in gara. Non è possibile progettare un casco basandosi sul feedback di un solo ciclista.
Scott ha realizzato due calotte intercambiabili: la LHP e la HHP. La prima è dedicata a chi ricerca una posizione aggressiva in bici, tipica di una prova a cronometro. Mentre la HHP lascia spazio a diversi cambi di posizione da parte del ciclista e risulta adatta a chi pratica triathlon.
Una doppia calotta disponibile per gli atleti, la HHP è quella che offre un migliore flusso aerodinamicoMentre la LHP è pensata per chi ricerca una maggiore comodità in sella e cambia spesso posizioneUna doppia calotta disponibile per gli atleti, la HHP è quella che offre un migliore flusso aerodinamicoMentre la LHP è pensata per chi ricerca una maggiore comodità in sella e cambia spesso posizione
Prima le prestazioni
Al centro del progetto del nuovo Split Mips c’era la ricerca della massima prestazione, tutto deve essere funzionale alla velocità e alla ricerca di essa. Si è data così priorità all’efficienza aerodinamica e alla vestibilità, una delle sfide più difficili è stata quella di integrare il sistema ARC (visiera, casco e calotta intercambiabile).
Il casco è dotato di una visiera magnetica che si aggancia perfettamente per una vestibilità sicura. Progettata per essere facilmente intercambiabile con entrambe le calotte, si adatta alle esigenze del ciclista in pochi secondi.
Grazie alla nostra tecnologia Scott Amplifier Lens, la visiera permette di avere un contrasto migliore, aumenta la nitidezza e amplifica la tua visione. Ogni dettaglio risulterà ancora più nitido.
La visuale è ottima grazie al sistema della visiera che permette all’atleta di spaziare maggiormente con lo sguardoLa visuale è ottima grazie al sistema della visiera che permette all’atleta di spaziare maggiormente con lo sguardo
Veloce
I vantaggi dal punto di vista delle prestazioni sono evidenti, nella configurazione TT aggressive (HHP) lo Split Mips offre un vantaggio di 2,8 Watt rispetto a chi utilizza la calotta LHP.
«Il nuovo casco da cronometro Split Mips – ha detto Ken Ballhause, responsabile della biomeccanica nel Q36.5 Pro Cycling Team – rappresenta un approccio innovativo all’ottimizzazione dell’attrezzatura. Entrambe le opzioni di calotta, HHP e LHP, offrono prestazioni aerodinamiche migliorate. Grazie al design modulare possiamo passare rapidamente da una variabile all’altra per individuare l’opzione migliore per tutti i nostri atleti».
Nonostante il carattere battagliero, le parole di Evenepoel e Ayuso nel giorno di riposo ci avevano incuriosito. Così le abbiamo rilette con Manuella Crini
Nella scatola delle cose che porterà via dal lavoro di corridore, oltre alle vittorie più belle, Giacomo Nizzolo metterà la tenacia e la capacità di rialzarsi dagli infortuni. Da quando ha annunciato che a fine stagione concluderà la sua carriera, iniziata nel 2011 alla Leopard Trek, il milanese ha continuato a fare la solita vita e col solito impegno.
«Mi sono imposto – dice – di essere inattaccabile fino all’ultimo giorno per cui sto facendo ancora tutto alla lettera. Non nascondo che non sia facile, perché ad esempio adesso mi aspetta quasi un mese senza gare, a un mese e mezzo dalla fine. Capirete che non è il massimo. Però mi ha sempre contraddistinto l’essere professionale e non voglio smettere di esserlo proprio adesso, anche se mi pesa un po’…».
E’ il 26 agosto 2020, l’anno del Covid. Tre giorni dopo il tricolore di Cittadella, arriva il titolo europeo a PlouayE’ il 26 agosto 2020, l’anno del Covid. Tre giorni dopo il tricolore di Cittadella, arriva il titolo europeo a Plouay
La classe del 1989
Nizzolo è uno dei fantastici ragazzi del 1989, che con Ulissi, Viviani e Trentin (fra gli altri), ha caratterizzato gli ultimi quindici anni del ciclismo italiano. Tappe al Giro, maglie ciclamino, classiche, tre europei consecutivi, dal 2018 al 2020. E’ nato velocista, ma ha sempre lottato per trovare una dimensione più completa e l’ha dimostrato con le due maglie tricolori e quella di campione europeo a Plouay.
Ha sempre avuto buon gusto per lo stile e grande cura della sua immagine, ma non ha mai smesso di essere un atleta tosto e volitivo. Una persona seria e sempre a testa alta, nei momenti belli e anche in quelli brutti. Ha corso con la Leopard che poi è diventata Radio Shack, infine Trek. Nel 2019 è passato nella sudafricana Dimension Data, poi diventata Qhubeka. Se nel 2021 da campione europeo non avesse scelto di restarci, probabilmente l’anno dopo la squadra non sarebbe andata avanti. Quindi è passato per due stagioni alla Israel e le ultime due le ha fatti alla Q36.5. Il bilancio parla di 31 vittorie, l’elenco dei secondi posti è ben più lungo.
Giacomo Nizzolo è nato a Milano il 30 gennaio 1989 ed è professionista dal 2011Giacomo Nizzolo è nato a Milano il 30 gennaio 1989 ed è professionista dal 2011
Come è nata la decisione di smettere?
Perché mentalmente sono veramente arrivato. E’ chiaro che il fisico non sia più quello di quando avevo 23 anni, però mi sono reso conto che i sacrifici sono diventati una forzatura e questo mi ha fatto capire che è arrivato il momento di chiudere. Trascinarmi oltre non sarebbe stato rispettoso nei miei confronti, ecco il motivo della decisione.
Una stagione senza grandi obiettivi, l’essere stato escluso dal team del Giro d’Italia, ha affrettato la scelta?
In realtà è stata una decisione arrivata da più lontano. Quando firmai il contratto con la Q36.5 sapevo che a un certo punto avrei dovuto valutare se fare il corridore fosse ancora quello che volevo fare. E quest’inverno, prima che cominciasse la stagione, dalle prime sensazioni mi sono accorto che era cambiato qualcosa. Ovvio che non mi abbia fatto piacere stare a casa dal Giro d’Italia e neanche dalla Sanremo, soprattutto dalla Sanremo, ma questo è un altro discorso.
Con Cassani commissario tecnico, Nizzolo è stato prima quinto ai mondiali del 2016 e poi campione europeo nel 2020Con Cassani commissario tecnico, Nizzolo è stato prima quinto ai mondiali del 2016 e poi campione europeo nel 2020
Quanto hanno inciso la sfortuna e gli infortuni nella tua carriera?
E’ un tasto delicato, non vorrei passare per uno che cerca scuse. Sento di aver perso parecchio tempo, forse i miei anni migliori per problemi fisici. Dopo il campionato italiano del 2016, mi sentivo in una grossissima fase di crescita, soprattutto l’anno dopo con la maglia tricolore. Volevo andare alle classiche, avevo acquisito una fiducia importante, avevo fatto quinto al mondiale di Doha. Il 2016 era stato un anno importante, invece sono entrato in tre stagioni di buio totale, dove il carico di lavoro più lungo che ho potuto fare è stato di tre settimane. Dopo l’intervento al ginocchio del 2019, nel 2020 tornai competitivo come quattro anni prima e per me fu una grossissima rivalsa. Ero tornato finalmente ai livelli del 2016, ma non fu semplice. La sensazione di essere tornato al meglio fu veramente bella.
Cosa sono stati quei tre anni?
Sono impazzito, non sapevo dove sbattere la testa. Ti trovi a perdere tempo, mentre gli altri vanno avanti e tu torni a essere una persona normale, non più un atleta. Ricostruire l’atleta è un discorso, ricostruire un atleta competitivo è un altro: sono tutte fasi attraverso le quali ho dovuto passare e che mi sono costate tanti sforzi. Dai 27 ai 29 anni avrei potuto raccogliere molto, invece li ho passati cercando di guarire.
Le ultime due stagioni di Nizzolo hanno avuto i colori della Q36.5Le ultime due stagioni di Nizzolo hanno avuto i colori della Q36.5
Cosa metti nella scatola delle cose che porti via?
Intanto il fatto di essere stato tenace, perché la mia carriera è segnata più dai piazzamenti che dalle vittorie. Poi ci metto i due campionati italiani, quello europeo, le due maglie ciclamino e la tappa al Giro d’Italia. Un’altra cosa che mi porto dentro e che magari non tutti ricordano, è quando al secondo anno da pro’ vinsi il Giro di Vallonia. Un risultato grande per uno che da dilettante era il classico velocista da circuiti piatti. Quando passai, Guercilena fu molto bravo e anche paziente ad aspettare la mia evoluzione. Io davo dei segnali di non essere solo un velocista. Nella mia terza gara a Mallorca, feci quinto. Era una gara mossa dove arrivammo in 40 corridori e per uno che fino a pochi mesi prima faceva il Circuito del Porto, bastava per dire che forse c’era dell’altro.
La stessa tappa del Giro che vincesti a Verona non fu la classica volata di gruppo…
Arrivavo da una serie infinita di secondi posti, significò sbloccare qualcosa che stavo rincorrendo da 10 anni. A un certo punto per vincerla, dovetti quasi accantonarla. Era una delle ultime occasioni, perché sapevo che di lì a poco sarei andato a casa. Fu una volata strana, davvero disordinata. Arrivai da dietro, fu una volata totalmente istintiva, senza troppi pensieri, che poi alla fine in volata non servono a molto. Ripresi Affini che aveva quasi vinto e gli dissi che mi dispiaceva, ma di tappe che avevo quasi vinto io ne avevo alle spalle 15 se non addirittura 18…
Verona, Giro 2021. Ripreso Affini che aveva attaccato all’ultimo chilometro, arriva la prima vittoria di Nizzolo al GiroVerona, Giro 2021. Ripreso Affini che aveva attaccato all’ultimo chilometro, arriva la prima vittoria di Nizzolo al Giro
Hai immaginato quale sarà la tua ultima corsa?
Sì, però non l’ho ancora inquadrata. Se dovesse essere la Bernocchi, quindi una corsa dove potenzialmente potrei fare risultato, non so dire se cercherò di lottare fino all’ultimo metro oppure proverò a godermi gli ultimi chilometri. Me lo sto chiedendo io per primo, non so cosa rispondere.
Che cosa farai dopo aver smesso, a parte una lunga vacanza?
Una lunghissima vacanza. Il primo obiettivo sarà fare un reset. Staccare per un periodo che può essere di sei mesi come un anno e intanto valutare qualche progetto, ma senza mettermi assolutamente fretta. Godermi un po’ di riposo, perché credo che da lì si prendano le energie per ripartire con entusiasmo. Magari la bici ci sarà ancora, perché a me piace ancora molto. Il fatto è che chiaramente adesso c’è dietro una prestazione e ci sono delle responsabilità. E’ un lavoro, non posso andare in giro a divertirmi. Ogni pedalata è calibrata, ogni pedalata è quantificata. Nel momento invece in cui si tratterò di andare in giro con gli amici, sarò libero di fare due ore, come pure soltanto una o addirittura sette. A quel punto cambierà tutta la prospettiva.
Cittadella, 23 agosto 2020, nei tricolori organizzati da Pozzato, Nizzolo centra il secondo tricoloreCittadella, 23 agosto 2020, nei tricolori organizzati da Pozzato, Nizzolo centra il secondo tricolore
Aver annunciato il ritiro con tanto anticipo può aver portato via un po’ di motivazione?
Non è cambiato nulla, anzi quando l’ho detto mi sono sentito a posto. Era la cosa giusta da fare e comunque non è che anche prima di annunciarlo morissi dalla voglia di allenarmi, la stanchezza era la stessa. Se arrivi a questa decisione, è perché hai già maturato dentro di te il fatto che non c’è più quella spinta. Anzi, è il contrario. Se prima pioveva, magari il primo giorno non mi allenavo, adesso invece esco lo stesso, perché so che l’acqua la prenderò ancora per poco. Sono molto sereno, mi sto godendo le gare. Respiro ogni centimetro di asfalto, perché poi non ci saranno più. Ma non lo vivo con malinconia, semplicemente per chiudere con un sorriso questa lunghissima parte della mia vita.
La prima stagione di Tom Pidcock con la Q36.5 Pro Cycling proseguirà con la sua seconda grande corsa a tappe: La Vuelta. Nel frattempo il britannico è tornato a correre e vincere anche in mountain bike. Q36.5 ha voluto anche celebrare questo esordio con un kit speciale dedicato al successo delle Olimpiadi di Parigi 2024. L’arrivo di un corridore del calibro di Pidcock in una formazione professional cattura l’attenzione e diventa anche un modo per confrontarsi, con pari diritto, nel ciclismo dei grandi.
Alle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generaleAlle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generale
Partenza col botto
Il britannico ha esordito alla grande all’Alula Tour con due successi di tappa e la vittoria della generale. Il grande exploit è stato però sugli sterrati della Strade Bianche, dove Tom Pidcock ha conquistato uno spettacolare secondo posto alle spalle di Pogacar. E’ mancato forse lo squillo in una corsa importante, con tanti piazzamenti che hanno sicuramente reso orgoglioso il team, ma che non possono aver soddisfatto al 100 per cento un corridore del suo calibro.
«L’impatto di Tom sul team è stato più che positivo – racconta Gabriele Missaglia, diesse che lo ha affiancato per gran parte della stagione – avevamo bisogno di un corridore del suo livello. Ci siamo messi al lavoro fin dal primo ritiro, a dicembre, e abbiamo capito di aver preso un campione. Fino al Giro le nostre strade sono andate di pari passo, poi ci siamo divisi vista anche la sua pausa dalle corse. Ci troveremo nuovamente insieme a Torino per ripartire con La Vuelta».
Sugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosiSugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosi
L’impatto positivo sul team si è visto già dalla prima gara in Arabia…
E’ partito fortissimo, con il dominio all’AlUla Tour e il bel successo di tappa alla Vuelta Andalucia. Dopo quei primi appuntamenti ci siamo concentrati sulle gare italiane con Strade Bianche, Sanremo e Tirreno-Adriatico. Il secondo posto a Siena dietro Pogacar è stato forse il momento migliore della stagione, mentre il grande rammarico è stata la Sanremo.
Come mai?
Perché è caduto proprio all’imbocco della Cipressa, in un momento cruciale che era stato approcciato al meglio. Quel giorno era in grande forma ed era uno dei favoriti, la sfortuna esiste e fa parte del ciclismo, ma abbiamo visto che la Sanremo è una gara adattissima a lui.
Le Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissioneLe Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissione
Poi avete fatto rotta sulle Classiche delle Ardenne.
C’è stato un periodo di pausa dalle gare per arrivare pronti anche al Nord. Ci siamo concentrati solamente sulle Ardenne, non correndo Fiandre e Roubaix. Anche in questo caso Pidcock ha raccolto ottimi risultati con un terzo posto alla Freccia Vallone e due top 10 a Amstel e Liegi.
Una volta confermata la nostra presenza alla Corsa Rosa abbiamo deciso di tirare dritto. Credo che Tom abbia onorato la gara, come tutti noi, visto che non c’è stato modo di lavorare al meglio per arrivare pronti. Ha messo insieme diversi piazzamenti di spessore con il tentativo di curare la classifica generale, cosa che in passato non aveva mai fatto volentieri.
Pidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglioPidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglio
Un sedicesimo posto finale senza grandi acuti, eravate soddisfatti?
Pidcock quando mette il numero sulla schiena parte per vincere, quindi direi che una vittoria di tappa sarebbe stata una buona moneta per ripagare quanto fatto. Però con gli inviti arrivati così tardi era difficile pensare di preparare il Giro al meglio. Se devo guardare a una tappa nella quale avremmo potuto raccogliere di più, dico quella di Siena. Pidcock sulle strade bianche si esalta e quel giorno ha fatto il diavolo a quattro, peccato per la doppia foratura. Avrebbe meritato qualcosa in più.
Si può pensare di fare classifica nei Grandi Giri?
Forse siamo arrivati a capire che c’è una buona possibilità di fare bene. Al Giro, fino alla tappa di Bormio, Pidcock era vicino alla top 10. Poi nell’ultima settimana ha dovuto tirare fuori le ultime gocce di energia. Serve capire su quali gare concentrarsi, ma è anche vero che siamo una professional e il calendario non è mai una certezza.
Pidcock è tornato a correre in mtb nelle scorse settimane, ma solamente due gare, una tappa di Coppa del mondoE l’altra è stato il campionato europeo, dove ha conquistato la medaglia d’oro (foto Instagram)Pidcock è tornato a correre in mtb nelle scorse settimane, ma solamente due gare, una tappa di Coppa del mondoE l’altra è stato il campionato europeo, dove ha conquistato la medaglia d’oro (foto Instagram)
Difficile fare programmi anche con un campione in squadra come Pidcock?
Conta sempre il ranking, per noi sarà fondamentale rientrare tra le prime quattro professional. Ci sarà da vedere alla fine del triennio come saremo messi e quali squadre WorldTour rimarranno.
Per la Vuelta quali ambizioni ci sono?
Innanzitutto vedremo Tom come tornerà in corsa all’Arctic Race, poi quando lo incontrerò alla Vuelta parleremo e inquadreremo gli obiettivi. Non dimentichiamo che il mondiale in Rwanda è adatto alle sue caratteristiche…
Per Giacomo Nizzolo questa stagione vuole essere quella della rinascita perché un corridore abituato a vincere i grandi sprint vuole tornare a gettarsi nella mischia con la testa curva sul manubrio e le gambe che spingono rapporti lunghissimi. Da fine gennaio a oggi il velocista della Q36.5 Cycling Team ha messo insieme lo stesso numero di gare della passata stagione. Il 2024 non è stato un anno semplice, tanti problemi e poca continuità hanno allontanato Nizzolo dalla sua forma migliore. Per tornare il cammino è lungo, ma anche a trentasei anni non manca la voglia di rimboccarsi le maniche e alzare la testa verso questa montagna da scalare.
Nizzolo aveva iniziato bene al Tour of Oman con un secondo posto nella quarta tappa alle spalle di KooijNizzolo aveva iniziato bene al Tour of Oman con un secondo posto nella quarta tappa alle spalle di Kooij
Rispolverare lo sprint
In montagna ci andrà davvero a luglio, a Livigno. Un ritiro con il team nel quale capirà quali saranno i suoi piani nella seconda metà di stagione. Intanto Nizzolo punta ai campionati italiani di Gorizia.
«Prima ancora – racconta mentre è a casa – sarò al Copenhagen Sprint il 22 giugno, poi andrò all’italiano. Il ritiro con la squadra darà qualche certezza sui prossimi impegni, ma non credo di fare la Vuelta. Visto il percorso non penso sia una buona idea, non credo vedremo grandi velocisti in Spagna.
«Dopo la pausa di metà aprile – prosegue – sono rientrato nella mischia al Giro di Ungheria e alla Boucles de la Mayenne. Sono tornato di nuovo nella mischia, manca il guizzo e la velocità di gambe per provare a vincere. Però mi ritengo contento, arrivo bene alle volate e le approccio nel modo corretto. Mi serve lavorare per avere quella brillantezza negli ultimi metri, alla fine è quella che fa la differenza tra la vittoria e un buon piazzamento».
Durante l’inverno il velocista della Q36.5 ha lavorato tanto sul fondo in vista delle ClassicheDurante l’inverno il velocista della Q36.5 ha lavorato tanto sul fondo in vista delle Classiche
Come si colma questo gap?
Lavorando bene in altura e andando alle gare. Non è semplice perché non esistono più appuntamenti di secondo piano, soprattutto quest’anno. Siamo alla fine del triennio e le squadra cercano punti. In Ungheria, che è una corsa di categoria 2.Pro, c’erano Molano, Bauhaus, Welsford e Groenewegen.
Che effetto ti ha fatto tornare a lottare contro questi velocisti?
Sento di essere tornato in gioco, se dovessi usare una metafora calcistica direi che anche io tocco palla e non rimango a guardare. Manca un 1 per cento. Non è facile trovarlo, ma voglio provarci. E’ un discorso di fibre veloci che vanno richiamate anche in allenamento. All’inizio dell’anno il team e io ci siamo concentrati sul recuperare il fondo in vista delle Classiche.
Dopo lo stacco di aprile Nizzolo è tornato a concentrarsi sugli sprint e lo ha fatto prima al Giro di Ungheria (qui in foto) e poi alla Boucles de la MayenneNizzolo è tornato a concentrarsi sugli sprint e lo ha fatto prima al Giro di Ungheria (qui in foto) e poi alla Boucles de la Mayenne
Gabriele Missaglia, diesse della Q36.5, aveva fatto il tuo nome tra quelli possibili per il Giro, quanto era concreta la possibilità di vederti lì?
In realtà non era in programma. Il mio desiderio era quello di tornare competitivo su qualsiasi palcoscenico. E’ stato giusto portare Moschetti al Giro, da inizio anno ha dimostrato una grande crescita ed era davanti a me nelle gerarchie. Siamo due velocisti in squadra ed è giusto dividerci e avere ognuno il suo spazio.
Riuscite a condividere gli spazi…
Abbiamo due percorsi diversi in termini di carriera. Moschetti è nei suoi anni migliori ed è giusto che voglia ambire a correre certe gare, come il Giro. Io sto cercando di tornare competitivo e non mi interessa la gara, ma voglio andare dove si può fare bene.
Moschetti e Nizzolo si dividono il ruolo di velocisti in squadra, ogni tanto capita di vederli correre insieme come al CriquielionMoschetti e Nizzolo si dividono il ruolo di velocisti in squadra, ogni tanto capita di vederli correre insieme come al Criquielion
Avete anche corso insieme, che idea ti sei fatto di lui?
Ci eravamo sfiorati anche alla Trek nel 2018, lui era uno stagista e non abbiamo mai corso insieme. In questi ultimi due anni alla Q36.5 ci siamo incrociati di più anche alle corse. C’è un bel dialogo, lui è uno che ascolta, ma ha le sue idee. Nell’impostare lo sprint ci muoviamo in maniera diversa, ma sono dettagli. In una delle poche occasioni in cui abbiamo corso insieme lui ha vinto e io sono arrivato terzo, vedere Moschetti vincere ed essere lì con lui è stato bello, se lo merita.
Ora prepari il finale di stagione con quali ambizioni?
Di scalare la classifica e dare un colpo decisivo. L’obiettivo è rimanere competitivo, chiaro che una vittoria mi renderebbe molto felice e potrebbe dare ulteriori conferme e un significato diverso al mio percorso di recupero.
Il team svizzero, ma dalla forte matrice italiana, Q36.5 Pro Cycling ha fatto il suo esordio nelle grandi corse a tappe all’ultimo Giro d’Italia. Una prima volta che sicuramente sarà difficile da dimenticare sia per gli atleti che per lo staff e tutto il personale coinvolto. I corridori della squadra professional corrono indossando i prodotti firmati dall’azienda che dà il nome al team: Q36.5. Una realtà tutta italiana nata a Bolzano e che in poco tempo ha saputo farsi conoscere e apprezzare. Proprio nei giorni della Corsa Rosa i reparti commerciali e marketing di Q36.5 sono andati alla partenza di San Michele all’Adige a respirare l’aria del Giro.
Sulle strade della Corsa Rosa i ragazzi guidati da Gabriele Missaglia si sono battuti alla ricerca di un risultato importante in questa che è stata per alcuni una prima esperienza importante. Il faro del team è stato sicuramente Thomas Pidcock, il britannico ha colto diversi piazzamenti e un sedicesimo posto nella classifica finale. E proprio nella tappa conclusiva di Roma è arrivato anche lo squillo azzurro di Matteo Moschetti con il terzo posto alle spalle di Kooij e Groves.
La Q36.5 Pro Cycling quest’anno ha esordito al Giro d’ItaliaLa Q36.5 Pro Cycling quest’anno ha esordito al Giro d’Italia
Un test di alto livello
Il Giro d’Italia ha portato con sé tanti significati e diverse prime volte per l’universo Q36.5. Non c’è da dimenticare che per la prima volta i prodotti firmati dall’azienda guidata da Luigi Bergamo sono stati messi alla prova su un palcoscenico così importante.
Gli atleti hanno pedalato durante tutte e tre le settimane con il kit del team che include: pantaloncini Dottore Pro, maglia Gregarius, gilet Gregarius Hybrid e scarpe Unique Pro, oltre a tanti accessori. Ogni dettaglio è stato portato al limite tra salite impegnative, discese tecniche e volate al cardiopalma.
«Dopo due anni di intensi feedback e sviluppo con il nostro team – ha dichiarato Luigi Bergamo, CEO di Q36.5 – il kit 2025 rappresenta il sistema di abbigliamento da gara e da allenamento più avanzato e completo mai realizzato: dalla scelta tra diversi pantaloncini pensati per stili di pedalata e percorsi differenti, ai miglioramenti aerodinamici dei body e di tutti gli accessori, fino a delle innovative scarpe da gara».
Thomas Pidcock è stato il protagonista del team professional svizzeroThomas Pidcock è stato il protagonista del team professional svizzero
Il kit dei pro’
Alla base del completo da gara che ogni atleta ha a disposizione ci sono: pantaloncini, maglietta e giacca antivento.
I pantaloncini Dottore Pro sono realizzati con quattro tessuti proprietari che portano al massimo il supporto muscolare. Il fondello Q LAB Air progettato da Q36.5 ottimizza la gestione dell’umidità lasciando all’atleta una sensazione di comfort anche dopo tante ore.
La maglia Gregarius svolge un importante ruolo nella gestione del calore e nella dissipazione dell’umidità. Una caratteristica garantita dai pannelli ultra traspiranti posizionati nella parte anteriore e al tessuto con struttura a nido d’ape che si trova sulla schiena. In questo modo anche le giornate e i momenti più intensi non creano problemi alle prestazioni dell’atleta.
Moschetti nella volata di Roma ha conquistato un ottimo terzo posto con ai piedi le nuove Unique ProMoschetti nella volata di Roma ha conquistato un ottimo terzo posto con ai piedi le nuove Unique Pro
La grande novità
Hanno fatto il loro esordio ai piedi di Matteo Moschetti le nuove scarpe firmate da Q36.5: le Unique Pro. Realizzate per offrire un controllo senza pari e una gestione della potenza nei momenti in cui si è chiamati a dare tutto. Queste scarpe uniscono tecnologie di produzione all’avanguardia e una struttura stabile e dal comfort elevato.
Il velocista milanese si è messo alla prova spingendosi al massimo delle sue qualità e nella tappa conclusiva del Giro è arrivato un ottimo terzo posto sulle strade della Capitale.
Terzo sul traguardo di Roma. Davanti a lui Kooij e Groves, dietro Pedersen. Il Giro d’Italia di Matteo Moschetti si è concluso con un sorriso amaro, perché quando arrivi sul podio vuol dire che avresti potuto anche vincere. Eppure dentro quel piazzamento ci sono così tante sfumature, che se ne può anche essere contenti. Pochi giorni prima, il corridore della Q36.5 aveva il morale quasi nero. Ecco perché abbiamo parlato di sorriso amaro. Ed ecco perché ne parliamo proprio con il milanese, che da lunedì ha cercato di recuperare quanto più possibile, prima di buttarsi nelle prossime corse.
«Onestamente fino a Roma – dice – non avevo avuto grandissime sensazioni. E’ stato un Giro con tre occasioni per le volate e fino a quel momento non ero riuscito a esprimermi come volevo. Sentivo che potevo dare di più, volevo riscattare un Giro che non era stato così buono. Ci tenevo tanto, ma francamente speravo in una vittoria che dopo tre settimane ci sarebbe stata davvero bene».
A destra c’è Kooij, al centro Moschetti, a sinistra Groves: la strada sale al 5%. Alla fine Matteo sarà terzoA destra c’è Kooij, al centro Moschetti, a sinistra Groves: la strada sale al 5%. Alla fine Matteo sarà terzo
Un arrivo inedito
La volata di Roma si presentava meglio di quella di Cesano Maderno, dove le salite della prima parte avevano lanciato Nico Denz, lasciando alle sue spalle il gruppo frantumato e non certo schierato per lo sprint. La differenza rispetto alle edizioni precedenti, è che nell’ultima tappa non si sarebbe sprintato sul solito arrivo dei Fori Imperiali, ma sullo strappo sopra al Circo Massimo. Duecento metri al 5 per cento: roba per gambe forti, soprattutto alla fine del viaggio.
«Avevamo studiato bene il percorso – prosegue Moschetti – e anche se il Gran Premio Liberazione non passa su quel rettilineo, la salita che facevamo dopo la conoscevo già, quindi sapevo a cosa potesse somigliare il percorso. Poi non ci sono riuscito, perché ha vinto il più forte che è stato pilotato alla perfezione. Sarebbe stato importante, l’ultima tappa vale di più, ma la squadra era contenta. Chiudere il nostro primo Grande Giro con una nota positiva è stato una bella soddisfazione».
Valona, terzo giorno del Giro in Albania: Mosca e Moschetti. Il via non è stato dei miglioriValona, terzo giorno del Giro in Albania: Mosca e Moschetti. Il via non è stato dei migliori
La volata finale
La prima grande corsa a tappe per il Q36.5 Pro Cycling Team si era aperta con la grandissima attesa di Tom Pidcock, terzo nel giorno di Matera e 16° nella classifica finale, che tuttavia non è mai stato all’altezza delle attese e tantomeno della sua reputazione.
«Non so che valutazioni farà la squadra – dice Moschetti – ma di sicuro avevamo aspettative alte. Volevamo fare bene, anche per onorare la corsa. Per quanto mi riguarda, qualche occasione in più per fare volate potevano anche prevederla, ma le dinamiche di gara sono state imprevedibili e si andava così forte che era impossibile tenere la corsa sotto controllo. E’ positivo che l’ultima tappa abbia previsto la volata, è gratificante per i velocisti che finiscono il Giro e diventa il motivo migliore per arrivare in fondo. Chiaro che essendo stati invitati, nessuno di noi si sarebbe sognato di andare a casa prima per fare meno salite, ma sono cose che succedono».
Pidcock al Giro, una presenza sotto tono. Qui è terzo dietro Pedersen e Zambanini a MateraPidcock al Giro, una presenza sotto tono. Qui è terzo dietro Pedersen e Zambanini a Matera
Dubbio tricolore
Il futuro più immediato parla di una corsa in Belgio a metà giugno, poi il nuovo evento Copenhagen Sprint di WorldTour e a seguire i campionati italiani da San Vito al Tagliamento a Gorizia. Sul percorso ci sono ancora pochi dettagli. Si dice che sia stato disegnato a misura di Jonathan Milan, ma lo stesso Moschetti è perplesso sul fatto che la zona di Gorizia possa avere strade così pianeggianti.
Sorridendo dice che adesso tornerà a dormire, perché tre settimane di Giro ti restano addosso a lungo, ma che certo gli piacerebbe mettere a frutto la condizione che ti lasciano nelle gambe. Il resto dipenderà dalle valutazioni della squadra, a partire dalla partecipazione alla Vuelta. Anche se in Spagna le occasioni per i velocisti saranno ancora di meno.
La Q36.5 Cycling Team si sta avvicinando alla sua prima grande corsa a tappe, il Giro d’Italia. Il 9 maggio prossimo dall’Albania la squadra, che sarà guidata in ammiraglia da Gabriele Missaglia, si godrà il frutto della wild card arrivata nelle scorse settimane. La decisione da parte dell’UCI di accettare la richiesta degli organizzatori e portare a quattro i team invitati ha reso possibile tutto ciò. In questo modo la formazione professional svizzera, che da quest’anno vede nelle sua fila Tom Pidcock, ha iniziato il conto alla rovescia e i preparativi per la Corsa Rosa.
«Speravamo nell’invito – ci spiega proprio Gabriele Missaglia – lo abbiamo metabolizzato bene e di colpo prenderemo parte a due grandi corse a tappe: Giro e Vuelta. Prepararlo in corso d’opera non è semplice, sia a livello logistico che di preparazione atletica. Alcuni dei ragazzi impegnati nelle Classiche delle Ardenne erano già in altura, tra questi proprio Pidcock. Tuttavia il focus era incentrato su queste corse».
La Q36.5 Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro, la sua prima grande corsa a tappe di tre settimaneLa Q36.5 Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro, la sua prima grande corsa a tappe di tre settimane
Il punto dopo Liegi
Per sapere quali saranno le ambizioni della Q36.5 Pro Cycling al Giro ci sarà da aspettare ancora, per il momento Missaglia si sta godendo le prestazioni di Pidcock e degli altri ragazzi impegnati nelle altre corse.
«Lavoriamo da dicembre – continua il diesse lombardo – ma senza la conferma di prendere parte al Giro era difficile concentrarsi su qualcosa di concreto. Lo stesso Pidcock ci sperava ma ancora non sapevamo niente. Ci siamo concentrati sulle prime corse del calendario, arrivando in ottima condizione. L’impegno non è stato da poco, così dopo il blocco di gare italiane, terminato con la Milano-Sanremo, si è tirato il fiato in vista delle Ardenne».
La punta della formazione svizzera sarà sicuramente Pidcock, rientrato alle corse per le Ardenne dopo un periodo di alturaLa punta della formazione svizzera sarà sicuramente Pidcock, rientrato alle corse per le Ardenne dopo un periodo di altura
Anche tu tornerai al Giro dopo qualche anno…
Vero. L’ultima volta è stato nel 2021 con la Qhubeka, in quell’occasione avevamo vinto tre tappe con Nizzolo, Campenaerts e Schmid. Vedremo di eguagliare questo numero (dice con una risata, ndr). Ma a parte gli scherzi, una wild card del genere va solo onorata.
Nizzolo lo hai ritrovato alla Q36.5, potrebbe essere uno dei nomi papabili?
Ce ne sono tanti, il roster è ancora ampio proprio per il motivo che ho detto prima: stiamo programmando il tutto. Sicuramente Nizzolo è migliorato e sta recuperando bene dopo l’infortunio. Ha fatto una bellissima Roubaix e sono contento di come si sta comportando.
Il recupero di Nizzolo fa ben sperare, il velocista milanese ha vinto una sola tappa al Giro con Missaglia n ammiragliaIl recupero di Nizzolo fa ben sperare, il velocista milanese ha vinto una sola tappa al Giro con Missaglia n ammiraglia
Pidcock è la star, ma c’è un altro atleta che sta raccogliendo ottimi risultati: Moschetti.
E’ un altro dei papabili e quest’anno ha fatto uno step in più a livello di performance e attitudine in gara. Anche lui nel 2024 ha subito un brutto infortunio, a luglio. Era messo male ma questa sua reazione mi rende felice e orgoglioso.
Difficile tenere fuori un velocista in questa condizione, no?
E’ pronto ed eventualmente sarà pronto (dice con un sorriso, ndr). In questa stagione lo sto vedendo più velocista, non dico che è aggressivo ma frena di meno. Il velocista di solito è uno spericolato che entra in spazi a volte inimmaginabili. Diciamo che Moschetti è uno sprinter buono ma che ha acquistato tanta consapevolezza nei propri mezzi.
Moschetti, a sinistra, e Parisini. I due hanno corso spesso insieme con il secondo a servizio del primoMoschetti, a sinistra, e Parisini. I due hanno corso spesso insieme con il secondo a servizio del primo
Per lanciare un velocista serve il treno giusto, ci avete pensato?
Abbiamo tante soluzioni in squadra e se dovesse arrivare la conferma per Moschetti potremmo vedere chi lo ha guidato dall’inizio della stagione: Parisini, Frison… Non dobbiamo dimenticarci però che il nostro leader è Pidcock e sarà importante trovare il giusto equilibrio.
Chi c’era in altura insieme a Pidcock?
Mi spiace ma non vi dico i nomi, ho già detto troppo (ride ancora, ndr).
Al Giro d’Abruzzo David de la Cruz ha lottato per la vittoria finale, anche lui è parso in ottima formaAl Giro d’Abruzzo David de la Cruz ha lottato per la vittoria finale, anche lui è parso in ottima forma
Tu sei pronto?
Sono tranquillo. So che c’è da lavorare tanto per preparare il tutto e al momento non sto pensando a come sarà per me il ritorno al Giro. Quando sono in gara entro nel mood che avevo da corridore, quello mi accompagna sempre.
Allora buon lavoro e ci vediamo sulle strade della Corsa Rosa.
Barguil debutterà al Giro. Il Covid potrebbe penalizzare la sua corsa. Ma se sta bene il francese ha tante opzioni sul piatto: classifica, tappe e maglia azzurra