Presa manubrio e inclinazione sella: la posizione di Pogacar

07.05.2025
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Questa prima parte di stagione non solo ci ha mostrato un favoloso Tadej Pogacar. Guardandolo con occhi più tecnici ci sono balzati all’occhio due aspetti riguardanti la sua posizione. E chissà se questi due dettagli sono collegati. Di cosa parliamo? Della presa sul manubrio e dell’inclinazione, molto accentuata, della sua sella.

Abbiamo notato che Pogacar è quasi sempre in presa alta, cioè impugna le leve anche quando sta spingendo forte in pianura, magari da solo in fuga. Una differenza emersa chiaramente alla Roubaix: nei tratti asfaltati Van der Poel era schiacciato sulla curva bassa del manubrio, mentre Tadej manteneva la presa alta. Apparentemente questo dovrebbe danneggiare l’aerodinamica. Apparentemente, però: perché oggi ogni dettaglio è frutto di uno studio accurato.

E poi c’è la sella: inclinata in avanti molto più rispetto all’anno scorso. Di questo abbiamo parlato con Mauro Testa, biomeccanico e responsabile scientifico di Biomoove Lab.

Il dottor Mauro Testa, responsabile scientifico del centro Biomove, è titolare di oltre 300 brevetti
Il dottor Mauro Testa, responsabile scientifico del centro Biomove, è titolare di oltre 300 brevetti
Dottor Testa, ci siamo accorti che Pogacar mantiene quasi sempre la presa alta, anche quando è da solo in fuga. Non si abbassa molto con i gomiti, a differenza per esempio di Van der Poel o Evenepoel. Perché?

Ci sono delle premesse da fare. Quando si scrive sulla posizione di un atleta, specie se così importante, bisogna rispettare chi lo ha messo in sella. Senza conoscere il lavoro dietro, si rischiano critiche inutili. Mi capitò anche con Sagan. Qualcuno disse che la sua posizione era sbagliata, ma io rispettai le sue caratteristiche morfologiche. E guarda caso, da quando lo mettemmo in un certo modo, tornò a vincere.

Qui però non si tratta di critica, ma di analisi. E chi meglio di lei può darci una lettura tecnica?

Capisco, ma quella premessa resta importante. La domanda vera è: cosa è stato fatto e quali misurazioni sono state prese dal biomeccanico prima di impostare quella posizione? Con Sagan, ad esempio, mi accusarono di averlo posizionato come un biker. In realtà lo feci perché nella fascia 8-12 anni, l’età d’oro dello sviluppo motorio, lui si era formato come biker. Era quindi giusto assecondare quello sviluppo. Non contesto mai il lavoro di un collega se non conosco da dove è partito. E comunque Pogacar sta vincendo, quindi è chiaro che il suo biomeccanico ha fatto un lavoro eccellente. Se la posizione non fosse efficiente, non riuscirebbe a ottenere queste prestazioni.

Ma quindi perché può preferire la presa alta?

Ci sono atleti che si trovano più comodi in presa alta. Può darsi che siano leggermente lunghi rispetto al telaio, oppure che la loro conformazione dal bacino in giù sia più favorevole a quella postura. Magari Pogacar ha le gambe lunghe e il busto corto, pertanto tende a essere “corto” nella parte anteriore della bici. Potrebbe sentirsi meglio in quella posizione. Sagan, ad esempio, chiedeva un attacco manubrio molto lungo per le volate, che faceva in presa bassa. Per evitare di sbattere le ginocchia, scelse un attacco più lungo rispetto a quello ideale per le sue misure.

La differenza più marcata è stata nei confronti di VdP spesso in fuga insieme: uno in presa bassa, l’altro in presa alta. Vedendo la foto l’olandese sempre più aero
Quindi una posizione dettata da un bilanciamento tra spinta, comodità e aerodinamica?

Esatto. Magari Pogacar ha un attacco leggermente lungo e sceglie la presa alta per compensare. E comunque la comodità, specie in gare lunghe, è parte della prestazione.

E la sella così inclinata in avanti? Potrebbe esserci un legame tra le due cose?

Sì, l’inclinazione può portare l’atleta a scivolare in avanti, e cercare appoggio sulle leve per sostenersi meglio. Una sella molto inclinata aumenta la curva della lordosi e porta il bacino in posteroversione. Questo può essere legato a rigidità articolari o muscolari. Bisogna tenere conto che nessuno è perfettamente simmetrico: una parte del corpo può essere più rigida. L’atleta cerca quindi una posizione che sia un compromesso specifico e personale.

Quindi l’approccio è sempre individuale?

Assolutamente sì. Due persone alte 175 centimetri possono avere caratteristiche diverse: uno può avere il tronco più lungo, l’altro le gambe. Le tibie e i femori possono variare. Per questo è importante che il biomeccanico lavori sulle misure antropometriche reali. Così l’atleta si trova in una posizione che gli consente di risparmiare energia.

Nell’analisi frontale l’impatto con l’aria di VdP appare maggiore per via della sua stazza, anche se è più piegato con i gomiti
La comodità quindi è un parametro primario nella prestazione?

Sicuramente. In uno sport di endurance la prima cosa da evitare sono i dolori dovuti a una posizione non confortevole. Bisogna rispettare le leve muscolari e articolari di ogni individuo. E serve conoscere le aspettative dell’atleta, anche dal punto di vista cognitivo e psicologico. Ecco perché la posizione deve farla il biomeccanico, non il semplice bikefitter: servono competenze fisiologiche molto approfondite.

Veniamo alla sella 3D che sta usando Pogacar. Rispetto all’anno scorso ha più grip. Questo può aver influito sull’inclinazione?

Capita spesso che gli atleti chiedano piccoli aggiustamenti in base a fastidi momentanei: una vescica, una ferita, un’irritazione. Molti parlano di prostata, ma è un falso mito. La zona sensibile è il perineo, che quando viene compresso causa problemi, anche nervosi. Il senso di impedimento che si avverte scendendo dalla bici non dipende dalla prostata, che è più in alto, ma proprio dal perineo.

Quindi Pogacar potrebbe avere un fastidio perineale?

Potrebbe. E potrebbe preferire quella posizione perché si sente più scaricato. Personalmente gliela sconsiglierei, ma sono certo che ne abbia parlato con il suo biomeccanico.

Perché la sconsiglierebbe?

Perché quella posizione lo porta a scivolare in avanti con il bacino e ad aumentare la lordosi. Questo incrementa la compressione a livello delle vertebre lombari: L3, L4, L5 e S1. Sono le prime a ricevere vibrazioni, e a lungo andare possono creare problemi.

Come si risolve un fastidio perineale?

Molto spesso basta cambiare fondello. Un fondello di qualità, magari in SEBS (stirene-etilene-butadiene), aiuta moltissimo. Io avrei cercato un compromesso tra il disturbo e il desiderio dell’atleta.

Ma l’inclinazione della sella migliora la circolazione sanguigna?

No, il sangue torna al cuore per gradiente di pressione, non per la posizione della sella. Quando sei in piedi, la pressione al piede è di circa 30 mmHg, 0 al cuore e -10 al cervello. Il sangue va da dove la pressione è maggiore a dove è minore. Nel ciclismo, sport antigravitario, non c’è una pressione sufficiente per favorire il ritorno venoso. Serve una buona contrazione muscolare che “spreme” la vena e aiuta il ritorno del sangue. Ecco perché non è utile scivolare indietro col bacino e bisogna avere libero il triangolo pelvico.

Triangolo pelvico e di Scarpa: cosa sono?

Il triangolo di Scarpa è l’area tra l’inguine e la coscia, dove c’è la piega anteriore della gamba. Si chiama così dal professor Scarpa che lo individuò nel ‘700. E’ importante perché, insieme ai diaframmi respiratorio e pelvico, crea pressioni negative e positive che facilitano il ritorno venoso. Il sangue che torna al cuore è venoso, viene poi ossigenato e rimesso in circolo per produrre ATP, l’energia del movimento. In bici da crono questo triangolo è chiuso, ma lì la durata è limitata. In una gara lunga e dura come la Roubaix, per esempio, invece è fondamentale preservarlo.

E’ un’analisi molto profonda. Quanto conta osservarla su strada?

E’ fondamentale. Serve guardare l’atleta in azione, su strada. Non basta un’analisi su rullo o in laboratorio. Con appositi sensori misuro l’emoglobina e l’ossigenazione nei vari distretti corporei durante lo sforzo. Questo consente di sapere con precisione dove e come circola l’ossigeno.

Il triangolo di Scarpa (o femorale) indicato da Testa. Pogacar lo chiude meno anche (ma non solo) per via dell’utilizzo di pedivelle più corte rispetto a molti altri
Il triangolo di Scarpa (o femorale) indicato da Testa. Pogacar lo chiude meno anche (ma non solo) per via dell’utilizzo di pedivelle più corte rispetto a molti altri

In conclusione

E’ evidente che la posizione di Pogacar è frutto di un lavoro accurato, costruito sulle sue caratteristiche morfologiche e sulle sue esigenze prestative. I due dettagli che abbiamo messo in evidenza, la presa alta sulle leve e la forte inclinazione della sella, potrebbero essere collegati tra loro, come ipotizzato.

Ma vanno interpretati alla luce di ciò che ci ha spiegato il dottor Mauro Testa: ogni atleta è un mondo a sé e la posizione in bici deve tener conto non solo dell’aerodinamica, ma anche della comodità, dell’efficienza muscolare e del ritorno venoso. In questo senso, la postura di Pogacar rappresenta forse un compromesso tra tutti questi fattori, e finché continuerà a vincere, sarà difficile dargli torto.

Mani sulle leve in discesa, tendenza rischiosa ma inevitabile?

13.05.2024
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Si parla molto di cadute, attribbuendole al fatto che queste siano principalmente legate a bici e materiali sempre più rigidi e veloci. Che oggi si vada veloci è cosa vera. E’ l’evoluzione. Una bici attuale, anzi un pacchetto bici + atleta attuale, a parità di sforzo e numeri antropometrici è certamente più veloce che in passato.

Ma siamo però sicuri che la colpa di queste cadute sia da scaricare integralmente su bici, ruote, freni a disco..? O ci sarà anche dell’altro? I corridori hanno delle responsabilità?

Ne parliamo con Paolo Savoldelli, uno che in bici ci sapeva andare. Le sue discese sono antologia del ciclismo. Paolo, la sua tecnica se l’era costruita da bambino e l’aveva affinata nel corso degli anni, tra le categorie giovanili e il professionismo.

Savoldelli in discesa, terreno sul quale ha spesso attaccato… pur restando in sicurezza
Savoldelli in discesa, terreno sul quale ha spesso attaccato… pur restando in sicurezza

Questione di posizioni

A Savoldelli gettiamo sul piatto una nostra annotazione basata su osservazioni reali: i corridori tengono (quasi) sempre le mani sulle leve in discesa. E anche quando in gruppo nei finali di corsa si lima a 60 all’ora. In quest’ultima circostanza la visibilità cala parecchio e se la buca di turno, con le mani sulle leve, ti fa perdere la presa finisci a terra.

Emblema assoluto di questo tipo di caduta è Jens Voigt al Tour 2009 scendendo dal Piccolo San Bernardo: mani sulle leve, velocità elevata, avvallamento, caduta (rovinosa ed inevitabile) in avanti.

Prima di parlare direttamente delle mani, Savoldelli parte però dalle posizioni in bici. Anche perché, come vedremo, le due cose sono legate.

«La posizione – spiega il Falco Bergamasco – è cambiata completamente rispetto a quando correvo io, ma anche Moser o Bugno… Oggi sono tutti più corti e avanzati. Uno dei primi a proporre queste posizioni moderne fu Alberto Contador. Sicuramente oggi hanno visto che biomeccanicamente rendono di più, vanno alla ricerca dei watt, ma certamente questa posizione molto avanzata non è ideale per guidare bene la bici».

Adam Yates la sua posizione è il simbolo di quanto oggi gli atleti siano avanzati in sella
Adam Yates la sua posizione è il simbolo di quanto oggi gli atleti siano avanzati in sella

Quei telai su misura

Il baricentro è tutto più avanzato, e questo lo sosteneva anche il meccanico della Ineos Grenadiers, Matteo Cornacchione, mentre 20 anni fa si era ben più spostati dietro. Tra le altre cose Cornacchione diceva che Pidcock era meno spostato in avanti di altri. Tenete a mente questa frase e pensate a come va in discesa l’inglese…

«Certamente – prosegue Savoldelli – i materiali incidono, i telai e le ruote soprattutto sono più rigide. Oggi i telai stessi sono standard, mentre noi avevamo quelli su misura e questo era un valore aggiunto. Ma va considerato anche il fatto che oggi ci sono più dossi, più rotonde, più spartitraffico. Non si cade solo in discesa. E c’è più stress in gruppo e si commettono più errori. Insomma, per me le cadute sono da imputare ad un insieme di fattori».

Paolo Savoldelli fa un’analisi a 360° che è difficile non condividere, resta però aperta la questione delle mani sulle leve. E’ un dato oggettivo che se si mettono sulla curva della piega manubrio, proprio in casi di dossi, buche… il palmo della mano ha un’opposizione, un punto di tenuta (il manubrio stesso). Mentre se le si mette sulle leve questo punto viene a mancare.

E’ appurato che mettere le mani sulle leve e abbassare il busto è più aerodinamico che stare in presa bassa. Ma limando a centro gruppo la sicurezza ne risente
E’ appurato che mettere le mani sulle leve e abbassare il busto è più aerodinamico che stare in presa bassa. Ma limando a centro gruppo la sicurezza ne risente

Mani sulle leve

Se si osserva bene, nella famosa caduta dei Paesi Baschi che ha messo fuori gioco Evenepoel, Vingegaard e tanti altri, i primi atleti avevano tutti le mani sulle leve. Magari con le mani sotto qualcuno si poteva salvare. Tra l’altro ad innescare la caduta di massa è stato proprio Remco che con un avvallamento (una radice ci hanno riferito) ha perso il contatto col terreno e aveva le mani sopra.

«In teoria – dice Savoldelli – stando così corti e in avanti, mettendo le mani sotto dovrebbero allungarsi, ma poi la realtà è che si ritroverebbero ancora più schiacciati. Immagino sia per questo che cerchino costantemente la presa sulle leve».

«Poi è anche vero che alcuni atleti, come Evenepoel, magari difettino delle basi in quanto non hanno corso da giovani, ma guidare bene a certi livelli è anche una dote».

Quanti ragazzi, specie giovani, scendono con le mani sulle leve…
Quanti ragazzi, specie giovani, scendono con le mani sulle leve…

Compromesso necessario

Presa sulle leve e posizioni avanzate vanno di pari passo, ma è vero che comunque molti non guidino bene.

«Io – dice Savoldelli – ho notato per esempio che spesso i corridori si alzano sulla sella prima dell’ingresso in curva: è sbagliato. E’ una cosa che non si deve fare. In quel momento alleggerisci il peso, il controllo sulla bici. Ma io credo che questo dipenda dal fatto che appunto finiscano troppo in avanti e cercano di ritirarsi indietro. E per lo stesso motivo vanno a cercare le leve e non la curva della piega manubrio».

«Noi eravamo più distesi, con meno dislivello tra sella e manubrio e la presa bassa ci veniva più naturale».

Con le mani in presa alta il controllo è meno rapido e il baricentro si alza. E qui stando a quel che ci ha detto Savoldelli, dobbiamo spezzare una lancia in favore dei corridori: mettendo le mani sulle leve è vero che un po’ si alza questo baricentro, ma è anche vero che lo si riequilibra, in quanto si cade un po’ meno sull’anteriore.

Insomma, tenere le mani sulla piega è certamente più sicuro, ma con queste posizioni non è neanche così facile. 

Sella e manubrio: piccoli interventi in base allo stato di forma

05.02.2024
4 min
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«Dopo il Giro d’Italia ero talmente stanco che la mia muscolatura si era accorciata e così in accordo con i tecnici, ho abbassato un po’ la sella. Poi, una volta recuperato, l’ho rimessa nella sua posizione alla ripresa delle preparazione». Parole di Marco Frigo, giovane corridore della Israel-Premier Tech, che nel parlare della sua preparazione in vista della stagione ci ha raccontato questo aneddoto tecnico della scorsa estate.

Ma Frigo non è e non è stato il solo ad aver apportato dei piccoli interventi di posizione e quindi biomeccanici al variare della condizione fisica. E di questo tema parliamo con Alessandro Colò.

Colò è un ex corridore che si è laureato in Ingegneria e da qualche anno dirige un importante centro dedicato al ciclismo a 360 grandi, Body Frame. «Ho un centro a La Spezia – dice – dove mi avvalgo della collaborazione di un osteopata, un tecnico fisioterapista, un nutrizionista e un preparatore. In più ci sono io che curo la biomeccanica».

Alessandro Colò nel suo centro a La Spezia
Colò nel suo centro a La Spezia
Alessandro, partiamo dalla storia di Frigo. Si fanno spesso interventi simili?

Spesso no, in quanto parliamo comunque di livelli molto alti, estremi. Interventi che hanno senso appunto per i pro’, per i corridori che hanno una certa sensibilità, ma non avrebbero senso per gli amatori. Parliamo di millimetri: 2-5 millimetri al massimo. Quindi non sono cambiamenti che ti stravolgono la posizione.

Cosa sarebbe successo ai muscoli di Frigo se avesse continuato a pedalare con la sella “pre-Giro” e i muscoli “corti”?

Nulla di particolarmente importante. E’ come se avesse pedalato con la sella leggermente più alta e quindi il suo bacino avrebbe oscillato un po’ di più sulla sella stessa. Ma sono soprattutto sensazioni. E bisognerebbe chiederle a lui. Il difetto maggiore in cui poteva incorrere sarebbe stato quello di perdere un po’ della rotondità della pedalata.

Come fai tu per capire se un atleta ha bisogno di variare la sua altezza di sella?

Posso spiegare il mio metodo per individuare l’altezza di sella. Un metodo che ha tre step principali. Il primo: misuro l’altezza del cavallo con la classica formula dell’altezza moltiplicata per 0,885. Già così ottengo una buona approssimazione, con una tolleranza di 1-2 centimetri. Il secondo step: è l’utilizzo del simulatore. Prima però, per affinare il tutto, analizzo le scarpe e i pedali che usa e la sua flessibilità. Chiedo che tipo di attività svolge e a che livello: è un pro’, un cronoman, un triathleta… A quel punto lo faccio pedalare sul simulatore e misuro gli angoli, il più importante dei quali è quello tra tibia e femore, che deve stare entro certi parametri, e a cascata quello della caviglia. In particolare quando poi analizzo il piede con dei sensori vedo due parametri: la rotondità della pedalata e la curva di coppia della spinta. Il terzo step: è quello del sensore pressorio della sella. Questo mi permette di misurare i punti di pressione delle ossa ischiatiche sulla sella. Più il ciclista oscilla e più è alto.

Quando Pozzato entrava in forma e raggiungeva il peso ideale, sentiva l’esigenza di alzare la sella di qualche millimetro
Quando Pozzato entrava in forma e raggiungeva il peso ideale, sentiva l’esigenza di alzare la sella di qualche millimetro
Un’analisi approfondita…

In questo modo riduciamo o annulliamo la quel margine d’errore che emerge dalla formula inziale. 

Anche Pozzato era solito intervenire sulla posizione nel corso della stagione. Quando dimagriva abbassava la sella…

Anche qui ha senso, ma sempre per un pro’. E anche in questo caso parliamo di millimetri. Perdendo peso, diminuisce lo spessore dermatologico, tra cute, liquidi, adipe. Questo spessore si riduce e per mantenere gli stessi angoli deve alzare quel po’ la sella. In questo caso lo strumento della misura della pressione è molto utile.

Ci sono delle formule per quantificare la resa effettiva di questi cambiamenti? Quanti watt rende di più l’atleta?

Direi di no, sono interventi che puntano soprattutto sulle sensazioni di comfort. Ripeto: siamo nell’ordine di pochi millimetri.

Nel corso della stagione non è raro vedere manubri più bassi. Si tolgono gli spessori più piccoli tra attacco e tubo di sterzo
Nel corso della stagione non è raro vedere manubri più bassi. Si tolgono gli spessori più piccoli tra attacco e tubo di sterzo
Capitano mai casi simili nel tuo centro?

Più che altro io consiglio sempre di fare un controllo nel corso dell’anno. La prima visita biomeccanica si fa ad inizio stagione, quando arrivano le bici nuove e i nuovi materiali. Poi un controllo andrebbe fatto adesso, a febbraio, prima dell’inizio delle corse. E un altro a maggio-giugno, nel pieno dell’anno, quando in teoria si è al massimo. Con il peso giusto, la muscolatura pronta, un certa flessibilità… Io consiglio questi controlli sin dalla categoria juniores. Chiaramente parliamo di controlli a parità di materiale e componenti. Altrimenti va rivisto il tutto.

Qual è un intervento che fai frequentemente?

Quello di abbassare il manubrio, nel corso dell’anno si può ridurre anche di 5 millimetri. E non è sbagliato neanche il caso di Frigo, ma come ripeto è molto legato alle sensazioni dell’atleta. Altra cosa: se si alza o abbassa la sella bisognerebbe intervenire anche sull’inclinazione della sella stessa. Se si abbassa, bisognerebbe anche abbassarla appena in punta. Mentre sono contrario a ritoccare l’arretramento nel corso della stagione.

Posizioni avanzate: lavoro a secco sulla catena posteriore, ma non solo

04.11.2023
5 min
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Posizioni moderne, posizioni raccolte. Non è la prima volta che trattiamo questo argomento. Lo abbiamo fatto dal punto di vista biomeccanico, da quello relativo ai “nuovi” dolori, stavolta lo facciamo da quello muscolare e della preparazione a secco. E lo facciamo con l’aiuto (fondamentale) di Marco Compri, preparatore delle nazionali della FCI.

Compri è l’esperto dei pesi, per dirla in soldoni. Palestra, esercizi a secco, equilibrio, coordinazione… sono il suo mondo.

Marco Compri fa parte dello staff performance della Federciclismo
Marco Compri fa parte dello staff performance della Federciclismo
Marco, a posizioni nuove, più raccolte, corrispondono esercizi nuovi? Cambiano le preparazioni a secco?

Credo che prima vada fatta una premessa. Quando parliamo di allenamento a secco parliamo di un allenamento a-specifico con il quale non si può avvicinare la specificità del gesto. Devi allenare al meglio quel muscolo, quel distretto muscolare e poi si fa la trasformazione in bici. Con l’allenamento a secco vai a tirare fuori il meglio della forza che può darti quel muscolo, a prescindere da quel che sarà poi il movimento finale. Ricordiamoci infatti che il cervello riconosce il movimento e non il muscolo: questa è una regola molto importante.

Quindi non c’è questa relazione fra posizioni in bici diverse e allenamento a secco? Si dice che stando più avanti sulla pedaliera lavori molto di più la muscolatura posteriore.

Sicuramente è più importante lavorare con carichi liberi, il classico bilanciere sulle spalle e non quello che scorre nel macchinario. In questo modo si attivano più assi e poi questa produzione di forza si traduce in bici. La palestra è la componente analitica dell’allenamento.

L’obiettivo primario è sviluppare la forza, insomma?

Esatto. Sappiamo che un certo tipo di tensioni in bici non le sviluppi, non hai una certa durata e una certa forza da contrastare, così come ci sono degli stimoli che la palestra non può dare. Nel mezzo c’è una gamma di lavori che si possono fare in bici. Faccio un esempio: devo allenare la forza massima. Meglio farla in palestra, soprattutto per soggetti con caratteristiche neuromuscolari importanti, come i velocisti.

Lo squat libero col bilanciere resta uno degli esercizi più efficienti, sia per la catena posteriore che per quella anteriore
Lo squat libero col bilanciere resta uno degli esercizi più efficienti, sia per la catena posteriore che per quella anteriore
C’è quindi un limite che dice che alcuni esercizi è meglio farli in palestra e altri in bici?

Direi che se si deve riprodurre un esercizio di forza che in bici è fino a 50 rpm, anche 60 rpm, allora è meglio farli in palestra. Mentre al di sopra, meglio la bici. Per un velocista che tocca anche le 140 rpm non si può riprodurre in palestra un gesto tanto veloce.

Ci sorge una domanda. Ma se è così, allora non ha senso fare le famose SFR?

Dipende. Le classiche SFR a 50 rpm al medio potrebbero ancora andare bene per alcuni soggetti, vedi gli scalatori puri. Bisogna sapere che si parla di allenamento della forza quando si attiva almeno il 30 per cento del proprio massimale. A quelle pedalate e a quell’intensità lo scalatore, forse, ancora ci riesce perché di base ha poca forza.

Chiaro…

Se il suo massimale è 650 watt, il 30 per cento della sua forza è poco più di 200 watt e a 50 rpm al medio forse ci sta. Ma se lo deve fare un velocista che ha più forza e magari il suo medio è 350 watt diventa piuttosto impegnativo, magari è alla soglia, e non sono più le classiche SFR. Il tutto dipende dalle qualità metaboliche del soggetto.

Adam Yates e la sua posizione particolarmente avanzata
Adam Yates e la sua posizione particolarmente avanzata
Tempo fa pubblicammo una foto di Adam Yates tutto spostato in avanti. Questi soggetti così avanzati non stressano di più il bicipite femorale? Non devono fare qualcosa in allenamento?

Ci sono tre concetti: il primo, ripeto, è lo stimolo della forza pura, quindi un lavoro a-specifico, poi c’è il concetto dell’allenamento dei muscoli e il terzo che il corpo umano è in equilibrio antero-posteriore e per me non è mai ideale sovraccaricare una catena muscolare rispetto all’altra. Anche perché c’è il noto concetto dei muscoli protagonisti e antagonisti. E per un muscolo che favorisco, ce n’è un altro che fa da freno. Con queste posizioni si spinge di più con la catena posteriore è vero, ma in realtà più del bicipite femorale è interessante il grande gluteo, che è un muscolo potentissimo. Un muscolo che tanti allenano ma che pochi sono in grado di attivare.

Cioè?

Come detto, il cervello riconosce il movimento e non il muscolo, quindi è importante allenare tutta la catena della coscia tramite la coordinazione intramuscolare… allora sì che è efficace e si sfruttano i muscoli.

Il trust, esercizio ottimo per il trofismo dei glutei, ma non ideale per il ciclista in quanto “isolato” dalla catena posteriore
Il trust, esercizio ottimo per il trofismo dei glutei, ma non ideale per il ciclista in quanto “isolato” dalla catena posteriore
Quindi come si allena il gluteo?

Non c’è un modo selettivo, bisogna capire questo: il corpo umano lavora in equilibrio con più distretti. Lo squat – nei suoi vari tipi – può essere un ottimo esercizio. Lo squat libero intendo e sapete perché? Perché può sembrare banale ma per farlo si coinvolgono 276 muscoli. E’ un movimento complesso e come si fa a dire: attivo solo il gluteo? Poi chiaramente ci sono esercizi che stimolano più o meno specifici muscoli. Lo stesso gluteo per esempio si può fare con il trust: spalle sulla panca e piedi a terra, pesi sull’inguine, si spezza la catena del tronco e si fa su e giù col bacino. Di certo si avrà un gluteo più trofico, ma non è detto che si riesca poi ad attivarlo in bici.

Insomma se abbiamo ben capito, lo sviluppo della forza anche per quei muscoli più stressati dalle nuove posizioni non si fa in modo specifico. Non si va a lavorare solo sul gluteo o sul bicipite femorale, ma sull’intera catena e sempre in un’ottica di equilibrio generale…

Esatto, bisogna saper attivare in maniera armonica i muscoli. Per questo a mio avviso è molto importante fare esercizi a carico libero, perché ci sono le componenti di equilibrio e di coordinazione. Perché poi dobbiamo esprimerci al meglio in una realtà complessa, che è la pedalata.

Mariano: «Non esiste la posizione della vita». Valverde insegna

09.03.2022
5 min
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Posizione in sella e anni che passano: che relazione c’è tra le due cose? Quanto varia la posizione del corridore?

Una volta, quando si iniziava la stagione quasi sempre con qualche chiletto di troppo, e si andava dal biomeccanico spesso le misure erano prese “in prospettiva”. Una delle domande che venivano poste era: “quanto sei sopra”?». Riferendosi ai chili. Quindi si lasciava uno spessore in più sotto al manubrio con la promessa di toglierlo non appena si fosse raggiunto il peso forma.

Questo per dire che un po’ si è sempre intervenuti sulla posizione nel corso della stagione. Ma il discorso è ben complesso e merita l’ausilio di un esperto. Nel nostro caso è Alessandro Mariano, biomeccanico che da tantissimi anni segue molti professionisti. 

Alessandro Mariano: parte sempre dall’analisi muscolare con gli strumenti per individuare la posizione più efficiente
Alessandro Mariano: parte sempre dall’analisi muscolare con gli strumenti per individuare la posizione più efficiente
Alessandro, quanto varia, ammesso che vari, la posizione in bici nel corso della carriera?

Varia sì! Non esiste la posizione della vita, né per un pro’, né tantomeno per un amatore. Una volta venne da me un cicloamatore di 60 anni che mi disse: quando ero dilettante stavo così. E io gli risposi: ecco perché questa posizione non va più bene.

Un bel lasso di tempo in effetti… Quanto dura quindi una posizione?

La vita media è di 1-2 anni. Poi bisognerebbe rivedere sempre qualcosa. Perché ci sono molte cose che cambiano.

Cosa?

Nell’atleta il passare del tempo e quindi principalmente della sua muscolatura. In un amatore quello che fa nella vita, se ha cambiato mestiere. Se un rappresentante ha cambiato macchina me ne rendo conto dalla sua postura, pensate un po’. Ma in generale, al netto dell’ingrassare o del dimagrire, col passare degli anni cambiano le taglie dei vestiti, figuriamoci una posizione basata sui millimetri.

Hai detto che col passare del tempo, il corridore modifica soprattutto la sua muscolatura: cosa succede?

Premesso che non c’è una regola fissa, la tendenza media è quella di “accorciarsi” muscolarmente. Si diventa più piccoli. E la prima cosa che si fa è quella di portare la sella più avanti. Ma c’è stato anche chi è andato contro questa regola e si allungato.

Però molti corridori, almeno una volta, quando passavano pro’ erano grossi, potenti, poi col tempo perdevano massa: in teoria non dovrebbero allungarsi?

Questo è vero, ma appena passati. Dopo tanti anni la maggior parte si accorcia. Cambiando muscolarmente, per farlo lavorare allo stesso modo, nella stessa efficienza, con gli stessi muscoli bisogna intervenire e chiaramente cambiano anche gli angoli. Nelle mie valutazioni parto sempre dall’osservare come lavora e come rende la muscolatura.

C’è un corridore che più di altri ha variato la sua posizione in questi anni?

Valverde – risponde secco Mariano – in Alejandro la differenza è ancora più macroscopica vista la longevità della sua carriera. Io poi l’ho anche seguito all’inizio e me lo ricordo bene.

E in cosa è cambiato?

Nell’avanzamento della sella. Vedendolo adesso credo sia almeno 2 centimetri più avanti. Forse, e sottolineo forse, potrebbe essere un po’ troppo, ma di base sono d’accordo con questa tendenza. E tutto sommato nella sua condizione può anche osare di farsi male, tanto tra poco smette.

Cosa potrebbe accadergli?

Come abbiamo detto anche qualche tempo fa, oggi si esagera nel pedalare in avanti. Bisogna stare attenti ai sovraccarichi articolari, bisogna sempre trovare l’equilibrio tra l’efficienza articolare e il carico (la forza della spinta, ndr).

Se si sposta la sella più avanti poi bisogna anche alzarla?

Dipende. C’è chi ha bisogno di portarla solo in avanti, chi deve solo abbassarla un po’ (e automaticamente va un pelo avanti, ndr) e chi deve abbassarla e avanzarla.

E invece riguardo al manubrio cosa succede?

Ancora una volta dipende dal soggetto. Come ho detto, si tende ad accorciarsi, quindi gli attacchi sono un po’ più corti o un po’ più alti.

Eppure Valverde sembra sia ancora più basso. Però è anche vero che lui è un “fan” della ginnastica, addominali e dorsali in particolare, magari ha acquisito una certa elasticità…

La ginnastica incide di sicuro. Ma bisogna andare oltre addominali e dorsali, c’è anche tutta la zona paravertebrale su cui lavorare, la catena posteriore, quella anteriore… Valverde evidentemente si poteva abbassare.

E in un grande Giro varia la posizione?

Feci dei test durante il Giro e la Vuelta e se davvero uno volesse la stessa pedalata dall’inizio alla fine, a metà Giro bisognerebbe intervenire. Ma poi praticamente nessuno lo fa per paura di sconvolgere equilibri fisici e mentali.

E nel caso come si dovrebbe intervenire?

Spostandosi un po’ indietro. Il che può sembrare un controsenso, ma dopo 15 giorni di carichi intensi ci si allunga.

C’è qualcuno che ha variato la posizione durante un Giro?

Ancora una volta… Purito Rodriguez. Lui ti chiedeva: ma così vado più forte? Io gli rispondevo di sì. E lui: vai cambia!

Cambia di più uno scalatore o un velocista la sua posizione col passare del tempo?

Più o meno è lo stesso, cambiano tutti, ma nello scalatore che pedala più arretrato forse si nota di più lo spostamento.

All’inizio abbiamo parlato del peso: oggi i corridori sono molto costanti tutto l’anno anche col peso. Alla ripresa al massimo hanno 2-3 chili in più. Ma incide?

E’ una delle motivazioni che porta a cambiare posizione, ma se si dimagrisce il giusto, 2-3 millimetri la sella si può alzare (di conseguenza si è un po’ più schiacciati davanti, ndr) perché avendo “più spazio” ci si può estendere meglio.

Su pista, su strada, a crono e in Mtb: come li mettono in sella?

24.11.2021
5 min
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Le posizioni in bici sono sempre state un elemento fondamentale e non trascurabile del ciclismo. Misure azzeccate o sbagliate hanno fatto vincere o perdere grandi Giri. Non solo, un posizionamento scorretto può portare anche a infortuni o problemi che possono compromettere stagioni o nel peggiore dei casi carriere. Della messa in sella vi abbiamo parlato in più occasioni affrontando i temi specifici. 

Casadei con un ospite d’eccezione nel suo studio: Fabian Cancellara
Casadei con un ospite d’eccezione nel suo studio: Fabian Cancellara

Riferimento per i pro’

Con questo approfondimento facciamo un focus su uno degli aspetti che spesso viene trascurato. La posizione durante il periodo invernale su altre discipline come: gravel, mountain bike, ciclocross e pista. Per farlo, ci siamo affidati a Massimo Casadei che vive il ciclismo a 360 gradi. A partire dall’aspetto tecnico con le sue competenze biomeccaniche (in apertura Michele Scartezzini durante una crono). Passando per quelle da responsabile del centro studi dell’Emilia Romagna nonché docente e formatore per direttori sportivi. Lui in primis lo è ricoprendo il ruolo di diesse nell’Arvedi Cycling. Nel suo studio tra i clienti fissi ci sono i suoi atleti ma anche Matteo Malucelli, Filippo Baroncini, Manuele Tarozzi oltre a qualche atleta del Team Colpack a supporto dell’amico Ivan Quaranta.

La multidisciplina fa parte della preparazione invernale. E’ un dato di fatto…

Si. Sopratutto a livello giovanile si spinge molto in questa direzione. E’ uno degli obiettivi della Federazione portare a praticare più discipline possibili. Si è visto che avere un bagaglio tecnico più ampio favorisce la crescita dell’atleta in tutto e per tutto. Un esempio sono gli atleti di alto livello che praticano discipline diverse, come può essere il ciclocross, pista, Mtb e gravel.

Va bene qualsiasi specialità?

Dipende dalle situazioni, nella mia squadra (la Arvedi Cycling, ndr), l’indirizzo è pista e strada. Per cui alcuni di loro, come Francesco Lamon o Michele Scartezzini proseguono la stagione dedicandosi alla pista tra Champions League e sei giorni. Chi invece non ha l’impegno invernale alterna le discipline fuoristrada.

Per Lamon, atleta Fiamme Azzurre, la doppia attività è pista con la nazionale e strada con la Arvedi
Per Lamon, atleta Fiamme Azzurre, la doppia attività è pista con la nazionale e strada con la Arvedi
Sei tu che li segui anche nel posizionamento in sella?

Sì, io li seguo sia nella posizione in bici sia per la preparazione, visto che ricopro il ruolo di diesse.

Lamon e Scartezzini hanno avuto una lunga stagione?

Lamon come ben si sa, ha dovuto mantenere un livello di forma altissimo per molti mesi e i due ori gli hanno dato ragione. Lui domani parte e va con la nazionale alle Canarie due settimane. Invece Scartezzini sta facendo la Champions Legue e sta mantenendo un ottimo stato di forma, anche lui viene da ottimi risultati con l’argento mondiale nella madison. Entrambi hanno staccato finito il mondiale e sono andati in vacanza, per un totale di 15-20 giorni di riposo.

La vostra squadra, si può dire sia un satellite della nazionale di pista. Per questo lavorate in sinergia con la maglia azzurra. Ci sono discordanze tra strada e pista, per quanto riguarda le misure?

Come altezza sella non cambia più di tanto anzi si cerca di mantenere lo stesso assetto. Quello che varia è la posizione sull’avantreno. Le differenze più grosse ci sono nelle bici per l’inseguimento. Infatti gli appoggi sono stati progettati da zero con uno scanner per la produzione del manubrio, molto costoso. Si parla di manubri fatti su misura da più di diecimila euro. Lo stesso concetto vale per la crono, va fatto uno studio di base che va poi a modificare alcune altezze ma non le stravolge.

Prendendo sempre come esempio i pistard pensi che abbiano difficoltà a passare da un mezzo all’altro?

No, anche perché alternano spesso l’utilizzo, non fanno stacchi troppo dilatati. Il segreto sta li. É chiaro che fanno dei periodi dove l’utilizzo si concentra su un tipo di disciplina. Tanto è vero che il pre gara lo fanno con la bici normale senza problemi. A volte quando i tempi sono brevi mettono direttamente la bici da pista sui rulli per avere una confidenza totale. Ma di base non ci sono problemi nell’alternanza.

Ci sono posizioni esasperate anche nell’offroad?

Globalmente, direi che le posizioni esasperate come dicono molti, non esistono. Per esempio anche gli amatori che vengono nel mio studio ci tengono a dire che non vogliono posizioni estreme. E’ chiaro che un atleta professionista ha una posizione in sella diversa, più rivolta alla performance. Io parto sempre dal concetto di comfort. Uno in bicicletta deve starci bene. Il pro’ va in bici tutti i giorni per svariate ore. Stare comodi in sella aiuta il recupero e non affatica ulteriormente.

Pidcock Mtb Tokyo 2021
Serve grande versatilità per passare dalla bici da strada alla Mtb. Qui Pidcock, oro a Tokyo
Pidcock Mtb Tokyo 2021
Serve grande versatilità per passare dalla bici da strada alla Mtb. Qui Pidcock, oro a Tokyo
Cosa pensi degli amatori che prendono i pro’ come riferimento?

L’atleta agonista, fondamentalmente è magro. Ma sopratutto è giovane salvo casi particolari. Le articolazioni hanno più elasticità così come l’adattamento dei muscoli e il recupero sono al massimo del loro rendimento. 

Non c’è una grossa differenza tra una bici e l’altra?

Chiaro che su Mtb o su gravel si ha un assetto diverso, si va alla ricerca di una posizione che dia una certa sicurezza anche nella guida. Sono attività che vanno affrontate in modo adeguato. Un adattamento ci deve essere sempre. L’altezza sella si cerca di mantenerla uguale, così come l’arretramento. L’obiettivo rimane conservare i parametri originali in modo tale che gli angoli siano il più simili possibile. Così facendo si rende meno traumatico il passaggio tra una disciplina e l’altra.

La corsa a piedi può dare fastidio alla risalita in sella?

C’è chi scende anche dalle due ruote. Ci sono atleti a cui piace andare a correre nei mesi invernali. Ma anche in questo caso bisogna avere un approccio cauto. Dal punto di vista organico non si hanno problemi a correre per un’ora. I problemi nascono dal punto di vista articolare e tendineo. Come per tutte le cose, la gradualità è un aspetto fondamentale da non trascurare. 

Riviste le regole UCI: cosa convince e cosa no…

19.04.2021
5 min
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Con le prime classiche delle Ardenne non solo si sono visti (e rivisti) i duelli tra i campioni, ma sono anche entrate in vigore le nuove regole Uci. O meglio, la revisione di queste regole. Ne avevamo parlato anche con Matteo Trentin, referente del CPA per i corridori. E lui stesso ci disse delle grandi perplessità su alcuni punti e della presa di posizione quasi unilaterale dell’Uci.

Le green zone, furono introdotte già nel 2014
Le green zone, furono introdotte già nel 2014

Rivoluzione Uci

Come è noto lo scorso 1° aprile sono entrate in vigore le nuove normative: è stata bandita la “tuck position” (quella a “uovo” in discesa), è stata bandita anche quella “tipo crono” con le mani che non toccano il manubrio ed è stata sancita la regola della borraccia: squalifica per chi viene sorpreso a lanciare a terra la borraccia al di fuori di una green zone, vale a dire quelle “aree rifiuti” che si trovano di tanto in tanto nella corsa. Si tratta di spazi nei quali il corridore può liberarsi di borracce appunto, ma anche di cartacce, involucri e sacchetti per il rifornimento. Aree che chi ha preso parte alle granfondo ha già visto.

La grande protesta ha riguardato soprattutto il dopo-Fiandre, quando lo svizzero Michael Schar si era liberato di una borraccia gettandola in direzione di alcuni tifosi a bordo strada. Il fatto avvenne in diretta tv e sui social ci fu un vero sollevamento globale a sostegno del corridore della Ag2r-Citroen. Perché se ci sono le regole Uci, è anche vero che ci sono le regole della tradizione, quelle non scritte. Tra l’altro un gesto bellissimo. Schar non solo fu squalificato, ma prese anche una multa e perse dei punti Uci.

I corridori, e forse anche i tifosi, con la loro pressione all’Uci sono riusciti a far modificare la regola del “rosso diretto”. Adesso, la prima volta che il corridore viene pizzicato riceve una multa in franchi svizzeri, la seconda viene squalificato. Questo in una corsa di un giorno. Se invece il fatto avviene in una corsa a tappe: alla prima viene multato, alla seconda incappa in un minuto di penalità, alla terza viene squalificato.

L’entità di multa e penalizzazione dei punti variano rispettivamente da 100 a 500 franchi svizzeri e da 5 a 25 punti a seconda della classe della competizione.

Chissà se con le nuove norme rivedremo gilet portaborracce tipo utilizzati qualche anno fa
Chissà se con le nuove norme rivedremo gilet portaborracce tipo utilizzati qualche anno fa

Borraccia in mano

Certamente è un passo in avanti, ma le distanze tra corridori e Uci sono ancora marcate. Ovviamente non per il fatto di gettare o meno le borracce (sul tema dell’inquinamento sono tutti d’accordo), ma sul fatto che le borracce non possano essere lanciate ai tifosi. La regola dice che semmai il corridore la deve passare in mano al tifoso. Lanciare la borraccia infatti potrebbe indurre il fan a bordo strada, specie se bambino, a spostarsi al centro della carreggiata per riprenderla (riferendosi al fatto che spesso la borraccia sbatte sul ciglio del marciapiede e rimbalza verso il centro strada). Un caso verosimile, ma mai verificatosi, almeno a nostra memoria.

Pertanto il corridore si può liberare delle borracce nelle green zone, passarle in mano al tifoso, darle ai veicoli che seguono la corsa o alla propria ammiraglia. Solo così non viene sanzionato.

Richardson beccato. I mignoli non garantiscono una presa sicura (da Twitter)
Richardson beccato. I mignoli non garantiscono una presa sicura (da Twitter)

Mignolino galeotto

Ma a tenere banco non c’è solo il “BottleGate”, scimmiottando i grandi processi statunitensi. Si discute, anche se in maniera meno forte, sulle posizioni adottate in corsa.

Contrariamente a quanto si potesse pensare, i corridori che hanno dovuto accettare queste norme, sono stati più infastiditi dal dover dire addio alla posizione aerodinamica in discesa che non a quella delle braccia appoggiate sul manubrio “tipo crono” con i gomiti sulla piega e le mani libere “a picco” sulla ruota anteriore.

«Non si sono mai verificati incidenti con la posizione tuck», hanno detto più o meno in coro gli atleti. Mentre sono stati più propensi ad accettare lo stop sulla presa del manubrio. «A volte ha causato delle cadute», questa la loro sintesi. Ma anche in questo caso, se si va a vedere, è stata una negligenza di pochi che si sono messi con i soli gomiti sulla piega anche in gruppo. In questo modo, in effetti, non si ha la possibilità di frenare in caso di necessità improvvisa, né di poter scartare un eventuale ostacolo. Cosa ben diversa invece se si è in fuga da soli o in testa al plotone. Comunque sia adesso non si può più fare.

Ma come si dice, “fatta la grazia gabbato lo santo”. O almeno così pensava Alexander Richardson. Giocando come un abile avvocato tra le parole della norma stessa, la quale dice che il manubrio non può essere libero da una presa delle dita, senza specificare quante, il corridore della Alpecin Fenix ha messo i gomiti sulla piega e con i mignoli è andato a cercare la leva. La giuria però non si è fatta sorprendere e qualche ora dopo l’arrivo lo ha squalificato.

Nella 4ª tappa del Turchia maxi caduta e corridori sotto alle transenne vecchio stile
Nella 4ª tappa del Turchia maxi caduta e corridori sotto alle transenne vecchio stile

Coerenza e buonsenso

Chissà se anche in tal senso a breve ci sarà un’altra revisione dell’Uci. Di base, quando si parla di sicurezza si può anche essere d’accordo, per esempio va bene la figura la figura dell’Event Safety Manager, ma sulle regole della tradizione, come la borraccia al pubblico, serve del buonsenso. Asgreen nel finale del Fiandre ha gettato la sua borraccia, ma per fortuna sua (o forse perché aveva studiato le regole) era all’interno dei tre chilometri dall’arrivo che sono ritenuti green zone e se l’è cavata.

Anche perché poi non si comprende tanta rigidità su questo aspetto e si consente ad altre gare, si veda il Tour of Turkey, di utilizzare ancora certe transenne negli arrivi. Che sia un fatto di soldi che le gare versano all’Unione Internazionale? Come dire: a pensar male si sbaglia ma…