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La rinascita di Degenkolb in una Roubaix maledetta

15.04.2023
6 min
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Subito dopo la fine della Parigi-Roubaix, John Degenkolb si è eclissato. Al team ha fatto sapere che avrebbe trascorso un periodo a casa per recuperare dalle fatiche delle classiche, ma soprattutto per smaltire l’immensa delusione di un sogno svanito certamente non per colpa sua. Sarebbe stato davvero un colpo a sensazione, il suo nuovo successo nel velodromo, a 8 anni di distanza. Nel “suo” velodromo, perché quella è un po’ diventata la sua corsa e non è un caso se proprio su quelle pietre è avvenuta la sua resurrezione, tanto da fargli attribuire, da qualche appassionato sui social, il soprannome di “immortale”.

Tanto è successo rispetto a quella vittoria di 8 anni fa. Curiosamente, anche lui era riuscito nella clamorosa doppietta Sanremo-Roubaix, solo altri due l’avevano centrata (il belga Van Hauwaert prima della Grande Guerra e Sean Kelly nel 1986) prima di lui, Van Der Poel lo avrebbe eguagliato proprio in quest’occasione, ma dopo essere stato causa (involontaria?) dell’infrangersi delle sue aspirazioni.

Il Grande Slam delle volate

Prima di quella Pasqua di “quasi” resurrezione, Degenkolb era quasi un desaparecido. Per capire bene la portata di quel che stava facendo, bisogna ripercorrere per sommi capi la sua carriera. Nel 2015 aveva completato una sorta di Grande Slam delle classiche adatte ai velocisti, aggiudicandosi nello spazio di 3 stagioni la Cyclassic di Amburgo, la Parigi-Tours e le due Monumento già citate. Nel gennaio 2016 però tutto sembrava cancellato a fronte di un terribile incidente.

Alicante, allenamento in gruppo per il suo team. Un automobilista britannico dimentica completamente che, rispetto alle sue usanze, in Spagna si guida al contrario, quindi si butta colpevolmente a sinistra. Prende il gruppo in pieno, i corridori saltano in aria come birilli.

«Istintivamente siamo andati a sinistra – racconterà qualche tempo più tardi Degenkolb – ma sarebbe stato meglio dall’altra parte. Quando mi sono ripreso dopo qualche attimo ho vissuto il terrore, quello vero: la mano era sformata, con le dita in posizione innaturale, ma questo era il meno, neanche sentivo dolore.

Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce
Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce

Il giorno del terrore

«Vedevo i miei compagni esanimi a terra, come manichini gettati via. Ho urlato i loro nomi, ho chiesto aiuto, ho provato ad alzarmi per prestare loro soccorso. I danni fisici non erano così gravi, ma quegli attimi hanno fatto parte delle mie notti per tanto, tanto tempo».

Già, così gravi. John non ha più recuperato la piena manualità e anche per questo ciò che stava facendo verso il velodromo era qualcosa di clamoroso, di storico. Da quel giorno la ripresa è stata lenta, qualche vittoria è arrivata, ma certamente non all’altezza di quel che poteva essere e non è stato. Dentro di sé, il Degenkolb ciclista non era cambiato, la mentalità da campione era sempre lì, ma il fisico non rispondeva. Fino a domenica 9 aprile.

Provarci, sempre e comunque

In corsa, il tedesco si è presto ritrovato a combattere con VDP e Van Aert, Ganna e Pedersen, insomma con quella ristretta pattuglia di favoriti della vigilia. E lui, da vecchio vincitore della corsa, c’era. Stava mettendo in pratica un assioma che ha sempre fatto parte della sua vita: «Ho capito molto presto che se c’è una possibilità di vincere qualcosa, devi provarci. Anche se non ti senti bene, anche se pensi di non avere buone gambe perché se credi questo hai già perso. Non puoi farti scappare l’occasione quando capita, se anche solo dentro di te accampi scuse, hai già perso. Io non sono così…».

Una forza d’animo figlia delle sue radici, da uomo della Germania Est trapiantato in Baviera a 4 anni dove il padre aveva trovato lavoro per evadere da un’esistenza economicamente difficile. Seguendo la passione del padre aveva cominciato a pedalare, poi finita la scuola prese la decisione di entrare in polizia: «Così avrei potuto gareggiare con una base d’istruzione e la sicurezza di avere un piano B se le cose non fossero andate bene. Posso rientrare quando voglio, con una famiglia alle spalle mi sento più sicuro sapendolo, anche se non avverrà».

Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione
Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione

Un settore a lui dedicato

Torniamo all’ultima Roubaix. Degenkolb non era in quel pregiato manipolo di campioni per caso. Poco importa quel che era avvenuto prima, non solo quest’anno. Su quelle strade il tedesco del Team DSM si sente a casa. Non è neanche un caso se nel settore 17, quello di Hoarming à Wandignies, John si è messo a tirare mettendo alla frusta i rivali: quel tratto è dedicato proprio a lui, porta il suo nome, da quando si è messo in testa di salvare la Parigi-Roubaix juniores che rischiava di sparire per mancanza di fondi. Ha speso il suo nome raccogliendo somme importanti, permettendo a molti giovani di vivere la sua esperienza. L’Aso non ha dimenticato.

Difficile dire se ce l’avrebbe fatta. Non lo sapremo mai. Forse, in un universo parallelo, Degenkolb ha evitato quel gomito di Van Der Poel che, seguendo il compagno di squadra Philipsen costretto a uno scarto improvviso, lo ha spinto a terra, forse ha anche vinto. Ma non qui, non in questa realtà. Questa lo ha visto chiudere settimo e accasciarsi sull’erba del velodromo, sentendo improvvisamente tutto il dolore della caduta sulla clavicola, con i due dell’Alpecin che si chinavano per chiedergli scusa, consci del male che gli avevano fatto, anche solo involontariamente.

Lontano, nel suo rifugio

C’era anche Laura, in quel velodromo. Sua moglie da tanti anni: «La famiglia è il mio rifugio, ha cambiato completamente la prospettiva con cui vivo il mio lavoro. Importante sì, ma non è tutto». Insieme si sono avviati verso casa, a Oberunsel, nord-ovest di Francoforte, staccando ogni contatto anche virtuale con il mondo. Per ritrovare il suo equilibrio. Per far pace con quel sogno infranto, di quel che poteva essere e non è stato (e non per colpa sua…).

Dal pavé al Giro, la lunga volata di Ragusa

14.04.2023
5 min
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Le lacrime nel prato di Roubaix sono un ricordo e il secondo posto alle spalle di Alison Jackson ha smesso di bruciare, soprattutto perché alla vigilia Katia Ragusa, 25 anni (in apertura, foto Liv Racing-TechFind), non lo avrebbe mai neppure sognato. La vicentina ha passato quattro giorni a casa e poi ieri è ripartita per l’Olanda.

La Liv Racing-TeqFind ha dato appuntamento alle ragazze che dal primo maggio correranno la Vuelta per una prova di cronosquadre, dato che la corsa spagnola ne propone una di 14,5 chilometri il primo giorno. Sede dell’allenamento è stato il Tom Dumoulin Bike Park di Sittard.

La fuga di Roubaix serviva per anticipare le mosse del gruppo, ma si è rivelata il treno per il podio (foto Liv Racing-TechFind)
La fuga di Roubaix serviva per anticipare le mosse del gruppo, ma si è rivelata il treno per il podio (foto Liv Racing-TechFind)
Sembra di rivedere la Katia Ragusa seconda al campionato italiano del 2020, che poi si era un po’ persa…

Adesso che mi sono ripresa dalle fatiche della Roubaix, posso dire che come avvio di stagione è stato positivo, già dalla Valenciana. Certo mancava sempre qualcosina. E’ successo diverse volte che fossi con le prime, poi mi capitava davanti una caduta e andava tutto in fumo. Però comunque le sensazioni sono sicuramente migliori rispetto allo scorso anno.

Seconda a Roubaix, seconda nella classifica degli scalatori alla Valenciana: hai capito che tipo di corridore diventerai da grande?

Diciamo che resto una passista. Nelle salite dure e lunghe, pago nei confronti degli scalatori puri.  Però se sono salite pedalabili e io sto bene, riesco a passarle via. Se invece nei finali mi ritrovo in compagnia, riesco a salvarmi allo sprint solo se siamo in un gruppetto ristretto e la corsa è stata impegnativa. Diciamo che in una gara come la Roubaix, dopo un’edizione dura come quella di sabato, non esiste più essere veloce o meno veloce: esiste quello che è rimasto nelle tasche e basta.

La squadra corre con bici LIV e tutta la componentistica Cadex (toto LIV Racing-FindTech)
La squadra corre con bici LIV e tutta la componentistica Cadex (toto LIV Racing-FindTech)
I problemi del 2022 sono dimenticati?

L’anno scorso per me è stato un anno un po’ tribolato e quindi la condizione non è mai stata delle migliori. Partii per la Roubaix con il fascino di partecipare a una gara storica e alla fine fui contenta di averla finita. Quest’anno ci sono arrivata con un’altra consapevolezza. Sapevo che le sensazioni erano abbastanza buone. Il piano era di andare in fuga per prendere i primi settori di pavé più tranquilli, in modo da avere meno stress e meno strappi che in gruppo e poi avremmo visto quello che succedeva. Ovvio che non avrei mai immaginato di partire per giocarmi il podio o la stessa vittoria.

Giorgia Bronzini per te ha messo la mano sul fuoco…

Con lei si è creato un rapporto veramente stupendo. A volte ci penso e quasi mi sembra incredibile che una campionessa del suo spessore, con tutte le vittorie che ha ottenuto, riesca a creare un rapporto umano così bello e sia una persona così speciale. E’ stata sempre lì, pronta a spronarmi quando c’era da spronarmi, oppure a sostenermi quando ha capito che mi serviva un altro tipo di appoggio. L’anno scorso è stato difficile e lei mi era sempre intorno, cercando di tirarmi su. 

«Nello sprint dopo una corsa dura come la Roubaix – dice Ragusa – non conta essere veloci, conta quel che si ha nelle gambe»
«Nello sprint dopo una corsa dura come la Roubaix non conta essere veloci, conta quel che si ha nelle gambe»
E’ stata davvero così dura?

All’inizio ho sofferto parecchio. Pensavo che ero al primo anno in una squadra forte che mi aveva dato fiducia e volevo dimostrare di essere un’atleta valida. Quando poi si è scoperta la mononucleosi e si è capita la ragione dei problemi, è arrivata un po’ più di tranquillità. Ma prima è stata dura, perché comunque avrei voluto fare di più. La squadra è ben organizzata, abbiamo programmi molto precisi. La voglia di fare bene ti viene spontanea. E’ stato proprio un gran salto.

Cosa ti aspetta ora?

Nel programma adesso c’è la Freccia Vallone (Katia è invece riserva all’Amstel Gold Race, ndr), poi dal primo al 7 maggio sarò alla Vuelta. A quel punto mi concentrerà sul Giro d’Italia, che ho chiesto di correre. Scopriremo le tappe a fine aprile e sono molto curiosa di vederle. Prima però c’è il campionato italiano.

Ragusa tornerà al Giro Donne anche quest’anno, ma prima andrà alla Vuelta
Ragusa tornerà al Giro Donne anche quest’anno, ma prima andrà alla Vuelta
Scoprire il Giro a fine aprile è un problema?

Per me individualmente cambia poco, perché comunque ero già orientata sul farlo. Però essenzialmente questo ritardo rompe molto i piani dei team e di tutte le altre atlete che ancora non hanno fatto le loro scelte. Se pensiamo al Tour de France che aveva annunciato le tappe già lo scorso inverno… I team hanno bisogno di sapere per farsi un’idea di quali atlete portare e come programmare il resto della stagione. Saperlo così all’ultimo è una faccenda ostica, diciamo così.

Perché dopo una Roubaix così bella sei riserva all’Amstel?

Non era proprio nei miei programmi, però ho detto: «Scusatemi, visto che vengo su per preparare la cronosquadre della Vuelta, perché non potrei fare l’Amstel?». Quando sto bene, più corro e meglio mi trovo. Quindi avere una gara in più nelle gambe sarebbe ottimo.

Alla Vuelta Valenciana, Katia Ragusa ha ottenuto il secondo posto nella classifica dei GPM
Alla Vuelta Valenciana, Katia Ragusa ha ottenuto il secondo posto nella classifica dei GPM
Allora perché non fare la Liegi?

Inizialmente era nel programma, però ho chiesto io di poterla saltare. Dopo la Freccia torno a casa subito e così ho qualche giorno in più prima della Vuelta. Finora ho corso abbastanza, ho fatto tre gare più rispetto a quelle che avevo in programma e alle prossime vorrei arrivarci fresca come serve.

Gasparotto, debutto assoluto (e a sorpresa) alla Roubaix

14.04.2023
5 min
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Non senza sorpresa, la mattina del via della Parigi-Roubaix, a Compiegne ci siamo ritrovati di fronte Enrico Gasparotto. La sorpresa era reciproca, nel senso che anche il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe non si aspettava di essere lì. Lo avevamo lasciato in ritiro al seguito della squadra.

Enrico era “teso”, ma anche incuriosito dal suo debutto assoluto nell’Inferno del Nord. Non aveva mai fatto neanche da corridore la corsa del pavè.

Enrico Gasparotto (classe 1982) non aveva mai preso parte alla Roubaix in 17 anni da pro’
Enrico Gasparotto (classe 1982) non aveva mai preso parte alla Roubaix in 17 anni da pro’
Insomma, Enrico, come è andato questo battesimo di fuoco?

Dico che c’è il ciclismo e c’è la Roubaix. E’ uno sport a parte. Era la prima volta che salivo sul pavé francese. Avevo fatto tutte, ma proprio tutte, le classiche del Belgio, ma mai la Roubaix, né avevo saggiato il pavé francese. E ora posso dire che è un livello di tutt’altra difficoltà, più duro, più complicato… E adesso ho un rispetto infinito per chi finisce questa corsa e ancora di più per chi va forte.

In realtà, non avevi fatto neanche la ricognizione…

No, ero in altura col gruppo Giro a Sierra Nevada. E poiché il Giro d’Italia per noi è un obiettivo primario, mi hanno detto di restare lassù con i ragazzi fino all’ultimo. Mi hanno avvertito il martedì prima della corsa, ma sono rimasto lì fino al venerdì. «Vieni a Roubaix per guidare», mi hanno detto. In pratica ho toccato il pavé per la prima volta direttamente in corsa.

E come è andato questo ingresso?

Dopo le prime “botte” ho chiesto subito: «Quanti settori mancano?». E poi sapendo che quello messo peggio di tutti era il Carrefour de l’Arbre ho chiesto: «Quanto manca al Carrefour?». 

Intervenire sui tratti in pavè era davvero complicato. Qui Marco Haller con una ruota bucata
Intervenire sui tratti in pavè era davvero complicato. Qui Marco Haller con una ruota bucata
Un bello stress…

Mentre andavamo verso il primo settore, ho fatto mille domande. Ho chiesto molti consigli, anche per la guida, per la macchina. Molti team hanno cambiato le ammiraglie, prendendo modelli più alti, noi invece abbiamo solo inserito la placca di ferro sotto la scocca per proteggere il motore e alcune parti meccaniche. E dovevo stare attento. Era un’auto abbastanza pesante: tre persone (Gasparotto, il primo diesse e il meccanico, ndr), ruote, bici, frigo pieni di borracce… Abbiamo cercato di togliere peso eliminando qualche attrezzo e altre cosine, ma era davvero poca roba.

Come si guida sul pavè?

Con tanti sobbalzi! Al primo settore riesci a stare sulla sinistra, poi però i corridori iniziano a staccarsi e quindi vai a destra. Chiaramente serve attenzione, molta attenzione. Io per esempio della corsa non ho visto nulla, ero concentratissimo a guardare la strada e gli specchietti. Solo negli ultimi 10 chilometri, quando il pavé era finito ho dato un paio di occhiate alla tv. Ma in Francia è pieno di quei dissuasori di velocità: ne ho preso uno e per poco dal tetto non perdo una bici!

Un bel jolly!

Devo dire che è stata un’esperienza davvero speciale e sono contento di averla fatta. Marco Haller prima del via, mi ha detto: «Gaspa è più sicuro correrla che guidarci dentro».

In seguito alla grande caduta avvenuta ad Arenberg, Gasparotto e la sua ammiraglia sono stai fermi 5′. Poi un vero show per recuperare
In seguito alla grande caduta avvenuta ad Arenberg, Gasparotto e la sua ammiraglia sono stai fermi 5′. Poi un vero show per recuperare
E tu che cosa ne pensi?

Adesso dico che preferisco guidare! Anche perché col mio peso avrei fatto molta fatica. Ma lo dico adesso, a 41 anni. A 25 se mi avessero detto: «Fai la Roubaix», sarei stato contento. E sarebbe stato giusto così. Ma sono orgoglioso di averla fatta… E di aver riportato intera all’arrivo proprio quella ammiraglia che guidavo.

Perché “proprio quella”?

Perché so che l’ha presa il nostro team manager, Ralph Denk. La sera prima mi ha detto: «Gaspa, attento che quella è l’ammiraglia che avevi al Giro sulla Marmolada, quando Jay (Hindley, ndr) ha preso la maglia rosa. Quella verrà a casa mia per ricordo». Insomma, una pressione in più!

Passiamo ad aspetti più tecnici. E’ tanto diverso che guidare in altre corse?

Parecchio diverso. Quasi tutti i team hanno molto personale a terra con ruote, borracce e qualche altra cosa, ma la bici per regolamento non può essere fornita da terra: solo l’ammiraglia può. E così nel convoglio delle auto spesso vedevo le seconde ammiraglie dei team che puntavano alla vittoria che ci sorpassavano o che ripassavamo noi. E noi eravamo la vettura numero 13.

E la giuria lascia correre?

La giuria non vede tutto. Impossibile. Non ci sono abbastanza occhi. E questo in parte succede anche al Fiandre.

Come si fa nel caso un atleta chiami l’ammiraglia?

Non è facile. O li trovi fermi a bordo strada o li raggiungi fuori dal settore di pavè. E infatti su asfalto devi guidare un po’ come un killer. Per esempio ad Arenberg siamo stati fermi 5 minuti, ma 5 minuti veri, e quando siamo usciti siamo andati a più di 100 all’ora per recuperare. 

Alla fine una bella esperienza, un’esperienza che ti ha arricchito: si percepisce anche dal tuo tono…

Sì, sì vero. Mi è piaciuto. Ho visto la Roubaix e adesso capisco perché è considerata in questo modo: bellissima. Prima del via che c’è un po’ di stress, ma poi le cose le fai. Di certo devi avere un po’ di abilità nella guida e ti deve piacere.

Forcing di Van Aert nell’Arenberg: giusto o sbagliato?

13.04.2023
4 min
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Certe corse non passano così facilmente. Fanno parlare, riflettere e discutere. E allora vale ancora la pena tornare sulla Parigi-Roubaix di domenica scorsa e vale farlo con un esperto quale Filippo Pozzato. Se si parla di squadre, di scelte tattiche e di percorso bisogna rivolgersi a chi lassù c’è stato e c’è stato per giocarsela. Il punto in questione è questo: ha fatto bene Wout Van Aert ad attaccare in quel modo nella Foresta di Arenberg?

L’idea è che abbia dato certamente spettacolo, ma di fatto abbia spaccato la corsa tagliando fuori dai giochi anche i suoi compagni della Jumbo-Visma. In quel momento mancavano circa 97 chilometri all’arrivo e sono rimasti a giocarsela quella manciata di corridori usciti indenni dalla Foresta. Addio tattiche, addio lavori di squadra salvo il (vano) tentativo di Laporte e Van Hooydonck di rientrare da dietro e i tre Alpecin-Elegant ritrovatisi in testa.

Pozzato ha disputato in carriera 11 Parigi-Roubaix, cogliendo un 2° posto nel 2009. Qui eccolo in azione nel 2006, quando fu 15°
Pozzato ha disputato in carriera 11 Parigi-Roubaix, cogliendo un 2° posto nel 2009. Qui eccolo in azione nel 2006, quando fu 15°
Filippo, cosa ne pensi di quanto appena detto? E’ stata giusta la mossa di Van Aert di attaccare in quel momento?

Van Aert ha voluto anticipare per cercare di sorprendere gli altri. Tutto dipende poi da cosa si erano detti in squadra prima della corsa, quali accordi avevano. Poi, ragazzi, ci sono state le forature di mezzo e quelle non le puoi controllare.

Questo è vero. Bastava solo che Laporte non forasse all’uscita di Arenberg e sarebbe rimasto con il drappello Ganna, rientrato sui big poco dopo, e sarebbe stata un’altra corsa…

Esatto. La Jumbo-Visma ha sempre forato in momenti “del cavolo”, fasi molto delicate della corsa in cui recuperare era impossibile.

A fine gara Van Aert ha detto che dopo la prima foratura si era ritrovato solo, senza compagni. Poco dopo essere rientrato ha attaccato: potrebbe essere stato un attacco di frustrazione il suo?

No, non penso proprio. Tra l’altro in squadra ha un buon rapporto con i compagni. Magari l’idea era proprio quella. E poi mi viene da pensare: nelle altre corse è stato criticato perché ha lasciato vincere Laporte e ora che ha attaccato, ci si chiede perché non lo ha aspettato. Non scordiamoci con chi doveva lottare.

Van der Poel…

Io non dico che Mathieu sia più forte di lui, anzi secondo me è il contrario. Van Aert vince sul Ventoux, vince sui Campi Elisi, nel cross, su strada…. e va forte tutto l’anno. L’altro seleziona un po’ di più e riesce ad essere più brillante. Alla fine credo che Mathieu abbia due vittorie in più. Poi, okay, se guardiamo alle Classiche Monumento, l’olandese ne vinte di più.

Dopo il forcing di Van Aert il gruppo si spacca. Nel caos cade Van Baarle e fora Laporte, entrambi compagni dell’asso belga
Dopo il forcing di Van Aert il gruppo si spacca. Nel caos cade Van Baarle e fora Laporte, entrambi compagni dell’asso belga
Nel complesso come giudichi la tattica della Jumbo-Visma?

Come in parte ho detto, le forature non le puoi programmare e a quel punto ti devi adeguare in base a quel che offre la corsa strada facendo. In generale penso che è molto difficile criticare da fuori senza sapere davvero come è andata dentro, quali erano i piani e le mille sfumature che presenta la corsa e che vive il corridore nei vari momenti.

Però poi dopo Arenberg, Wout si è ritrovato da solo, come se avesse tolto di mezzo lui stesso, indirettamente, Laporte e Van Baarle…

Il discorso per me è più generale. Analizziamo gli ultimi anni e come stanno cambiando le corse. Qui ormai, soprattutto se ci sono di mezzo quei tre-quattro fenomeni, c’è la tendenza di prendere il largo a 100 chilometri dalla fine. Spesso parlo con Trentin e mi dice che quando ci sono tutti e tre, parti per fare quarto. Ma per fare quarto ci sono almeno 30 corridori fortissimi con cui lottare. Devi sperare che non attacchino a 80-90 chilometri dall’arrivo, ma che ti portino ai meno 20 e a quel punto puoi pensare d’inventarti qualcosa. 

Ed è in quest’ottica che va inquadrata l’azione di Van Aert?

Sì. Da un certo punto di vista, quello dello spettacolo, è bello. Da un’altro, quello della logica, no. Non c’è una logica, appunto nel modo in cui corrono. Alla Tirreno di due anni fa Van der Poel mangiò una barretta a 80 chilometri dall’arrivo e se ne andò. Un ciclismo molto diverso dal mio.

Colombo e l’avventura al Nord terminata in ospedale

13.04.2023
5 min
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Nel giro di una settimana Filippo Colombo è passato dalla fuga da protagonista del Fiandre alla caduta della Roubaix. Ora lo svizzero si trova in ospedale a Zurigo e nei giorni scorsi è stato sottoposto ad un’operazione per sistemare la frattura al gomito. Il suo 2023 era iniziato iniziato in modo diverso, correndo un po’ di corse al Nord, sempre con un occhio alla mountain bike: suo terreno di caccia. Vale la pena ricordare infatti che lo svizzero di Gussago, classe 1997, ha vinto per due volte il mondiale della staffetta (2017 e 2018) e una volta il titolo europeo nella stessa specialità (2017), mentre è stato argento ai mondiali U23 di cross country e bronzo agli ultimi europei di Monaco, dietro Pidcock e Carstensen.

«Quest’anno – racconta dal letto dell’ospedale – grazie a Scott ed al Team Q36.5 ho avuto modo di mettermi alla prova su strada. Dovevo fare una prima parte di stagione con un po’ di gare tra Belgio e Francia e poi tornare concentrato al massimo per preparare la stagione di Mtb».

La stagione su strada di Colombo si è aperta prima con la Kuurne, poi con Le Samyn, qui in foto
La stagione su strada di Colombo si è aperta prima con la Kuurne, poi con Le Samyn, qui in foto
Come sono andate queste gare?

Bene, almeno fino alla Roubaix. Ho iniziato la stagione con un ritiro in Sud Africa insieme alla Scott-Sram Mtb. Successivamente ho gareggiato alla Kuurne e a Le Samyn, devo ammettere che mi sono trovato a mio agio fin da subito. 

Eri soddisfatto della condizione?

Sono riuscito a performare bene, fino alla Roubaix, che se vogliamo dirla tutta è stata l’eccezione. Ero molto curioso di vedere come sarebbe andata, passando dalla Mtb alla strada. 

Con quale obiettivo ti eri messo in gioco?

Non avevo necessità di fare risultato, volevo capire se un periodo su strada mi avrebbe poi aiutato a fare meglio in Mtb. L’obiettivo era di iniziare un blocco di lavoro in vista poi delle Olimpiadi di Parigi 2024.

Sei partito per testarti arrivando a guadagnarti la convocazione al Fiandre…

Sì, non me lo aspettavo nemmeno io ad essere sincero. Però, come detto, fin dalle prime gare mi sentivo bene e quindi anche la squadra mi ha dato fiducia. 

Che cosa hai provato a correre lì?

E’ stata un’esperienza bellissima, super intensa. L’ambiente in Belgio è sensazionale, la gente vive per il ciclismo e la corsa, manco a dirlo, è magnifica. Il fatto di essere andato in fuga mi ha permesso di prendere i Muri davanti e di godermi ancor di più l’atmosfera

Sei stato in avanscoperta per 135 chilometri, nel Fiandre più veloce di sempre…

Si è trattata di una prova di forza, la squadra aveva voglia di andare in fuga e nei primi 100 chilometri ci siamo messi d’impegno. Nessuno però voleva mollare, il gruppetto è uscito solamente dopo 109 chilometri, è stata una vera guerra. 

Al Fiandre 135 chilometri in avanscoperta, Colombo è stato uno degli ultimi della fuga ad arrendersi
Al Fiandre una fuga cercata e sudata, poi 135 chilometri in avanscoperta
Con una distanza importante da affrontare.

Fino ai 250 chilometri è andata nella maniera prevista, poi però non ero preparato per affrontare i rimanenti 20. Mi mancava la base che mi avrebbe permesso di concludere al meglio la prova. 

Che sensazioni hai avuto?

Nelle fasi finali ho davvero sofferto, sono però riuscito ad arrivare al traguardo in 50ª posizione. Con il senno di poi, mi viene da dire che con la giusta preparazione sarebbe stato possibile ambire alla top 20. 

Una bella esperienza?

E’ stato un bell’esperimento, a febbraio non ero a conoscenza delle gare che avrei fatto e nemmeno che corridore fossi su strada. Però fin dalla prima gara, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne mi ero comportato bene, entrando nel gruppo dei primi. 

Poi c’è stata la parentesi Roubaix, meno positiva per come è finita?

Non del tutto, i primi chilometri stavo molto bene, ero sempre nelle prime posizioni e nel prendere i settori di pavé non facevo fatica a lottare per il piazzamento. Due settori prima di Arenberg ho bucato la ruota davanti ed ho fatto tutto il pavé sul cerchio. Alla fine del settore c’era un meccanico e siamo riusciti a montare la ruota, ma non so perché è stato messo un copertone con sezione da 28 al posto di un 30

La caduta nella Foresta di Arenberg è costata a Colombo la frattura del gomito e il ricovero in ospedale
La caduta nella Foresta di Arenberg è costata a Colombo la frattura del gomito e il ricovero in ospedale
A breve è arrivata la caduta nella Foresta…

Nel frattempo tra la foratura e Arenberg sono riuscito a rientrare ed ho preso l’imbocco del pavé nei primi quindici. Dopo 100 metri, purtroppo ho bucato ancora, sempre la ruota davanti ma sono riuscito a rimanere in piedi. Wright, che era accanto a me, ha forato anche lui ed è caduto ed io mi sono ritrovato a terra. Avevo capito fin da subito che si trattava di una frattura.

Che esperienza è stata?

Positiva, anche se i risultati li vedremo una volta che riuscirò a tornare in sella. Anche questo fa parte del processo di crescita, le conclusioni le tirerò dopo la stagione di Mtb, però mi piacerebbe continuare questa doppia attività.

Il doloroso massaggio post Roubaix. Le dritte di Morini

11.04.2023
5 min
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Anche l’ultima Parigi-Roubaix ha messo in evidenza una fatica bestiale. All’arrivo tutti si buttavano sul prato del velodromo. I ragazzi erano sfiniti. E questo nonostante dei mezzi sempre più “confortevoli” ed efficienti sul pavè. Di contro si va più forte. E alla fine forse il discorso dei sobbalzi si compensa.

Al via di Compiegne abbiamo incontrato Federico “Fred” Morini, massaggiatore della nazionale. Fred era venuto da spettatore appassionato con un occhio dedicato soprattutto ai suoi due azzurri: Filippo Ganna e Jonathan Milan. Non a caso lo abbiamo intercettato al bus della Ineos Grenadiers di Pippo.

Federico Morini al via dell’ultima Roubaix. Fred è uno dei massaggiatori della nazionale
Federico Morini al via dell’ultima Roubaix. Fred è uno dei massaggiatori della nazionale
Fred, Colbrelli ci ha detto che dopo tre giorni le sue gambe post Roubaix erano ancora “distrutte”. Ci spieghi dunque com’è il massaggio post Inferno…

La maggior parte degli atleti, dopo la Roubaix, anche a distanza di qualche giorno, sentono dei dolori muscolari. Dolori che vanno dalle braccia, al corpo, alle gambe chiaramente. Questo perché subiscono scosse continue, vibrazioni incredibili e per qualche giorno, magari non i migliori perché sono forse i più adatti a questo percorso, sono messi male. 

Dunque ciò che diceva Colbrelli è vero: gambe messe male anche a distanza di giorni… E cosa sente il massaggiatore nei polpastrelli? Cosa c’è di diverso in quei muscoli?

Si sente una bella differenza. Si sentono tante contratture lungo il decorso muscolare. Ed è anche  l’atleta che te lo conferma mentre lo tocchi. Ti dice l’entità del dolore. E infatti è un massaggio che in alcuni casi può anche far male, come nella maggior parte dei casi.

Questo massaggio conviene farlo subito oppure meglio aspettare?

L’ideale è sempre meglio aspettare un po’, perché si riduce il trauma del tessuto. Poi magari il discorso non vale per tutti, ma per buona parte del gruppo sì. Meglio farlo a distanza di due o tre giorni. In più va considerato che oggi, a differenza del passato, abbiamo a disposizione dei macchinari elettromedicali che possono favorire la vascolarizzazione e quindi il rilassamento del tessuto e di conseguenza il passaggio delle mani sul muscolo.

Il massaggio post Roubaix prevede anche il trattamento della schiena
Il massaggio post Roubaix prevede anche il trattamento della schiena
Prima abbiamo accennato alla tecnologia: le nuove gomme, le pressioni più basse… Questo contribuisce a ridurre i traumi? Oppure le velocità maggiori pareggiano le cose?

Io credo che tutto sia utile. Ma credo anche che ci sia un fondamento ulteriore che va valutato ed è l’aspetto  mentale. Il fatto di poter contare sugli ausili, durante e dopo, aiuta mentalmente l’atleta stesso a subire meno la situazione.

Invece a livello di idratazione, di alimentazione c’è qualche accorgimento per favorire questo recupero?

Come per tutte le corse, devi prestare molta attenzione. Nel caso della Roubaix ancora di più perché la tensione muscolare, e non solo quella, è tanta. Il fatto di dover essere sempre molto vigili in gruppo, è fondamentale, e richiede energie. Senza contare che hai un percorso che è massacrante in tutti i sensi.

Noi pensiamo sempre alle gambe, ma finita la Roubaix quali altre sono le parti massacrate?

Molte! Tecnicamente lo chiamo sistema viscerale. Fondamentalmente è quello degli organi, perché una delle sensazioni peggiori dell’atleta quando pedala sul pavé è appunto la sensazione di avvertire che sta “perdendo” lo stomaco, l’intestino, tutto… Sono le vibrazioni, ma sono forti, tremende e prolungate.

Dei cibi acidi di cui parla Morini fa parte anche il caffè
Dei cibi acidi di cui parla Morini fa parte anche il caffè
Quindi tu massaggiatore cosa fai?

Si tratta tutto: dal collo al decorso della colonna vertebrale. Va trattato il decorso d’innervazione degli organi: va rilassato, va inibito… Bisogna cercare di riportarlo a una situazione di normalità più velocemente possibile. Anche perché la stagione non finisce dopo la Roubaix.

E quanto tempo ci vuole per riportare il tutto alla normalità?

Un po’ di ricerca è stata fatta anche su questo. E tra quello che è stato raccolto dai vari colleghi, sembra che una settimana sia il tempo ideale per recuperare completamente lo sforzo della Roubaix.

Ma in quella settimana però l’atleta pedala, si allena…

Assolutamente. Ripeto, la stagione non si conclude dopo la Roubaix. Oggi più che mai i ragazzi hanno un calendario molto fitto. Per molti di loro queste classiche sono il clou della stagione (e possono mollare un po’ di più, ndr), ma per altri c’è un periodo molto importante da affrontare. Di conseguenza già dopo due o tre giorni in cui si è fatto meno, si torna con il programma di allenamento normale. E’ un riadattamento vero e proprio. E a distanza di 4-5 giorni si torna a pedalare come se non si fosse corso. Ecco perché questo recupero deve essere veloce e concentrato. E non riguarda solo il riposo, ma anche l’alimentazione e tutto il resto.

E’ probabile che si cada in una corsa così… e anche questo aspetto va preso in considerazione nell’insieme del massaggio
E’ probabile che si cada in una corsa così… e anche questo aspetto va preso in considerazione nell’insieme del massaggio
Hai parlato di esercizio fisico e alimentazione. Che cosa bisogna fare?

Bisogna cercare di ridurre i cibi acidi (carni grasse, crostacei, salumi, affettati, formaggi, ndr) che ovviamente potrebbero continuare a portare una componente negativa riguardo al recupero. E poi bisogna dormire tanto e bene. Ed è importante nei primissimi giorni tornare in sella con un programma ben ponderato ai fini dello smaltimento dello sforzo accumulato.

E gli esercizi tipo stretching?

Allungamento posturale, correzione di tutti quelli che sono i vari scompensi che si sono creati perché, ahimé, in alcuni casi c’è anche da gestire qualche botta che si è presa a terra. Durante la Roubaix è facile cadere, anche più di una volta.

Lotto-Dstny, ritorno a Roubaix: le Ridley per il pavé

11.04.2023
6 min
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Nella settimana santa del ciclismo e della campagna del pavé, abbiamo incontrato Noel Vermeersh, uno dei responsabili dello staff dei meccanici del Team Lotto-DSTNY. Noel è il padre del giovane Florian (non esiste nessun grado di parentela con Gianni Vermeersh, che corre invece alla Alpecin), atleta nel roster della squadra belga, che a Roubaix è stato il primo della sua squadra: 12° a 4’11”.

Gli abbiamo chiesto quali sono le scelte fatte dai corridori per il pavé e alcune curiosità sulle bici Ridley in dotazione alla squadra.

Noel Vermeersh, meccanico della Lotto-Dstny
Noel Vermeersh, meccanico della Lotto-Dstny

Noah Fast anche sul pavé

«La tendenze – ha spiegato Vermeersch – è quella di avere una bici per fare tutto. Sembra passato il periodo dove si cambiavano i mezzi e si usavano le biciclette specifiche per il pavé. Al di là delle forniture dei materiali, i corridori di oggi preferiscono avere lo stesso modello di bicicletta e farlo settare in base alla gara».

Con queste parole Florian Vermeersh ci ha aperto le porte del camion officina del Team Lotto-DSTNY. La bici che usa “sempre” il team belga è una Ridley Noah Fast, montata con ruote DT Swiss ACR1100 Dicut e tubeless Vittoria Corsa Graphene con la sezione differenziata tra anteriore e posteriore (28/30 millimetri). Il manubrio è quello integrato e full carbon Ridley, ma è marchiato Deda per una sponsorizzazione e collaborazione tecnica che è sempre molto attiva. Le selle sono Selle Italia e Florian Vermeersh, ad oggi, è l’unico atleta ad usare la nuova SLR 3D.

La nuova SLR 3D di Selle Italia
La nuova SLR 3D di Selle Italia

La trasmissione è Shimano Dura Ace 12s, ma con la catena Gold di KMC. Ma a Vermeersh senior abbiamo chiesto delle curiosità anche in ottica Paris-Roubaix.

Solo Ridley Noah Fast, oppure ci sono delle bici diverse?

Tutti i corridori hanno in dotazione la Noah Fast. Abbiamo solo un corridore che è orientato sulla Helium, per le competizioni con molto dislivello e per i grandi Giri.

Per la Roubaix avevate previsto di usare dei tubeless diversi?

No, per noi il riferimento rimane il Vittoria Corsa TLR Graphene, sono cambiate le sezioni. Di norma con le ruote DT Swiss usiamo 28 per l’anteriore e 30 per il posteriore, alla Roubaix abbiamo usato larghezza da 32, davanti e dietro.

Rispetto all’anno passato le sezioni dei tubeless sono diverse?

Si, lo scorso anno la combinazione più usata era 25 davanti e 28 dietro. I test condotti anche in galleria del vento hanno dimostrato che gli pneumatici più grandi sono migliori e la bicicletta è più veloce.

I corridori cosa scelgono?

Oltre alle scelte soggettive, se un corridore vede che è più performante, è lui il primo a chiedere quella soluzione.

Per quanto riguarda le pressioni?

Con la configurazione dei tubeless differenziati siamo tra le 4,4 e 4,6 atmosfere, ma dipende molto dal peso dal corridore e dalle condizioni meteo. Se piove abbassiamo di qualche punto, non molto per la verità. Sul pavé della Roubaix con le 32, ci siamo orientati intorno alle 4 atmosfere o poco al di sotto. Nel nostro caso è fondamentale considerare l’elevata elasticità di questo tubeless, per noi un grande vantaggio.

Per il pavé avete aumentato la quantità di liquido all’interno dei tubeless?

No, usiamo sempre la stessa quantità: 70 millilitri di liquido anti-foratura.

Cosa comporta una gara bagnata sul pavé per voi meccanici?

Se la giornata prevede pioggia, che sia il Giro delle Fiandre oppure la Roubaix, dopo la corsa c’è una giornata intera e molto intensa di smontaggio totale delle biciclette. I movimenti centrali vengono completamente sostituiti e ogni parte rotante viene smontata. La catena viene cambiata.

Quanti chilometri di vita ha una catena?

Le nostre KMC che sono molto leggere, vengono sostituite dopo 3.000-3.500 chilometri, oppure dopo 5 giorni consecutivi di gara. Questo nella norma, poi ci sono le condizioni oltre il limite, come ad esempio il pavé ed il brutto tempo.

Per le gare delle pietre avete usato un guida catena?

Qualche corridore lo chiede, ma sempre meno. Con le trasmissioni a 12 rapporti di ultima generazione, che hanno il deragliatore diverso e l’aumento del diametro delle corone, il pericolo che la catena cada all’interno si è ridotto molto. Inoltre, se dovesse capitare, il corridore sarebbe costretto a fermarsi per tirare su la catena. Talvolta è sufficiente portare il deragliatore verso la corona grande e la catena risale facilmente.

E invece per quanto concerne la scelta dei rapporti?

Tutti i corridori usano la combinazione 54-40, mentre i pignoni posteriori con la scala 11-30 sono quelli più utilizzati. Possiamo considerarlo un setting standard, anche per il pavé. Montiamo dei pignoni 11-34 quasi esclusivamente per i grandi Giri.

Tutti i pedali sono al massimo della tensione. E’ sempre così, oppure in occasione del pavè sono stati allentati?

Sono sempre al massimo della tensione e tutti i corridori ormai chiedono il pedale più rigido possibile nella fase di tenuta. Non solo, sempre meno atleti usano le tacchette gialle. Noi abbiamo i pedali Shimano e le gialle offrono una maggiore libertà laterale del piede. Ormai tutti vogliono le rosse, completamente fisse, oppure le blu, con un gioco laterale molto contenuto.

Il diametro dei dischi dei freni?

Preferiamo rimanere sui 160 anteriori e 140 posteriori. E’ una soluzione ottimale anche nell’ottica di un intervento dell’assistenza tecnica neutrale. Diciamo pure che le forature sono sempre meno, rispetto ad un passato con i tubolari e a chi preferisce usare le camere d’aria.

Quanto pesa la Ridley Noah Fast che usano i vostri atleti?

E’ una bicicletta che è di poco superiore ai 7 chilogrammi, poi ovviamente dipende dalla taglia.

EDITORIALE / A certi livelli, la sfortuna non esiste

10.04.2023
5 min
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La sfortuna esiste, ma di solito colpisce sempre quelli che non vincono. Certo si potrebbe anche dire che vince il meno sfortunato, ma ragionando ai massimi livelli di uno sport ormai così tecnologicamente evoluto come il ciclismo, la sfortuna come motivo per la sconfitta non regge. Sarà cinico, ma è un’opinione che merita approfondimento.

Degenkolb cade, Van der Poel si attarda, Van Aert attacca e forse sbaglia
Degenkolb cade, Van der Poel si attarda, Van Aert attacca e forse sbaglia

L’errore di Van Aert

Lo ha spiegato anche Philippe Gilbert, vincitore della Parigi-Roubaix del 2019, a L’Equipe, dopo aver seguito la classica del pavé sulla moto di Eurosport.

«Van Aert – ha detto il belga – sembrava gestire molto bene la sua gara salvandosi come durante il GP E3 che aveva vinto davanti a Van der Poel, tre settimane fa, fino a quando non è andato all’attacco e ha subito forato. Questo, secondo me, fa parte della gestione del materiale e non di qualche sfortuna. Ricordo le mie esperienze in queste gare e anche durante una tappa del Tour de France sul pavè. Sono andato all’attacco, ma troppo eccitato o spinto da una motivazione pazzesca, ho commesso un errore di traiettoria e ho preso una pietra che sporgeva e ho forato l’anteriore. Ho perso molta forza per inseguire e sono arrivato solo quarto.

«L’errore di Wout Van Aert è stato sicuramente dovuto al voler prendere un rischio troppo alto e alla eccessiva voglia di vincere. Un desiderio soprattutto mal controllato. Mathieu Van der Poel non ha commesso questo errore perché ha saputo evitare tutte le insidie del percorso oltre a quelle tese dai suoi avversari».

Van der Poel e la Alpecin-Elegant hanno saputo leggere meglio le insidie del percorso?
Van der Poel e la Alpecin-Elegant hanno saputo leggere meglio le insidie del percorso?

Scelte sbagliate?

Ieri qualcosa legato ai materiali è accaduto ed è stato abbastanza evidente. Pur utilizzando gli stessi pneumatici della Alpecin-Elegant, i corridori della Jumbo-Visma hanno avuto delle forature di troppo, come è successo anche ai leader della Soudal-Quick Step. Capita di sbagliare le scelte, mentre indovinarle non è certo attribuibile alla fortuna.

L’attacco di ieri di Van Aert è stato chirurgico nella scelta di tempo e ha ricordato l’allungo del belga quando nel 2020 Alaphilippe cadde contro la moto e Van der Poel perse qualche metro. Anche ieri il belga ha pensato di approfittare della caduta di Degenkolb e del conseguente affanno dell’avversario, ma ha bucato proprio in quei secondi di massima enfasi, probabilmente sbagliando qualcosa come fatto notare da Gilbert.

E3 Saxo Classic: dopo essersi già staccato sul Poggio, Van Aert cede anche sul Qwaremont e così sarà al Fiandre
E3 Saxo Classic: dopo essersi già staccato sul Poggio, Van Aert cede anche sul Qwaremont e così sarà al Fiandre

Calendario da rivedere

A ciò si aggiunga anche una considerazione che non è dimostrabile con i numeri, dato che la quantità dell’impegno è praticamente identica. La stagione invernale di questi giganti è qualcosa fuori dal comune. Van der Poel ha disputato 15 gare di cross, Van Aert ne ha fatte 14. Eppure Wout ha corso sempre per vincere, dando un’idea di superiorità atletica che in certi giorni ha schiacciato l’olandese, costretto ad accontentarsi delle posizioni di rincalzo. Come spiegazione, Van der Poel ha sempre dato quella del mal di schiena e della conseguente necessità di riprendere con maggiore gradualità. Sta di fatto però che nello scontro diretto del mondiale, cui entrambi puntavano, Mathieu è venuto fuori con più freschezza e ha vinto.

Altre differenze si sono viste a partire dalla Sanremo, quando è stato evidente che Van Aert avesse qualcosa in meno in salita. Si è staccato sul Poggio e si è staccato anche nella E3 Saxo Classic: ha vinto in volata, ma dopo aver inseguito sul Qwaremont e sul Paterberg. E mentre Van der Poel si è preso la lunga pausa (8 giorni) tra la gara di Harelbeke e il Fiandre, Van Aert non ha recuperato: ha infatti corso e regalato la Gand-Wevelgem a Laporte. Avendo capito tutti che non avesse la gamba giusta in salita, non sarebbe convenuto anche a lui staccare e dedicare quel tempo a se stesso?

Van der Poel non ha mai perso lucidità: il pericolo schivato ne è la conferma. Ma se fosse caduto non sarebbe stato per per sfortuna
Van der Poel non ha mai perso lucidità, ma se fosse caduto non sarebbe stato per per sfortuna

Non lo ha fatto ed è arrivato al Fiandre con l’identico handicap in salita, che lo ha escluso dal podio. E soprattutto lo ha fatto arrivare alla Roubaix con le forze contate e una pressione psicologica pazzesca. Sarà anche vero, come ci ha raccontato Affini, che questo per lui non sia un problema, ma non è detto che sia vero. E forse la foga nell’attacco di ieri conferma che non lo è.

La profezia di Bartoli

Il 27 settembre del 2020 pubblicammo un’intervista a Michele Bartoli, che stava per lanciare la sua Academy di ciclocross. E parlando di Van der Poel e Van Aert, disse parole a dir poco profetiche.

«Aver fatto ciclocross – disse il toscano – mi è servito per vincere il Fiandre. Ho spesso detto che quello scatto sul Grammont, con le mani sotto e il peso centrato, lo devo al cross. Certe cose sul pavé le impari da piccolo. Lo stradista ne ha solo vantaggi, purché non esageri. E sto parlando di Van der Poel, che deve scegliere. Tre specialità sono troppe. La mountain bike è di troppo. Invece Van Aert fa il cross nel modo giusto e si vede dai risultati. Il corpo umano non è inesauribile, le forze sono contate».

Che sia una coincidenza oppure sia stato il frutto di un’analisi da parte dei suoi tecnici, a partire dallo scorso anno e sempre con il pretesto della schiena, Van der Poel ha ridotto il carico di lavoro e le presenze nel cross, portando a casa due Fiandre, la Sanremo e la Roubaix. Forse chi gestisce il calendario di Van Aert potrebbe farci sopra una riflessione.

Dopo la Sanremo, Ganna può volare anche sulle pietre

10.04.2023
4 min
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Okay Van der Poel e okay Van Aert, ma ieri il numero lo ha fatto anche Filippo Ganna. Il campione della Ineos Grenadiers è arrivato sesto. Di fatto era la prima volta che dava assalto con determinate velleità di successo alla classica delle pietre.

Il piemontese è sempre stato nel vivo della corsa. Sempre sulle ruote dei favoriti. E con loro se l’è giocata a viso aperto e petto in fuori.

La sua giornata era inizia ta con molta calma. Avendo l’hotel a poche centinaia di metri dalla partenza, gli Ineos erano arrivati al bus in bici, con lo zaino in spalla. Il bus era stato saggiamente spostato con anticipo così da assicurarsi il miglior posto. Ganna firmava autografi ed era tranquillo. Prima del via, ma proprio al momento dello “sparo”, ha trovato anche il tempo di salutare la sua compagna.

Dai baci alle pietre

Ma da un’immagine così soft ad una ben più dura è bastato un attimo. Anzi, ci sono 96 chilometri, quelli che separano Compiegne dal primo settore in pavè. E lì Pippo e la sua Ineos si sono fatti trovare pronti. Da Arenberg in poi, la storia la conosciamo. 

Ritroviamo Ganna, stremato, dopo l’arrivo. E’ seduto nel velodromo. Guarda nel vuoto, beve un po’ d’acqua e continua a tossire. Una tosse da sforzo. Da sfinimento.

Eppure questa fatica è servita a qualcosa. Come dopo la Sanremo, il bicchiere va visto assolutamente mezzo pieno.

«Cosa mi porto a casa da questa Parigi-Roubaix? Tante botte e che devo essere sempre attento: ci sono colleghi che ti dicono di avere i crampi e poi… Li devi guardare in faccia. Chi sono potete immaginarlo». Il riferimento potrebbe essere, il condizionale è d’obbligo, rivolto a Pedersen e Kung.

«Non voglio far polemiche, però potevamo giocarci il podio magari. Sarebbe stato più carino».

Dopo aver tirato tanto, Ganna perde la volata con Pedersen e Kung. I tre sono giunti a soli 4″ dal drappello di Van Aert e a 50″ da VdP
Dopo aver tirato tanto, Ganna perde la volata con Pedersen e Kung. I tre sono giunti a soli 4″ dal drappello di Van Aert e a 50″ da VdP

Consapevolezza acquisita

Ganna però alla fine è soddisfatto. In cuor suo ha capito, come a Sanremo, che questa corsa la può vincere. E non è poco. Significa che il palmares può aspirare a tanto e che dopo le prossime Olimpiadi si potrà tornare quassù con tutt’altra verve e tutt’altra convinzione.

E provarci, anche se non ancora al 101%, ma al 100% è fondamentale. Per fare bene in certe corse non è importante solo parteciparvi, ma come vi si partecipa. Bisogna “impararle a vincere”, se così si può dire.

«Comunque è andata bene, dai – aggiunge Ganna – quest’anno sono stato presente più spesso del dovuto in testa al gruppo. Sono stato nel vivo della corsa. C’è stato anche un momento in cui ci ho creduto, ma dal crederci all’arrivare cambia tutto.

«Ora voglio solo riposarmi un po’, perché in questa stagione ho già consumato tanto, e voglio pensare al Giro d’Italia».

Pippo era alla sua 4ª Roubaix da pro’, la prima con l’idea di vincere veramente. Cosa che gli era riuscita da U23
Pippo era alla sua 4ª Roubaix da pro’, la prima con l’idea di vincere veramente. Cosa che gli era riuscita da U23

Cioni: pollice in su

E il discorso del provarci Dario David Cioni lo conosce bene. «Sono contento della prestazione di Filippo – ha detto il coach e diesse di Ganna – in quanto era la prima volta che si trovava in quella posizione in questa corsa. Ed è tutto diverso che farla da dietro. Oggi (ieri, ndr) Filippo ha imparato molto. 

«Certo, sicuramente c’è ancora molto da fare. Come sempre c’è da migliorare e da lavorare su tutto. Ma il lavoro svolto sin qui è stato buono. La strada è questa».

Anche Cassani ha fatto una disamina molto interessante sulla Roubaix di Ganna. E siamo d’accordo con lui quando dice che Pippo fa ancora un po’ fatica non tanto sul pavé, quanto nelle curve e nei rapidi cambi di direzione. E qui torniamo al punto di prima: queste corse vanno fatte e rifatte. E soprattutto vanno fatte davanti dove frenesia, pressione, avversari e velocità sono diverse.

«Fisicamente Ganna c’era – prosegue Cioni – perché comunque è rimasto con i primi fino alla fine, fino a 16 chilometri dal traguardo. A parte Van der Poel che è scappato, poi erano tutti lì e il distacco è nell’ordine dei secondi, non dei minuti. E questo per me è molto importante. In prospettiva il suo sesto posto è un risultato che fa ben sperare. Anche la squadra ha lavorato bene, portandolo davanti fino alla Foresta di Arenberg, dove poi è esplosa la corsa».