Corso ACCPI per neoprò, qualcuno salterà la scuola…

27.11.2024
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Il 29 novembre, venerdì prossimo, presso il Palazzo del Coni di Milano si svolgerà il consueto incontro organizzato dall’ACCPI per i neoprofessionisti. Una giornata di immersione totale nel mondo che li attende, per il quale sono pronti forse con le gambe, senza tuttavia immaginarne la vastità. I più fortunati hanno trascorso la stagione in un devo team e hanno respirato l’aria dello squadrone, ma ci sono dinamiche che anche loro dovranno scoprire.

Per questo il programma prevede un saluto da parte di Paolo Bettini, che nella veste di campione farà l’introduzione. Un’ora sarà dedicata all’UCI che spiegherà le norme dell’Adams e gli adempimenti giornalieri. Il presidente ACCPI Cristian Salvato parlerà dei diritti e i doveri dei corridori. Elisabetta Borgia, psicologa, illustrerà le sfide dei giovani atleti. Poi sarà la volta della Lega che parlerà di contratti e strutture del professionismo. Marco Velo parlerà dei dispositivi di sicurezza. Infine Giulia De Maio e Pietro Illarietti parleranno di rapporto con i media e gestione dei social media. Originariamente si svolgeva tutto in due giorni, dopo il Covid si è ritenuto che fosse troppo e per questo la giornata si annuncia piuttosto intensa.

Un momento dal corso del 2023, con De Pretto e Biagini (foto archivio ACCPI)
Un momento dal corso del 2023, con De Pretto e Biagini (foto archivio ACCPI)

L’idea di Salvato

Noi ci siamo rivolti direttamente a Salvato (in apertura durante l’edizione 2023) per farci raccontare come è andata finora e cosa si aspetta dalla prossima infornata di neopro’, che sono sempre più giovani, al punto che alcuni vanno ancora a scuola. Quali sono le loro priorità? Che cosa chiedono? Quanto sanno di ciò che li attende? E da quanto tempo il sindacato organizza questo incontro? Salvato si mette comodo e racconta.

«Ricordo che il corso nacque dopo che lessi un’intervista a Gallinari sull’NBA – dice – in cui raccontava che tutti gli anni si faceva un corso di una settimana, in cui spiegavano ogni dettaglio. Dalla circonferenza del pallone alle regole di gioco, passando per i contratti e il discorso finanziario. Rimasi affascinato da questo articolo e alla fine, parlandone fra noi, nacque l’idea del corso. Devo dire che da quando abbiamo iniziato, anche altre associazioni hanno preso ispirazione, soprattutto quella francese che è la più attiva. E anche I.T.A. ha iniziato a fare i suoi corsi sull’antidoping. Vengono direttamente loro e un legale dell’UCI per spiegare tutti i dettagli dell’antidoping ed evitare che per qualche sciocchezza qualcuno si rovini la carriera.

La spiegazione del convoglio della gara per molti ragazzi che arrivano dagli juniores è una novità assoluta (foto archivio ACCPI)
La spiegazione del convoglio della gara per molti ragazzi che arrivano dagli juniores è una novità assoluta (foto archivio ACCPI)
Quanto sono cambiati i neoprofessionisti in questi anni?

Sono molto più giovani, questo è certo. Ci sono in mezzo anche ragazzi che arrivano dagli juniores. Anni fa c’era stato anche un problema con la Federazione, perché non venivano accettati per un discorso legato al regolamento. Tanto che alcuni presero la residenza in altri Paesi confinanti. Io però li accolgo tutti, perché difendo i diritti dei corridori. Se uno ha 18 anni e va alla Corte Europea, vince a mani basse perché ha il suo diritto di lavorare. Bisogna sicuramente aggiornarsi anche se secondo me bisogna avere anche un attimo di pazienza. Avevamo fatto un’intervista su Pinarello, passato direttamente dagli juniores. Gli auguro che diventi fra i più forti corridori di tutti i tempi, però questo saltare la categoria U23 provoca la chiusura di squadre anche importanti. La Zalf è un esempio, anche se le cause in quel caso sono anche altre.

Che atteggiamento riscontri nei ragazzi?

Tanti dicono che ritornano a scuola, mentre alcuni ci vanno ancora. Sono molto educati, attenti, fanno domande, poi dipende dalle persone e dalle generazioni. Una delle cose che consigliamo è che imparino l’inglese. Ebbene circa 6-7 anni fa, non ricordo il nome, arriva un corridore che non sapeva neanche una parola. Gli avevano detto che nel momento in cui aveva firmato il contratto gli era arrivata di certo la mail di I.T.A. per l’inclusione nell’Adams. Lui diceva di no e così la persona che spiegava gli disse che era una mail in inglese. E lui con grande naturalezza disse che le mail in inglese neanche le apriva. Ricordo che gli raccomandai di cambiare registro, perché l’inglese ormai fa parte della quotidianità. E devo dire che riguardo a questo, sono sempre più preparati. Quasi tutti lo parlano e così diventa tutto molto più semplice.

Trentin è vicepresidente dell’ACCPI e nel 2023 intervenne in video. Quest’anno parlerà di sicurezza
Trentin è vicepresidente dell’ACCPI e nel 2023 intervenne in video. Quest’anno parlerà di sicurezza
Ci saranno anche le donne?

Sì, anche se per loro non è obbligatorio. Con il discorso del WorldTour e anche se in Italia per la Legge 91 non possono essere professioniste, hanno contratti uguali a quelli degli uomini. Il contratto della Longo Borghini e quello di Ganna a Aigle, nella sede dell’UCI, sono uguali. Anche in questo l’Italia è un’anomalia. Ma vorrei aggiungere un’ultima cosa…

Prego.

Una cosa che ribadisco è che noi italiani siamo stati i primi a fare questo corso. Anche quelli dell’antidoping hanno pensato bene di organizzarne uno sul nostro modello. E’ importante far capire ai neoprofessionisti il discorso della reperibilità, per cui hanno fatto anche un corso online. Si è scelta un’informazione diretta piuttosto che fidarsi che l’informazione arrivasse dal compagno di squadra più esperto. Un passaggio necessario.

Mondiale e Lombardia: la doppietta di Pogacar e i ricordi di Bettini

21.10.2024
5 min
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Tadej Pogacar ha concluso una stagione da primo della classe e lo ha fatto vincendo il suo quarto Giro di Lombardia. Allo sloveno è riuscita una doppietta che nel ciclismo mancava dal 2006, ovvero quella di mondiale e Giro di Lombardia. L’ultimo a riuscirci fu Paolo Bettini in maglia QuickStep, anche se quella del corridore di Cecina fu una doppietta particolare.

«Quando Pogacar ha detto di voler saltare la Vuelta per preparare il finale di stagione – dice Bettini – sapevo che il mio record avrebbe avuto vita breve. La stagione che ha fatto è davanti agli occhi di tutti, in più arrivava al mondiale e al Lombardia super carico. Però nello sport è così, le statistiche sono fatte per essere aggiornate».

Pogacar e Bettini hanno vinto entrambi il Lombardia in maglia iridata, ma con umori completamente differenti
Pogacar e Bettini hanno vinto entrambi il Lombardia in maglia iridata, ma con umori completamente differenti

Gestione opposta

Il parallelismo tra la doppietta mondiale e Lombardia di Bettini e quella di Pogacar si accostano a malapena. Bettini arrivò all’appuntamento iridato pronto e riuscì a vincerlo, ma poi la scomparsa del fratello Sauro pochi giorni dopo lo gettò in un oblio. La vittoria del Lombardia fu diversa da quella che è la gestione normale di una gara

«Pogacar e io – spiega il toscano due volte iridato – abbiamo avuto una gestione completamente opposta dei due momenti. Lui è un fenomeno che corre e vince, in più se non deve fare conti con infortuni o altro diventa imbattibile. Ricordiamoci che dopo la caduta della Liegi è andato al Tour ed è arrivato secondo. Quest’anno ha avuto una stagione perfetta, al contrario dei suoi avversari, ed ha vinto tutto quello che c’era sul piatto.

«Io al mondiale di Salisburgo – continua – arrivavo in condizione, ma su un percorso che non era esattamente l’ideale. Ero uno dei favoriti ma non il grande favorito, come invece era Pogacar a Zurigo. Sono riuscito a vincere allo sprint, ma otto giorni dopo, la scomparsa di mio fratello ha come cancellato tutto. Compagni e diesse mi hanno rimesso in bici e a quel Lombardia andai con l’intento di farlo durare il meno possibile. Nel mio immaginario sarei dovuto passare sul Ghisallo staccato, regalare la maglia iridata alla chiesetta e poi tornare a casa. Invece è andata come tutti ricordiamo (in apertura Bettini in lacrime dedica la vittoria al fratello scomparso pochi giorni prima».

Un anno prima

Parlando con Bettini emerge che il parallelismo viene meglio se si guarda all’anno precedente, il 2005. Il toscano non vinse la prova iridata di Madrid, ma poi vinse il Gran Premio di Zurigo, fece secondo al G.P. Beghelli e si portò a casa il primo Giro di Lombardia della sua carriera.

«Se guardiamo alla gestione dei grandi appuntamenti – spiega Bettini – e a come si vivono certi momenti di condizione, direi che il 2005 è l’anno giusto da prendere in considerazione. Al mondiale di Madrid arrivavo carico e in forma incredibile, fu uno dei giorni in cui andai più forte nell’arco della mia carriera. La delusione fu grande, ma la consapevolezza di essere forte mi spinse a presentarmi a Zurigo più agguerrito che mai. Vinto lì, arrivai al Lombardia certo delle mie forze, tanto da dichiarare che se non lo avessi vinto in quell’occasione non lo avrei fatto più. 

«Come Pogacar avevo preparato al meglio il finale di stagione – prosegue – ma non vinsi il mondiale. In certi casi però, la sconfitta e la vittoria si accomunano nella testa degli atleti. Vincere ti dà una scarica di adrenalina talmente grande che rischi di scaricarti. Al contrario la delusione della sconfitta può farti perdere motivazione. I grandi corridori, invece, riconoscono il momento di condizione e lo sfruttano fino in fondo. Anzi, si divertono nel farlo. Per questo dico che nel 2005 il paragone tra Pogacar e me ha più senso».

Pogacar ha sfruttato fino in fondo l’ottima condizione, i grandi corridori cercano di cogliere sempre l’occasione
Pogacar ha sfruttato fino in fondo l’ottima condizione, i grandi corridori cercano di cogliere sempre l’occasione

Picchi di forma

Quando un grande corridore sta bene, la sua mente è portata a ricercare il massimo della concentrazione, quello che c’è all’esterno quasi non esiste. 

«Tra Pogacar e me – conclude continuando il discorso Bettini – il paragone rimane sui picchi di forma e la consapevolezza di essere forte. Io andai alla Vuelta per preparare gli ultimi mesi dell’anno, lui invece dopo il Tour è rimasto a casa. Ma la sostanza non cambia. Entrambi ci siamo presentati a fine settembre con una gamba super. La vittoria di Zurigo ha spinto Pogacar a continuare e raccogliere ancora risultati, al contrario la sconfitta di Madrid mi fece tirare fuori ancora più grinta. C’è una cosa da dire, al di là di sconfitte e vittorie: quando un grande corridore sa di essere in forma non esistono feste o altre distrazioni. Quando mi rendevo conto di andare forte, abbassavo la testa e mi godevo il momento. Penso che anche per Pogacar sia così. E’ un po’ lo spartiacque psicologico tra il corridore e il campione».

Langkawi iniziato nel segno di Syritsa e i ricordi di Scinto

29.09.2024
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KUAH (Malesia) – «Un’avventura a quei tempi. Ricordo le iguana per strada che a volte ci attraversavano la strada quando uscivamo in allenamento o i varani, quelle lucertolone al mattino in stanza che ci fissavano. Abbiamo persino dovuto firmare una dichiarazione di scarico di responsabilità per un volo interno su un aereo militare… che non ispirava certo sicurezza. Ma fu davvero una bella esperienza». Sono le parole di Luca Scinto che ci tornano in mente prima di partire per la Malesia, alla volta del Tour de Langkawi.

Un’avventura iniziata oggi con la Kuah-Kuah, andata al gigante dell’Astana-Qazaqstan Gleb Syritsa.

Lo sprint di oggi: Syritsa è a destra, Conforti (giunto 3°) a sinistra
Lo sprint di oggi: Syritsa è a destra, Conforti (giunto 3°) a sinistra

Langkawi… a noi

Questo Tour de Langkawi è dunque iniziato oggi e terminerà il 6 ottobre: otto tappe sparse in gran parte della Malesia. Per l’ente turistico nazionale sta diventando una vetrina alquanto importante, così come importanti sono i suoi sponsor: su tutti Petronas. Otto tappe, sei per velocisti, una per scalatori e una intermedia.

«All’epoca, era il 1997 – racconta Scinto – si correva a febbraio. Il Langkawi era ideale per fare la gamba. Il clima era buono e poi l’intero giro era bello lungo: ben 12 tappe. Arrivò un invito e Ferretti, il nostro diesse, ci portò appunto in Malesia. Arrivammo una settimana prima della corsa. Ricordo hotel bellissimi. Lì si era in pieno boom economico e stavano costruendo queste immense strutture. Un gran lusso».

In quella edizione di corridori italiani ce n’erano parecchi, anche Gianni Bugno. Il Tour de Langkawi era giovanissimo, un paio di edizioni, ma si stava aprendo ad un mondo nuovo e il ciclismo stesso iniziava il suo cambiamento. Quel cambiamento che lo ha portato oggi ad essere uno sport globale. 

«A quei tempi bastavano pochi chilometri che i corridori asiatici quasi sparivano del tutto. Davanti era una lotta tra noi europei». Prima di allora quel poco di ciclismo che c’era era tutto locale. Bisogna pensare che il Langkawi fu una vera rivoluzione.

Il primato di Scinto

Quell’anno succede che nella salita simbolo della Malesia, il loro Stelvio potremmo dire, Luca Scinto mette a segno un gran colpo. In quel periodo il toscano va forte… anche in salita.

«Io venivo da un 1996 molto difficile  – racconta Luca – avevo corso pochissimo, 7 forse 8 gare per via di un problema al ginocchio. Per fortuna che avevo il contratto anche per l’anno successivo… Quell’inverno dunque partii molto forte e infatti in Malesia andai bene. Verso Genting Highlands, questa salita simbolo, feci il vuoto. Era una scalata dura e lunga. Gli ultimi 4 chilometri erano al 20 per cento a quasi 2.000 metri di quota. Grazie a quella fuga vinsi la tappa e poi l’intero Langkawi mettendo dietro gente come Jens Voigt.

«Francois Belay, speaker del Tour de France presente laggiù, mi disse che fui il primo europeo a vincere la corsa». Alla fine era la seconda edizione del Langkawi, almeno per come lo conosciamo oggi, ma quella dichiarazione fece colore». Di certo Scinto fu, e chiaramente resta, il primo italiano ad averla vinta.

Quest’anno la salita di Genting Highlands non ci sarà. Il tappone, quasi certamente decisivo, sarà quello della terza frazione, quando il gruppo affronterà le rampe di Cameron Highlands, una sorta di doppia scalata, una sequenza stile Passo Tre Croci e Tre Cime di Lavaredo per intenderci. Ma solo per il profilo: le pendenze sono decisamente meno impegnative. Solo negli ultimi 8 chilometri la salita si fa un po’ più dura. Per il resto il Langkawi resta terreno di caccia per le ruote veloci. Nella quarta tappa c’è una lunga salita in avvio, ma poi solo tanta pianura.

Primi anni 2000 si parte dall’Aquila di Kuah, simbolo dell’isola di Langkawi dove quest’anno è avvenuta la presentazione dei team
Primi anni 2000 si parte dall’Aquila di Kuah, simbolo dell’isola di Langkawi dove quest’anno è avvenuta la presentazione dei team

Che premi!

Negli anni Scinto ha vissuto questa gara anche da tecnico. E pertanto ha avuto anche un altro punto di vista.

«Guardini è il re della Malesia, ci ha vinto moltissime corse e anche Mareczko (che quest’anno è presente, ndr) ha fatto molto belle cose. I ragazzi sono contenti di andare laggiù. Alla fine stanno bene.

«La prima cosa che chiedono è: “Come sono gli hotel? Come si mangia”? Lì gli standard sono buoni. Insomma non è la Cina dove in qualche caso la questione igienica non è al top. Ma poi oggi è tutto diverso. I team e gli hotel stessi sono organizzati, noi mangiavamo quel che trovavamo e lì era tutto molto piccante. Pollo… piccante. Un’altro tipo di carne… piccante. A volte persino il riso era piccante! Niente pasta, ma tante uova. Poche storie e pedalare».

I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma

I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma

«Il Langkawi era generosissimo. Noi della Mg-Technogym vincemmo due tappe, la classifica finale e altri premi: tornammo a casa con un bel gruzzolo a testa. Un gruzzolo che però riuscimmo a riprendere solo grazie agli uffici di Parsani, all’epoca in Mapei, in seguito ad un disguido. Ma vi dico questa, tanto per rendere l’idea delle cifre che giravano. Paolo Bettini era appena passato professionista con noi. Aveva firmato al minimo sindacale che era di 25 milioni di lire l’anno: tornò dal Langkawi con 28 milioni di premi!».

Oggi chiaramente i premi non sono più quelli e le tappe sono anche di meno, d’altra parte con un calendario così fitto è impensabile proporre una gara a tappe di 12 frazioni. Il Langkawi però è una corsa molto sentita in Asia. E di fatto apre al colpo di coda del calendario in questa parte di mondo, visto che poi si corre anche in Giappone e dopo ancora in Cina, con il Taihu Lake prima e il Tour of Guangxi poi, che chiude il WorldTour.

Bettini, un salto a Parigi. Ipotesi inquietanti e pronostico impossibile

31.07.2024
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Paolo Bettini da oggi è a Parigi come testimonial del made in Italy, in quanto ambassador di Manifattura Valcismon. Una toccata e fuga, poiché già domani sera sarà a casa. Pur essendo campione olimpico ed essendo stato tecnico della nazionale, non gli è toccato in sorte un accredito e così seguirà la gara di sabato in televisione. Ma che gara sarà quella olimpica, lunga 272 chilometri e con 89 corridori al via? Si può stravolgere il ciclismo per contenere il numero dei posti nel Villaggio Olimpico? C’è tutta una serie di domande che ci assillano durante questi Giochi dalle quote rimaneggiate, ma perché non sembrino le paranoie di chi scrive, abbiamo provato a sentire l’opinione di chi ne ha corse tre e una l’ha vinta. Paolo Bettini, appunto, cinquant’anni compiuti ad aprile: nono a Sydney, primo ad Atene, diciottesimo a Pechino.

Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Che effetto fa una gara di 272 chilometri con 90 corridori? Non è un po’ falsato il concetto di gara di ciclismo?

In effetti, mi sembra più una randonnée. Io ci sto per il chilometraggio lungo. Ad Atene 2004, il 14 di agosto con 42 gradi, mi ero quasi lamentato che fosse solo di 224 chilometri, abituato da buon cacciatore di classiche a vincere a su distanze di 250-260. Dissi che almeno avrebbero potuto farla di 240. Poi però scoprii una cosa che in realtà avevo già capito da giovane a Sydney, cioè che tenerla è un casino. Si correva in 5 per Nazione. Adesso cosa hanno fatto? La brillante idea è di ridurla addirittura a 4 come numero massimo di atleti per le Nazioni più rappresentative, per poi scendere a 3 come con l’Italia, poi 2 e poi gli isolati che correranno da soli. Se l’idea era di ridurre il numero per aprire a più Nazioni, perlomeno 130 corridori da portare alla partenza li avrei trovati. Partire in 90 per fare quel tipo di chilometraggio? Si salvi chi può…

Continua.

E’ un casino fare la riunione tecnica di come andrà la gara. E’ veramente una gara alla si salvi chi può. Se dopo 50 chilometri rimani con 30 corridori davanti e 60 dietro, che corsa viene fuori? Considerate che di 90, un bel mucchio di corridori va in crisi dopo 140 chilometri. Se la fai un po’ “garellosa”, dopo 140 chilometri rimani con 60 corridori. Ma se per disgrazia esce un po’ di sole, di quello parigino estivo vero, e corrono a 32 gradi, sarà una gara che possono finire 18 corridori. Poi è vero che a loro basta il podio per fare le medaglie, però come avete detto prima, si snatura il concetto di grande classica. Non è più un palcoscenico internazionale con la sfida tra grandi atleti. Va bene che qualcuno non è venuto, tipo Pogacar, ma quanti professionisti europei, americani, australiani non sono stati convocati perché le nazionali sono ridotte alla metà di quelle dei mondiali?

Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Ce ne sono fuori almeno altri 90 se non di più.

Okay, allora anziché ridurre a 4, perché non fare un numero massimo di 6 per squadra? E qui si capisce perché sono scesi a 4 senza aumentare il numero delle Nazioni. Perché così facendo, risparmiano posti nel Villaggio Olimpico. Lo scopo è questo. Meno gente da accreditare, meno gente da far girare, meno di tutto. Apertura però ad altre discipline. Pertanto se nel complesso al Villaggio Olimpico deve gravitare in due settimane un certo numero di persone, quello deve essere. E se uno sport ne porta troppe, io lo riduco.

Uno dei motivi per cui tolsero la 100 chilometri a squadre, inserendo la crono individuale…

Quello che mi dispiace è che non vorrei che in un futuro non troppo lontano, pensassero proprio di eliminare la prova su strada. Se continuano a ridurla così, mi sembra che non gli interessi nemmeno troppo. Il ciclismo viene bistrattato, basta guardare come hanno fatto il calendario olimpico. Se mi proponi una gara da 272 chilometri con 90 corridori, non è più una grande classica. E’ una gara olimpica, tutto il rispetto per chi vince ed entra a pieno titolo nell’Olimpo, però il discorso non mi torna.

Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Diciamo che tolta la maratona, il ciclismo è il solo sport che costringe a chiudere le strade. In fondo nel velodromo i corridori non danno fastidio a nessuno.

Esatto, esatto. Ma speriamo di no…

Tu che correvi un po’ alla Van der Poel, come avresti gestito una corsa del genere?

Con 225 chilometri prima di arrivare nel circuito, io spacco tutto prima di entrare a Parigi. Quando arrivo in città, voglio che siamo il meno possibile e poi con gli altri me la gioco nel circuito. E io sto fermo 225 chilometri, secondo voi? Questi sono ragazzi che non hanno paura di prendere vento. Evenepoel è abituato a partire lontano all’arrivo e farsela per conto suo. Van der Poel è uno abituato al ciclocross, dove si fa un’ora fuori soglia come pochi, figuratevi se ha paura a stare fuori 100 chilometri, cercando poi di vincere in volata. Sono fatti così. Quando entri in circuito, rischi veramente. Per questo io approfitterei della campagna francese che proprio pianura non è. Se poi, niente niente, tira un filo di vento… aiuto! Dopo 100 chilometri c’è uno sparpaglìo galattico. Altrimenti devi fare una gara come quella femminile, dove le più forti sanno che gli bastano gli ultimi 30 chilometri. Così vanno via col gruppetto delle migliori sempre appallato e poi negli ultimi 60 chilometri aprono il gas e fanno la corsa. Ma i professionisti non fanno così.

E poi c’è anche chi non ha interesse a fare la corsa di certi fenomeni.

Anche perché l’Italia, che sulla carta non ha grandi chance, magari sgancia prima Bettiol. E se non faccio muovere prima lui, allora faccio attaccare Viviani. Sennò che cosa è venuto a fare Elia? Gli faccio accendere la corsa, perché non credo che abbia la la gamba per chiudere un buco di 30 secondi su Evenepoel, se la corsa la accendono loro. Viviani è meglio trovarlo davanti, in un gruppetto di 7-8. Perché se arrivano Evenepoel e Van der Poel, magari anche con Bettiol, forse Elia là davanti mi serve a qualcosa. Sennò cosa fa?

Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Stare coperti forse non serve a molto…

Stai nascosto, ma non credo che si corra per arrivare tutti insieme. Le Nazioni cui interessa arrivare in fondo sono l’Olanda, il Belgio… La Spagna come corre? E la Francia? Alaphilippe se la gioca, ma deve anticipare. Lui e Bettiol dovrebbero fare coppia fissa, perché in questo momento storico sono simili per quello che vogliono e possono fare. La Spagna invece si butta e magari porta via Olanda e Belgio. Per questo dico che dopo 80 chilometri restano in 30 corridori.

Ti sarebbe piaciuto correre una gara così?

Eh, quella sarebbe la mia corsa (sorride, ndr). Quando c’era disordine, lo sapete, quando c’era disordine c’era Bettini! Anzi, quasi sempre la creavo. Mi ricordo nel 2008, pur di far gara dura, si fece partire Nibali su un ponte dell’autostrada tra Pechino e la Grande Muraglia (in apertura la partenza di quella gara, ndr). Però eravamo in cinque. Dietro c’eravamo io, il povero “Rebella”, Pellizotti e Bruseghin. Non andò male, perciò vediamo cosa faranno sabato che corrono in tre. Me la guardo per bene in televisione, così posso anche allenarmi. Il mio viaggio in Grecia per festeggiare i 50 anni e i 20 dall’oro olimpico, zitto zitto, arriva.

Bettini, i 50 anni e il ritorno all’oro di Atene

10.07.2024
7 min
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ROMA – Ci sono Paolo Bettini e sul tavolo la medaglia d’oro di Atene, con un casco, la maglia e un paio di scarpini. In un angolo alle spalle c’è la sua gravel 3T, pronta per partire anche domani. L’ambasciata di Grecia ha spalancato le porte al campione toscano che ad agosto compirà un viaggio a tappe dentro se stesso e lungo le strade di Grecia che vent’anni fa lo consegnarono alla storia di Olimpia. Fuori Roma è una fornace che ricorda davvero quei giorni magici di Atene 2004, quando lo vedemmo vincere e facemmo festa con lui e il cittì Ballerini.

«Partirò dall’Olimpo – sta dicendo Bettini alla presenza dell’ambasciatrice Eleni Sourani e della Console Onoraria di Grecia a Livorno Elena Konstantos – salirò su quel monte per andare a rendere omaggio agli Dei. E da lì inizierà il mio viaggio. Pertanto ci tengo a ringraziare per questa accoglienza. Abbiamo portato prima di tutto la bicicletta, con una grafica particolare che richiama l’antica Grecia e le antiche Olimpiadi. La maglia è una replica di quella 2004, ma in versione moderna, con i tessuti attuali. Il casco è dedicato e le scarpe saranno perfettamente in linea con tutto il resto. E grazie a Elena, perché da uno scambio di idee è nata questa avventura che mi permetterà di fare un viaggio in Grecia e dentro me stesso».

A destra, l’ambasciatrice Eleni Sourani, a sinistra la Console Onoraria Elena Konstantos
A destra, l’ambasciatrice Eleni Sourani, a sinistra la Console Onoraria Elena Konstantos

Da Katerini ad Atene

Elena Konstantos è Console Onorario, ha l’accento livornese e ci racconterà di essere nata in Toscana da padre greco e madre italiana. Viene dall’atletica leggera e ha la praticità della sportiva e l’idea di usare lo sport come modo per favorire i contatti fra Grecia e Italia ce l’ha da sempre in testa. Bettini gliel’ha presentato Alessandro Fabretti e parlando fra loro della sua intenzione di fare un viaggio, è nata l’idea di organizzarlo in Grecia. Il tour di Bettini inizierà a fine agosto da Katerini, la città di origine della Console e dopo 12 tappe si concluderà ad Atene. Ed è proprio Paolo a guidarci in questa idea romantica in cui verrebbe già voglia di affiancarlo.

«L’ho sempre detto – racconta – sono legato a vari passaggi della mia carriera. Sicuramente la prima Liegi è quella che mi ha mentalizzato in maniera diversa e mi ha fatto capire, a me prima che a tutti voi, che se avevo vinto quella, forse avrei potuto vincere altre grandi corse. E’ partito tutto da lì e sicuramente la Liegi ha un valore. Sappiamo che valore abbiano i mondiali, quanto sia importante quella maglia, ma credo che portare a casa una medaglia olimpica ti tiri un po’ fuori. Lo dico banalmente, ma con tutta sincerità. Oggi siamo qua a parlare di ciclismo perché ho vinto le Olimpiadi, ma se fossi venuto solo con i miei mondiali, magari non avrebbero aperto le porte. La medaglia olimpica ha un valore completamente diverso che ti proietta in qualcosa di più grande».

Con i 50 anni è nata l’idea del viaggio. Come mai?

E’ un’idea che avevo da tempo, già prima di Jovanotti, che ha fatto i suoi viaggi introspettivi prima di me. Avevo l’idea di regalarmi un viaggio: io e la mia bici in qualche parte del mondo. Avevo preso contatti per il Tibet e l’idea era di fare Lhasa-Kathmandu: 1.000 chilometri salendo per tre volte sopra i 5.000 metri, restando costantemente fra 2.800 e 4.000. Poi politicamente in Tibet sono cambiate un po’ di cose e avevo puntato il Sud America. Finché a gennaio ho conosciuto la Console ed è nato il progetto greco.

Viaggerai da solo?

Pedalerò da solo, ma non sarò solo. Ci sarà la mia compagna, che si muoverà con un mezzo e si sposterà lungo i vari punti del percorso. Ma è soprattutto il mio viaggio, sarà un pedalare e ripercorrere la mia vita. Documenterò tutto, perché l’idea è quella di mettere tutto insieme e fare il punto della situazione a 50 anni. Magari confezionando un docufilm che racconti il viaggio e lo scambio tra Italia e Grecia. Loro come turismo hanno attivato tutti i canali. Ho il patrocino del Ministero del turismo greco e mi stanno supportando in tutto. Sarà un mio viaggio di vita, un fare il punto sui primi 50 anni, guardandosi indietro e sfruttando i 20 che mi legano ad Atene e alla Grecia. Per me è una vacanza, dalla quale spero di portare indietro un sacco di belle cose.

Questa la traccia di massima del percorso: alcune tratte vanno ancora suddivise, fino al totale di 12 tappe
Questa la traccia di massima del percorso: alcune tratte vanno ancora suddivise, fino al totale di 12 tappe
Ti sei dovuto e ti dovrai allenare sul serio?

Ma non mi trovate meglio? Vedrete a settembre… Se non sarò finito (sorride, ndr) chiederò spazio a Bennati per fare il mondiale. Allora, devo pedalare. Non è una passeggiata, ci metterò tutta la mia esperienza. Quel quasi milione di chilometri che ho nelle gambe lo userò per cavarmela bene. Non stiamo lasciando niente al caso. Sono tappe giornaliere che non superano i cento chilometri, se non due o tre. La prima, tanto per capirci, che è la più lunga. Per andare sul Monte Olimpo c’è una sola strada e, dopo essere salito, devo tornare giù. Come si dice in Toscana, il problema è andare su, in giù vanno anche barattoli. A parte due o tre giorni più lunghi, non farò più di 85 chilometri per volta.

Perché la gravel?

Perché per me è un viaggio e la gravel vuol dire viaggiare. Gravel non è competizione, gravel sta nel mezzo. Lo dico sempre che le due facce del gravel siamo io e Pozzato. Lui, chapeau, il primo organizzatore di un campionato del mondo gravel senza regolamento. Una gara in cui partono anche con la bici da strada e le scarpe da strada, dice che l’UCI non ha capito molto neanche questa volta. Però lui è stato bravo a cogliere l’attimo. Io invece sono l’altra faccia del gravel: molto più cicloturistico. Non per niente abbiamo portato la bici con le borse.

Il bagaglio però non viaggia con te.

Sapendo che faccio 80 chilometri, avrò bisogno del necessario per essere autonomo. Se foro o si spacca qualcosa, più che avere il bagaglio con l’abbigliamento (e comunque un minimo me lo terrò, perché non si sa mai cosa succede), avrò arnesi e pezzi di ricambio. Avrò materiali da testare, sarà anche il modo per provare qualcosa e farlo a 40 gradi, trattandola anche male, perché non avrò il tempo di pulire la bici e lucidarla tutte le sere. Pertanto diventa anche una cooperazione con le aziende che mi seguono, per provare i tessuti e altri aspetti. Magari tornerò utile ai ciclisti che fra qualche anno viaggeranno in bicicletta.

Ci sarà un passaggio sulla riga d’arrivo delle Olimpiadi?

Devo ammettere che non so cosa mi succederà ad Atene, sta gestendo tutto la Console. Tra le altre cose, mi ha ricordato che sono cittadino onorario di Atene. Tutte le medaglie d’oro di Atene 2004 furono insignite della cittadinanza onoraria. Però sicuramente in piazza Kotzia io ci arriverò, perché è dove ho vinto.

La partenza è fissata per il 26 agosto, l’arrivo previsto per il 6 settembre. Sarà caldo, però mai come in quel 14 agosto del 2004. Se gli chiedi quando capì di aver vinto, non parla del momento di passare la riga o del podio. Ricorda il momento in cui Sergio Paulinho lo anticipa in volata. Lui lo recupera, lo affianca facilmente e capisce quello che sta per succedere. Quel giorno si scrisse la storia: farlo ai piedi del Partenone nella città delle prime Olimpiadi lasciò a tutti il senso di aver vissuto qualcosa di grandioso.

Shimano GRX Di2: il gravel elettronico, con la doppia corona

06.06.2024
8 min
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POMARANCE – Perché Shimano ha lanciato il sistema gravel elettromeccanico specifico per la doppia corona anteriore? Perché vuole essere il punto di unione tra la strada ed il gravel. Ha l’obiettivo di accontentare gli amanti del doppio plateau anteriore con tutti i benefici e le opzioni dei sistemi Di2 di Shimano.

Non va in contrasto con il GRX meccanico lanciato nel 2023 (che si pone maggiormente tra la mtb al gravel), ma vuole essere un’alternativa meno sbilanciata verso le ruote grasse. Lo abbiamo provato nel magnifico contesto toscano della Geo Gravel Tuscany, al fianco di Paolo Bettini e dei tecnici Shimano.

Abbiamo provato il GRX Di2 sulla RaceMax Italia di 3T
Abbiamo provato il GRX Di2 sulla RaceMax Italia di 3T

Con Bettini la prova alla Geo Gravel Tuscany

«Per me è motivo di grande orgoglio – ci racconta Paolo Bettini – il fatto che Shimano abbia identificato questa manifestazione come il luogo adatto per il test ufficiale del nuovo gruppo. Quando si tocca il gravel si aprono orizzonti e pensieri. Per quanto mi riguarda è il primo motivo per salire in bici da quando ho tolto i panni del corridore professionista. Shimano mi ha coivolto nel progetto: dal primo GRX DI2 a 11 rapporti, sono tornato ad una trasmissione meccanica con il GRX a 12 meccanico. Poi di nuovo un Di2, una sorta di ritorno al futuro con il nuovo GRX 12. Colpisce il fatto delle 2 corone davanti. Una soluzione che vuole portare verso questa terra di mezzo il classico stradista».

E’ la prima del Front Next Shifting

«Il deragliatore del nuovo GRX Di2 supporta al massimo la corona da 52 – dice Nicola Sbrolli di Shimano – significa che si può montare anche una configurazione più stradale delle corone. Il perno passante della guarnitura è sempre da 24 millimetri. Fa parte di un ecosistema a 12 rapporti Di2 della nuova generazione. Inoltre sul nuovo GRX Di2 abbiamo anche una sorta di prima, quasi come fosse un debutto ufficiale della funzione Front Next Shifting.

«Significa che i due pulsanti superiori ai manettini, se opportunamente configurati con la app E-Tube, agiscono direttamente sulla deragliata e sulla risalita della catena sulle corone. Così si amplia ulteriormente la customizzazione del Di2, perché un solo pulsante agisce su due funzioni. In questo modo si liberano altri due bottoni che possono essere utilizzati per altro. Questa funzione è ora disponibile anche per il comparto strada a 12 rapporti Di2».

Nicola Sbrolli del Servizio Tecnico Shimano
Nicola Sbrolli del Servizio Tecnico Shimano

Doppia corona e meno attriti

«Merita una spiegazione – prosegue Sbrolli – la scala dei rapporti che Shimano ha dedicato al nuovo GRX, mi riferisco in modo particolare alle due corone 48-31. Dietro la derivazione dall’Ultegra Di2 è lampante. Ad esempio se usiamo la combinazione 31/34, corona piccola e pignone grande dietro, questa ha il medesimo sviluppo metrico del monocorona con soluzione 44 davanti e 51 posteriore. La catena lavora con una linea ottimizzata, eliminando molti degli attriti che si generano sulle maglie quando si utilizza una monocorona.

«Inoltre – conclude – in qualità tecnico e meccanico Shimano mi preme aggiungere due cose. Qualsiasi trasmissione a batteria deve tenere conto di una lunghezza della catena che rientra in un range specifico, al pari di un cambio posteriore che sfrutta una tensione ottimale. Sono due fattori estremamente importanti per sfruttare la trasmissione elettromeccanica al pieno delle postenzialità».

Sensazioni dopo l’utilizzo

Rimaniamo dell’idea che una trasmissione Di2 abbia bisogno di tempo per essere utilizzata al pieno delle funzioni e per sfruttare le diverse possibilità di configurazione. La trasmissione Di2 di Shimano non si basa su una sola funzione, ne ha 3. Può essere manuale, semi-automatica e completamente automatica. Per sfruttare a pieno queste ultime due, è necessario capire e adeguare al “proprio stile di cambiata” gli sviluppi metrici e avere un plateau anteriore 48-31 non è usuale. Non è al pari di una combinazione da strada. Il contesto ambientale di Pomarance non è un tappeto di velluto e nel suo essere divertente mette anche alla prova la tecnica del mezzo e le capacità di guida.

Cosa è emerso dopo circa 7 ore di guida spalmati su due giorni? La nuova ergonomia dei manettini offre dei vantaggi non trascurabili, perché si adatta bene ai manubri con flare diversi e offre tanto appoggio per palmi e polsi. Quando si pedala sullo sterrato aumenta il grip, quando si è su asfalto sono aumentate le possibilità di mettere le mani in diverse posizioni (senza gravare sui polsi). La regolazione della distanza della leva dalla piega (non è una cosa nuova) è sempre un valore aggiunto di grande livello.

Il nuovo bilanciere posteriore con il meccanismo di blocco e sblocco
Il nuovo bilanciere posteriore con il meccanismo di blocco e sblocco

Un Di2 non mente

Tutto quello che riguarda la trasmissione è perfettamente in linea con un pacchetto Di2 Shimano e questo identifica l’efficienza del cambio. Aggiungiamo la bontà della doppia corona che non lascia spazi vuoti in fatto di sviluppi metrici, su asfalto e su sterrato, quando si vuole fare velocità, oppure sulle rampe più arcigne.

La frizione posteriore che blocca il bilanciere, stabilizza la catena, soprattutto quando questa è sul pignone più piccolo e/o su quello più grande. Significa che la catena non cade tra telaio e pignone, non cade tra pignone e raggi della ruota. La frizione si attiva manualmente. L’impianto frenante è del tutto accostabile ad un Ultegra, anche in fatto di compatibilità delle pastiglie dei freni e dei dischi. Il liquido all’interno dell’impianto idraulico è sempre di natura minerale.

Il plateau da 48-31
Il plateau da 48-31

Un salto di 17 denti

La differenza tra corona grande e piccola è tanta. Se è vero che per questo Shimano Di2 gravel la derivazione Ultegra è reale, è altrettanto vero che un sistema gravel deve agevolare la salita anche su rampe che vanno ben oltre il 20% e sullo sterrato. Qui è fondamentale spingere e guidare la bici al tempo stesso e la combinazione 31/34 è “tanta roba” nei termini di una sfruttabilità del mezzo meccanico.

La corona da 31 è uno strumento di arrampicata. La 48 davanti permette di fare velocità, eventualmente di diminuire il numero delle rpm quando si percorrono i tratti di trasferimento su asfalto. Con un pacco pignoni 11/36 posteriore si può sfruttare molto bene anche in salita (bisogna avere gamba).

In conclusione

Lo aspettavamo ed il nuovo GRX Di2 è arrivato. A nostro parere completa la piattaforma Di2 di Shimano, che si pone comunque su un gradino diverso dalle trasmissioni meccaniche. E’ un’opzione e un’alternativa (come lo è anche la configurazione meccanica), sicuramente performante, certamente votata ad implementare l’elettronica funzionale e customizzabile anche in ambito gravel/off-road.

Meglio o peggio di una trasmissione meccanica? Meglio o peggio di un monocorona? Ragionando con il cuore dello stradista vero e proprio, potremmo dire che il nuovo GRX è quello che si avvicina di più al modo di pedalare della strada e forse anche per questo motivo diventa più facile. Una trasmissione 2×12 ha di fatto 24 rapporti da sfruttare ed imparando ad usare le funzioni automatiche non esistono sovrapposizioni quando si tratta di entrare del dettaglio degli sviluppi metrici. Significa avere un potenziale di configurazione praticamente infinito.

Shimano

EDITORIALE / Quanto pesa la maglia rosa?

13.05.2024
6 min
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NAPOLI – Primo giorno di riposo. Mentre i corridori ricaricano le batterie di un Giro che finora non ha fatto mancare fatica ed emozioni, noi facciamo un passo indietro e torniamo al giorno di Fossano. Riprendiamo un tema che si potrebbe a buon diritto ritenere superato e che invece continua ad agitare i nostri lettori con numeri sbalorditivi. Quel giorno riportammo su Facebook e su Instagram una considerazione di Paolo Bettini a proposito della condotta di Pogacar, già in maglia rosa, che seguendo l’attacco di Honoré, cercò di anticipare i velocisti.

Ebbene, sia nelle prime ore e ancora adesso, quel tema e quel post continuano a smuovere opinioni. Per chi ne mastica, i 3.205 “Mi piace”, le 149 condivisioni e 1.395 (per ora) commenti su Facebook sono il segno di un argomento che ancora interessa e divide. Su Instagram, dove raramente si avviano grandi discussioni, i numeri parlano di 1.198 “Mi piace” e 66 commenti. Dati ancora in evoluzione, se volete in modo sorprendente.

Bettini ha mosso un appunto più che logico alla maglia rosa, ma forse il ciclismo è ormai lontano da certe logiche
Bettini ha mosso un appunto logico alla maglia rosa, ma forse il ciclismo è ormai lontano da certe logiche

Le parole di Bettini

Bettini, per chi non lo sapesse, è stato campione olimpico, ha vinto due mondiali, due Liegi, due Lombardia e la Sanremo. Una carriera da 62 vittorie, cui si aggiungono quattro anni da tecnico della nazionale. E’ un personaggio credibile, competente e che merita rispetto. Davanti a lui però si è schierato con prepotenza il popolo dei sostenitori di Pogacar, il cui tono è diventato presto incandescente. Che cosa aveva detto Paolo?

«A mio parere sono azioni che non deve fare – disse dopo Fossano – a me non è piaciuto. Non per il gesto atletico, chapeau, lo sappiamo che è un fenomeno, ma attenzione perché il Giro è lungo. In una tappa come questa, doveva lasciar giocare gli avversari, starsene dietro e non esporsi perché le azioni come queste poi ti rendono antipatico. Già sei forte e già vinci tutto, vuoi anche una tappa per velocisti facendo un’azione come questa? Attenzione, perché se arriva il giorno che lo trovano in difficoltà e inizia a girare il gruppo, gliele fanno suonare alla grande e a volte è più difficile gestire una tappa veloce che non una tappa di montagna (…) Non sto parlando di fair play, qui si sta parlando di gara».

Finita la prima settimana di Giro: finora la UAE Emirates ha corso da padrona in difesa della maglia rosa e spesso all’attacco
Finita la prima settimana di Giro: finora la UAE Emirates ha corso da padrona in difesa della maglia rosa e spesso all’attacco

Lo stile del leader

Il discorso di Bettini non è di stampo mafioso, come ha tuonato qualcuno, ma richiama un codice non scritto del gruppo che evidentemente non è più così attuale. In qualche modo stamattina lo ha sottolineato anche Bugno, sia pure con toni diversi. Se Pogacar in maglia rosa fa incetta di tutto quello che c’è in palio, si è chiesto Gianni, come farà ad avere buoni rapporti in gruppo?

Il fatto che dopo Bettini abbia parlato anche Bugno, rende palese che il ricambio generazionale esploso nel 2020 coinvolge i tifosi e probabilmente anche le ammiraglie e le reazioni del gruppo.

Non si sono mai visti campioni come Indurain, Contador, Nibali, Bernal, Froome, Pantani, Dumoulin, Roglic, Vingegaard, Quintana e persino Armstrong, che quanto a ingordigia non scherzava, mettersi a sprintare per i traguardi volanti. Si è sempre pensato che se un leader fa così, vuol dire che non si sente tranquillo dei risultati che potrà ottenere. Negli ultimi due Tour, Pogacar ha corso in questo stesso modo, ma alla fine ha pagato nel testa a testa con Vingegaard. Qui al Giro finora non ha lasciato nulla a nessuno e questo, applicando i canoni della tradizione e in assenza di un avversario davvero temibile, suona insolito.

Dieci anni fa quel che ha detto Bettini sarebbe stato di un’ovvietà disarmante, in un ciclismo che aveva nella durezza e nel galateo non scritto i suoi punti chiave. Il leader più forte ha sempre diviso la torta con il resto del gruppo. E se pure alla fine, oltre alla rosa vinceva la maglia della montagna e quella a punti, lo faceva con i risultati delle tappe decisive. Nel mezzo, c’erano 10-12 giorni in cui il palco era anche per gli altri, per la gioia dei loro sponsor.

Giro 1998: Pantani non aveva ancora la maglia rosa, ma a Selva lasciò la vittoria a Guerini
Giro 1998: Pantani non aveva ancora la maglia rosa, ma a Selva lasciò la vittoria a Guerini

Il diritto di Pogacar

D’altra parte ha ragione Roberto Damiani, quando ne difende la libertà di vincere come e quando gli pare. Ravvisando anche l’incapacità di fare pace con le proprie aspirazioni di chi reclama sempre tutto e il contrario di tutto.

«Pogacar è un campione – dice – uno che quando sente il profumo di vittoria va a cercarla, bello che sia così. Abbiamo martellato per anni quei campioni calcolatori che facevano solo il Giro o solo il Tour e adesso ce la prendiamo con questo che vince le classiche e poi viene a vincere il Giro? Chapeau a lui. Sinceramente non lo conosco, probabilmente gli ho detto tre volte ciao, però tanto di cappello».

Fossano, terza tappa: Pogacar attacca e stana Thomas. Inizia tutto così
Fossano, terza tappa: Pogacar attacca e stana Thomas. Inizia tutto così

Il ciclismo che cambia

Interpellato nei giorni successivi per commentare le reazioni alle sue parole, Bettini ha aggiunto di aver ricevuto messaggi e audio da parte di alcuni direttori sportivi dall’ammiraglia, seccati dell’andazzo di questo Giro e disposti a fare lo sgambetto alla maglia rosa qualora se ne presentasse l’occasione.

Nei giorni scorsi avete letto di un Pogacar nervoso, qualcuno ha anche ironizzato. Fra le ammiraglie si sussurra e si cerca di capire, fra giornalisti si fa lo stesso. Si dice che ciò sarebbe dovuto al fatto che lo sloveno non si stia divertendo a dominare in lungo e in largo, ma che questo gli venga imposto dalla squadra. Sono voci: lasciano il tempo che trovano, ma potrebbero spiegare i sorrisi più rari e la minore disponibilità della maglia rosa con i tifosi e con la stampa. Non deve essere facile essere guardato con fastidio e portare avanti una posizione che si condivide a stento. Al contrario, quanto sarebbe fastidioso doversi giustificare e quasi scusarsi per l’esercizio del proprio diritto di vincere?

Ciò detto, sulle ammiraglie ci sono davvero tecnici con il “pelo” per attuare le tattiche minacciate? Il ciclismo non è più fatto così, valuteremo successivamente se aggiungere l’avverbio purtroppo o fortunatamente. Siamo di fronte a uno sport che si decifra attraverso numeri e formule ripetibili. Che ha fatto della scienza e sempre meno della tattica il suo punto di partenza. Però il mal di pancia è sempre lo stesso e ricorda quello che si respirava nell’ambiente al Giro del 1999, quando si pensò che Pantani stesse esagerando. Anche Marco si trovò in mezzo alle rimostranze dei colleghi e alla posizione forte contro di lui di alcuni team. Anche in quel caso fu la squadra a spingerlo?

Il genio napoletano! Pogacar ha radunato attorno a sé un popolo di tifosi accesissimi
Il genio napoletano! Pogacar ha radunato attorno a sé un popolo di tifosi accesissimi

Se fosse tricolore…

Peccato che sia fallito il piano del Giro di portare alla partenza anche Evenepoel. La presenza di un rivale molto forte avrebbe reso meno evidente il gap fra la maglia rosa e il resto del gruppo. Di certo, infilandosi in queste dinamiche e non avendo ancora affrontato le giornate davvero difficili del Giro, la corsa sembra tutto fuorché noiosa.

Tadej è di un altro pianeta. La tirata data ieri nell’ultimo chilometro dalla maglia rosa dimostra che ha forze traboccanti e forse anche per il miglior Vingegaard quest’anno sarebbe duro tenerlo a bada. E allo stesso modo in cui siamo certi di questo, un’altra consapevolezza si fa largo mentre si ragiona su questo Giro e il fatto che rischi di perdere interesse: se Pogacar fosse italiano, lamentele ce ne sarebbero certamente di meno.

Bettini sicuro: «Viviani ai Giochi? Non si può fare altrimenti…»

04.05.2024
4 min
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«Parlare di Olimpiadi? Per me è sempre bellissimo, è la vittoria che ricordo con più piacere tanto che ad agosto tornerò in Grecia per celebrare con un’avventura cicloturistica i miei vent’anni dall’oro di Atene». L’argomento a cinque cerchi solletica sempre Paolo Bettini, che ha vissuto l’esperienza a cinque cerchi sia da corridore che da commissario tecnico e non si tira indietro nel tracciare un profilo di quel che ci attende.

14 agosto 2004, Bettini vince di forza la medaglia d’oro, staccando tutti, ultimo il portoghese Paulinho
14 agosto 2004, Bettini vince di forza la medaglia d’oro, staccando tutti, ultimo il portoghese Paulinho

Quando Bettini ha gareggiato nella prova olimpica, nel 2000-2004 e 2008, la squadra italiana era composta da 5 elementi: «Ma non è che in 5 riesci a controllare la gara – dice – non potevi allora e ancor meno adesso che le nazionali al massimo possono averne 4 e noi non siamo tra queste. Allora poi il percorso era leggermente ridotto, 225-230 chilometri contro i 270 di oggi. E’ normale che, alle Olimpiadi ancor più che nelle altre gare titolate, vadano così a innescarsi quei legami non scritti, dipendenti dal club di appartenenza ma anche da comuni interessi perché, non va mai dimenticato, ai Giochi vincono in 3, non uno solo».

Che cosa si deve fare allora in una gara così sui generis?

Se non puoi controllarla, devi cercare soluzioni per risparmiare energie. Ricordo che quando corremmo a Londra eravamo io e Rebellin le punte e io avevo il compito di marcare Valverde. Si scelgono gli uomini sui quali fare la corsa oppure si cerca di mandare qualcuno dei tuoi in fuga in modo da non dover tirare. Ma ragioniamo di gare che avevano 5 uomini e nelle quali si cercava una collaborazione. Ora, con 4, è praticamente impossibile.

Viviani su strada? Per Bettini è una scelta giusta pensando alle possibilità nell’omnium
Viviani su strada? Per Bettini è una scelta giusta pensando alle possibilità nell’omnium
Noi addirittura ne avremo 3…

Il lavoro di Bennati è difficilissimo, io lo so bene, eppure paradossalmente in questo caso è più facile. Mi spiego: non si applicano i criteri che valgono per mondiali o europei. Esistono logiche completamente differenti. Intanto perché la rosa dalla quale pescare devi sceglierla molto tempo prima, a inizio anno per far fare le visite mediche ai ragazzi e per presentare la relazione alla Federazione che dovrà girarla al Coni. E’ questo che dirige.

Come giudichi allora le voci che vogliono Viviani nel trio per garantirgli un posto nella delegazione su pista?

E’ una scelta che rientra proprio in quelle regole diverse dal solito. Faccio un esempio per assurdo: Bennati può convocare Bettini e Paolini, ma questi due non vanno d’accordo (in realtà siamo amicissimi, ma è per far capire). Il cittì decide di puntare su uno dei due: questo potrebbe farlo se si trattasse di un mondiale, ma ai Giochi devono andare gli uomini più medagliabili a prescindere. Per questo dico che il lavoro di Bennati per certi versi è più semplice, perché certe scelte sono vincolate.

Van Der Poel è uno di quelli che può far esplodere la corsa anche da lontanissimo
Van Der Poel è uno di quelli che può far esplodere la corsa anche da lontanissimo
Non pensi sia una situazione un po’ triste?

Paghiamo il difficile momento che il ciclismo italiano sta vivendo, è giusto per certi versi pensare ad altre specialità dove ci sono concrete possibilità. Viviani ha belle carte da giocare su pista, un secondo uomo Bennati deve selezionarlo pensando alla cronometro da affiancare a Ganna, di fatto gli resta un solo corridore. Sono ragionamenti che tanti tifosi, i “cittì da tastiera” non conoscono, ma quando si parla, si critica il cittì, bisognerebbe ricordarsene…

La gara olimpica di quest’anno si preannuncia però un po’ diversa dalle edizioni precedenti, nel senso che al via si presenteranno corridori che non hanno paura di fare una gara “uomo contro uomo”…

E’ vero, al via ci saranno corridori che sono talmente forti al punto da poter fare la corsa per conto proprio, da cercare la soluzione di forza anche a 80 chilometri dal traguardo. Noi partiamo apparentemente senza grandi ambizioni, quasi per far numero.

Bettiol secondo l’ex cittì può anche fare il colpo a Parigi, ma serve la giornata perfetta
Bettiol secondo l’ex cittì può anche fare il colpo a Parigi, ma serve la giornata perfetta
Perché dici “apparentemente”?

Perché io un’idea me la sono fatta ed è legata al nome di Alberto Bettiol. E’ sicuramente il corridore italiano più strutturato per affrontare una corsa simile e se indovina la giornata giusta, fisicamente e mentalmente, potrebbe anche essere uno di quelli che a 80 chilometri dal traguardo, se e quando la gara esplode, è lì a giocarsi le sue carte. La differenza con i Van Der Poel e Pogacar (senza dimenticare quelli che sono ancora in infermeria per cadute, il resto dei “magnifici sei”) è che quelli sono sempre nella condizione per fare la corsa in quella maniera, per il toscano serve che una serie di circostanze combaci, ci sia quasi una congiunzione astrale favorevole…

Van der Poel a Liegi? Bartoli e Bettini dicono di no

16.04.2024
5 min
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Due che la Liegi la conoscono come le strade di casa, per averne conquistata una coppia ciascuno: Michele Bartoli e Paolo Bettini. Il maestro e l’allievo, esperti di Ardenne come pochi altri al mondo. Li abbiamo interpellati sul tema che inizia a tenere banco nei bar: Van der Poel può vincere la Liegi, scalzando Pogacar?

Si sa, quando ti restano negli occhi grandi imprese come quella dell’olandese alla Roubaix, ti sembra che per lui sia tutto possibile. Però poi si torna con i piedi per terra e si capisce che l’impossibile in realtà non esiste.

«Un bel duello fra Pogacar e Remco – dice Bartoli – quello sì che me lo sarei goduto! Ma stavolta è toccato a Evenepoel infortunarsi e per il secondo anno consecutivo, non riusciremo a vederlo. Ma ditemi una cosa: siete anche voi fra quelli che pensano che Van der Poel possa vincere la Liegi? Io non ci credo».

«Anche io sto dalla parte di quelli che indicano Van der Poel fuori dai giochi per la Liegi – dice Bettini – secondo me non può insidiare Pogacar, che su quel tipo di salita se lo toglie di torno quando vuole. Abbiamo già visto come in un’Amstel possa essere messo in difficoltà e la Liegi è un’altra cosa».

Bartoli e Bettini hanno corso insieme dal 1997 al 2001, vincendo 4 Liegi in due
Bartoli e Bettini hanno corso insieme dal 1997 al 2001, vincendo 4 Liegi in due

Le salite delle Ardenne

Michele Bartoli, che accanto ad Adrie Van der Poel ha vissuto il primo anno da professionista e ne fu tenuto a battesimo proprio sulle strade del Nord, all’ipotesi che il campione del mondo possa vincere la Liegi non ci crede proprio. E come già in passato con lui avevamo commentato le imprese dell’olandese e del rivale Van Aert, arrivando a paragonare il primo a un cecchino e l’altro uno che spara a pallettoni, anche questa volta l’analisi è lucida.

«Fa bene a provarci – dice il toscano che la Liegi l’ha vinta per due volte – ma le salite delle Ardenne non sono paragonabili ai muri del Fiandre. Sento dire che potrebbe vincerla, perché ha vinto il mondiale di Glasgow che sarebbe stato uno dei più impegnativi di sempre, ma evidentemente non ho visto la stessa corsa. Glasgow era un Fiandre senza pavé, salite che duravano poche decine di secondi. Alla Liegi alcune durano qualche minuto. E quand’è così, le cose cambiano».

La Liegi non è una corsa semplice: le sue salite non sono pedalabili come il Poggio
La Liegi non è una corsa semplice: le sue salite non sono pedalabili come il Poggio

Analisi sballate

Lo sguardo si fissa prima di tutto sugli avversari e non soltanto su Pogacar che di certo avrà addosso tanti riflettori. La selezione che Van der Poel ha attuato alla Roubaix, anche alla luce delle doti atletiche ben evidenziate da Pino Toni, non sarà replicabile. Il percorso della Liegi non è adatto alle sue caratteristiche e questo potrebbe far accendere la riserva ben prima che la corsa si decida.

«Dipende molto dallo sviluppo della corsa – prosegue Bartoli – perché è chiaro che se lo portano col gruppo compatto e al piccolo trotto sino all’ultima salita, poi non lo staccano di certo. Ma credo che se la corsa si farà come al solito, avversari come Skjelmose, Pello Bilbao, Vlasov, Carapaz e altri scalatori potrebbero metterlo in croce. Starei attento a pensare che possa vincere tutto, ci sono corridori più forti di lui su percorsi di salita. Mi viene in mente l’anno che Petacchi vinse nove tappe al Giro d’Italia e cominciarono a dire che forse avrebbe potuto fare classifica. Oppure quando qualcuno decise che Ganna potrebbe puntare a un Giro d’Italia, senza tenere in considerazione le sue caratteristiche fisiche. Quando leggo certe cose, mi verrebbe di prendere il telefono e chiamare, ma ho imparato a lasciar correre».

Tom Pidcock ha vinto l’Amstel costringendo Van der Poel a un fuorigiri di troppo
Tom Pidcock ha vinto l’Amstel costringendo Van der Poel a un fuorigiri di troppo

Occhio a Pidcock

Fra coloro che potrebbero dire la loro anche in barba a un gigante come Pogacar, Bettini vede il vincitore dell’Amstel Gold Race, che ha dimostrato di essere fra gli scalatori più in forma del momento.

«Non credo a Van der Poel per la Liegi – dice il livornese, che ha vinto anche due mondiali – mentre penso che un nome da seguire sia quello di Pidcock. Lui ha dimostrato che su quei percorsi sa anche vincere. Forse può essere proprio lui quello che può insidiare Pogacar. Ma di certo non sarà Van der Poel, questo mi sento di escluderlo abbastanza nettamente. Lo vedremo domenica alla Doyenne…».

Van Aert ha altre caratteristiche che gli permettono di andare forte anche in salita
Van Aert ha altre caratteristiche che gli permettono di andare forte anche in salita

Van Aert è un altro corridore

L’argomento da cui si prende spunto per dire che Van der Poel in realtà potrebbe davvero centrare la Liegi è legato al fatto che nel 2022 Van Aert, che atleticamente potrebbe ricordare il rivale di sempre, arrivò terzo dopo Evenepoel e Quinten Hermans. E che anche Mathieu nel 2020 conquistò il sesto posto, vincendo la volata alle spalle del gruppetto di Roglic, Hirshi, Pogacar, Mohoric e Alaphilippe.

«Van Aert è diverso – dice secco Bartoli – lui alla Liegi è già arrivato terzo, ma è soprattutto un corridore che ha vinto da solo dopo aver superato il Mont Ventoux. Ed è anche quello che, tirando per Vingegaard sui Pirenei, ha staccato Pogacar. Van Aert ha una predisposizione diversa per la salita, tanto che si parlava di lui come di uno che avrebbe potuto vincere il Tour. Non ci ho mai creduto, ma qualcuno lo ha detto. Bisogna anche ricordarsi che il ciclismo non è il terreno in cui si va per dimostrare le proprie teorie. A conoscerlo si capisce come tutto rientri in una logica precisa. Volete sapere quante possibilità darei a Van der Poel di vincere la Liegi? Direi un 10 per cento. Abbiamo visto vincerla anche da Gerrans, che era un velocista, ma onestamente non credo che sia l’anno delle grandi sorprese».