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Milano-Sanremo 2003, con Celestino il film di quel giorno

26.02.2023
6 min
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Un amarcord felliniano, andando a ripescare un’epoca che ci accompagna ancora oggi con quei campioni che ora guidano il ciclismo dall’ammiraglia e ricoprono ruoli in federazione e nel mondo tecnico delle due ruote. Facciamo un salto a vent’anni fa, partendo dalla foto utilizzata in apertura per farci raccontare la Milano-Sanremo 2003. A riavvolgere il nastro della memoria ci aiuta l’unico che dei tre non aveva le mani alzate al cielo ma l’orgoglio pieno, Mirko Celestino

Per lui correre la classica di primavera era un sogno fin da bambino. Nato ad Andora, città attraversata dalla corsa, l’attuale cittì della nazionale XCO e XCM aveva un legame intimo e reverenziale. Per lui quegli anni alla Saeco erano tempi di vittorie con un Lombardia, una Tre Valli Varesine e tante altre corse che lo avevano già fatto conoscere al grande pubblico. Una delle caratteristiche che lo contraddistinguevano era il saper affrontare le discese a viso aperto, rilassato e disinvolto come una rondine in cielo. Mirko, raccontaci di quel giorno e dicci cosa ne pensi degli interpreti di oggi…

Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Per cinquant’anni la Milano-Sanremo si è corsa il 19 marzo, giorno del tuo compleanno. Che cosa rappresentava per te quella corsa?

Sono cresciuto guardando la Milano-Sanremo. Il mio papà mi ha sempre portato a vederla a Capo Mele che è la salitella prima di arrivare ad Andora dove mancano 50 chilometri all’arrivo. Sono cresciuto con la visione di questi corridori che arrivavano tutti sporchi e provati. Ho in testa queste immagini epiche di campioni che passavano davanti a casa. 

Da ammirarla sei poi arrivato a correrla da professionista…

Questa passione per la bici tramandata da mio papà l’ho portata avanti dai sei anni fino a farne un lavoro e non ho più smesso. Il mio sogno era quello di partecipare alla Milano-Sanremo e così sono arrivato a farne 11 tra cui quella del 2003 dove chiusi al secondo posto dietro a Paolo Bettini

Che emozioni provasti quel giorno?

Fu come una vittoria. In quel periodo Bettini era imbattibile. Per un corridore con le mie caratteristiche arrivare nei primi in quella classica era molto difficile. A quel tempo era una gara dominata perlopiù da velocisti. Ai tempi non si riusciva a fare tanta differenza perché c’era Mario Cipollini in maglia iridata con il suo treno. Fino all’anno prima con il treno rosso non lasciava scappare occasioni e quell’anno con la Domina Vacanze il trend era lo stesso. 

Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Un secondo posto che ti tieni stretto…

Quel giorno lì sento di aver fatto un’impresa. Chi ne capisce di ciclismo può capire quanta energia avessi e quanto era la mia giornata. Anche se quel giorno “l’altro” che era nella sua giornata perfetta era proprio Bettini. 

Qual era la tattica in corsa?

Gli accordi erano quelli di avvantaggiare Danilo Di Luca, mio compagno alla Saeco, che stava bene e bisognava fare la gara dura per svantaggiare i velocisti. Mi “sacrificarono” per fare l’attacco sulla Cipressa e così è stato. 

Ti staccasti prima dello scollinamento e poi li riagganciasti in discesa…

Mi riprese quasi in cima alla salita il quartetto che era uscito dal gruppo composto da Bettini, Vinokourov, Freire e Rebellin. Ero in affanno dopo l’attacco e mi ricordo che vidi che Di Luca non c’era, così mi buttai giù in picchiata, rischiando la vita, per quella discesa che conoscevo a memoria e li ripresi. Ai tempi so che feci il record. Mi piaceva molto andare forte in discesa e riuscivo a fare la differenza anche in quelle che non conoscevo.  

Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Cosa successe sul Poggio?

Ci ripresero e imboccai il Poggio in gruppo. Poi secondo me, Di Luca partì un po’ troppo presto e fu ripreso in contropiede da Bettini, Paolini e me, che mi agganciai alla loro ruota. 

Se sulla Cipressa facesti il recupero in discesa mentre a venire giù dal Poggio tirò quasi solo Paolini…

Anche loro due erano due ottimi discesisti. Paolini lo reputavo al mio livello in discesa. Si sacrificò totalmente per Paolo e tirò parecchio sia in salita che in discesa perché era molto bravo a guidare e a disegnare traiettorie. Di Luca infatti si staccò e perse terreno da noi tre. 

Che sentimento provasti al termine di quel sogno sfiorato?

Son sempre stato una persona realista. Quel giorno lì non mi ha battuto uno a caso, ma Paolo Bettini. In quegli anni lì non sbagliava un colpo, sapevo già di essere spacciato. Mi sarebbe stato utile se al posto di Paolini ci fosse stato un altro corridore di punta in modo tale da provare un attacco da finisseur e sorprenderli. Magari si sarebbero guardati quell’attimo in più e sarei arrivato all’arrivo. Ero abbastanza scaltro in questo, infatti la Classica di Amburgo e il Giro di Lombardia li vinsi così, di furbizia. 

Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Venendo all’attualità, la vittoria di Mohoric dell’anno scorso utilizzando il telescopico e attaccando proprio in discesa che impressione ti ha fatto?

Ha colto l’attimo giusto. Sì, il telescopico può averlo avvantaggiato qualcosina, ma non lo vedo così utile in una gara su strada. Si va giù talmente forte nelle discese che quel dispositivo non ti fa fare così tanto differenza. Lì ci vuole il manico e saper gestire bene la bicicletta, distribuire i pesi ed essere tranquillo e rilassato. La rigidità è quella che ti fa fare degli errori, soprattutto alle alte velocità. Lui ha saputo sfruttare questa sua dote di discesista e ha sorpreso gli altri. E’ stato un grande. Avendo il telescopico tutta l’attenzione se l’è presa quello. 

Pensi che quest’anno vedremo più telescopici in gruppo?

Sicuramente sì. Qualcuno proverà questa carta. Anche se la Sanremo la vinci con un insieme di dettagli: alimentandoti bene, arrivando con la mentalità giusta al momento decisivo e con una gamba che risponde bene dopo 300 chilometri. 

Il telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Un telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Cosa ne pensi dei nomi che ci sono oggi? Van Aert, Van der Poel, Pogacar…

Sono tutti nomi pericolosi. Pogacar ha caratteristiche diverse dagli altri due, perciò cercherà sicuramente di anticipare tutti e metterli in difficoltà. C’è da dire che Van Aert e Van der Poel non li stacchi in salita e in più sono anche veloci. Ovviamente ci aggiungo Evenepoel e Alaphilippe che sono delle vere e proprie mine vaganti per qualsiasi corsa. Al giorno d’oggi la vita per i velocisti è sempre più dura. Dopo 300 chilometri, Van Aert e Van der Poel possono dire la propria anche in mezzo ai velocisti. Le caratteristiche vanno tutte in secondo piano. Le incognite in questa classica sono infinite. Comprese le cadute che in questa gara fanno la selezione che non ti aspetti. 

Permettici questa domanda… Mirko Celestino con il telescopico avrebbe vinto una Sanremo?

No, no (ride, ndr), in Mtb l’ho usato ma serve per altri scopi. Su strada non fa la differenza che tutti si immaginano. Mi tengo stretto quel secondo posto del 2003. 

Sportful il main sponsor della crociera del ciclismo

08.10.2022
3 min
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Sportful è il main sponsor della prossima Crociera del ciclismo, il viaggio organizzato come di consueto da Gazzetta Bike Academy, in collaborazione con l’agenzia veronese Moving Events, ed in programma dal 15 al 22 di ottobre. E quest’anno, a bordo della MSC Seaside, una delle navi da crociera più grandi e tecnologicamente avanzate oggi in navigazione, saranno ospiti niente di meno che Paolo Bettini – che di Sportful è attivo testimonial da oramai molto tempo – e Maurizio Fondriest.

Il programma di viaggio prevede l’iniziale partenza dal porto di Genova per poi far rotta verso Civitavecchia. Dopo una bella pedalata nella Tuscia, oppure una necessaria escursione nella città di Roma, si ripartirà navigando verso sud per arrivare nella meravigliosa Palermo. Dalla Sicilia si transiterà poi da Ibiza per giungere in Spagna, nel porto di Valencia. Ancora uno stop, ideale per poter ancora pedalare in compagnia dei due ex campioni del mondo, e poi ancora navigazione verso Marsiglia, in Francia, penultima “tappa” in mare della settimana che si chiuderà nuovamente a Genova da dove il gruppo si è inizialmente imbarcato.

In regalo la nuova maglia

Il viaggio durerà dunque complessivamente 8 giorni (7 invece saranno le notti da trascorrere a bordo) con trattamento “all inclusive”. A tutti i partecipanti verrà inoltre regalata la nuova maglia tecnica che Sportful stessa ha espressamente disegnato e prodotto per questa iniziativa. Come accennato, una volta a terra, nelle località di Civitavecchia, Palermo, Ibiza e Valencia, sarà possibile pedalare e seguire uno dei due gruppi in bici che verranno organizzati, denominati rispettivamente “easy” e “strong” a seconda della propria condizione di allenamento.

Durante la navigazione saranno invece previsti assieme ai due top testimonial di questa crociera Gazzetta Bike Academy numerosi incontri tematici sul ciclismo: un modo diverso ed al tempo stesso decisamente… “itinerante” per vivere la propria passione per la bicicletta.

Sportful ha appena presentato la nuova collezione invernale
Sportful ha appena presentato la nuova collezione invernale

Oltre a Sportful, supportano attivamente questa iniziativa anche altri partner di settore come FSA, Vision, Prologo, Topek, Eleven, Bryton, Elite, NAMEDSPORT> e la riconosciuta commerciale veneta dei fratelli Campagnolo Ciclo Promo Components.

Moving Events

Sportful

L’ultima volta in Australia? A Pozzato girano ancora

16.09.2022
6 min
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L’ultima volta che i mondiali si sono corsi in Australia fu nel 2010 e a Pozzato girano ancora le scatole. Il vicentino aveva 29 anni e arrivò quarto, dando però la sensazione di poter vincere. Hushovd, Breschel, Davis. E poi Filippo. Per questo, strappato per qualche minuto alla routine di organizzatore proiettato verso i mondiali gravel di ottobre, il tono di voce cambia e si inasprisce.

Fu un anno maledetto. Il 7 febbraio l’incidente si portò via Franco Ballerini, il cittì di 4 mondiali vinti e un’Olimpiade. Al suo posto fu spinto Paolo Bettini, che non riuscì a dire di no e grazie a questo avrebbe scoperto negli anni di avere qualità tecniche eccellenti. Il suo lavoro, guidato da emotività e senso del dovere, fu mantenere in nazionale lo spirito di Franco. In Australia portò Gavazzi, Nibali, Oss, Paolini, Pozzato, Tonti, Tosatto e Visconti. Pozzato ricorda, la voce adesso è bassa.

Pozzato arrivava ai mondiali di Geelong dopo la Vuelta. Sulla maglia la scritta per Ballerini
Pozzato arrivava ai mondiali di Geelong dopo la Vuelta. Sulla maglia la scritta per Ballerini

Da Madrid a Melbourne

Corse la Vuelta, quella di Nibali. Si fermò proprio alla vigilia della Bola del Mundo, con il terzo posto di Toledo nelle gambe, ad appena un secondo da Gilbert in forma smagliante e Tyler Farrar.

«Andammo via presto – ricorda – perché c’era un’altra gara il sabato prima, quindi era tutto previsto. Mi sono fermato il venerdì e ricordo di aver fatto un buon avvicinamento, sarei arrivato al mondiale come volevo io. Poi si sa, in Italia ci sono sempre stati i giornalisti che mi davano contro. Non è che ti facessero lavorare tranquillo. Dovevo sempre dimostrare qualcosa, dicevano che comunque non avevo vinto, anche se andavo forte. E si chiedevano se fossi pronto per fare il leader e cose di questo tipo».

Una settimana prima del mondiale, Pozzato vince la Herald Sun World Cycling Classic: la gamba c’è
Una settimana prima del mondiale, Pozzato vince la Herald Sun World Cycling Classic: la gamba c’è
Come andò?

Paolo, che comunque a me è sempre piaciuto molto per come ha interpretato il ruolo di cittì, forse viveva la corsa come le faceva lui, col suo modo di correre. Io invece correvo al contrario rispetto a lui e questo forse ci portò a fare una corsa un po’ troppo d’attacco. Ma la colpa per come andò il finale fu solamente mia. Era un mondiale che avrei vinto con una gamba sola o comunque abbastanza facilmente. Bastava solo partire due posizioni più avanti.

Cosa successe?

A un certo punto, verso fine corsa, mi convinsi di non avere le gambe per fare la volata. Invece quando sono partito, mi sono chiesto: come mai gli altri non vanno? Sembravano tutti fermi, piantati. E io rimontavo, rimontavo, ma non abbastanza. Un metro dopo l’arrivo ero praticamente primo. Venivo su a doppia velocità, bastava partire due posizioni davanti.

Gilbert è in gran forma e attacca a raffica per arrivare da solo: Pozzato lo segue
Gilbert è in gran forma e attacca a raffica per arrivare da solo: Pozzato lo segue
Da mangiarsi ancora le mani?

Forse Geelong è il più grosso rammarico della carriera. Io avevo due sogni. Vincere la Sanremo e il mondiale e il mondiale non sono mai riuscito a vincerlo.

Si parlò dell’ultima curva presa troppo indietro…

L’ultima curva l’ho presa indietro perché ero suonato, ero convinto di non avere le gambe. Perché comunque c’era Gilbert che volava. Attaccò cinque o sei volte e io gli sono sempre andato dentro. L’ultima volta non sono riuscito a seguirlo, perché avevo un inizio di crampi e sono andato un po’ in crisi di testa. Mi sono detto: hai i crampi, vedi che sei finito e gli altri vanno il doppio?

La volata di rimonta non basta, Hushovd iridato, Pozzato “solo” quarto
La volata di rimonta non basta, Hushovd iridato, Pozzato “solo” quarto
Bastava crederci di più?

Mi sono messo in testa questa cosa qua, invece alla fine ero quello che stava meglio di tutti. Erano morti, ma il mio più grande problema è sempre stato che quando vincevo non facevo tanta fatica, quindi pretendevo di andare alle corse e arrivare sempre senza soffrire. Così, se magari sentivo una mezza cosa che non andava, era crisi.

Ci pensi ancora?

Ci penso sì. Mi girano veramente le scatole di non essere mai diventato campione del mondo. Per un motivo o per l’altro, anche se magari andavo forte, m’è sempre sfuggito, Al mondiale di Stoccarda sono stato l’ultimo a staccarmi da quelli davanti per i crampi, per una cavolata mia e vabbè… Più o meno una ti ritorna sempre indietro, ma quella in Australia è stata l’occasione che ho buttato io. Certi treni non passano più.

Come andò con il fuso?

All’andata andò bene. Anticipammo parecchio perché il sabato prima ci fu una corsa (Herald Sun World Cycling Classic, ndr) e la vinsi io. Fu la scelta giusta proprio per prendere il fuso orario. Corremmo quasi subito e io ero ancora suonato per il viaggio, però vinsi e quindi era il segno che andavo.

Com’era il clima?

Era inverno, non era caldo. C’era una bella temperatura, era freschino. Il giorno che ho vinto, avevo la maglia a maniche lunghe. Invece il mondiale lo feci a maniche corte. Saranno stati 20 gradi.

Invece in squadra?

Paolo era stato veramente bravo a costruire la squadra, essendo uno che aveva appena smesso ed era stato in gruppo fino a due anni prima. Era comunque uno di noi e creò un gran clima. Secondo me era riuscito a rimettere in piedi le stesse idee che Ballerini aveva cercato di portare in nazionale, quindi stavamo veramente bene.

Al via da Melbourne, Pozzato con il suo fan club: dietro, suo zio
Al via da Melbourne, Pozzato con il suo fan club: dietro, suo zio
Ricordi il pubblico?

C’erano un sacco di italiani d’Australia. Tra l’altro ho anche dei parenti e mi ricordo che erano venuti anche mio papà e mia mamma. C’era gente immigrata tanto tempo prima, quindi era bello perché comunque sembrava quasi di essere a casa e loro erano orgogliosi di vederci con la maglia azzurra. Una bella sensazione, un bel modo di correre anche a livello emozionale. Un qualcosa in più.

Il pensiero a Ballerini?

Avevamo sulla maglia una scritta per Franco: “Ballero sempre con noi”. Secondo me era stata una cosa veramente bella. Diciamo che il clima non era cambiato tanto rispetto a quando c’era lui. Si sentiva la mancanza, però Paolo era stato bravissimo a rimettere in piedi l’atmosfera che Franco aveva creato negli anni. Perché Paolo è quello che l’ha vissuta meglio di tutti, ha vinto i mondiali e le Olimpiadi con lui, era quello che meglio di tutti sapeva interpretare quel suo spirito.

SWI Thrama, ecco il gioiello elvetico su due ruote

04.07.2022
4 min
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SWI lancia sul mercato Thrama, la sua prima bicicletta, destinata a soddisfare le esigenze di chi cerca un design pulito, che unisce tecnologia e materiali all’avanguardia. Una bici con un’attenzione artigianale tale da rendere ogni pezzo unico, proprio come un gioiello.

L’azienda svizzera ha scelto come brand ambassador Paolo Bettini e Luca Paolini. I due ex professionisti dal palmares mondiale, hanno contribuito alla fase di sviluppo del prodotto e per i test su strada. Un progetto ambizioso che mette al centro dei propri orizzonti l’utente e la realizzazione di un mezzo su misura pronto a soddisfare ogni aspettativa. 

Paolo Bettini e Luca Paolini hanno contribuito a sviluppare la bici con test e consigli tecnici
Paolo Bettini e Luca Paolini hanno contribuito a sviluppare la bici con test e consigli tecnici

Essenzialmente unica

L’anima di tutti i telai SWI è infatti composta esclusivamente da fibre di carbonio UD, ovvero unidirezionali. Questo materiale consiste in un pezzo continuo con filamenti orientati secondo un’unica direttrice, disposto in strati sovrapposti sottilissimi e con angolazioni diverse, per ottenere una struttura reattiva e rigida. Lo strato esterno di carbonio 3K disposto a spina di pesce invece dona alla Thrama un’estetica unica e inconfondibile. 

L’azienda svizzera dispone inoltre della UFSTM TECHNOLOGY. Questa tecnologia brevettata permette di costruire il telaio da un unico stampo, facendo dei telai SWI veri monoscocca. Grazie a queste caratteristiche è stato possibile controllare da parte dei progettisti la rigidità e l’elasticità nei punti di carico o di cedimento e allo stesso tempo ridurre il peso ai minimi termini. L’ago della bilancia infatti oscilla tra i 650 e i 760 grammi a seconda delle taglie, mantenendo il totale sempre intorno ai 6.8 kg comandanti dall’UCI.

La bici è compatibile solo con freni a disco e cambi elettronici di Shimano, Campagnolo e Sram
La bici è compatibile solo con freni a disco e cambi elettronici di Shimano, Campagnolo e Sram

Bettini approva

A metterci la faccia e a supportare la creazione di questa opera in carbonio c’è il due volte campione del mondo e campione olimpico Paolo Bettini. «Quando SWI mi ha proposto questa collaborazione ho accettato immediatamente mettendomi a disposizione del progetto. Appena ho provato la Thrama mi sono reso conto di avere a che fare con un prodotto di altissimo livello, sia dal punto di vista della performance che del comfort. Ha un design elegante e allo stesso tempo accattivante. Quello che lascia senza fiato è la reattività del telaio e la precisione di guida davvero fuori dal comune. Il segreto di questa bici va oltre a ciò che si vede, è nascosto nella sua anima, nelle sue caratteristiche tecniche più intrinseche».

Cucita addosso

SWI non è un marchio comune e sulla sua attenzione rivolta al cliente fonda la volontà di crescere e di distinguersi dalla concorrenza. La Thrama viene infatti proposta al pubblico attraverso la possibilità di prenotare online un Test Ride individuale o delle Bike Experience di gruppo. In questi momenti dedicati i clienti possono provare di persona la bicicletta e interagire con lo staff tecnico di SWI per la creazione del proprio gioiello personalizzato.

La customizzazione è alla base di questo progetto. «Il nostro approccio – dice l’ex pro’ Luca Paolini – si basa sui feedback provenienti dal cliente dopo il Test Ride dedicato, che ci permette di costruire assieme a lui la bici dei suoi sogni. Grazie alla THIN PLY TECHNOLOGYTM, una tecnologia usata in settori all’avanguardia come l’orologeria svizzera, applicata da SWI per la prima volta nel ciclismo. Siamo in grado di lavorare il carbonio partendo da strati sottilissimi che possono essere aggiunti, ruotati o tolti, per creare un telaio più rigido o più confortevole in base delle diverse necessità. In questo modo ogni cliente potrà avere una bici unica, proprio come lui».

Tutti i telai e le forcelle sono garantite a vita e l’assistenza dell’azienda è un altro pregio inconfutabile. Infatti i clienti entrano di diritto in un club esclusivo fatto di viaggi, Bike Experience uniche e lanci di prodotto dedicati.

SWI

Out Of sceglie Bettini come ambassador ciclo

11.05.2022
4 min
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Out Of è una start up davvero innovativa che si è fatta rapidamente conoscere nel mondo degli sport invernali. Di recente ha deciso di entrare nel mondo del ciclismo e per farlo ha scelto un ambassador di assoluto prestigio come Paolo Bettini, due volte campione del mondo, oro olimpico su strada ad Atene, oltre che vincitore di diverse classiche.

Il lancio ufficiale della collaborazione è avvenuto in concomitanza con l’ultima edizione del MIDO, il più grande evento internazionale dedicato al settore dell’eyewear. Nell’occasione Out Of si è presentata a pubblico e stampa con un’immagine completamente dedicata al ciclismo.

Out of ha scelto come ambassador il due volte campione del mondo Paolo Bettini
Out of ha scelto come ambassador il due volte campione del mondo Paolo Bettini

La passione di due fratelli

Out Of nasce dalla passione di due fratelli, Federico e Roberto Righi. Al momento della creazione del brand Federico si era appena laureato in Fisica mentre Roberto era ancora studente di Disegno Industriale. La passione per lo sci e la voglia di realizzare qualcosa di innovativo li hanno portati a creare il marchio Out Of. Oggi l’azienda è cresciuta e al progetto collaborano fisici, ingegneri, designer e sviluppatori che prima di tutto sono sportivi appassionati.

L’idea del fondatore Federico Righi, fisico e appassionato di sport invernali, era quella di sfruttare le sue competenze per rendere le ore sulle piste da sci ancora più confortevoli. Così, unendo le sue due grandi passioni, è nata la pluripremiata lente elettronica Irid con una piccola cella fotovoltaica integrata che alimenta un microchip e uno speciale film a cristalli liquidi. La lente è in grado di percepire la luminosità circostante, adattandosi istantaneamente alle minime variazioni di luce per fornire sempre la visione migliore. Tutto questo avviene in meno di un secondo e senza bisogno di batteria, in quanto il funzionamento della stessa dipende dall’energia solare. 

Occhiali Out Of, modello Piuma
Occhiali Out Of, modello Piuma

La scelta Bettini

Oggi Out Of ha deciso di entrare nel ciclismo mettendo a frutto tutta l’esperienza acquisita nel mondo sci. Per farsi conoscere ed apprezzare ancora di più è stato scelto come testimonial Paolo Bettini. A raccontarci le motivazioni alla base di tale scelta è Federico Righi, CEO di Out Of.

«Siamo orgogliosi – dice – di avere suggellato questa collaborazione. Paolo Bettini è un’icona del ciclismo e la sua carriera è di grande ispirazione per tutti noi. La sua attitudine verso il ciclismo è esattamente in linea con i nostri valori aziendali. L’adrenalina, la passione per le attività outdoor, la vita all’aria aperta e la libertà di evadere dalla routine. Sono tutti elementi che uniscono la filosofia del brand con una personalità vulcanica come la sua».

Dal canto suo Bettini si è dimostrato entusiasta della nuova collaborazione: «Da sempre sono attratto da tutto ciò che è innovazione e tecnologia applicata al mio sport e non solo» ha esordito. «Quando Out Of mi ha proposto questa collaborazione ne sono rimasto particolarmente soddisfatto. La tecnologia Made in Italy di questi prodotti è davvero incredibile e sono tra i più leggeri e comodi che io abbia mai indossato. Non vedo l’ora di testare personalmente tutta la linea e le prossime novità».

Questo, invece, è il modello Rams
Questo, invece, è il modello Rams

Due modelli per il Grillo

Attualmente Paolo Bettini sta utilizzando i modelli Piuma e Rams. I Piuma, come suggerisce il nome, sono leggerissimi. Pesano infatti solo 16.8 grammi. Hanno lenti fotocromatiche polarizzate che si schiariscono e scuriscono a seconda della luce ambientale eliminando i riflessi fastidiosi provocati dall’asfalto e dalle macchine.

Il modello Rams pesa 21.6 grammi. E’ dotato di lenti Zeiss per una chiarezza ottica veramente eccezionale. Presentano un trattamento Ri-Pel oleofobico e idrofobico.

La leggerezza di entrambi i modelli è dovuta alla costruzione in Grilamid infusa di fibra di carbonio. Ogni pezzo ha una percentuale di fibra diversa così da ottenere il perfetto mix tra peso e comfort.

Out of

Bettini e Garzelli ricordano la Liegi del 2002: la doppietta Mapei

24.04.2022
6 min
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Alla Liegi-Bastogne-Liegi del 2002, sul traguardo di Ans, ci fu uno degli arrivi più iconici della storia del ciclismo: la doppietta storica della Mapei, con protagonisti Bettini e Garzelli. In quella che viene definita come la “Classica degli italiani” e mai nome fu più azzeccato. Se allarghiamo l’occhio sull’ordine di arrivo si nota come nei primi 5 posti sventoli la bandiera tricolore. Dietro al duo della Mapei si piazzarono: Ivan Basso, Mirko Celestino e Massimo Codol.

Sono proprio Stefano e Paolo, che a vent’anni di distanza, ricordano quella giornata. I giorni precedenti, gli scherzi, i pensieri della sera prima e l’emozione di aver scritto un pezzo di storia, nella terra che ha accolto tanti migranti dal nostro Paese. Che nelle miniere del Belgio hanno lottato e sofferto, e per un giorno, si sono presi una gran bella rivincita: quella di vedere il Belgio inchinarsi alla forza del ciclismo italiano.

Paolo Bettini sul podio della Liegi in mezzo a Garzelli a sinistra e Basso a destra
Paolo Bettini e Stefano Garzelli sul podio della Liegi 2002

Il ricordo del “Grillo” 

«La Liegi è sempre stata una corsa speciale per me – racconta Bettini – da quando l’ho vinta per la prima volta nel 2000. Lì ho capito che avrei potuto fare grandi cose nel ciclismo, e così è stato. Nel 2002 siamo arrivati con un progetto di squadra ben preciso, Io ero l’uomo deputato a vincere, mentre “Garzo” (Stefano Garzelli, ndr) era venuto a supportarmi. Anche perché proprio lì sarebbe arrivata la seconda tappa del Giro d’Italia (tappa vinta proprio da Stefano, ndr)».

«Già dai giorni precedenti alla corsa – riprende Paolo – si respirava un’aria particolare. Durante la ricognizione del venerdì eravamo arrivati all’attacco del San Nicolas, nel pieno del quartiere degli italiani. Curva a destra, comincia la salita, e ci tuffiamo nel cuore della comunità italiana in Belgio, era pieno di bandiere tricolori, uno spettacolo immenso. Si respirava proprio la voglia di rivincita, del legame profondo che quelle persone avevano con la loro terra di origine».

22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia
22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia

E quelli del “Garzo”

Non è raro fare progetti la sera prima di una corsa così importante, un po’ per stemperare la tensione, un po’ perché sognare non costa nulla. E mai come prima di quella Liegi le parole avevano anticipato la realtà.

«La sera prima in hotel – dice Garzelli – immaginavamo la corsa, pensavamo dove attaccare e che sarebbe stato bello arrivare insieme sul traguardo. Se ci penso mi viene la pelle d’oca, un conto è sognarlo ma realizzarlo…

«Quando correvamo, la sera prima della gara si passavano tanti bei momenti insieme, si scherzava e si rideva di tutto. Capitava di parlare della corsa e di come sarebbe stata o di come speravamo potesse andare, ricordo che quella sera c’era qualcosa di magico nell’aria e così è stato».

Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003, poi ha continuato con la QuickStep fino al ritiro, avvenuto nel 2008
Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003

La corsa

«Il nostro atteggiamento in gara è stato azzardato – confessa il due volte campione del mondo –  avevamo visto che ad 80 chilometri dall’arrivo il gruppo era ancora folto. Così Stefano ed io, sulla Cote du Rosier, ci siamo guardati e abbiamo detto “meniamo!”. Abbiamo tirato fuori il primo gruppo, in cui c’erano già tanti italiani, su 30 corridori eravamo in 15. 

«Sul San Nicolas – spiega Paolo – avevo paura che Garzelli potesse saltare e che mi mettessero in mezzo. Abbiamo voluto tastare il polso dei nostri avversari e ho detto a Stefano di allungare, nessuno lo ha seguito e così ho capito che erano tutti cotti. Allora con un’azione di potenza ho deciso di riportarmi sotto, consapevole che se mi avessero seguito avrei dovuto rallentare e far lavorare gli altri. Invece, nessuno ci ha seguito e una volta insieme abbiamo “menato” fino agli ultimi 600 metri».

«In 18 anni di carriera non sono mai andato così forte come quel giorno – riprende con un entusiasmo ancora vivo Stefano – su 70 chilometri di attacco ne ho passati 40 davanti a fare l’andatura. Sulla Redoute ho fatto un bel forcing e ho scremato ancor di più il gruppetto. Sul San Nicolas, Paolo ha fatto qualcosa di davvero intelligente dal punto vista tattico. Mi ha fatto allungare e poi, visto che si sentiva ancora bene, ha allungato anche lui rientrando in solitaria». 

Tutti per uno ed uno per tutti

«In Mapei – racconta Bettini – non si sarebbero mai permessi di dirci chi doveva vincere o meno. Per questo la considero una vittoria tripla: per Stefano, la Mapei e per me. Se guardate bene le immagini si nota che io mi tolgo l’auricolare della radiolina per la parte finale, guardo Stefano e lo ringrazio con un cenno».

«Ricordo che all’ultimo chilometro – replica Garzelli – il direttore sportivo ci ha fatto i complimenti e poi ci ha detto di giocarcela. Io ero stanco e più lento in volata di Paolo, lui poi era il capitano unico di giornata e meritava la vittoria. Ho dato il cento per cento per la squadra e la mia condizione mi ha permesso di conquistare il secondo posto. Non mi sono mai tirato indietro nel lavorare per un compagno ed un amico come Paolo, questo è il vero spirito di squadra».

Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002
Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002

Un movimento cambiato

A 20 anni di distanza la Liegi ha smesso di essere la classica degli italiani, l’ultima vittoria risale al 2007 con Di Luca. Qualche piazzamento nelle ultime edizioni (il secondo posto di Nibali e Formolo rispettivamente nel 2012 e nel 2019 e poi nulla).  

«E’ un po’ la sindrome del ciclismo italiano – dice Garzelli – la generazione mia e di Bettini aveva un’abbondanza incredibile di talenti. Ora facciamo più fatica, ma non lo reputo un fatto generazionale, semmai “evolutivo”. Il ciclismo in Italia non è cresciuto di pari passo rispetto a quello estero rimanendo ancorato a certe tradizioni. La mancanza di una squadra WorldTour sicuramente ha contribuito al declino del movimento».

Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici
Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici

«Se ci pensate – prosegue – i ragazzi italiani vanno forte da junior e under e quando passano professionisti si perdono. Forse in queste categorie si spremono troppo i corridori e si cerca subito il risultato perché gli sponsor vogliono questo. Io sono passato professionista a 23 anni, ora se non passi a 20 sei considerato scarso, i ragazzi, soprattutto così giovani, sentono la pressione. La mia impressione è che la categoria under 23, in Italia, non esista più. Ora i team fanno le squadre Development, non è una novità, la Mapei l’aveva fatta 20 anni prima. Però in queste squadre i ragazzi sono seguiti con l’obiettivo, e la sicurezza di lavorare per entrare nella squadra WorldTour dopo un bel percorso di crescita. Da noi si lavora per il tutto e subito e così i ragazzi li bruci».

Uno di noi ai mondiali duathlon: vi ricordate Passuello?

14.04.2022
6 min
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Dopo aver vinto i campionati italiani ai primi di aprile, il 7 maggio Domenico Passuello prenderà parte al mondiale di duathlon a Viborg, in Danimarca. In una stessa frase i ricordi si condensano e si intrecciano. A Viborg un secolo fa si svolse il primo team building alla Riis, con i corridori della CSC (Basso, Lombardi e Peron fra loro), vestiti e armati come militari per combattere dei finti terroristi. E poi c’è quel nome, Domenico Passuello, che riporta la memoria al 2000, quando correva fra gli under 23 e agli anni successivi quando approdò alla Quick Step. Il suo nome potrebbe dire anche poco oggi nel ciclismo, ma nel triathlon è uno di quelli che contano, seguendo il cammino che prima di lui è stato di Massimo Cigana.

«Ho visto che in Danimarca ci sarà questo mondiale molto duro – spiega – e ho capito che c’era l’occasione per essere coinvolto. La Federazione mi ha dato carta bianca per la mia affidabilità degli ultimi anni e secondo me possiamo fare bene. La vittoria al campionato italiano di Pesaro è stata inattesa, perché a 5 settimane dal mondiale la condizione non era al massimo, ma insieme è stata anche una conferma. Il duathlon come pure il triathlon è uno sport molto esatto. Devi stare a 12 metri dal corridore davanti e i giudici controllano. I conti sono abbastanza attendibili. Insomma, sono fiducioso». 

Chi è Passuello?

Già, si chiederanno i più, ma chi è questo Passuello? Suo padre Giuseppe, classe 1951, era un corridore e così a un certo punto anche Domenico, livornese classe 1978, salì sulla bici e seguì tutta la trafila fino al professionismo. Lo conoscemmo ai tempi del Team Casprini, squadrone under 23 costruito da Franco Gini, con Daniele Tortoli sull’ammiraglia (due figure di spicco che non ci sono più). Un corridore di talento, un po’ incostante forse, con una decina di vittorie nei dilettanti, che nel 2002 arrivò alla Colombia-Selle Italia di Savio e l’anno dopo alla Quick Step in cui ancora correvano Paolo Bettini, Bramati e Paolini (nella foto di apertura alla Freccia Vallone del 2003).

Come fu che dal ciclismo passò al triathlon e il cammino fino alla convocazione ai mondiali di duathlon è il motivo di questo viaggio, a metà fra ricordi e futuro.

Nel 2001 Passuello ha corso alla Maltinti, vincendo 10 corse, l’anno dopo il passaggio tra i pro’
Nel 2001 Passuello ha corso alla Maltinti, vincendo 10 corse, l’anno dopo il passaggio tra i pro’
Perché lasciasti il ciclismo?

Perché dopo l’anno in Quick Step, rimasi scottato e non ho più trovato la squadra giusta. Andai all’Amore&Vita e feci anche qualche risultato, ma con biciclette che non andavano e situazioni lontane dal mondo che volevo. Certe squadre per un verso vanno ringraziate, per altri è difficile rimettersi davvero in gioco.

Iniziasti subito col triathlon?

No, passai parecchio tempo senza fare sport. E’ naturale, quando investi tutto su qualcosa, è brutto dover rinunciare sul più bello. Anche quando correvo in bici, mi piaceva andare a piedi. E un giorno mi misi a nuotare finché mi proposero di provare col triathlon. Era il 2005, si vide che avevo qualcosa di più. La corsa c’era, il ciclismo era il punto forte, il nuoto il tallone d’Achille. Uscivo sempre tardi dall’acqua e mi toccava ogni volta rincorrere. Un anno che correvo in un team spagnolo, feci secondo al campionato nazionale di Spagna. Finché cominciai a vincere i campionati italiani. E oggi che ho 44 anni, ho un rendimento migliore di quando ho cominciato.

Si può parlare di professionismo?

All’inizio iniziai a firmare dei contratti a termine. Lavoravo, ci poteva stare. Oggi, dopo qualche anno, posso dire che non ci sono risultati economici enormi, ma sono riuscito a farne un mestiere. Se fossi tedesco, sarebbe meglio. In Germania la popolarità del triathlon è inimmaginabile.

Tanto di più?

Per capirci, nonostante io abbia vinto tre Ironman, svariati campionati italiani e altri titoli internazionali, la bicicletta ho dovuto comprarmela. Il casco da crono m lo sono comprato. Le scarpe Shimano me le sono comprate. Gli integratori devo comprarli. Ho un team di Milano che mi appoggia, il Tritaly Triathlon, cui devo tanta gratitudine, ma mi chiedo perché gli sponsor non investono su un atleta che fa questi risultati? Ho mandato qualche mail in giro, ma con nessun risultato. Non posso essere io a occuparmi di marketing, io devo allenarmi e gareggiare.

Hai più partecipato a gare di bici?

Qualche Gran Fondo ogni tanto, ma solo per tenermi in allenamento. E perché a qualche sponsor tecnico fa piacere di vedermi lì.

Il mondiale può cambiare le cose?

E’ una speranza, che magari la maglia azzurra mi faccia conoscere un po’ anche in Italia. In effetti ho gareggiato tanto a livello internazionale, la gente non sa chi io sia. Vediamo se un bel risultato cambierà le cose. Di certo, nel ciclismo ci sono giornalisti e siti che se ne occupano, mentre nel triathlon la divulgazione è al minimo. Qualche articolo me lo sono scritto da solo. Qualcun altro mi ha chiesto soldi per scrivere di me.

Suo padre Giuseppe è stato professionista dal 1977 al 1986
Suo padre Giuseppe è stato professionista dal 1977 al 1986
Cosa ti resta del ciclismo?

Tantissimo, soprattutto il metodo di lavoro. L’alimentazione, il riposo, la gestione della settimana. Nel ciclismo c’è più disciplina, qui solo nella corsa si tende a essere molto scientifici. Ma c’è da studiare tanto, perché solo con le doti atletiche non sarei arrivato lontano. Nel frattempo ho preso la licenza da Ironman Coaching, che mi aiuta nella preparazione e magari servirà in futuro. Però adesso mi concentro sul mondiale. Magari il 7 maggio sarà davvero un giorno importante e in qualche modo si pareggerà il conto.

BikeandTaste, in sella alla scoperta dell’Italia con un click

20.02.2022
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Il panorama delle esperienze ciclistiche in Italia è vastissimo e i territori che si possono scoprire altrettanto. BikeandTaste è il portale che le racchiude tutte insieme e alla portata di tutti. Con pochi semplici click si possono scegliere tra le attività più interessanti da scovare tra una regione e l’altra tra salite, cibo e vino.

Sulla strada non solo percorsi ma anche campioni, come Paolo Bettini, ambassador d’eccezione di questo progetto che guiderà i cicloturisti di persona alla scoperta di un lembo di Toscana racchiuso nel territorio di Pomarance e della alta Val di Cecina. 

Le strade presenti, sono anche quelle percorse da Bettini durante i suoi allenamenti
Le strade presenti, sono anche quelle percorse da Bettini durante i suoi allenamenti

Che cos’è BikeandTaste

Bikeandtaste è un portale che promuove le destinazioni turistiche ad alto valore cicloturistico, ponendo particolare attenzione all’enogastronomia e allo slow bike. Sono tanti i pacchetti acquistabili, i quali comprendono esperienze di ogni tipo. Attraverso le due ruote ogni ciclista che sia abituale oppure occasionale, può visitare tutte le bellezze selezionate a misura di bicicletta. Tra percorsi gravel e strada, foreste e borghi, BikeandTaste promette esclusività e  divertimento, all’insegna dei prodotti tipici.

Il portale si divide in quattro sezioni. Bike Experience, dove il percorso e la storia delle sue strade sono i protagonisti. Taste experience, volto a far assaporare tutte le specialità in sella alla propria bici. Food & Wine, tra cibo e cantine dell’Italia. E infine Accomodation, dove si ha la possibilità di prenotare strutture pronte ad accogliere il ciclista ed il suo mezzo. 

Le strutture per tutti i ciclisti

Alberghi, agriturismi, B&B…le strutture che aderiscono a questo progetto sono estremamente diverse tra loro ma accomunate dal desiderio di offrire un soggiorno unico all’insegna delle tradizioni, della sostenibilità e della natura. La bicicletta non è più un elemento superfluo ma necessita di un attenzione significativa che va dalla sua manutenzione al posto sicuro soprattutto quando si viaggia.

BikeandTaste mette al servizio dell’utente un vasto numero di strutture adibite e attrezzate ad ospitare amanti e utilizzatori occasionali della bici fornendo gli stessi servizi. Non solo il giro in bici ma anche il prima e il dopo fanno parte dell’esperienza proposta. Dal massaggio di recupero alle torte fatte in casa, vanno a completare una full immersion dove l’unico pensiero è quello di riempire la borraccia e allacciarsi il casco. 

Bettini uno di loro

Ambassador d’eccezione di questo progetto è Paolo Bettini, campione olimpico e pluri iridato che guiderà i cicloturisti di persona alla scoperta dell’affascinante impiego dell’energia pulita della geotermia fino alle acque cristalline delle Riserve Naturali del territorio di Pomarance e della alta Val di Cecina in Toscana.

«Ho passato un’intera carriera ad allenarmi sulle strade di queste colline e sono felice che finalmente ci sia un progetto concreto sulla valorizzazione di un territorio straordinario come quello della geotermia». Ha spiegato Paolo Bettini.  «I numeri ci confermano che il ciclismo è sempre di più sinonimo di libertà, oggi in tantissimi scelgono le due ruote per viaggiare, godersi l’aria aperta e riscoprire un modo di vivere più slow». 

Un nuovo modo di scoprire il territorio a distanza di un click.

BikeandTaste

Trent’anni di storie, apriamo l’album di “Checco” Villa

08.12.2021
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Fra una cosa e l’altra, con Francesco Villa abbiamo cominciato insieme: anno 1992. Chi vi scrive, col taccuino in mano. Lui, con le chiavi da meccanico alla Gatorade di Bugno. E adesso che l’inverno sta scendendo e che la sua avventura nel ciclismo delle squadre sta per concludersi, una chiacchierata fra… veterani è quello che ci vuole per passare quest’8 dicembre decisamente freddino.

Per chi non lo conoscesse, smessi i panni del meccanico a fine 2002, Francesco è stato autista dei pullman, dal Team Bianchi con Ullrich, alla Quick Step con Bettini, al Team Cervelo di Sastre e Hushovd, alla BMC delle meraviglie, alla Tinkoff di Sagan e Contador e da ultimo alla Dimension Data, poi NTT e ora Qhubeka che, almeno in apparenza, sta lottando per non sparire. Dite che qualcosa da raccontare la troveremo?

Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Prima squadra?

Gatorade-Chateau d’Ax nel 1992, con Bugno, Corti e Stanga. Carminati guidava il bus. Ci sono rimasto fino al 1994, poi seguii Gianni alla Mg-Technogym e di lì passai alla Mapei. Sempre come meccanico. Poi ho lavorato alla Quick Step e, a parte un anno con la Vittoria, sono stato sempre con le squadre…

Parlaci di Bugno.

Per noi era un riferimento. Nel 1992 avevo 22 anni, ero suo tifosissimo: lavorare per lui era un sogno. Il capo era Giovanni Tonoli, suo meccanico di fiducia. Fu lui a volermi accanto, perché la tradizione era che i vecchi insegnassero il mestiere ai “bocetti”, ai ragazzini. Non lavoravano bene con altri d’esperienza, perché non avevano tempo né voglia di discutere, ma Tonoli era bravissimo a insegnare. Purtropppo morì nel 1993 per un brutto male, a soli 46 anni, e a quel punto Gianni volle portarmi con sé. Un campione cui eravamo affezionati. C’ero nel 1992 quando fece terzo al Tour e anche quando nel 1994 vinse il Fiandre.

Nell’anno di passaggio fra Team Bmc e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Nell’anno fra BMC e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Meccanico e autista del pullman, quali differenze?

Da meccanico entri nel cuore della corsa, sei sull’ammiraglia. Il bus ti dà il contatto più frequente con il corridore. Ci sono momenti in cui stare zitti e quelli in cui dargli coraggio e qualche consiglio, soprattutto ai più giovani. Ma ad esempio le Liegi di Bettini dall’ammiraglia sono indimenticabili.

Storia parallela a quella di Carminati, che abbiamo già raccontato. Cosa ricordi della Mapei?

Era una famiglia. Il dottor Squinzi era presente con il suo appoggio morale, non dava soldi e basta. Quella squadra ha rivoluzionato il ciclismo, anche per l’investimento tecnologico che facemmo con Colnago.

Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi diventata Ntt e Qhubeka
Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi Ntt e Qhubeka
Eri ancora meccanico, con chi legasti di più?

Molto con Bartoli, ero nell’ammiraglia dietro di lui quando vinse la Freccia Vallone del 1999 sotto la nevicata. Poi Bettini, si vide subito che aveva una gran classe. Paolo, come prima Gianni, devo ringraziarlo perché creò il suo gruppo e pensava prima a noi e poi a se stesso. Parlo di Bramati, Tonti, Zanini, i massaggiatori Cerea e Bignotti, Fausto Oppici come altro meccanico. Ci chiedeva se fossimo a posto e poi andava a firmare il suo contratto.

Iniziasti da autista alla Bianchi, chi ti aveva insegnato a guidare il pullman?

Giacomo Carminati. Mi ha insegnato a guidarlo e ad amarlo, prendermene cura. Mi ha insegnato un mestiere, per questo lo considero come un fratello maggiore.

Cosa ricordi di Ullrich?

Uno dei più grandi corridori che abbia mai incontrato, gradevole come persona. Anche lui, come Bugno, un po’ troppo sfruttato dall’entourage e purtroppo neanche lui aveva grande personalità, come purtroppo si è visto negli anni successivi. Nel 2003 andava fortissimo e gli fecero perdere il Tour dall’ammiraglia. Lui voleva attaccare, soprattutto essendosi accorto che Armstrong non era brillantissimo. Invece continuarono a dirgli di aspettare, così Armstrong tornò forte e vinse anche quella volta.

Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
La Tinkoff di Contador e Sagan?

Una squadra che senza Riis (il danese fu allontanato da Oleg Tinkoff a marzo del 2015, ndr) si capiva non sarebbe durata. C’era il gruppo di Contador, quello di Sagan, gli italiani… Con Alberto legai parecchio. Nel 2016 fu sfortunato, era già in fase discendente, ma sempre una grande persona. Non si fidava di lasciare le scarpe sul pullman, al massimo lo faceva se le chiudevo a chiave in un armadietto. Aveva paura del sabotaggio, molto diffidente. Lasciava avvicinare inizialmente solo il suo meccanico Faustino, io me ne stavo sulle mie. Non sono un adulatore, se hanno bisogno chiedono loro e alla fine diventammo amici.

Riis però l’hai trovato alla Ntt l’anno scorso…

Una persona molto preparata, che non è stata capita. Io ero abituato a Ferretti e Stanga, non mi faceva paura e lavoravo bene, gli altri hanno fatto fatica e infatti non è durata. Al Tour del 2020 venne al bus e mi disse che dal giorno dopo non avrebbe più voluto vedere lattine di Coca e Fanta, perché i corridori erano grassi. Per me era un’osservazione giusta, gli altri non lo capirono.

Che rapporto hai con il pullman?

E’ la mia casa. Devo pulirla, tenerla in ordine. Ne sono molto geloso, discuto con i corridori che non mostrano rispetto. Per fortuna i campioni aiutano, loro sono sempre i più educati. Sastre era un modello, Cavendish se vedeva disordine, sgridava i compagni: «Siamo in una stalla?». Il pullman per un autista è come il camion officina per il meccanico: serve passione per il lavoro, sennò lo trascuri.

Che rapporto hai avuto con Cavendish?

Grandioso, come con Bettini. Alla Dimension Data si stava spegnendo, ha fatto bene ad andare via ed ero certo che sarebbe tornato. Con Lefevere e Bramati alla Deceuninck-Quick Step la sola ricetta è pedalare, conosco quell’ambiente. Sono contento che abbia firmato per un altro anno, anche con la clausola che non farà il Tour. E poi secondo me certe cose le dicono anche per dargli grinta

Hai scelto di mollare, ti dispiace?

Sicuramente mi mancherà tantissimo. Ma abbiamo due bimbe di 11 e 7 anni e a un certo punto sei costretto a fare delle scelte. Non potevo più fare 180 giorni via, in casa c’è bisogno del papà. Mia moglie non mi ha mai ostacolato, ma vedevo che la fatica per gestirle aumentava. Ho fatto per 30 anni la vita che qualunque tifoso di ciclismo sognerebbe, è giusto che adesso lasci spazio ad altri.