Ultima crono (dura): specialisti in crisi, comandano le gambe

25.07.2024
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Si avvicina a grandi passi l’appuntamento olimpico, ma prima di chiudere la porta sul Tour, vogliamo condividere con voi alcuni approfondimenti. Uno riguarda la cronometro di Nizza, che ha suggellato il podio francese e a ben vedere avrà riflessi anche sulle sfide olimpiche di sabato. E’ singolare e insieme indicativo che il podio dell’ultima tappa abbia ricalcato alla perfezione quello finale. Evenepoel è stato al di sotto dei suoi standard di specialista? Va bene Pogacar, ma Vingegaard così forte era prevedibile anche contro il tempo?

A Nizza c’era anche Marco Pinotti, allenatore del Team Jayco-AlUla, che in carriera ha vinto per due volte l’ultima crono del Giro. Nel 2008, battendo Tony Martin a Milano su un percorso velocissimo: 51,298 di media. Nel 2012, battendo Geraint Thomas ancora a Milano, a 51,118 di media. Proprio in quest’ultimo caso, la maglia rosa si giocò in quell’ultima tappa, con Hesjedal che recuperò i 31 secondi di ritardo da Purito Rodiguez e conquistò il Giro con vantaggio finale di 16 secondi. Ugualmente, nella classifica di tappa finirono 6° e 26°.

«Il percorso dell’ultima crono – dice Pinotti – era meno adatto a Remco, rispetto a quella che ha vinto nella prima settimana. Era una crono dura e lui è finito terzo, perché ha perso la maggior parte del tempo nella prima parte, quella in salita. Nella parte finale invece, sei minuti tutti in pianura, lui ha fatto il miglior tempo. Secondo Campenaerts, terzo Matthews. Sesto in quel tratto è stato Vingegaard, mentre Pogacar addirittura ottavo o nono, però lui negli ultimi due chilometri ha rallentato. Quindi un parziale in linea con quello che ci saremmo aspettati in una crono piatta, cioè Remco più veloce».

Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Invece nei tratti precedenti?

Dal secondo al terzo intertempo c’era la discesa e Pogacar ha fatto il miglior tempo, perché abita lì. Jorgenson il secondo. Almeida, Buitrago e Tejada hanno fatto una bella discesa perché si giocavano il piazzamento. Sono andati bene anche Ciccone e Matthews, gente che ci vive o che ci ha vissuto. Remco è andato come Yates, che era in ritardo ai primi intermedi ma sempre intorno all’ottavo, nono posto e nell’ultimo tratto è scivolato tutto indietro. Nel senso che era in ritardo in salita e una volta che si è reso conto di non poter vincere la crono, non ha preso rischi. Si è visto che in discesa non era proprio lineare nelle curve.

Quindi un risultato che si poteva scrivere anche prima che corressero?

Alla fine di un Grande Giro è sempre così, quelli di classifica sono più performanti. Primo, perché ultimamente dedicano anche loro tanto tempo all’allenamento e all’aerodinamica. E poi perché quel percorso ha penalizzato gli specialisti. Campenaerts nell’altra crono era arrivato 5° a 52″ da Evenepoel: a Nizza invece è finito 13° a 3’14” da Pogacar. La prima non era una crono piatta, però Evenepoel l’ha fatta a 52,587 di media. A Nizza, Pogacar ha fatto 44,521, vuol dire che è stata dura. Quindi è normale che siano arrivati davanti quelli di classifica, che avevano più riserva. Specialisti non ce n’erano, tranne Campenaerts e Sobrero. Matteo mi ha detto di averla fatta a tutta. E’ arrivato 19° e con le forze che gli erano rimaste si è preso quasi 4 minuti.

In conferenza stampa Remco ha detto che la discesa era troppo pericolosa e avendo l’obiettivo delle Olimpiadi non ha voluto rischiare.

Può essere, perché la discesa non era semplicissima. Se uno abita lì e va a farla cinque volte al mese, è un’altra cosa. Non era pericolosa, però c’erano tantissime curve, dove se sei sicuro di poter lasciare i freni, guadagni 13-14 secondi. Invece nell’altra crono, Remco aveva fatto una bella discesa, perché magari l’aveva vista 2-3 volte come gli altri. E poi a Nizza, una volta che non aveva il miglior tempo in salita, cosa aveva da guadagnare a rischiare? Il terzo posto era consolidato e il secondo irraggiungibile. Avrà visto negli intertempi dov’era rispetto a Vingegaard, ha capito che la crono non la vinceva e ha deciso di non prendere rischi.

Secondo te chi ha puntato al cambio di bici ha fatto un passo falso?

C’era una strategia alternativa possibile: partire con la bici da strada e cambiarla in cima alla seconda salitella. Però c’erano 3 chilometri piatti all’inizio e già lì, con la bici da crono rispetto a quella da strada, guadagnavi minimo 15 secondi. Poi speri di riguadagnarli in salita con la bici più leggera? Può essere, ma sulla prima salita andavano a 24 di media, Pogacar anche a 28. A quelle velocità la bici da crono è ancora vantaggiosa. Altra cosa: noi abbiamo avuto da poco la bici da crono con i freni a disco. E se c’è un feedback che tutti mi hanno dato è di trovarsi meglio come guidabilità anche rispetto alla bici da strada. L’unico svantaggio resta il peso, perché una bici da crono pesa mediamente un paio di chili in più.

Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Uno svantaggio che riesci a colmare con le velocità?

Vi faccio questo esempio. Io ho seguito Durbridge e avevamo davanti Silvan Dillier, che correva con la bici da strada e non andava certo a spasso. Vedendo come muoveva le spalle, si stava impegnando. Durbridge è andato regolare, eppure gli è arrivato sotto già sulla prima salita. Poi ha recuperato e in discesa Dillier con la bici da strada ci ha staccato perché noi siano andati prudenti. Ma quando siamo arrivati alla parte in pianura finale, si è messo a ruota irrispettoso delle regole, ma dopo un chilometro si è staccato. Lottavano per il 50° posto quindi non so neanche se avrà preso la penalità, però è stato divertente vedere questa differenza. Storia simile con Yates.

Cioè?

Ho seguito anche Simon e davanti a lui è partito Gall, che era 13° in classifica e ha scelto la bici da strada. Mi è sembrata una scelta assurda. Infatti, nonostante Yates avesse la bici da crono, lo ha preso sulla prima salita. L’ha passato in discesa e Gall non è più rientrato. E proprio a causa della crono ha perso una posizione. L’anno scorso a Combloux fu diverso, perché la crono era divisa in due: prima la pianura e poi quasi tutta salita. Però quando la velocità media è sopra il 23-24 all’ora, io prendo sempre la bici da crono.

I ragazzi ti hanno spiegato perché con i freni a disco la bici si guida meglio? 

Prima quando avevi i freni rim e le ruote lenticolari o in carbonio, la frenata non era lineare. Adesso con i dischi è come sulla bici da strada. Prima era un problema cambiare da un giorno all’altro. Adesso frenano allo stesso modo, è un passaggio naturale. Corridori come Sobrero avevano la sensibilità per passare senza problemi da una all’altra, però la maggior parte è contenta di questo cambiamento. Adesso usano la stessa forza, staccano alla stessa distanza dalla curva e la frenata è più lineare.

Cambiando argomento, in casa UAE Emirates hanno sottolineato l’importanza della doppia guarnitura 46-60 con 11-34 dietro: perché secondo te?

Partiamo col dire che a Nizza serviva la doppia corona, la mono non andava bene. Se avessi dovuto scegliere, avrei voluto un 60-44, che per noi non era disponibile. Noi avevamo il 58 come corona più grande, l’ideale sarebbe stato un 60 o un 62, perché gli ultimi chilometri erano proprio veloci. Perciò Pogacar con il 60 è andato bene e in salita con il 46×34 era giusto. Secondo me aveva il 46-60 perché il limite del salto tra le due corone sono 14 denti. Io ho chiesto di avere il 44-60: se riescono, siamo a posto perché avremmo una copertura più grande di percorsi. Il 46×34 lo spingi bene, ma idealmente sarebbe meglio avere il 44×30, così ho una scala più lineare. Se metto il 34, uno fra il 17 e il 19 devo tenerlo fuori, invece con il 30 potrei rimetterlo. Però comunque il 46-60 è stato una buona scelta.

Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Perché è stato giusto non usare la monocorona?

Si può usare quando c’è una strada molto veloce o una discesa. Però di solito, se c’è una discesa, prima c’è stata una salita. E se, come in questo caso, non è pedalabile, allora ti serve la doppia corona. Non puoi correre con il 62×38. Anche perché se usi il 62, già passare dal 13 al 14 è un bel salto rispetto a quando hai il 53. Se poi mi togli anche dei rapporti dietro e ne fai due ogni volta per montare il 38, finisce che ti serve anche una catena lunga un chilometro… Io sono più un fan della doppia corona.

Dipende anche dai percorsi?

Ormai mettono sempre sia la salita ripida che la discesa veloce, quindi devi avere l’opzione di due corone. La mono va bene nella crono di Desenzano al Giro, ma già in quella di Perugia secondo me non andava (Pogacar che ha vinto aveva la doppia, Ganna che ha fatto secondo aveva la monocorona, ndr). Le crono più belle in un Giro sono quelle dove ci sono salita e discesa. Diverso magari se si parla di una crono dei mondiali o delle Olimpiadi.

Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
L’anno scorso ai mondiali, la salitella al castello di Stirling premiò Evenepoel e penalizzò Ganna…

Sono scelte che fanno in base ai posti che devono raggiungere, cercando di non favorire i passisti o gli scalatori. Le Olimpiadi ad esempio quest’anno strizzano di più l’occhio agli specialisti, ma non so con quale criterio l’abbiano disegnata così. Chi organizza fa una proposta. Poi c’è una commissione che approva e penso che scelgano un percorso che possa creare la massima indecisione nella vittoria. In un Giro invece è diverso. E soprattutto la crono finale, se la fai dura, sai già che arriveranno davanti quelli di classifica. Al netto di ogni ragionamento, è così che va a finire.

La Colnago gialla sul podio, un’altra meraviglia di Pogacar

24.07.2024
7 min
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Dopo essere stata per tutto il giorno davanti al pullman del UAE Team Emirates, la bici gialla è spuntata ai piedi del podio sulla spalla di Tadej Pogacar. Lo sloveno aveva appena vinto il Tour e, con un gesto mai visto prima, è salito sul podio portando la bici e sollevandola al cielo. Non era mai successo. Si ricorda Roglic con una Cervélo rossa sul podio finale della Vuelta, ma quella Colnago gialla sul tetto della Grande Boucle ha fatto a suo modo la storia.

E proprio la storia dice che la V4RS gialla è stata verniciata soltanto giovedì, tre giorni prima della fine del Tour. Per tutta la sana scaramanzia di chi conosce il mondo dello sport, l’azienda di Cambiago aveva tenuto libero un turno di due ore dal proprio verniciatore. Quando c’è stata la certezza della conquista, la bici ha indossato la sua livrea gialla. E’ stata recapitata al Tour venerdì mattina, mentre Pogacar si accingeva a vincere la quinta tappa a Isola 2000. E pur violando la sacra regola secondo cui lo sposo non deve mai vedere la sposa alla vigilia, venerdì sera Tadej l’ha vista, ma ha preferito non usarla sabato. La motivazione? Una parola italiana che è uscita perfettamente comprensibile dalla sua bocca: «Scaramanzia!».

La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio
La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio

Il Tour per Colnago

Della bici gialla e di che cosa abbia significato la vittoria di Pogacar parliamo con Nicola Rosin, amministratore delegato di Colnago, che sta vivendo una delle più belle settimane da quando ha accettato l’incarico di occuparsi e ridare luce a quel marchio tanto prestigioso. E’ immediato capire che ci troviamo al centro di una giostra velocissima, in cui conciliare il lato tecnico e le esigenze degli atleti con tutti gli aspetti legati al marketing che in questo momento è probabilmente prioritario.

Che significa per un brand come Colnago un Tour del genere, dopo un Giro del genere?

E’ il riconoscimento perfetto di tre anni e mezzo di lavoro, un coronamento. Non vorrei dire che ci stiamo abituando, comunque questo è il quarto Grande Giro che Tadej vince con la cosiddetta nuova Colnago. Parlo di coronamento perché tre anni e mezzo fa è stata avviata una strategia di prodotto e insieme è nato il desiderio di creare un rapporto simbiotico con il team. Ma neanche nella regia del film più ottimistico, si poteva immaginare che sarebbe andato tutto così bene. Per noi significa esserci consolidati come il brand road più desiderabile al mondo, che era l’obiettivo che con Manolo Bertocchi ci eravamo posti a gennaio del 2021. Hai fatto una bici performante che vince, con bella creatività. Hai una squadra cui ti lega un rapporto simbiotico. E hai l’atleta per antonomasia e non stiamo parlando del ciclista, ma di un atleta di valore assoluto, che vince non solo dal punto di vista sportivo. Cosa ci manca?

La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
Dietro tanto lavoro di marketing c’è anche tanto lavoro di progettazione. Non sono sfuggiti i 1.300 grammi limati sulla bici da crono, ad esempio…

Esatto. E non solo quella da crono, ma anche la V4RS è una bici che ha fatto un salto quantico rispetto alla V3RS. Bisogna dire che la squadra e Tadej sono personaggi molto esigenti, gente che giustamente pretende il massimo. E tu devi stargli dietro, sapendo che ormai si lavora al livello della Formula Uno. Si ragiona sui decimi di secondo, sui grammi o le percentuali di rigidità e aerodinamicità. Dietro quella bici gialla c’è davvero tanto…

In che misura siete dovuti intervenire sulla struttura aziendale per stare dietro a queste richieste?

Abbiamo fatto un più 40 per cento sul personale in Italia, che è il cuore della produzione. Poi abbiamo aperto anche una piccola divisione di ricerca e sviluppo ad Abu Dhabi. Ma soprattutto poi, a parte le teste coinvolte, direi che il salto di qualità si deve al processo di responsabilizzazione. Noi oggi abbiamo dei manager che si sentono responsabili e che hanno sviluppato un grande senso di appartenenza e di partecipazione. Quindi non è solo il numero di persone, ma come le responsabilizzi. Se vuoi fare le cose per bene, essere sul pezzo commercialmente, cavalcare sempre tutte le onde e andare a vincere un Tour de France, devi avere il giusto numero di persone, ma soprattutto dei manager capaci di far funzionare la macchina. Gente come Mauro Mondonico, Davide Fumagalli e Manolo Bertocchi hanno… licenza di uccidere. Facciamo prima le cosiddette riunioni di management, però poi loro hanno la libertà di gestire. Hanno la delega a operare, quindi quello che conta è il livello di responsabilizzazione.

Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Si potrebbe dire facilmente che Colnago ha la stessa proprietà di UAE Team Emirates, quindi è tutto più facile. In realtà, in quale misura dovete lavorare per essere all’altezza?

Si continua a lavorare, ovviamente, anzi certi risultati sono di stimolo. Siamo fratelli, siamo parte della stessa proprietà, però lavoriamo come se non lo fossimo. Va bene essere simbiotici, però dobbiamo meritarci questo tipo di partnership e anche loro in qualche maniera devono essere alla giusta altezza. C’è un rapporto biunivoco, per cui siamo già al lavoro su nuovi progetti. Speriamo che quel dream team sia destinato a vincere per il prossimo filotto di 2-3 anni, per cui la bici deve essere all’altezza. Non a caso lunedì mattina Tadej non ha fatto niente con nessuno, al di fuori di un’intervista in cui diceva di no alle Olimpiadi e parlare di nuovi progetti con Colnago.

Da cosa si capisce che la bici è diventata l’oggetto del desiderio nel mondo corse?

Prima che partisse il Tour, a Palazzo Vecchio di Firenze abbiamo fatto la conferenza stampa per presentare la bici ufficiale del Tour: la C68 Fleur de Lys. Le vendite sono state aperte alle 16. Io stavo parlando con Manolo, quando una nostra assistente mi ha fatto l’occhiolino. Significava che dopo mezz’ora era già tutto sold-out. In 30 minuti abbiamo venduto 110 bici a 23 mila euro ciascuna: per me questo è desiderabilità. Funziona essere un’azienda con una strategia ben definita e il team certifica la validità del nostro operato. Poi, in termini di business, non so valutare quanto valgano l’ingrediente squadra e Tadej. Hanno un’importanza soprattutto in alcuni mercati, mentre ce ne sono altri completamente scollegati dal mondo delle corse. Ma adesso vi racconto un altro episodio…

Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Prego.

Alla cena di gala a Firenze per l’inizio del Tour c’erano più o meno 100 invitati, modello matrimonio, nella corte di Santa Maria Novella. C’erano tutti i brand più altisonanti del Tour. Sto parlando di LCL e di Skoda, sto parlando di Tissot. Sto parlando di tutti i brand top, ma c’erano solo due marchi ben visibili. Uno era il Tour de France, perché è un brand ed ha una forza pazzesca. Il secondo era Colnago, con la bici esposta nel palco centrale. Ebbene, è stato possibile perché il nostro ufficio marketing e le persone che lo rappresentano sanno trasformare i progetti in realtà.

Che rapporto c’è fra Tadej Pogacar e Colnago?

Quando gli abbiamo proposto di portare la bici gialla sul podio, Tadej sicuramente ha gradito l’assist e gli è piaciuta l’idea di dare un riconoscimento anche a noi. Ma è successo perché qualcuno l’ha fatto succedere. Oggi è in Slovenia con il Presidente della Repubblica, fanno la festa di piazza e qualcuno di Colnago è con lui. Si è creato un rapporto per cui devo dire bravi ai miei uomini dello sport marketing che hanno costruito una relazione assolutamente pazzesca. Il Covid ci ha portato ad allontanarci dai nostri interlocutori, confinandoci nelle call e nelle telefonate. Invece Colnago dimostra ancora che alla fine il luogo fondamentale dove succedono le cose è la strada. Noi dobbiamo esserci. L’ufficio del team marketing qui a Cambiago è sempre vuoto e questo per me è un orgoglio, perché significa essere sempre sul campo. Ieri uno era in viaggio per la Slovenia, un altro era con la squadra per mettere a posto le cose dopo il Tour, un altro ancora era da un fornitore nelle Marche.

La bici gialla è stata fotografata anche più di tanti corridori importanti…

In realtà non era una sola, si vedeva dai bollini. Una era lì davanti, le altre erano sulle due ammiraglie. E’ stato bravo Gabriele Campello a sistemarla fuori dal recinto, evitando che ci parcheggiassero davanti le ammiraglie. Anche questo è possibile perché adesso con i meccanici abbiamo un rapporto bellissimo.

Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Si può fare una differenza fra Giro e Tour?

Dal punto di vista internazionale, il Tour ha più risonanza, perché sono stati bravi a costruirlo in un certo modo. Però vincere il Giro d’Italia con una bicicletta italiana ha generato un’onda mediatica che in Italia spacca e rimbalza fuori in maniera molto importante. Forse da azienda italiana direi che le due corse per noi hanno avuto lo stesso impatto. Il buon vecchio Giro per il quale quest’anno mi sento di fare complimenti. E’ stato un film meraviglioso. Quest’anno abbiamo visto un Giro veramente in ripresa, è stato incoraggiante, speriamo che continui così. Anche il supporto ricevuto dal Governo è qualcosa che non si era mai visto. Vuol dire che forse i nostri politici, come è sempre avvenuto in Francia, hanno capito che il Giro d’Italia e il ciclismo sono il modo migliore per promuovere il Paese.

La bici gialla resta davvero a Pogacar?

Direi proprio di sì. Se l’è davvero meritata.

Tappa e maglia (a pois): il magico Tour del marinaio Carapaz

23.07.2024
5 min
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NIZZA (Francia) – La faccia dolce ma niente affatto mite del Tour de France ha lo sguardo di Richard Carapaz, salito con orgoglio sul podio di Nizza per la maglia a pois, dopo aver calcato nel 2021 quello di Parigi alle spalle di Pogacar e Vingegaard. Non si può essere gente qualunque per frequentare certi posti. E così quest’anno per impedire a Pogacar di conquistare anche la classifica degli scalatori c’è voluto un campione olimpico, vincitore nella sua storia del Giro d’Italia e del Giro di Svizzera. E quando è sceso da quel gradino così bello, aveva gli occhi che scintillavano, come dopo aver vinto la tappa di Superdevoluy in quel giorno altrettanto scintillante.

«Tenere questa maglia – ha detto Carapaz dubito dopo – era diventato un puntiglio ed è ora motivo di orgoglio. La squadra ha fatto un ottimo lavoro per permettermi di entrare in ogni fuga. E’ un premio prestigioso. Tutti i corridori del mio Paese la sognano perché in Ecuador ci sono molte montagne. Essere il re della montagna al Tour de France significa molto per me».

La sua cocciutaggine e la determinazione nello sfuggire ogni giorno alla morsa feroce del UAE Team Emirates, risultando l’unico in grado di sfilare un osso dalla bocca del mastino in maglia gialla, gli sono valse il premio di Supercombattivo del Tour.

A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz
A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz

Qualcosa che mancava

Dopo la maglia gialla di Torino, ceduta con orgoglio sul Galibier, il giorno più bello è stato quello di Superdevoluy. In cima a quella salita a quota 1.500, dove non c’era neanche il fresco tonificante dell’alta quota, Richard ha coronato il sogno di alzare le braccia al cielo. Qualcosa che gli mancava e che in qualche modo gli ha permesso di regolare qualche conto in sospeso con la corsa francese. 

«Tre anni fa sono salito sul podio – ha spiegato Carapaz – ma sentivo che mancava ancora qualcosa: dovevo provare a vincere una tappa. L’ho fatto e anche questo è molto speciale, è stata un’emozione molto potente. Lo senti sulla pelle che è la corsa più grande del mondo. Dopo la caduta al Giro di Svizzera, sapevo che non avrei potuto lottare per la generale. Nella prima settimana abbiamo provato a vedere in che modo avrei potuto inserirmi in quel discorso, ma è stato subito chiaro che non potevo continuare fino a Nizza. E allora abbiamo deciso di aspettare il momento giusto, cioè la terza settimana. Sapevo che avrei potuto fare la differenza in alcune tappe, come poi è successo».

Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la conquista della maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa
Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa

Lavoro di squadra

L’idea di partenza non era questa, ma aver saputo riadattare le ambizioni e il battito del cuore ha fatto sì che il Tour nato male si sia trasformato forse nel più bello della sua carriera. Il ritiro dal Giro di Svizzera, nello stesso giorno in cui decise di non ripartire anche Alberto Bettiol dopo la caduta nella tappa del San Gottardo, non lasciava presagire niente di buono. Invece la squadra ha saputo gestire al meglio il suo avvicinamento.

Charly Wegelius, che lo ha guidato dall’ammiraglia, ha ammesso sorridendo che qualsiasi altro corridore fosse uscito così male dalla corsa svizzera, non sarebbe stato selezionato per il Tour. Eppure nessuno nella dirigenza della EF Education-EasyPost ha avuto dubbi nel concedere una chance a Richard. Di lui il capo Vaughters ha un’opinione singolare. Lo punzecchia spesso perché si impegni di più in allenamento e sfrutti meglio il suo talento. Ma Richard di fronte a queste battute sorride, annuisce e tira avanti.

«Tutti arrivano qui con la loro squadra migliore – spiega – i migliori corridori, il miglior staff e con la voglia di avere successo e noi siamo riusciti a portare a casa qualcosa di bello. La vittoria di tappa ha avuto un gusto speciale. La squadra è stata sempre in prima linea. Abbiamo parlato molto con i direttori sportivi nella riunione, sapevamo che sarebbe stata una giornata dura per il vento e il lavoro dei velocisti per la maglia verde. Non si poteva prendere vantaggio tanto presto nella tappa. Ma siamo stati intelligenti, abbiamo aspettato che le acque si calmassero e soprattutto abbiamo lavorato insieme».

Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole
Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole

La corsa nella corsa

Sabato, come pure il giorno prima a Isola 2000, per qualche chilometro ha pensato di poter assistere in prima persona al duello fra i primi della classe. Al Col de la Couillole, i due lo hanno preso e lasciato all’ultimo chilometro. Il giorno prima invece era stato Pogacar a saltarlo al doppio della velocità, ingolosito da quell’arrivo per lui così speciale.

«Soprattutto sabato – ammette nella zona mista di Nizza – mi sarebbe piaciuto arrivare con loro, ma andavano troppo veloci per me che avevo trascorso buona parte della giornata in fuga. E’ stata molto dura e un po’ snervante. Abbiamo dovuto fare molti calcoli e l’unico modo per blindare questa maglia era andarsela a prendere ogni giorno con un’altra fuga. Durante il Tour sono progredito giorno dopo giorno. Non dico che sia stato facile riuscire a stare davanti, ma ho avuto le gambe per farlo. Non poteva finire meglio, la squadra ha lavorato davvero bene. Conquistare una maglia  di classifica significa fare una corsa nella corsa. Studiare una strategia a parte rispetto a quella dei primi. Il Tour è sovrapposizione e intreccio di tante corse diverse, ma finché non ci sei dentro, non lo capisci».

La sua estate conoscerà ora finalmente il riposo, prima di riaccendere i motori e fare rotta vero la Vuelta e i mondiali di Zurigo. Le Olimpiadi non saranno affar suo per questa volta, il percorso iridato gli si addice invece molto di più. Se ne va con il sorriso dolce e l’appagamento del marinaio che ha raggiunto il porto anelato. Si guarda intorno, riempie gli occhi di bellezza, sapendo che presto sarà il tempo per alzare nuovamente le vele.

Invece Evenepoel non ha dubbi: terzo posto al gusto di vittoria

22.07.2024
4 min
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NIZZA (Francia) – Dei tre del podio, Evenepoel è quello che ha qualcosa da dire e non vede l’ora di tirarla fuori. Il ragazzo è orgoglioso e non si tiene niente in bocca, per cui quando un giornalista gli chiede il perché della commozione dopo l’arrivo della crono, ecco che parte l’affondo.

«Voi belgi – dice guardandolo dritto – avete sempre dubitato di me. Continue domande se fossi convinto o a che scopo andassi al Tour. Ebbene, ecco perché sono venuto. Finire terzo dietro Pogacar e Vingegaard, con un grande gap alle mie spalle, dimostra che io ci sono. Ci sono state di continuo pressioni dal mio Paese. Dal mio punto di vista, sono molto orgoglioso di quello che ho fatto. La gente a volte non capisce quanto carico metta sulle spalle con i suoi commenti. E’ stato detto anche che il secondo posto alla Parigi-Nizza non era abbastanza. Ecco perché ero emozionato…».

A dire il vero neppure lui era troppo convinto di poterlo fare. Dalla vittoria nella Vuelta a oggi sono passati diversi insuccessi al Giro e la stessa corsa spagnola non l’ha più visto dominante come nel 2022 in cui volò poi in Australia per prendersi il mondiale di Wollongong.

Dopo l’arrivo Remco ha ceduto all’emozione di tre settimane ad altissimo livello
Dopo l’arrivo Remco ha ceduto all’emozione di tre settimane ad altissimo livello
Un grande risultato.

Questo podio è uno dei risultati maggiori della mia carriera. Ho vinto un mondiale, ma correre il primo Tour e finire dietro i due migliori al mondo è un grande conquista per me stesso. Penso che il risultato di oggi mostri quale fosse il livello di questa corsa. Sono il campione del mondo della crono, ma sono finito alle loro spalle. Vanno fortissimo.

E’ immaginabile un confronto fra la Vuelta che hai vinto e questo podio?

I numeri che faccio adesso sono più alti rispetto alla Vuelta che ho vinto. Ogni anno andiamo più veloci, in salita, in pianura e nelle crono. Penso che questo podio parli per il mio futuro. Essere terzo dietro ai due corridori che negli ultimi 5 anni hanno lottato e preso la maglia gialla per me è come una vittoria. Il loro vantaggio sta nella grande esperienza.

Evenepoel voleva vincere la crono, ma l’ordine di arrivo ricalca la classifica finale. Per lui, terzo posto
Evenepoel voleva vincere la crono, ma l’ordine di arrivo ricalca la classifica finale. Per lui, terzo posto
Anche tu sei caduto con Vingegaard, pensi che questo ti abbia penalizzato?

Jonas è caduto esattamente nello stesso posto, abbiamo avuto lo stesso percorso, anche se il suo infortunio è stato peggiore del mio. Per questo non credo che mi abbia condizionato. Direi di no.

Terzo dietro i primi due al mondo: che effetto fa?

Dimostra che la base c’è per essere forse un vincitore del Tour. Quello che devo fare è lavorare sulle mie capacità. Le salite più lunghe. Mettere insieme un’esperienza superiore. Non voglio parlare male della mia squadra, ma si è visto che avevamo meno esperienza della UAE, della Visma, della Ineos… Penso che il primo step sia crescere come squadra, mentre io devo diventare più forte alla luce di questa esperienza. Dobbiamo costruire, chiaramente non domani (sorride, ndr), ma nei prossimi mesi. Guardare questo Tour servirà per imparare.

Remco nuova maglia bianca: un giovane che ha vinto due Liegi e due mondiali…
Remco nuova maglia bianca: un giovane che ha vinto due Liegi e due mondiali…
Ti ha stupito essere rimasto tanto freddo quando gli altri andavano via in salita?

E’ l’insegnamento di questo Tour. Se c’è qualcuno migliore di te, continua a fare le tue cose. Anche nella crono, Tadej è stato eccezionale. Io mi sono ritrovato di nuovo molto vicino a Jonas. Potrebbe non essere stata la mia migliore cronometro, sul Col d’Eze non sono stato irreprensibile. Ma sono riuscito a recuperare terreno in piano. Presumo che ci sia ancora molto margine e che sicuramente tornerò per provare a vincere. Come vorrei dire che non ho rischiato tanto in discesa su questo percorso così rischioso perché ho davanti due grandi obiettivi olimpici e con la squadra abbiamo concordato di non rischiare cadute.

Tempo di far festa?

Decisamente, per brindare a qualcosa di speciale: la maglia bianca e il podio finale. Oggi potrebbe essere stata l’unica volta nella mia carriera in cui sono salito sul podio finale del Tour. Godiamoci il presente, da domani mi concentrerò completamente sulla cronometro olimpica perché voglio vincerla.

Vingegaard indeciso: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

22.07.2024
4 min
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NIZZA (Francia) – Nel raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti, Vingegaard comincia a pensare che forse tanto male non gli è andata. Essere arrivato secondo dietro un Pogacar così forte ha smesso di bruciare come nei primi giorni, quando non riusciva a capacitarsi che, nonostante i suoi numeri stellari, l’altro fosse così tanto più forte. Ora, messa insieme la consapevolezza di una preparazione frettolosa e il livello del rivale che invece continua a parlare di perfezione, anche le sue risposte suonano meno ferite. Anche se dentro si vede che ci sta male. E basta guardarlo negli occhi per capire che sta combattendo fra le sensazioni che prova e le parole che può dire.

«Arrivare secondo al Tour de France – dice – è sempre un grande risultato dopo quello che è successo. Quando avrò tempo di riflettere, magari fra qualche settimana, sarò anche orgoglioso di questo risultato. Ho creduto a lungo di poter vincere. Però a Isola 2000 mi sono sentito davvero male. Quando ho tagliato il traguardo ero davvero vuoto e quel giorno ho capito di dover cambiare la mia mentalità. Passare dall’attaccare al difendermi da Remco».

Con il ragionamento, Vingegaard ha capito che il suo secondo posto è una conquista
Con il ragionamento, Vingegaard ha capito che il suo secondo posto è una conquista

Voleva lasciare il segno anche nell’ultima crono ed è per questo che ce l’ha messa tutta. Aveva ancora negli occhi lo splendido giorno di Combloux al Tour del 2023, quando rifilò 1’38” a Pogacar. Ma gli anni non sono tutti uguali e questa volta il risultato si è invertito: Pogacar ha vinto e lui è arrivato secondo a 1’03”. L’ultima crono di un Grande Giro è il confronto fra energie residue ed è per questo che, in modo molto onesto, il podio di giornata ricalca quello nella classifica finale.

Hai pensato che non poteva essere tutto come prima, con quello che hai avuto?

Di sicuro non è stato facile tornare in gruppo. Non avevo paura, ma quando hai una caduta come quella, non sai mai come reagirai nelle varie situazioni. Essere in gruppo, magari in discesa. Sono stato per tre settimane super concentrato, certi giorni ho avuto un livello, certi giorni era diverso. Credo che con la preparazione che ho avuto, io abbia fatto anche bene.

Vingegaard ha chiuso il Tour in crescendo: la condizione sta arrivando. La caduta lo ha penalizzato
Vingegaard ha chiuso il Tour in crescendo: la condizione sta arrivando. La caduta lo ha penalizzato
Un fatto di qualità o di quantità?

Ho avuto solo un mese e mezzo di vero allenamento e in precedenza sono stato per due settimane in ospedale con otto giorni in terapia intensiva. Ho perso tanto lavoro. Questo mi fa credere che facendo la giusta preparazione, io posso fare molto meglio. Per il prossimo anno sarebbe già buono non rompermi ogni osso della parte superiore del corpo e non bucarmi un polmone. Essere sano sarebbe già un bel passo avanti, guardando anche i miglioramenti atletici e tecnici che magari posso ancora fare.

Hai pensato per qualche momento di poter riaprire il Tour?

Quando ho vinto la tappa a Le Lioran, ho creduto che avrei potuto vincere il Tour de France e magari anche qualche giorno prima. Poi a Plateau de Beille ho fatto i miei migliori 40 minuti, guardando i valori di potenza. Tadej è stato più forte. Per un po’ ho sperato che calasse, ma non è successo. Per questo ha meritato di vincere.

Adesso nella conta dei Tour, Pogacar guida per due a uno. Il 2025 è già nell’aria
Adesso nella conta dei Tour, Pogacar guida per due a uno. Il 2025 è già nell’aria
Il fatto di tornare competitivo è stato più mentale o fisico?

Bella domanda, ma direi mentale. Alla fine dell’anno, a novembre, ero così stanco che avrei avuto bisogno di diversi giorni per staccare completamente e invece non l’ho fatto. Partecipare alla Vuelta ha cambiato la mia stagione. Così quando si è trattato di ripartire dopo l’incidente, ero già stanco e ho dovuto affrontare un grande combattimento con me stesso. Non sapevo neanche se avrei mai più pedalato. Così sono arrivato già provato all’inizio del Tour. Ed è questo il motivo per cui questa volta non andrò alla Vuelta. Adesso ho davvero bisogno di riposare e capire che cosa sia meglio per me.

Notte fonda in sala stampa, arriva Pogacar. Stiamolo a sentire

21.07.2024
8 min
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NIZZA (Francia) – Immagina di iniziare a scrivere il pezzo sulla vittoria di Pogacar al Tour alle 21,39. Hai poco da sviolinare, meglio andare sul concreto. Tadej entra nella grande sala stampa con tanta voglia di andare a festeggiare. Poi si siede e lo vedi che il rispondere alle domande di tante voci diverse lo riporta con il pensiero al fruscio della strada, il vociare del pubblico, l’adrenalina dei momenti. E allora per una ventina di minuti è come se davanti agli occhi scorressero le immagini di corsa, disegnate dal suo ricordo.

La conferenza stampa è l’ultimo atto di Pogacar in queste tre settimane trionfali
La conferenza stampa è l’ultimo atto di Pogacar in queste tre settimane trionfali
Hai di nuovo la maglia gialla, che effetto fa?

Non posso descrivere quanto sono felice dopo due anni difficili al Tour de France. C’è sempre stato qualche errore, quest’anno invece è andato tutto alla perfezione. Penso che questo sia il primo Tour in cui ho avuto piena fiducia ogni giorno. Anche al Giro ricordo di aver avuto una brutta giornata, ma non dirò quale. Invece il Tour de France è stato fantastico. Mi sono divertito dal primo giorno fino ad oggi. E avevo un così grande supporto dietro di me, che non potevo deludere nessuno, quindi mi sono divertito anche per loro.

Di quali errori parli?

Nel 2022 la Jumbo-Visma, con Roglic e Vingegaard, ha pizzicato l’unico giorno in cui non ero super e io li ho assecondati correndo male. Mi hanno stroncato. Così l’anno dopo volevo fare tutto alla perfezione. Ho fatto una stagione pazzesca. Ho vinto la Parigi-Nizza, il Fiandre, l’Amstel, la Freccia Vallone, poi sono caduto alla Liegi e mi sono rotto il polso. E’ crollato tutto, sono andato giù di testa. Sono arrivato al Tour senza fiducia ed è finita come avete visto. Quest’anno è stato tutto perfetto.

Avevi detto di volerti godere il pubblico e hai vinto la crono…

E’ stata una partenza davvero fantastico sulla griglia della Formula Uno. Uno dei migliori circuiti di Formula Uno al mondo, penso il migliore in assoluto. Durante la crono non ho avuto altri aggiornamenti tranne il primo intermedio di Remco, ma alla fine mi sentivo molto bene. In cima alla prima salita, stavo benissimo. Nella mia testa avevo tutte le volte che Urska mi ha odiato per averla costretta a fare la strada della crono in ogni allenamento. L’abbiamo provata così tante volte quest’anno, che non ho voluto sciupare l’occasione. Quando corri una tappa del Tour e ti alleni tanto sulle sue strade, vuoi anche vedere cosa puoi fare. La gente intorno mi ha dato una motivazione supplementare.

E alla fine è arrivata anche la doppietta Giro-Tour…

Non ci avrei mai pensato. Alcuni dicevano che il Giro sarebbe stato una rete di sicurezza casomai non fossi riuscito a vincere il Tour, ma questo è un anno incredibile. Vincere il Tour de France è un altro livello, fare le due cose insieme è ancora superiore. Sono super felice e davvero orgoglioso di averlo fatto. Il prossimo passo? Credo che Van der Poel stia benissimo con la maglia di campione del mondo, ma quest’anno voglio prenderla io. Vorrei avere almeno per una volta la maglia iridata, ma tutto sommato c’è tempo. Fare un bel mondiale sarebbe la ciliegina sulla torta.

Tanti non sono riusciti a gestire bene il tempo fra il Giro e il Tour, tu come lo hai passato?

In modo molto semplice. Dopo il Giro, ho passato un po’ di tempo con Urska, che mi aiuta a staccare mentalmente. Poi siamo andati insieme a Isola 2000. Lei si preparava per il Giro di Svizzera e i campionati nazionali. In Svizzera ha fatto una top 10 e in Slovenia ha vinto entrambe le maglie. E’ stata una preparazione che volevamo entrambi e che è andata bene. Un paio di allenamenti duri e il tempo è passato bene.

Hai detto più di una volta che si è trattato di un Tour pazzesco. Che momento di ciclismo stiamo vivendo?

Penso che negli ultimi due anni abbiamo detto spesso che questa è la migliore era del ciclismo, con le migliori gare di sempre. Se non fossi coinvolto io stesso, potrei anche dire che questa è la migliore era del ciclismo di sempre, almeno per le classifiche dei Grandi Giri. Il livello di questo Tour, con Remco, Jonas e Primoz finché c’è stato, è semplicemente incredibile. C’erano una grande attesa e grandi aspettative, per un grande spettacolo che indubbiamente c’è stato. Ognuno a un certo punto ha mostrato le palle. E’ stato un grande show. E alla fine sono felice e orgoglioso di esserne uscito vincitore. Penso che tutto il ciclismo ora possa festeggiare questo bel momento di competizione.

Qual è stato il momento più emozionante di questa serata?

La squadra è stata eccezionale. Siamo stati insieme tutto il Tour, una super atmosfera sul pullman, mai un momento di tensione. Questa squadra è il mio sogno che si è avverato. Devo dire che non ho ricordi molto chiari di questa giornata, ma stare sul podio con loro è uno dei momenti di gioia che porterò con me per il resto della mia vita. Il Galibier invece mi ha fatto capire che ero sulla strada giusta.

Perché fai sempre fatica a parlare di Marco Pantani?

Vorrei che Marco riposasse in pace. Non è stato un corridore del mio tempo. So che in Italia lo amano. Siamo passati su alcune salite dove lui si allenava. Il Giro ha la Salita Pantani. Quest’anno ho sentito tanto parlare di lui, in Italia. Non saprò mai come lo avete vissuto, ma credo che sia stato uno dei grandi. Diciamo che quest’anno è stato celebrato come merita.

Sembra che tutto ti riesca facile, non sembri neanche stanco: lo sei almeno un po’?

Sono super stanco, per questo ho bisogno di recuperare. Voglio vedere gli amici, la famiglia, stare con Urska, perché gli ultimi quattro mesi sono stati full gas. Quando a dicembre abbiamo fatto il programma e ho scelto il Giro non potevo prevedere sino in fondo quanto sarebbe stato pesante. Però abbiamo azzeccato il programma delle gare. Non ne ho fatto tante e alla fine con il giusto bilanciamento, è riuscito tutto alla perfezione. Ovviamente non guasta avere buone gambe (sorride, ndr).

Con la sua Colnago gialla sul palco: un altro muro abbattuto da Tadej Pogacar
Con la sua Colnago gialla sul palco: un altro muro abbattuto da Tadej Pogacar
Cavendish ha battuto il record, tu potresti attaccare quello dei cinque Tour…

Parliamo del record di Mark, perché tutti volevano che lo battesse e addirittura in gruppo tifavamo perché ne vincesse un’altra. Ci ha sempre creduto, anche quando aveva quasi smesso. Si merita il suo posto nella storia di questo sport. Quando ai record di Pogacar, non voglio vedermi nei record, forse lo farò a 30 anni. Ora voglio vivere giorno per giorno e se anche non tornassi più al Tour, sarò ugualmente soddisfatto.

Qualcuno ha parlato di te come di un extraterrestre. Pensi che sia giusto sospettare?

Ci saranno sempre dubbi, perché il ciclismo è stato devastato prima dei miei anni. Chiunque vinca ha gelosie e haters. Se non hai haters, non hai successo. Penso che nel ciclismo la WADA e l’UCI investano molti soldi per rendere questo sport pulito. Credo che il ciclismo sia uno degli sport più puliti in generale e lo è a causa di quello che è successo tanti anni fa. Ora non è più come allora, rischiare la salute è super stupido. La carriera arriva a 35 anni, poi c’è ancora un lungo periodo per godersi la vita. E’ stupido rischiare la vita per delle stupide corse. Vogliamo vincere, ci dedichiamo anima e corpo, ma alla fine è divertimento, vincere non è la cosa più importante. E’ importante essere in salute e non c’è motivo di spingere il corpo oltre i suoi limiti, usando chissà che cosa. E ora ragazzi, grazie, siete stati fantastici, ma io me ne vado.

Si alza. Si avvia con il suo giallo che illumina il cammino. Posa con dei bambini per una foto e poi si avvia con passo spedito verso l’uscita. L’applauso lo accompagna giù dalle scale. La sua serata speciale sta per iniziare. E se l’è davvero meritata.

Gadret: un viaggio fra ricordi e osservazioni (sensate) sul Tour

21.07.2024
5 min
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NIZZA (Francia) – Dopo lo stupore per i magnifici numeri sulle salite di questo Tour, trovarci davanti a uno scalatore puro mette addosso la tenerezza di una specie estinta. Lui è sempre uguale, minuto, pieno di tatuaggi, con lo sguardo gentile e insieme furbo. Da quando era magrissimo, ora ha messo i chili giusti, ma quando John Gadret inizia a parlare è come se il tempo non fosse passato (in apertura la sua vittoria di Castelfidardo al Giro del 2011, davanti a Rodriguez e Visconti).

La sua carriera si è conclusa nel 2015, con le ultime due stagioni alla Movistar e una vita intera alla Ag2R La Mondiale. Dal 2023 è direttore sportivo di una squadra dilettantistica alsaziana, il Velo Club Unité de Schwenheim. Inoltre collabora con ASO per alcune gare come Delfinato, Freccia e Liegi. Al Tour de France indossa i colori di E.Leclerc, catena di supermercati e ipermercati che da anni sponsorizza la corsa.

Gadret, classe 1979, è al Tour con E.Leclerc, una catena di ipermercati e supermercati francesi fondata nel 1949 da Edouard Leclerc
Gadret, classe 1979, è al Tour con E.Leclerc, una catena di ipermercati e supermercati francesi fondata nel 1949 da Edouard Leclerc

L’idea di farci due parole, oltre all’occasione per salutarlo, nasce proprio dalla premessa di questo articolo. Il ciclismo attuale ha ridisegnato le categorie. E’ raro che le squadre si accontentino di avere nelle proprie fila degli specialisti, fatti salvi cronoman e velocisti. Gli scalatori sono stati fagocitati dai passisti e a ben vedere in testa agli ordini di arrivo ci sono sempre più degli atleti completi. E se una volta la presa in giro era che il corridore completo è quello che va piano dappertutto, gli attuali vanno forte senza o quasi punti deboli.

Cosa ti sembra di questo Tour?

E’ stato velocissimo, anche nei suoi giorni più duri. I corridori hanno fatto uno spettacolo molto bello. E’ molto difficile oggi essere uno scalatore, anche essere un corridore deve essere tanto complesso. E’ quello che ho detto ieri ai miei ospiti e penso che sia dovuto ai materiali. C’è stata una grande evoluzione. Penso che al giorno d’oggi non potrei più fare il ciclista, perché è diventato un lavoro pieno di schemi. Ma obiettivamente vanno tutti molto veloce.

Vingegaard è diverso da Pogacar: è più leggero, uno scalatore moderno eppure anche lui super completo
Vingegaard è diverso da Pogacar: è più leggero, uno scalatore moderno eppure anche lui super completo
A Plateau de Beille abbiamo visto un nuovo record: quanto secondo te è dovuto agli atleti e quanto ai materiali?

Dicono che Pogacar abbia battuto Pantani, ma se guardiamo la classifica della tappa, ci sono 10 o 12 corridori che hanno fatto meglio. Per questo dico che dipende dai materiali, ma anche dal modo di essere corridori. Non voglio dire che siano più professionali di prima, ma di certo si giovano di una grande evoluzione.

Che cosa c’è nell’orizzonte del ciclismo francese?

Vinciamo tappe, ma nel complesso penso che purtroppo non vedremo presto un corridore francese vincere una classifica generale. A livello dilettantistico cerchiamo di allenarli correttamente, ma penso che poi diventi tutto più difficile al livello superiore. E poi forse anche i media ne fanno dei grandi campioni anche prima che diventino professionisti.

Però intanto Pinot ha smesso, Bardet resiste: non resta che aggrapparsi ai più giovani.

Il giovane che arriva e spinge di più è Romain Gregoire che corre alla Groupama-FDJ. Penso che Lenny Martinez possa diventare un corridore molto bravo anche in un Grande Giro. Quest’anno ha scoperto il Tour e penso che per lui sia stato difficile. Ma dopo loro due, bisogna davvero grattare e grattare ancora per trovare i corridori francesi che possano arrivare su un podio importante.

E.Leclerc è in carovana da anni come sostenitore del Tour (foto Ugo Breysse)
E.Leclerc è in carovana da anni come sostenitore del Tour (foto Ugo Breysse)
Si dice che Martinez cambierà squadra, la Bahrain Victorious sarebbe la sua scelta. Pensi faccia bene a lasciare la Francia così giovane?

Sì, penso di sì. Con tutto il rispetto che ho per Marc Madiot, penso che se cambia squadra, sia che vada in Bahrain o in un’altra squadra all’estero, per lui sarà una scelta molto importante. Penso che darà una spinta alla sua carriera.

Anche tu hai avuto i tuoi infortuni: pensi sia possibile che Vingegaard sia arrivato al Tour nella forma migliore?

No, penso che nella prima settimana sia stato bene, poi ha iniziato a perdere smalto. Ma davanti a quello che sta facendo in questo Tour de France, c’è da togliersi il cappello, perché la sua non è stata affatto una caduta banale. Il secondo posto non è ancora preso, manca la crono, ma ieri ero convinto che lo avrebbe perso. Lo avevo visto in difficoltà, invece ha saputo reagire benissimo.

Quali sono stati i giorni più felici della tua carriera?

Il più bello è stato quello di Castelfidardo in cui ho vinto al Giro d’Italia del 2011, con il terzo posto in classifica dopo la squalifica di Contador. Ho amato l’Italia. Quando ho saputo che il Tour de France sarebbe partito da Firenze, ero super felice. E poi siamo passati sulle strade di Marco Pantani, il mio idolo da giovane. Una partenza davvero intensa.

Martinez ha debuttato al Tour soffrendo. Cambierà squadra nel 2025?
Martinez ha debuttato al Tour soffrendo. Cambierà squadra nel 2025?
Un francese che ha ricordi migliori del Giro che del Tour?

Con i miei scatti e quella vittoria di tappa sentivo di aver guadagnato più carisma nel gruppo del Giro d’Italia piuttosto che qui in Francia. Scarponi era un gran burlone, ma un bel giorno mi disse: «Mi ricordi Pantani, hai il suo stesso aspetto». Le sue parole mi colpirono.

Vai ancora in bici?

Ci va mia nipote, quindi una volta a settimana devo andare a fare un giro con lei. Ma per il resto corro molto a piedi, col ciclismo ho chiuso: è troppo faticoso. Molto meglio guardarlo in tivù.

Con Cattaneo alla scoperta della crono finale del Tour

03.04.2024
4 min
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Il Giro dei Paesi Baschi si è aperto con una cronometro. Ha vinto Primoz Roglic e Remco Evenepoel è arrivato quarto, ma cadendo. Questo può succedere quando non si conoscono i percorsi troppo bene e si vuol osare. Ed è proprio per poter osare, che qualche tempo fa lui e Mattia Cattaneo sono andati in ricognizione della crono finale del prossimo Tour de France.

La crono in questione è la Monaco-Nizza: 34 chilometri, 728 metri di dislivello e il Col d’Eze. Una crono che potrebbe decidere la Grade Boucle. Una tappa così va assolutamente testata. L’italiano della Soudal-Quick Step ci spiega come è andata e che tipo di crono sarà.

Remco Evenepoel e Mattia Cattaneo durante la ricognizione a Nizza (foto Instagram)
Mattia, appunto, che crono sarà?

Una crono molto dura. Una crono nella quale i primi cinque, immagino saranno gli stessi della classifica generale, quindi quelli con più gambe.

Descrivici un po’ questi 34 chilometri…

L’avvio è abbastanza semplice poi ecco la salita di Le Turbie: 8 chilometri. Si scende un po’ e si fa il Col d’Eze dalla parte opposta che siamo abituati a fare durante la Parigi-Nizza. Si tratta di un chilometro e mezzo al 15 per cento. E lì sembra più una cronoscalata che una crono. Poi discesa, abbastanza veloce e finale tutto da spingere.

Hai parlato di discese: conteranno?

La prima parte del Col d’Eze sì, ma la seconda è velocissima. A parte due curvoni ampi non è così difficile che puoi creare una differenza. Al massimo credo che nella seconda parte si possano perdere o guadagnare 2”-3”. E’ la salita che inciderà molto di più. Credo che la classifica si farà sul Col d’Eze, da lì alla fine cambierà molto poco.

Il profilo della cronometro finale del prossimo Tour de France, misura 34 km
Il profilo della cronometro finale del prossimo Tour de France, misura 34 km
Quindi è una frazione contro il tempo da fare con la bici da crono?

Io tutte le crono le farei con la bici da crono, ma certo è che in questo caso l’aspetto del peso conta. E anche tanto. In totale di sono 12 chilometri di salita. Però resto fedele alla bici da crono. Le velocità non saranno basse e l’aerodinamica gioca un ruolo importante.

E allora ipotizziamo il setup che sceglierebbe Mattia Cattaneo…

Allora, bici da crono come detto, via la ruota lenticolare posteriore: monterei due ruote con profilo da 80 millimetri. Poi molto dipenderà dal vento, ma in questo modo risparmierei un po’ di peso. Noi avremmo anche il set da 64 millimetri, che hanno un rapporto tra peso e aerodinamica migliore. Lì si andrebbero a risparmiare anche 300 grammi rispetto ad una lenticolare.

E che rapporti useresti?

A vederla così e dopo averci fatto questa pedalata, direi una doppia corona 62-44 con l’11-30 dietro, però lo dico adesso. Bisogna vedere in quel momento come saranno le gambe dopo tre settimane di gara. Insomma non è una crono secca, ma inserita al termine di un grande Giro e come detto è pure dura. In salita bisognerà spingere forte. Le differenze di velocità potrebbero essere elevate, specie dove è più pedalabile. 

Ruota lenticolare sì o no? Questo è il dubbio di Cattaneo
Ruota lenticolare sì o no? Questo è il dubbio di Cattaneo
Se c’è da spingere così tanto, come mai non pensi ad un 11-34 così da lavorare meglio con la corona da 62 in salita?

Ammesso che comunque si potrebbe optare per ogni combinazione, di base non sono un super amante della cassetta 11-34, ci sono salti troppo elevati. Io poi uso molto i rapporti centrali, proprio per avere sbalzi minori tra un dente e l’altro. Ormai in generale se le salite non sono troppo dure non uso neanche la corona da 40 ma resto sul 54. E infatti in quei salti dei pignoni più alti mi farebbe comodo un 25 (mentre le cassette Shimano fanno 24-27, ndr).

Mattia, quanto potrebbe durare questa crono?

Per me sui 40-45′, ma onestamente è una stima grossolana. Non so quanto realmente si andrà forte sulla salita . Quando siamo andati io e Remco venivamo dalla Parigi-Nizza e la gamba era un po’ stanca, quindi non l’abbiamo fatta forte.

E la pioggia potrebbe incidere?

Semmai più il vento. Come ho detto la discesa è veloce e le strade sono larghe: una eventuale pioggia non dovrebbe incidere così tanto.

E dalla Francia risponde Pogacar: Slovenia padrona

12.03.2023
5 min
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No, non è Eddy Merckx è Tadej Pogacar. Lo sloveno alla Parigi-Nizza ha fatto il Cannibale. Ma lui è così: vuol divertirsi, correre e se si vince tanto meglio. In questa edizione di quella che in Francia chiamano la “Corsa del Sole”, l’asso della UAE Emirates ha vinto la generale, tre tappe, la maglia bianca di miglior giovane e quella a punti. Ha lasciato quella di miglior scalatore al danese Jonas Gregaard ma solo perché andava a caccia dei Gpm nelle fughe del mattino. Infatti è finito “solo” secondo.

Se in Italia il connazionale Roglic dominava la Tirreno, Pogacar non stava a guardare in Francia dunque. Dall’inizio della stagione, Tadej ha inanellato tredici giorni gare e sette vittorie sull’arrivo, più due classifiche generali, quindi nove vittorie. Incredibile. Qualcosa davvero degno dei tempi di Eddy Merckx. Tra lui e il Cannibale ormai ballano solo le volate che molto spesso il belga faceva.

Andrea Agostini (classe 1970) è chief operating officer della UAE Emirates
Andrea Agostini (classe 1970) è chief operating officer della UAE Emirates

La psicologia conta 

Tadej ha dato show nella crono a squadre e ha conquistato tre tappe, le tre frazioni più dure. E soprattutto ha sempre voluto domare il suo rivale numero uno: Jonas Vingegaard, colui che ha “osato” defraudarlo del Tour de France 2022. 

Se vogliamo c’era in ballo anche una sorta di rivincita. Di predominio psicologico.

«Questo è il modo di correre di Tadej – ci dice Andrea Agostini, uno dei dirigenti della UAE Emirates – Quando va alle corse vuole vincere e questo penso sia la parte bella, quella che amano anche i suoi fans.

«Poi è vero, anche dal punto di vista psicologico era una partita a scacchi, è inutile che ci nascondiamo. Era importante dal punto di vista mentale non andare alle corse con un senso di inferiorità. Questa è la cosa che sapevamo noi, che sapeva benissimo anche Tadej. Ed era anche rischioso, perché poi se ci fossimo trovati davanti Vingegaard di nuovo? Stavolta è andata bene a noi sicuramente e questo riporta la posizione in parità tra i due da un punto di vista psicologico».

Tadej e l’istinto

E Agostini ha ragione sia quando parla dell’aspetto psicologico, sia quando accenna ai fans. Un corridore così, che attacca, che va d’istinto piace. Gli italiani – e non solo loro – si ricordano di Chiappucci, figuriamoci se c’è un atleta che oltre ad attaccare vince anche.

«Pogacar – continua Agostini – è un ragazzo che si gestisce bene, nel senso che comunque ascolta, quando facciamo le riunioni. Poi è chiaro che la tattica la fai in base agli uomini che hai e con un corridore come Tadej diventa più facile perché sai che è un finalizzatore. Tu diesse puoi realizzare la miglior tattica del mondo, ma se non hai chi la porta a termine è difficile vincere».

«Se bisogna frenarlo? A volte sì – ride Agostini – ma questo è Pogacar. L’anno scorso, durante il Fiandre, c’era Baldato che lo teneva fermo perché voleva partire a non so quanti chilometri dall’arrivo. Tadej è così: è molto istintivo, dotato da madre natura, il che è bellissimo, ma a volte sbaglia anche. Come è successo al Tour de France 2022. Ha fatto errori lui, perché comunque ha sprecato tanto, e abbiamo fatto errori anche noi. Però è questo che ti fa innamorare del ciclismo».

«O ancora sul Poggio un anno fa. Tutti sapevano che doveva scattare più avanti, ma è partito lì. Cosa ci vogliamo fare? Non è una Playstation. La verità è che quando Tadej ha la gamba non ha paura di partire».

Però qualche calcolo andrebbe fatto, forse. In fin dei conti aveva già vinto due tappe. Aveva dominato il rivale numero uno e prendere dei rischi in discesa dal Col d’Eze poteva costare caro. Magari a mente fredda lo faranno ragionare.

«Se nel ciclismo dovessimo calcolare i rischi che corrono questi ragazzi, in ogni tappa, in ogni corsa troveremmo un motivo per non andare a tutta. Quindi direi di no: nessuno gli dirà che non sarebbe dovuto partire. E poi volete sapere una cosa? Tadej aveva cerchiato in rosso questa tappa prima ancora che partisse per la Parigi-Nizza. Questa era la frazione che voleva vincere perché lui vive lì, si allena lì».

Il podio finale della Parigi-Nizza: 1° Pogacar, 2° Gaudu, 3° Vingegaard
Il podio finale della Parigi-Nizza: 1° Pogacar, 2° Gaudu, 3° Vingegaard

Pogacar alle stelle

E Pogacar cosa dice? Con la sua solita naturalezza ha dimostrato la sua gioia. Se ieri sull’arrivo in salita era più contento per aver battuto Vingegaard e non tanto per la vittoria in sé, oggi si è proprio goduto la corsa. Non solo voleva vincere, ma voleva vincere in quel modo.

«Non avevo mai preso parte alla Parigi-Nizza – ha detto Pogacar – avevo fatto due volte la Tirreno-Adriatico. Mi sono sempre sentito in forma nelle prime gare di quest’anno pertanto era il mio obiettivo e il mio sogno vincere questa gara. Ed ora che ci sono riuscito posso dire che è fantastico».

E proprio lo sloveno in qualche modo ha parlato anche dei rischi nella planata verso Nizza.

«Conosco molto bene queste strade. Mi alleno qui spesso e quindi sapevo esattamente com’era la discesa e ancora prima come stavano le mie gambe sull’ultima salita, la potenza che avrei potuto sviluppare fino in cima. Ero bravo in matematica! E ho fatto bene i miei conti».