Mirco Maestri: l’europeo ha detto che può stare tra i grandi

15.10.2024
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Ad alti livelli Mirco Maestri ci sa stare. Ci può stare. Lo ha dimostrato, una volta per tutte, durante il campionato europeo, quando per la prima volta da professionista ha indossato la maglia azzurra. Il corridore della Polti-Kometa è stato decisivo su strada e protagonista nella crono del team relay, dove addirittura ha vinto l’oro.

Una gran bella stagione insomma per Maestri. Un buon Giro d’Italia, degli incoraggianti piazzamenti in estate e appunto il super europeo in Belgio. «Ma ora – dice lui – sono un po’ stanco. Sto bene, tanto è vero che ho chiesto di fare ancora una gara, il Giro del Veneto, ma da giovedì sera sarò in vacanza».

Tra l’europeo e la fuga al Giro con Alaphilippe la popolarità di Maestri è cresciuta anche all’estero: eccolo al Tour du Limousin
Tra l’europeo e la fuga al Giro con Alaphilippe la popolarità di Maestri è cresciuta anche all’estero: eccolo al Tour du Limousin
Mirco, partiamo proprio da quanto detto: una bella stagione, giusto?

Sì bella, ma io sono anche autocritico… e c’è sempre da migliorare. E’ stata una stagione lunga, impegnativa, ma che ha dato i suoi risultati. E la convocazione in azzurro.

Insistiamo su quest’ultima: te l’aspettavi?

Al Giro d’Italia qualche battuta Bennati me la fece. Ma sai, sull’entusiasmo e qualche buona prestazione del momento è una cosa, col passare del tempo invece le cose cambiano. E io infatti non mi ero illuso. A luglio, prima di andare in ritiro a Livigno, Stefano Zanatta, mi fa: «Mirco, prendila con le pinze, ma sei nella rosa della nazionale per l’europeo». Sin lì si parlava solo della strada. Dopo tre giorni, Zanatta mi conferma che ero nella rosa ristretta. Mi dice di dimostrare di essere forte, qualcosa che avrei saputo fare. A quel punto il mio mood era al 200 per cento sulla nazionale. Era tutto vero!

Possiamo immaginare…

Davvero non ho lasciato nulla al caso. Realizzavo il sogno di indossare la maglia azzurra. Io credo sia il massimo per un atleta professionista, di ogni sport, rappresentare la propria nazione. Sin lì l’avevo vista come una cosa inarrivabile. Tanto più che io sono in una professional e non sempre ho la possibilità di stare con i migliori corridori, nelle migliori gare. Il calendario di una professional è diverso da quello di una WorldTour. Però ho sfruttato bene la continuità che mi aveva dato il Giro e la mia costanza di rendimento. 

L’emiliano (casco bianco) tra i giganti senza nessun timore. In azzurro si è fatto più che valere
L’emiliano (casco bianco) tra i giganti senza nessun timore. In azzurro si è fatto più che valere
Però, nonostante il non essere in un team WorldTour, a livelli alti hai dimostrato che Mirco Maestri ci sa stare. Molto bene su strada, addirittura benissimo a crono.

A crono ero un bel po’ preoccupato, non tanto fisicamente o per i miei numeri, ma perché è noto che le squadre WorldTour curano in modo ben diverso questa disciplina: materiali, body, posizioni… In più io un Team Relay non l’avevo mai fatto e all’inizio non si parlava di questa gara per me. Me lo hanno detto due settimane prima. L’Italia voleva vincere: avevo una pressione non indifferente. L’ultima cronosquadre che avevo fatto ero ancora con la Bardiani e la facemmo per andare all’arrivo. In tre, invece, è ancora tutto più tecnico.

Tu hai un altro anno di contratto con la Polti-Kometa e va benissimo, ma appunto quei calendari sono diversi e a quei livelli ti ci misuri meno…

Per me questa esperienza è motivo di orgoglio. Noi delle professional dobbiamo prendere i ritagli di quel che resta. Dobbiamo anticipare e sperare nella “corsa nella corsa”. Come poi è andata quel giorno con Alaphilippe. Poi è chiaro che devi stare bene. Io in quella tappa ho fatto una delle mie migliori prestazioni assolute, ma ripeto… abbiamo anticipato.

Alaphilippe e Maestri in fuga al Giro. Partirono quando mancavano 124 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Alaphilippe e Maestri in fuga al Giro. Partirono quando mancavano 124 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Chiaro…

Mentre all’europeo ho corso come in una WorldTour e mi ci sono trovato bene, anche se mai avevo gareggiato così in precedenza e cioè controllando la corsa, avendo il capitano dietro da proteggere. Ed è quello che potrei fare in una squadra grande. Io sono più abituato ad attaccare liberamente. Mi ha fatto piacere quel che mi ha detto Trentin: «Non c’è bisogno che dica niente. Lavori bene». E’ anche vero che ho 33 anni e 10 anni di professionismo: ce ne vuole per crescere e non imparare nulla!

E invece quanta consapevolezza ti ha dato questa esperienza? Il prossimo anno parti con le spalle più grosse?

Ammetto che qualcosa è cambiato dal giorno della fuga al Giro con Alaphilippe. Ora in gruppo mi conoscono un po’ di più, anche gli stranieri. Sono più preso in considerazione perché ho dimostrato di avere motore. E forse è proprio quel giorno che ha influito sulla mia convocazione in azzurro. Anche Bennati forse ha ragionato così. Ho visto che preparandomi al 100 per cento qualche soddisfazione personale posso togliermela. Non dico vincere, che per me resta difficile, ma qualche piazzamento in più sì. Anche al Poitou-Charentes, per esempio, se non fosse stata per una fuga nell’ultima tappa avrei fatto secondo nella generale (ha finito sesto, ndr) dopo il secondo posto nella crono.

Dopo l’esperienza all’europeo, Mirco ha gareggiato a crono con il casco della nazionale: stesso brand ma modello leggermente diverso da quello del team
Una bella motivazione…

Io la vivo serenamente. Ma a fine stagione cancello quel che ho fatto. Ogni anno cerco di ripartire come se fosse il primo anno da professionista. E’ un modo per mantenere vivi gli stimoli, per ripartire con tanti “dubbi” e tanta grinta. Dopo oltre dieci anni la passione per me è sempre la stessa. Voglio dare il massimo per me e per la squadra. Vi dico questa…

Vai…

Ivan Basso mi ha voluto in questa squadra e ci sono andato nonostante avessi pronto un contratto di due anni con la Bardiani. Lui me ne offriva uno. Ma ho rischiato. Ho sentito la fiducia sua e quella di Zanatta, due che hanno colto i grandi successi della Liquigas. Per me la Bardiani era la squadra di casa: ho pianto due giorni dopo che l’avevo lasciata. Ivan è stato il primo a chiamarmi dopo la crono dell’Europeo. Gli ho detto che se ero lì, era grazie a lui. A lui e a Zanatta, che mi fanno sentire importante, mi danno fiducia e responsabilità. A volte anche piccole parole solo per aver portato il velocista all’ultimo chilometro fanno bene. Piccole cose che spesso si danno per scontate, ma fanno bene. A livello psicologico danno una marcia in più.

Masetti e Maestri: l’oro di chi ci crede (sempre)

19.09.2024
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La medaglia d’oro del team relay ai campionati europei è legata con un doppio filo a due storie personali, quelle di Gaia Masetti e Mirco Maestri. Entrambi arrivano dalla stessa regione: l’Emilia Romagna e per tutti e due questa è stata la prima medaglia con la nazionale. Anzi, per il corridore della Polti-Kometa il campionato europeo è corrisposto alla prima presenza in azzurro. Al contrario, Gaia Masetti la medaglia l’aveva sfiorata nel 2023 in Olanda con un quarto posto nella gara su strada riservata alle under 23. 

Due strade che si incrociano e riscrivono la carriera di entrambi, perché in una medaglia sono racchiusi sogni e ambizioni ma anche rivalsa e una volontà di non mollare mai, nemmeno di un metro. 

Cecchini, Guazzini, Cattaneo, Affini, Maestri e Masetti: ecco i sei azzurri d’oro (foto Maurizio Borserini)
Cecchini, Guazzini, Cattaneo, Affini, Maestri e Masetti: ecco i sei azzurri d’oro (foto Maurizio Borserini)

Una spinta in più

Gaia Masetti ha avuto il tempo di una toccata e fuga a casa, giusto per appoggiare la valigia e riprenderla in mano pochi giorni dopo. Oggi, infatti, è impegnata con la sua AG Insurance – Soudal Team al Grand Prix de Wallonie. L’abbiamo intercettata nelle poche ore che è rimasta in Italia, facendoci travolgere dal tanto entusiasmo. L’oro belga le è valso la convocazione al mondiale di Zurigo, il primo della sua giovane carriera.

«Dopo la prova in linea il cittì della crono (Velo, ndr) – dice Masetti – mi ha detto che sarei andata a fare i mondiali. E’ bello perché un anno fa nemmeno ci volevo salire sulla bici da cronometro. Da junior andavo bene, poi passata under 23 ho avuto qualche problema e avevo deciso di accantonarla. Il cittì della nazionale femminile, Sangalli, non si è arreso e l’anno scorso mi ha detto che avrei corso l’europeo a cronometro in Olanda. Io non volevo ma ha prevalso lui e mi sono presentata al via. Ho colto un decimo posto, per tutti un risultato normale, per me è stata una scintilla che ha riacceso la passione per questa disciplina. Da quel momento in poi (era il 22 settembre 2023, ndr) ho ripreso ad allenarmi con la bici da crono anche a casa. Ora sono io che insisto con il preparatore per inserirla nei programmi di lavoro».

La forza del gruppo

Il team relay si corre in sei: tre uomini e tre donne che si dividono la fatica. Una prova dove conta la sinergia tra i compagni di squadra, serve fiducia nei mezzi di tutti, sia di chi parte per primo che di chi prende in mano il testimone a metà prova. 

«E’ una prova faticosissima – spiega Masetti – perché in tre è come fare una crono individuale ma con i meccanismi di una prova a squadre. Il tempo di recupero tra un cambio e l’altro è di 40 secondi, poi rifiati un attimo e ritorni a tirare. Ho la fortuna e la bravura di essere una atleta che riesce a stare su sforzi alti per molto tempo.

«La nostra forza l’abbiamo trovata soprattutto nel gruppo – riprende – non pensavo di legare così tanto con tutti e cinque i miei compagni. E’ capitato spesso di fare tardi per un allenamento perché rimanevamo a tavola a parlare dopo colazione, senza accorgerci del tempo che scorreva. Anche sul podio scherzavamo tra di noi, facevamo gli stupidi commentando il pubblico e la premiazione.

«Non conoscevo nessuno bene, giusto Cattaneo che avevo incrociato in qualche ritiro con la squadra. Affini era quello che mi metteva più timore, per la stazza, invece è simpaticissimo ed estremamente tranquillo. Le ragazze, Guazzini e Cecchini, le incrocio spesso in corsa da avversarie, ma non ci avevo mai parlato molto. Elena (Cecchini, ndr) in questo europeo mi ha fatto da “mamma”. Nelle uscite insieme mi spiegava il funzionamento del team relay, come comportarsi dopo le curve e tutto il resto. Il team relay mi ha affascinato, anche se è faticoso da morire e questa medaglia è solo uno slancio per continuare in questa direzione».

“Paperino” re d’Europa

La carriera di Mirco Maestri è più avanti rispetto a quella della compagna di squadra nel team relay. A 32 anni “Paperino” Maestri, così si è soprannominato per la sua tenacia, si è conquistato la prima convocazione in azzurro.

«L’ho detto alla squadra e allo staff – attacca con un sorriso – se vogliono portarmi come talismano alle prossime prove. Scherzi a parte questa medaglia d’oro non me l’aspettavo, in un attimo tutto cambia e una serie di buone prestazioni mi hanno aperto le porte della nazionale. A luglio mi sono sentito dire da Bennati che sarei stato nella rosa dell’europeo e nella mia testa è cambiato tutto. Mi sono detto: «Ce la posso fare». Sono convinto che se un corridore non ha obiettivi e sogni lentamento “muore” e io nel mio essere testardo come Paperino, non mi sono mai arreso. Ho costruito una carriera mattoncino dopo mattoncino e a 32 anni, quasi 33, posso dire che mi sento ancora tanto da dare. Devo molto a Basso e alla Polti, senza di loro non sarei dove sono. Non mi pongo limiti, non l’ho mai fatto e non inizierò a farlo ora».

A ruota di due medaglie

Il terzetto maschile del team relay era composto da Maestri, Affini e Cattaneo, gli ultimi due erano reduci dalla prova a cronometro individuale che è valsa due medaglie: oro e bronzo. Sapere di correre insieme a due campioni della disciplina può mettere tranquillità, ma anche pressione. Il giusto mix da trovare ce lo racconta proprio Maestri.

«In generale – racconta – sapevamo di avere una bella responsabilità. Come Italia eravamo i favoriti e siamo stati bravi a gestire la pressione, tutti. Sapevo sarebbe stato difficile correre al fianco di Affini e Cattaneo ma volevo farmi trovare pronto e ci sono riuscito. Ho gestito bene lo sforzo, anche se non sapevo come sarebbe stato, era il mio primo team relay.

«E’ impattante – conclude – sono 28 chilometri a tutta. Nelle cronometro individuali controlli lo sforzo, lì invece si sta al ritmo degli altri. Dopo una curva mi sono trovato a chiudere e mi è partito un male alle gambe incredibile. Ma ero talmente concentrato che ho guardato il tempo dopo un po’ ed erano passati già 16 minuti, mi sono rincuorato. Una volta finita la nostra staffetta siamo andati sul bus a lavarci e poi davanti alla televisione per seguire le ragazze. I miei battiti erano al medio, anche da seduto, ero troppo teso. Il tempo correva e quando il riquadro che mostrava il distacco della Germania è diventato rosso ci siamo sciolti in un urlo. Siamo andati incontro alle ragazze ed è iniziata la festa. Lo ripeto: è stata la vittoria di Paperino e di chi ha creduto in lui, a partire da Basso e Zanatta».

L’Italia domina anche nel Mixed Relay. Velo: «Merito di tutti»

13.09.2024
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Suona alto e forte l’inno di Mameli agli europei in Limburgo anche nel secondo giorno di gare. La prova del Team Mixed Relay è dell’Italia e Marco Velo sale ancora una volta sul gradino più alto del podio con i suoi ragazzi per un altro selfie d’oro. Forse quello più bello e che più rappresenta lo spirito azzurro.

La nazionale fa viaggiare sempre veloci le proprie bici quando passa sull’asfalto dell’autodromo di Zolder e dintorni. Il sestetto italiano non lascia scampo a quelli avversari. Domina fin dall’inizio. Al cambio della “staffetta” gli uomini lasciano un tesoretto di 50” alle ragazze, che lo amministrano sontuosamente dando tutto. Al traguardo esplode la festa azzurra. L’Italia è nuovamente campione d’Europa, dopo il titolo del 2021, davanti a Germania (a 17”) e Belgio padrone di casa (a 1’33”). Affini, Cattaneo, Maestri, Cecchini, Guazzini e Masetti sono gli artefici di una giornata indimenticabile che va oltre al risultato ottenuto.

Maestri, Cattaneo e Affini partono forte e guadagnano subito sulla Germania, la rivale principale
Maestri, Cattaneo e Affini partono forte e guadagnano subito sulla Germania, la rivale principale

Bottino prezioso

La due giorni di prove contro il tempo – individuali e a squadre miste – lascia in dote all’Italia due ori, un bronzo e un morale alto che possono fare da traino alle prove in linea. Marco Velo, cittì delle crono, appena terminata la Team Mixed Relay osserva con soddisfazione i suoi ragazzi e fa subito un’istantanea del momento.

«Non mi aspettavo – racconta al telefono – di poter chiudere gli europei a crono con queste medaglie. Oggi (ieri per chi legge, ndr) avevo buone sensazioni per la Mixed Relay, ma sapevamo che non era così facile. Abbiamo battuto la Germania che aveva una formazione molto ben attrezzata e avevo detto che avremmo dovuto fare attenzione a loro. La prova a squadre mi piace tanto perché c’è dietro un bel lavoro d’equipe. Questa medaglia d’oro per me ha un grande valore umano oltre che tecnico. Abbiamo rivinto l’europeo dopo tre anni senza un riferimento come Ganna e questo significa che siamo sulla strada giusta per la costruzione del gruppo».

«Già mercoledì – prosegue Velo – mi si era aperto il cuore vedere sul podio Edoardo e Mattia (Affini e Cattaneo, ndr) perché è bello lavorare con ragazzi di questo livello. Oggi sono stati tutti bravi. Una menzione speciale la faccio a Maestri e Masetti, che hanno dato il massimo alla prima chiamata con la nazionale elite. Mirco è andato forte e si è guadagnato la maglia anche per la prova in linea con Bennati. Gaia è stata bravissima. Lei voleva correre anche la crono individuale dopo il forfait di Pirrone, ma le ho consigliato di risparmiarsi per la Mixed Relay. E’ rimasta concentrata ed è stata una pedina fondamentale. Poi solite garanzie anche da Vittoria ed Elena (Guazzini e Cecchini, ndr)».

Al netto delle medaglie, vanno registrati due quinti posti con Guazzini e con gli juniores nel Mixed Relay. Bisogna poi scorrere gli ordini d’arrivo per trovare gli italiani, pagando dazio per la mancanza di crono tra i giovani. Le prove nelle altre categorie sono andate come ci aveva anticipato Velo alla vigilia della partenza per il Belgio, che però trova il modo di commuoversi per una telefona.

«Prima delle partenze di oggi mi ha chiamato Alice Toniolli per fare a me e ai ragazzi l’in bocca al lupo per le gare. Mi ha fatto tanto piacere sentirla e mi ha fatto davvero una bellissima sorpresa. La giornata era iniziata già bene».

Il terzetto femminile tedesco si fa sotto, ma Masetti, Guazzini e Cecchini amministrano il vantaggio con un grande finale
Il terzetto femminile tedesco si fa sotto, ma Masetti, Guazzini e Cecchini amministrano il vantaggio con un grande finale

Comfort zone

Oggi iniziano le gare in linea, ma il trionfo di ieri è ancora fresco. Sul podio e dietro si dispensano abbracci tra atleti e staff. Quante volte abbiamo detto che respirare il clima della nazionale fa bene a tutti? Velo conosce la risposta.

«A tutti i ragazzi – ci dice il cittì bresciano – ho detto che si sono meritati l’oro del Mixed Relay. Non abbiamo lasciato nulla al caso. Affini e Cattaneo hanno fatto le corse per essere qui arrivando dalla Vuelta. Guazzini non correva dalle Olimpiadi e su strada addirittura dal Giro Women. Tutti hanno fatto grandi sacrifici per la maglia azzurra.

«Ho sempre pensato – va avanti Velo – che la nazionale sia la comfort zone di tutti i collaboratori, oltre che degli stessi ragazzi. Pensate a loro. Quasi tutti corrono per squadre straniere, vivendo spesso anche all’estero durante l’anno. Stanno lontano dai loro affetti più cari e quando vengono in nazionale stanno bene, si sentono a casa. E’ una componente umana molto importante a mio avviso. E riflettendoci bene, questa situazione fa accrescere il rammarico di non avere un team WorldTour in Italia».

Affini, Cattaneo, Maestri, Guazzini, Masetti e Cecchini mostrano orgogliosi un oro dal grande valore umano come ha detto Velo
Affini, Cattaneo, Maestri, Guazzini, Masetti e Cecchini mostrano orgogliosi un oro dal grande valore umano come ha detto Velo

Ringraziamenti

Non c’è vittoria senza dediche e riconoscimenti e Marco Velo ci tiene a fare certe sottolineature. «In questi due giorni ho provato sensazioni incredibili, ma che non sarebbero state le stesse senza l’assistenza degli altri cittì, specie nelle categorie juniores. Li ringrazio tutti. Bennati, Amadori, Sangalli, Salvoldi ed inserisco anche sia Scirea che Villa. Sono tutti fondamentali e se arrivano i risultati come quelli di questi due giorni, è anche merito loro. Ora resto qua in Belgio per le prove in linea e mi metto a loro disposizione».

Raccagni chiude il cerchio con la Polti: da U23 a professionista

31.08.2024
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Il segno della continuità in casa Polti-Kometa porta il nome di Gabriele Raccagni, il corridore classe 2003 ha firmato un contratto di due anni con il team professional di Ivan Basso e Alberto Contador. Un cerchio che si chiude visto che il bresciano è passato under 23 proprio con il team di sviluppo nel 2022, ai tempi ancora Eolo-Kometa. Nonostante siano cambiati gli sponsor e di conseguenza il nome, Raccagni è rimasto continuando il suo percorso di crescita. Un cammino che lo ha portato ad un periodo da stagista, iniziato in Francia al Tour du Limousin, e proseguito con il contratto da professionista per le prossime due stagioni. 

Gabriele Raccagni (in foto a destra) ha esordito tra i professionisti al Tour du Limousin
Gabriele Raccagni (in foto a destra) ha esordito tra i professionisti al Tour du Limousin

Esordio tosto

Un primo assaggio del mondo che lo aspetta lì alla finestra, sul quale è bene prendere le prime misure per non arrivare impreparato. Il livello non era altissimo, visto che si trattava di una corsa di categoria 2.1, tuttavia sono stati quattro giorni davvero importanti per Raccagni

«Non nascondo – spiega subito – che alla vigilia ero parecchio nervoso riguardo al mio esordio con i professionisti. Per fortuna ho avuto al mio fianco dei compagni forti e in particolar modo empatici che mi hanno messo a mio agio e scortato passo dopo passo. Il Tour du Limousin è stata la prima gara ma ce ne saranno delle altre da qui a fine stagione. Mi sono sentito subito parte del gruppo, un fattore che ha contribuito a far sentire meno la fatica in gara, anche se di chilometri ne abbiamo fatti».

I ritmi alti in corsa e il tanto lavoro lo hanno messo subito “vento in faccia”
I ritmi alti in corsa e il tanto lavoro lo hanno messo subito “vento in faccia”
Arrivi dal team di sviluppo della Polti-Kometa con il quale hai corso spesso tra Spagna e Italia. Com’è andata in un ambiente diverso come la Francia?

Ci sono delle differenze rispetto alle corse in Spagna, innanzitutto tra i professionisti si “lima” di più. Complice anche il percorso diverso, nervoso e con tanti sali e scendi. In Spagna le gare hanno tutte le stesse caratteristiche più o meno, ovvero salite lunghe sulle quali si fa la differenza. Quelle spagnole sono competizioni lontane però dalle mie caratteristiche. 

In Francia invece hai trovato un ambiente più familiare?

Sono un corridore abbastanza veloce, quindi da under 23 mi sono trovato spesso a lavorare per i miei compagni, in particolare per i velocisti. Tra under e pro’ il ritmo gara è totalmente differente, nel primo caso si va a tutta dall’inizio alla fine. Nel secondo caso, invece, siamo davanti a una condizione di gara lineare: la fuga va via, viene ripresa e poi si va in crescendo. 

Qui alle spalle dei compagni di squadra che gli hanno insegnato a muoversi in gruppo
Qui alle spalle dei compagni di squadra che gli hanno insegnato a muoversi in gruppo
Quali sono le tue caratteristiche ideali di percorso?

Salite corte ed esplosive, strappi da fare a tutta dove si fa man mano la differenza. Penso di poter diventare sempre più competitivo, chiaro che serve lavorare e allenarsi con costanza. 

Che livello hai visto al Tour du Limousin?

Alto, nonostante non fosse una corsa di primo livello. E’ stato bello confrontarsi con corridori e squadre che solitamente ho visto solo in televisione. Sicuramente si va forte, ma non è nulla di irraggiungibile, tanto che insieme Samuel Marangoni stiamo lavorando già sui miei punti deboli. 

Quali?

Tenere sulle salite più lunghe e imparare a pedalare in agilità. Ho il vizio di indurire troppo il rapporto e Marangoni mi sta facendo fare tanti allenamenti ad alte cadenze.

Raccagni è nel team sviluppo dal 2022 e nel 2025 passerà ufficialmente professionista (foto Instagram)
Raccagni è nel team sviluppo dal 2022 e nel 2025 passerà ufficialmente professionista (foto Instagram)
Quanto è importante avere una continuità di progetto come nel tuo caso?

Tanto. Sono arrivato qui nel 2022 e in tre stagioni sono cresciuto molto. Ad esempio Marangoni mi segue dallo scorso anno, la fortuna è che mi seguirà anche da professionista. Mi conosce, sa come lavoro e non dover trovare un nuovo equilibrio è sicuramente un vantaggio. In generale con lo staff sarà così, l’unico che non so se ritroverò è il diesse, vista la chiusura del team U23 (in favore dell’apertura di una formazione juniores, ndr). 

In gruppo come ti sei comportato, qual è stato il tuo ruolo?

Prendere vento in faccia. L’ho fatto per anni con gli under 23 e lo farò anche con i professionisti al momento. Il mio caposaldo in Francia è stato Maestri, un ragazzo gentilissimo che mi ha aiutato a capire come muovermi in gruppo. Spesso, quando ero in testa a tirare, mi diceva di rallentare e controllare lo sforzo visto che nei giorni successivi avrei dovuto fare la stessa cosa. Avere accanto qualcuno così è un bel vantaggio. Voglio farvi un altro esempio sulla continuità.

Dicci.

Arrivare da una squadra di sviluppo ha fatto sì che il mio lavoro di supporto ai compagni fosse riconosciuto e valorizzato. La Polti-Kometa ha ripagato i miei sforzi e la mia dedizione, per questo li ringrazio. Ora non so bene il programma ma se tutto andrà per il meglio dovrei fare la Bernocchi e il Gran Piemonte. 

Alaphilippe eroico. Maestri che cuore. Uno vince, l’altro emoziona

16.05.2024
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Undici chilometri e mezzo al traguardo di Fano. I destini di Mirco Maestri e Julian Alaphilippe si dividono. Il francese scappa. L’italiano si stacca. Il Giro d’Italia però vive un capitolo bellissimo. Intenso. Profondo. Un capitolo scritto da due corridori che seppur in modo diverso sanno arrivare alla gente, al suo cuore.

Julian Alaphilippe (classe 1992) ha da poco staccato Mirco Maestri e s’invola verso Fano
Julian Alaphilippe (classe 1992) ha da poco staccato Mirco Maestri e s’invola verso Fano

Istinto Alaphilippe

Undici chilometri e mezzo al traguardo di Fano. Julien Alaphilippe, sta per dare l’ennesima svolta alla sua carriera. E’ un grandissimo di questo ciclismo moderno, ma non vince da quasi un anno. Problemi, polemiche, sfortune, errori… Qualche errore di valutazione lo aveva commesso anche durante questo Giro. Come a Napoli, dove lui stesso ci aveva confessato che forse sarebbe stato meglio muoversi dopo.

In tanti hanno pensato che avesse sbagliato ancora una volta. Muoversi a quasi 130 chilometri dal termine con il solo Maestri poteva essere un azzardo.

Ma il campione è così, Alaphilippe almeno. Tutto istinto. E l’istinto spesso porta a sonore porte in faccia. Ma se le porte non si chiudono, allora c’è l’impresa. Nonostante il gruppo della maglia rosa si fosse riavvicinato prepotentemente.

La Bahrain di Tiberi prima ha chiuso sul gruppo Hirt e poi ha provato ad aprire dei ventagli. Alla fine nulla di fatto nella generale
La Bahrain di Tiberi prima ha chiuso sul gruppo Hirt e poi ha provato ad aprire dei ventagli. Alla fine nulla di fatto nella generale

Dicevamo dell’istinto. Sentite le parole del corridore della Soudal-Quick Step: «No, non l’avevo programmato di partire solo in due e da così lontano. Mi aspettavo che un gruppo più numeroso si unisse a noi. Ma a quel punto ho detto a Mirco: andiamo!

«Maestri è stato davvero bravo, forte e abbiamo lavorato bene insieme. Anche lui meritava di vincere oggi. Però dai piedi dell’ultima salita ho dato tutto. Sono rimasto da solo e da quel momento è stato un andare a tutto gas fino al traguardo. Anche perché sapevo che Narvaez era dietro di me».

A Fano esplode la gioia di “Loulou”. L’ex iridato ora vanta almeno una tappa in tutti e tre i grandi Giri
A Fano esplode la gioia di “Loulou”. L’ex iridato ora vanta almeno una tappa in tutti e tre i grandi Giri

Tour, Vuelta e… Giro

La Francia porta a casa la terza vittoria di tappa in questo Giro d’Italia. E la Soudal-Quick Step la seconda. Il Wolfpack può così festeggiare. Tim Merlier, arrivato 140° a 13’16”, sul traguardo festeggiava come dopo una delle sue volate.

«So che i miei compagni di squadra – ha detto Alaphilippe – dietro hanno vigilato bene. E li ringrazio. Per i primi sessanta chilometri hanno controllato sia il percorso che la corsa. Dopodiché mi sono ritrovato davanti e mi sono concentrato sulla fuga».

Con questa vittoria Julian Alaphilippe sigla un altro record. Va aggiungersi all’elite di coloro che hanno vinto tappe in tutti e tre i grandi Giri.

«Era un mio sogno vincere una tappa qui al Giro d’Italia. Ed ora che si è avverato è fantastico».

Mirco Maestri (classe 1991) è stato da poco staccato da Alaphilippe. Narvaez ed Hermans lo stanno riprendendo
Mirco Maestri (classe 1991) è stato da poco staccato da Alaphilippe. Fano per lui si allontana

Cuore Maestri

Undici chilometri e mezzo al traguardo di Fano. Altra faccia della medaglia. Mirco Maestri vede infrangersi il sogno di vincere una tappa al Giro. Tutto il giorno in fuga con Alaphilippe, ma il passo del collega francese è troppo alto. E non può che essere così. Dietro Narvaez e company mordono.

La catena diventa un macigno. La strada s’impenna. Alaphilippe sparisce.

«In fuga con Alaphilippe… uno dei miei idoli. Uno che quasi ti vergogni a chiedergli la foto e oggi ci ho fatto una cavalcata… di quanto? Centotrenta chilometri?». Mirco Maestri ti fa emozionare anche quando racconta. «Alla fine ho contribuito anche io al suo successo in qualche modo. Sapevo che quello strappo sarebbe stato critico. Già ero al limite per le mie caratteristiche, perché comunque c’era un tratto al 18 per cento, figuriamoci dopo tutta quella fatica».

Maestri racconta della sua gestione. Ha dato grande impulso alla fuga e si è tenuto giusto qualche briciola di energia per lo strappo finale. Il corridore della  Polti-Kometa racconta come gli ultimi 300 metri di Monte Giove siano stati tosti, tosti. Sperava che meno gente possibile lo riacciuffasse.

«Al 99 per cento – prosegue Maestri – sapevo che sarebbe andata così. Ma cos’altro potevo fare? Alla fine arrivare più avanti possibile era un vantaggio anche per me. Primo, perché non si sa mai cosa può succedere. E poi perché fare secondo al Giro, per di più dietro ad un campione come Julian, non sarebbe stato poco. Senza contare che ad inseguirci c’erano nove uomini importanti. Quella di oggi era una fuga di qualità».

Alaphilippe e Maestri in fuga: sono partiti quando mancavano 126 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Alaphilippe e Maestri in fuga: sono partiti quando mancavano 126 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico

In fuga

Una fuga simile Mestri e il team la covavano già da un po’. Con Stefano Zanatta, il direttore sportivo, erano tre giorni che parlavano di questa tappa. Il diesse gli diceva che potevano provarci, anche perché Mirco stava bene. «Tutto sommato ho pedalicchiato, dai! In altre occasioni in una tappa così avrei preso 20 minuti». 

E infatti ha ricevuto i complimenti da parte di tutti, anche di Ivan Basso che gli ha inviato subito un messaggio. Ma oltre allo spettacolo va sottolineata anche la prestazione di Maestri. La media oraria finale è stata di 46,7 all’ora in una tappa che misurava 193 chilometri e 2.160 metri di dislivello.

«Era meglio che non me la dicevate la media! Siamo andati forte – riprende Maestri – Julian tirava nelle salite, che quasi mi staccavo, e io ci davo sotto in pianura. Sul computerino avevo la schermata della strada per vedere le curve e i chilometri all’arrivo, ma immagino viaggiassimo sempre tra i 50 e 52 all’ora. Per i traguardi volanti o i Gpm, non ci siamo parlati. Alaphilippe mi dava il cambio poco prima e io passavo. Sembravamo due compagni di squadra di lungo corso». 

E infatti… «Dopo l’arrivo Alaphilippe mi ha aspettato. Mi ha abbracciato e mi ha detto: “Questa tappa me la ricorderò tutta la vita”. E’ stata bellissima tutta questa cosa. Come detto, anche se siamo colleghi io tifavo per lui ai mondiali o nelle grandi occasioni, ed ero dispiaciuto nel vedere i problemi che ha avuto ad inizio stagione. Anche io questa giornata me la ricorderò per tutta la vita.

«Se ci riproverò? Certo, ma con la speranza di fare un po’ meglio. Non come prestazione, ma come risultato». 

Dopo Bonifazio, numeri e sensazioni di Maestri, andato in fuga

23.03.2024
5 min
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Ieri vi abbiamo parlato della Sanremo di Niccolò Bonifazio. Il corridore della Corratec-Vini Fantini era rimasto in gruppo e aveva corso “coperto”. Ciononostante abbiamo visto dati e tempi da capogiro. Stavolta analizziamo la Classicissima di Mirco Maestri, che invece è andato in fuga.

Il corridore della Polti-Kometa ha quindi preso tanta aria e ha corso in modo differente. E’ dunque interessante sapere come è stata gestita la sua gara. Di certo Maestri è stato più costante di Bonifazio, il quale ha dato tutto tra Berta e arrivo. Arrivo su cui Mirco è transitato in 44ª posizione a 1’16” da Philipsen. Quindi 42” prima di Bonifazio.

Mirco Maestri (classe 1991) era alla sua ottava Sanremo
Mirco Maestri (classe 1991) era alla sua ottava Sanremo
Mirco, insomma ancora una Sanremo in avanscoperta…

Su otto Classicissime a cui ho partecipato, sette le ho fatte in fuga. Stavolta all’inizio avevo delle sensazioni un po’ strane: il gruppo non ci dava grosso spazio, poi siamo andati, ma è stata una faticaccia. Credevo ci venissero a prendere prima della Cipressa. Mi sono dovuto dare da fare nella fuga.

Nel senso che hai tirato forte?

Intendo che mi sono fatto ascoltare perché c’era questa ansia di voler andare a tutta, perché avevamo solo un minuto e mezzo o due. Io gli dicevo: «E’ inutile spingere di più, perché l’andatura la fa il gruppo. E’ meglio che ci teniamo “le banane” nel sacco. Risparmiamo energie per quando scendiamo dal Turchino. Poi una volta sull’Aurelia diamo tutto quello che abbiamo». Il vento un po’ ci avrebbe aiutato. 

In effetti quel paio di minuti non era rassicurante come vantaggio…

Ma è così. E sempre agli altri in fuga dicevo: «Vedrete che comunque non ci vengono a riprendere presto. Non riapriranno la corsa a 150 chilometri dall’arrivo».

Il file della velocità (linea verde) tenuta da Maestri in relazione all’altimetria del percorso (in grigio). In basso il tempo di gara
Il file della velocità (linea verde) tenuta da Maestri in relazione all’altimetria del percorso (in grigio). In basso il tempo di gara
Insomma hai giocato d’esperienza…

Bisogna rischiare e fidarsi delle sensazioni. Poi avevo un compagno di fuga come Tonelli con il quale ci si conosce da una vita. Siamo stati bravi calcolatori. Ci siamo confrontati spesso ed è stata la scelta migliore.

Passo indietro: dicevi che le sensazioni non erano super nei primi chilometri: perché?

Venivo da una Tirreno impegnativa e da una Milano-Torino in cui forse non avevo recuperato benissimo, quindi non ero proprio tranquillissimo di testa. Avevo paura di non averne abbastanza perché conosco il livello e il dispendio energetico che ci vuole per questa corsa. Soprattutto se affrontata all’attacco. Però più passavano i chilometri, più stavo meglio. Sono una sorta di diesel e corse come la Sanremo sono ideali per me.

Mirco, parliamo invece un po’ di numeri: i battiti medi sono stati 124, quelli massimi 163. All’inizio salivano troppo o al contrario non salivano?

I battiti erano nel range. Però ci abbiamo messo una quindicina di chilometri ad andare in fuga ed è stato abbastanza stressante. Si andava veramente forte. Nella prima mezz’ora abbiamo fatto 54 di media. I primi 20-25 minuti sono stati tosti per andare in fuga. Ed ogni anno è peggio!

DATOVALOREDATOVALORE

Tempo
6h 15’43”FTP normalizzata w373

Km
285Watt Cipressa453
Velocità media
45,5 km/h
Watt Poggio438
Watt medi280FC media124
Watt max1.474FC max163
Watt sui 5′477Rpm medie89
Watt sui 10′453Calorie6.867
Watt sui 20′393Lavoro Kj6.225
La tabella con i dati forniti da Samuel Marangoni, coach di Maestri
Perché?

Perché le squadre dei grandi non solo vogliono un numero giusto di fuggitivi, ma non vogliono neanche che ci siano certi connubi di corridori. Chi può tenere troppo, collaborare. O essere pericoloso per il finale. Però anche loro ad un certo punto dovevano mollare. Altrimenti saremmo arrivati a Sanremo così!

Come hai gestito lo sforzo? Dai dati che ci ha fornito il tuo coach, Samuel Marangoni, si parla di qualcosa come 6.867 calorie.

Mi sono gestito molto a sensazione. Poi ammetto che i dati li ho visti dopo. Un po’ per non farmi condizionare, un po’ perché preferisco essere concentrato sulla gara. I battiti cardiaci per esempio non li metto mai nella prima pagina del computerino. Non li voglio vedere. Sentivo però che nei momenti di spinta, quando c’era da andare, la gamba rispondeva bene, vuol dire che i watt c’erano. E le spinte erano comunque sempre un po’ sotto controllo. In una corsa del genere devi controllarti altrimenti non ci arrivi al traguardo.

Si dice che sui Capi si capisce se un corridore sta bene o no. E’ così?

Vero, i Capi sono il primo banco di prova. E lì non menti, cominci ad avere un certo chilometraggio nelle gambe. Se lì non ne hai, si spegne tutto.

Sui Capi però aumentano vertiginosamente i watt…

Naturalmente, prima viaggi con un wattaggio costante, soprattutto se sei in fuga. Cerchi anche di spendere il giusto. Nella doppia fila classica hai dei momenti di più alto wattaggio quando sei in testa, ma poi lavori più basso. Sui Capi però passi a spingere in Z4 alta, anche Z5.

Maestri sulla Cipressa a ruota di Tonelli. Uno sforzo monster, ma la fuga ha tenuto botta grazie all’ottima gestione del passo
Maestri sulla Cipressa a ruota di Tonelli. Uno sforzo monster, ma la fuga ha tenuto botta grazie all’ottima gestione del passo
E sulla Cipressa?

Lì dai tutto quello che resta. Il tuo corpo ti dà una pacca sulla spalla e ti dice: «Non abbandonarmi!». Davvero il fisico non ne può più. Quest’anno ho avuto una giornata particolarmente buona, anche perché quando mi hanno ripreso dopo la Cipressa, col fatto che era partito il mio compagno Bais, sono riuscito a gestire e a “recuperare” prima del Poggio. In questo modo ho avuto un po’ più di gamba. Su quello strappo ormai si sale a 40 all’ora (la media di quest’anno è stata di 39,8 km/h, ndr) e l’ultimo tornante l’ho preso un po’ troppo esterno. Ho dovuto frenare ma a quel punto non sono più riuscito ad alzarmi in piedi. 

Parliamo di cadenze, ci si bada in una corsa tanto lunga come la Sanremo?

Come per le altre corse. Chiaro che se riesci ad essere un po’ più agile prima, tanto meglio visti i tanti chilometri. Salvi la gamba e nel ciclismo di oggi conta moltissimo. Io tendo ad andare abbastanza duro, però stare in fuga e girare regolari mi ha aiutato in tal senso e infatti un filo più agile del solito sono andato. Diciamo che il top è pedalare tra le 90-95 rpm. E’ stato così anche una volta sull’Aurelia, ma con un dente o due più duri.

E sulle salite?

Sulla Cipressa salivo a 80-85 rpm. Non so con che rapporto, ma con la corona grande, il 54, di sicuro. Ormai tutte le salite le facciamo a 30 all’ora o più. E in quasi tutte le corse si va via di 54.

Basso e una fuga che meritava più risalto

21.03.2024
5 min
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«Mi dispiace molto che l’azione dei miei tre ragazzi, sabato alla Milano-Sanremo, sia passata così sotto silenzio. Si guarda sempre e solo al risultato finale, all’ordine d’arrivo dimenticando che il ciclismo è impegno, prestazione, ha tanto altro da dire». Sono sferzanti le parole di Ivan Basso, il manager della Polti-Kometa anche a distanza di qualche giorno dalla Classicissima, dove Andrea Pietrobon, Davide Bais e Mirco Maestri hanno costruito un’azione durata ben 250 chilometri, in compagnia di altri 8 corridori (tra cui, è giusto sottolinearlo, un altro trio dello stesso team, la Corratec-Vini Fantini con Baldaccini, Conti e Tsarenko).

Una fuga dove c’era la chiara sensazione che nulla fosse stato lasciato al caso, ma che anzi era la messa in pratica di un progetto partito da lontano: «Noi abbiamo presentato alla Sanremo una squadra con un velocista come Lonardi che aveva il compito di tenersi il più possibile attaccato agli altri sprinter del gruppo, poi un manipolo di attaccanti. Dovevamo ritagliarci uno spazio in una gara molto particolare, perché ha un copione già scritto».

Per Basso l’azione dei 12 ragazzi alla Classicissima non è stata considerata nel dovuto modo
Per Basso l’azione dei 12 ragazzi alla Classicissima non è stata considerata nel dovuto modo
In che senso?

A differenza di tante altre corse, la Milano-Sanremo è come se avesse un copione prestabilito. Alla vigilia tutti dicevano che la Uae avrebbe cercato di far selezione per lanciare Pogacar, che Tadej e Van der Poel avrebbero cercato di fare la differenza sulla Cipressa o sul Poggio e che la corsa si sarebbe risolta o nella sfida a due o con un manipolo ristrettissimo di corridori. E così è stato, la trama è stata rispettata. Noi in questa lettura dovevamo ritagliarci un nostro spazio e potevamo farlo solo con la fuga a lunga gittata.

Perché dici che alla vostra azione non è stato dato il giusto risalto?

Perché ormai le fughe vengono date per scontate, ma non è così. C’è un metodo per andarci e devi impararlo, faticando, correndo, prendendo vento in faccia. Non è facile, non è scritto che la fuga parta e soprattutto con chi. I ragazzi sono stati bravissimi, già dopo 15 chilometri hanno beccato l’azione giusta anche con altri corridori dalle caratteristiche simili. Non è un caso ad esempio se nella stessa fuga c’erano Maestri e Tonelli, lo avevano fatto anche lo scorso anno, perché hanno quel tipo di fiuto.

Maestri e Pietrobon. L’azione del team era stata pianificata alla vigilia della corsa
Maestri e Pietrobon. L’azione del team era stata pianificata alla vigilia della corsa
Che valore ha avuto una fuga così lunga?

Altissimo perché ha dato un’impronta alla corsa. In quel gruppo di 12 coraggiosi c’erano corridori molto bravi, forti e non è un caso se il gruppo non ha permesso che si raggiungessero grandi distacchi, li ha sempre tenuti a tiro. Quell’azione ha costretto i team a lavorare sempre, per tutta la gara e quindi ha anche influito sul loro rendimento nel corso della giornata.

Pensi che abbia influito anche sulle strategie di corsa del team più forti? Ad esempio la Uae che doveva rendere la corsa dura prima che Pogacar partisse…

Questo non lo credo, squadre simili sono attrezzate a tirare per tutta la giornata come si vede sempre nei grandi Giri. Sanno come affrontare queste giornate, alla fine la trama di cui sopra si è comunque svolta senza grandi sorprese, ma certamente ha caratterizzato la corsa.

Un’altra fuga lunghissima per Davide Bais, ripreso solo poco prima del Poggio
Un’altra fuga lunghissima per Davide Bais, ripreso solo poco prima del Poggio
Ti aspettavi che Bais arrivasse così lontano, fino quasi all’imbocco del Poggio?

Questo è un tema che mi preme molto affrontare. Davide è un corridore italiano che sta maturando, che si sta caratterizzando per la sua capacità di andare in fuga. Si sta costruendo come atleta. Se prendi vento in faccia ti aumenta l’autostima. Oggi ti prendono a 15 chilometri dall’arrivo, domani a 10 ma verrà il giorno che al traguardo ci arrivi e lui l’ha già dimostrato al Giro d’Italia. Quando però avviene, non è un caso e non c’è da stupirsi. C’è da capire che anche quella vittoria sarà stata frutto di strategia, di un lavoro partito da molto lontano. Maestri ci aveva provato alla Tirreno-Adriatico, ci ha riprovato alla Sanremo e ci riproverà. Quando ci riuscirà (e io ne sono sicuro), sarà frutto di tutte queste occasioni che non sono andate a vuoto, non sono state tempo sprecato, anzi.

Secondo te quali erano le condizioni perché la fuga arrivasse?

Serviva innanzitutto una sottovalutazione da parte delle altre squadre, di quelle principali, ma c’erano diesse molto esperti, che infatti hanno subito sollecitato i loro ragazzi a mettersi all’opera tenendola vicina. Poi che ci fossero condizioni climatiche adatte. Se ci fosse stato un forte vento a favore soprattutto sulla costa, quando si arrivava ai meno 30, allora per il gruppo sarebbe stato complicato rimettere le cose a posto. Ribadisco, a volte le fughe arrivano, non vanno prese sottogamba e soprattutto vanno valutate nel dovuto modo, dando il giusto risalto a chi le compie. Io ricordo che avevo un compagno che proprio grazie alle fughe è diventato famoso, Jens Voigt, perché di corse ne ha vinte così e anche corse di spicco.

Anche la Corratec-Vini Fantini ha piazzato 3 corridori in fuga
Anche la Corratec-Vini Fantini ha piazzato 3 corridori in fuga
Questa delle fughe sta diventando un vostro marchio di fabbrica?

Sì, ma non siamo solo questo. Io ho davanti agli occhi i numeri pazzeschi che Pietrobon, Bais e Maestri hanno realizzato sabato, mettono dentro cavalli nel motore e se li ritroveranno più avanti. Io dico che il loro rendimento rispecchia questa prima parte di stagione.

Com’è stata secondo te?

Molto positiva. Abbiamo realizzato il quadruplo dei punti Uci rispetto allo scorso anno, con 3 vittorie. Ma io guardo anche oltre: quando fai doppia attività e vedi che ottieni risultati in contemporanea significa che la squadra funziona e non parlo solo dei corridori, ma di tutto lo staff. Siamo cresciuti in maniera esponenziale, abbiamo perso elementi importanti in campagna acquisti come avevo sottolineato, ma ne abbiamo presi altri validissimi e soprattutto stiamo valorizzando i nostri talenti coltivati piano piano. Guardate Piganzoli com’è andato alla Tirreno… Diamo valore alle prestazioni, non solo ai risultati, anche perché se a vincere sono sempre gli stessi, gli altri che cosa devono fare? Il ciclismo è qualcosa di molto più complesso che uno stringato ordine d’arrivo.

Dietro le quinte del successo di Piganzoli. Ellena racconta

13.02.2024
5 min
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«Noi abbiamo dei corridori di qualità – aveva detto Giovanni Ellena, uno dei diesse del Team Polti-Kometa, all’indomani delle wild card per il Giro d’Italia – che stanno crescendo e siamo convintissimi che faranno grandi cose».

Era il 27 gennaio e appena 15 giorni dopo, Davide Piganzoli, da lui guidato in Turchia, ha vinto il Tour of Antalya: la prima vittoria da professionista e la prima vittoria per la squadra che da quest’anno ha trovato sul suo cammino l’energia e l’entusiasmo coinvolgente di Francesca Polti. E forse proprio questa forza ha reso tutta la squadra più elettrica e consapevole di poter recitare in un ruolo di caratura superiore. Ma leggere nelle ore di Piganzoli e di tutto il team che di colpo si è trovato a difendere il primato dagli attacchi nell’ultima tappa, è qualcosa che passa per forza dal racconto di Ellena.

«Sapevamo che Davide stesse andando forte – racconta il piemontese dal treno che lo riporta a casa dall’aeroporto – ma forse non a questi livelli. Si pensava a fare bene, in realtà è andata anche meglio. La squadra si è mostrata molto unita, prima supportando Lonardi, poi correndo in difesa della maglia di leader e non era scontato che fosse in grado di farlo. Domenica, quando Tudor e Uno X hanno accelerato, il gruppo si è rotto. L’avevamo previsto, specialmente da parte di Tudor, perché era senza il velocista. Sapevamo che avrebbero provato, abbiamo avuto un momento di difficoltà e abbiamo dovuto stringere i denti. I ragazzi sono stati bravissimi a non mollare. Anche quando negli ultimi 20 chilometri c’erano quelli che facevano i furbi per vincere la tappa, mentre gli attaccanti avevano ancora 1’40” con dentro uno che aveva 39″ in classifica…».

Ellena racconta che nell’ultima tappa, il Team Polti-Kometa ha dovuto fronteggiare l’attacco di Tudor e Uno X, ma è parso super compatto
Ellena racconta che nell’ultima tappa, il Team Polti-Kometa ha dovuto fronteggiare l’attacco di Tudor e Uno X
Ci avevi raccontato di non conoscere ancora Piganzoli, che è un corridore di Zanatta. Dopo questa vittoria che idea ti sei fatto di lui?

Sta prendendo consapevolezza, quindi è già una cosa importante. Confermo che lo conoscevo poco e sabato ha osato, partendo anche troppo presto. Ha attaccato ai 3,5 chilometri, ma se fosse partito ai meno 2 sarebbe stato più che sufficiente. Vuol dire che sta prendendo consapevolezza di quello che è, mentre prima magari era più attendista. Bene che stia facendo queste prove, ci sta alla grande.

Agli occhi della squadra inizia a essere un leader? Basso ha detto che il capitano è Maestri…

Maestri è il capitano che sa gestire la squadra. Però in Piganzoli riconoscono l’uomo per la salita, assieme a Paul Double, che al momento ha più alti e bassi, ma in salita può andare forte. Maestri è quello che in corsa ha il controllo di tutto. A volte parlo direttamente con lui. A un certo punto c’era da dire a Fetter di tirare, ho chiesto a Maestri di prendere in mano la situazione e di dirglielo lui. E Mirco questa cosa sa farla alla perfezione. 

Prima vittoria da professionista per Piganzoli: bene la gioia, ma la sera quali tensioni? Per Ellena ha ben dissimulato
Prima vittoria da professionista per Piganzoli: bene la gioia, ma la sera quali tensioni?
Invece Piganzoli sotto stress come l’hai visto?

Diciamo che non eravamo al Tour de France, però in ogni caso era una gara di professionisti, con due squadre WorldTour e un livello discreto. L’ha mascherata, deve ancora imparare a gestire la tensione, però intanto è andata bene. Chiaramente si è trovato di fronte alla prima vittoria importante della sua carriera, quindi non posso pensare che non avesse stress, perché qualcosa abbiamo intravisto, però l’ha dissimulato davvero bene.

Hai detto che è partito troppo presto: significa che comunque quel giorno avevate in testa di fare la corsa?

Si sapeva che potevamo provare a fare qualcosa, con Piganzoli e con Double. Avevamo visto che gli ultimi 2 chilometri erano i più duri e si era detto di non aspettare che partissero gli altri, ma neanche partire noi troppo presto. Invece lui si vede che aveva la gamba, si sentiva bene ed è partito. Fra l’altro è arrivato con la ruota posteriore bucata, quindi è andata doppiamente bene.

Maestri, qui al via dell’ultima tappa dall’acquario di Antalya, è stato il perfetto capitano in corsa
Maestri, qui al via dell’ultima tappa dall’acquario di Antalya, è stato il perfetto capitano in corsa
E’ solo un’impressione che in squadra sembri esserci un morale più alto che in passato?

C’è più voglia di correre senza subire. Per quello che è il mio ruolo, dato che sono l’ultimo arrivato, questa è l’impostazione che ci siamo dati. In particolare al Tour of Antalya siamo andati sapendo che ci sarebbero stati dei momenti in cui prenderci la responsabilità della corsa e avremmo dovuto avere il coraggio per farlo. E poi comunque si comincia dalle corse più piccole e si prende consapevolezza, glielo dico sempre. Anche quando va via la fuga, bisogna restare insieme. Perché se le grandi squadre ci vedono tutti sparsi, non ci rispettano. Ma se capiscono che la Polti-Kometa corre compatta, in gruppo ci sarà più rispetto e ci lasceranno anche spazio.

Restando al discorso fatto due settimane fa, che cosa potrebbe fare ragionevolmente un Piganzoli alla Tirreno-Adriatico?

Secondo me parliamo di due livelli completamente diversi, però è anche giusto che qualcosina si possa provare, per vedere fin dove può arrivare e sondare i suoi limiti. Con la stessa mentalità con cui abbiamo corso ad Antalya, cioè cercando di non subire la corsa. Chiaro che dire di voler fare risultato alla Tirreno-Adriatico è una bestemmia, però non vorrei vederci in coda al gruppo a sventolare.

Per Ellena, maglia con Dedica da parte di PIganzoli alla fine del Tour of Antalya
Per Ellena, maglia con Dedica da parte di PIganzoli alla fine del Tour of Antalya
Come è stata la reazione della squadra per la prima vittoria?

Tutti super felici, nella nostra chat siamo impazziti per la soddisfazione. Per me poi è stato uno scarico di tensione non indifferente dopo tutto quello che ho passato nell’inverno (a causa di una caduta in montagna, Ellena ha rischiato di rimanere paralizzato, ndr). Mi è sembrato di essere tornato al 2016, quando avevamo Bernal. Mi sono ritrovato a gestire una corsa, senza voler fare confronti fra i due, perché significherebbe caricare Piganzoli di una responsabilità enorme.

Paragone importante, in effetti…

Però mi sono ritrovato di nuovo a gestire la squadra in un certo modo, a prenderci la responsabilità della corsa ed era un bel po’ che non mi capitava. In realtà il collegamento fra i due non è così peregrino, perché Egan in quel periodo non era famoso, veniva dalla mountain bike e aveva corso pochissimo su strada. Ma restiamo cauti, continuiamo sulla strada che abbiamo scelto, che è quella giusta.

Le fughe della Sanremo: l’esperienza di Tonelli e Maestri

22.03.2023
6 min
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Nella fuga della Milano Sanremo si sono ritrovati gomito a gomito due atleti che di esperienza, nell’anticipare il gruppo, e non solo, ne hanno tanta. Si tratta di Mirco Maestri e di Alessandro Tonelli, due corridori che di chilometri in testa alla corsa ne hanno messi tanti nelle gambe. I due ora si trovano rispettivamente alla Eolo-Kometa ed alla Green Project-Bardiani, ma in precedenza hanno condiviso la stessa maglia della formazione di Reverberi.

Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019
Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019

Maglie diverse, stessa situazione

Maestri e Tonelli, insieme agli altri sette corridori, si sono sciroppati 259 chilometri di fuga alla Sanremo. Una giornata in avanscoperta ma con le ore contate, una specie di “bomba ad orologeria” pronta ad esplodere. Insieme a loro scopriamo come si gestiscono e cosa si fa in una fuga così particolare come quella della Classicissima di Primavera. 

«L’avevo fatta in fuga dal 2016 al 2019 – attacca Maestri – poi per motivi diversi negli ultimi anni prima non ho partecipato e poi, l’anno scorso, ho corso in gruppo a sostegno di un mio compagno. Devo dire che una Sanremo dove la fuga prende solamente tre minuti non me la ricordo, eppure siamo andati forte, ma da dietro non ci hanno lasciato spazio. Nel 2016, per esempio, eravamo in undici e siamo arrivati a più di dieci minuti di vantaggio. Rispetto alle edizioni precedenti quest’anno abbiamo anche fatto fatica a portare via il gruppetto degli attaccanti. Infatti, io e Alessandro (Tonelli, ndr) ci siamo avvantaggiati subito ed abbiamo aspettato l’arrivo degli altri.

«Si è trattata di una mossa di esperienza – gli fa eco l’amico Tonelli – abbiamo preso quei quindici secondi sul gruppo che ci hanno fatto comodo. Una volta che il gruppo ha rallentato noi ci siamo fermati, letteralmente, ad aspettare i contrattaccanti. Quest’anno, rispetto alle edizioni precedenti, la fuga è andata via con tanta difficoltà anche a causa del cambio di percorso. Con la partenza da Abbiategrasso i primi 30 chilometri erano completamente differenti e c’era un po’ di timore».

Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga
Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga

La gestione

Quella della Sanremo sembra una fuga scontata, dove il gruppo ti tiene nel mirino e con due pedalate, nel momento clou, ti riprende. Ma dal racconto di Maestri e Tonelli non pare proprio così, anzi.

«La Sanremo – spiega Paperino Maestri – è una corsa nella quale non si sa mai. In gruppo diventa molto più stressante rispetto al correrla in avanscoperta, devi sempre limare e anche a tanti chilometri dall’arrivo sale lo stress. Alla fine vengono fuori due corse completamente differenti. Vi faccio un esempio: sul Turchino noi davanti andiamo forte ma non a tutta, mentre in gruppo si apre di più il gas. Questo perché la discesa che porta a Genova è insidiosa e in mezzo al gruppo si rischia e non poco (anche quest’anno, infatti sia in salita che in discesa ci sono state due cadute, nella prima è stato coinvolto Alaphilippe, ndr).

«Poi una volta arrivati sul mare inizia un’altra corsa, in fuga si va a tutta e cerchi di prendere più vantaggio possibile. La speranza è quella di arrivare sul mare con 5 minuti di vantaggio, così sei abbastanza sicuro che vieni ripreso a metà Cipressa, per cercare di rimanere agganciato ed arrivare nel finale davanti. A me non è mai successo, a Tonelli, fortunato lui – dice ridendo – sì, anzi lui è stato ripreso sul Poggio l’anno scorso!». 

«Non è così semplice – replica il corridore della Green Project – siamo consapevoli del fatto che verremo ripresi, ma per motivi diversi conviene andare avanti. Io preferisco anticipare perché sono consapevole che riesco a gestire meglio lo sforzo se lo affronto con più costanza. Nel 2018, l’ultimo anno che l’ho fatta in gruppo, sono arrivato dopo la Cipressa che ero finito. In questi anni sono riuscito a gestirmi bene, tant’è che sono arrivato fin sul Poggio lo scorso anno. A Mirco devo una fuga fino a lì, ci ha provato, ma non è mai riuscito».

Quest’anno i fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio
I fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio

Anticipare e “sperare”

Quella della Sanremo non sarà una fuga di anticipo come quella della Roubaix, in cui dal gruppo in avanscoperta può uscire il vincitore della corsa. Tuttavia anticipare il gruppo può portare i suoi frutti.

«Ormai – dice il corridore della Eolo – anticipare e fregare il gruppo è diventato difficilissimo. Qualche anno fa non c’era tutta questa conoscenza anticipata delle condizioni di gara, il vento era la più grande incognita e tu andavi in fuga sperando giocasse a tuo favore. Perché, se lo hai alle spalle, è tutto un altro programma. Sai che il gruppo non può guadagnare troppo tempo nel breve periodo. Negli ultimi anni, ormai, si sa tutto prima, anche la direzione del vento quando si arriva sul mare. Io quando vado in avanscoperta non penso mai al fatto che sia un’operazione “suicida”, ma credo sempre di poter fregare il gruppo. Altrimenti, se non parti convinto di testa, è meglio che stai indietro».

La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino
La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino

L’avviso di Mosca

La Trek Segafredo è una delle squadre che si è incaricata in primis di gestire l’inseguimento. Uno dei volti che appariva sempre nelle prime posizioni del gruppo era quello di Mosca, mai fuori dai primi dieci fino ai Capi. Insomma, per il corridore piemontese più di 200 chilometri ad inseguire. 

«Parlavo con lui prima del via – spiega Tonelli – e mantenere la fuga sotto controllo era parte del programma. L’anno scorso sono andato così tanto avanti, perché abbiamo giocato bene le nostre carte e sfruttato il vento a favore una volta arrivati sul mare. Quest’anno c’era ancora una volta il vento a favore, ma dietro hanno tirato costantemente in quattro e non siamo riusciti a prendere vantaggio. In fuga devi giocare sull’esperienza, è un braccio di ferro psicologico, non di forza bruta.

«Se vedi che il gruppo fin da subito ti tiene a tre minuti tu stai lì e gestisci lo sforzo. Poi nelle zone favorevoli, come il passaggio da Genova dove il gruppo si ferma, dai gas e provi a guadagnare tempo. Nel ciclismo moderno non ci sono più grandi occasioni per i fuggitivi della prima ora. Anche alla Tirreno negli ultimi anni sarà arrivata una sola volta la fuga al traguardo. Ma due corridori esperti come noi due non si fanno demoralizzare e ci proveranno sempre».

Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile
Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile

I pitstop

Una cosa che si nota in una gara da quasi 300 chilometri sono i continui pitstop, soprattutto nella prima parte di corsa. I corridori del gruppo si fermano spesso per i propri bisogni e hanno più tempo per gestirsi. In fuga, invece, il tempo e lo spazio sono contati. Sabato, alla Classicissima, il giovane francese della Tudor: Aloi Charrin, ha fatto un piccolo scatto per avvantaggiarsi e fermarsi

«E’ un’abilità anche quella – dice Maestri- io nel 2019, alla Tirreno, quando ho vinto la maglia della classifica a punti, ho imparato a fare i bisogni mentre sono in bici. Non è semplice, però ti lanci, fai e perdi molto meno tempo che a fermarti. Alla Sanremo, però, il ragazzo della Tudor non era capace e la situazione stava diventando un’agonia. Così gli abbiamo detto di fermarsi e che lo avremmo aspettato. Diciamo che fermarsi sul Turchino non è stata la mossa migliore, ma alla fine cambia poco scendere da 3 minuti a 2’30”. Tanto il gruppo non aveva intenzione di riprenderci a 150 chilometri dall’arrivo».