Selva, il Covid, il grosso rischio e il pericolo scampato

15.02.2025
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Avevamo lasciato Francesca Selva alla fine di dicembre nei panni di coach per il compagno Oscar Winkler e dopo l’idoneità agonistica ricevuta dopo un allarme fisico. In realtà poi, era stata lei su Instagram a raccontare in maniera più approfondita la natura del problema, parlando di una miocardite da Covid. Uno dei mali tipici del nostro tempo che si è portato via ben più di un corridore e ha costretto altri a chiudere la carriera.

Francesca l’ha vista brutta e deve la vita all’intervento del suo cardiologo. Questo l’ha prevedibilmente spaventata. Si è presa un lungo periodo di stop. E adesso che ha ricominciato ad allenarsi, chiederle di parlarne è il modo per esorcizzare quel che è accaduto e far riflettere chi potrebbe trovarsi o essersi trovato inconsapevolmente nella stessa situazione. Il punto di partenza è il Covid, asintomatico e sottovalutato.

Francesca Selva, veneziana di 25 anni, al momento di trova a Noto per allenarsi su strada e in pista. Ha iniziato a frequentare la pista siciliana dal 2018 e vi è di casa. Al punto che essendo occupata la casa in cui era solita fare i soliti ritiri invernali, ha scelto di alloggiare nella foresteria del velodromo Paolo Pilone. Nel momento in cui l’Italia è sotto un rigurgito d’inverno, il sole e gli oltre 20 gradi di Sicilia sono un bel modo per farsi venire la voglia di pedalare.

Francesca Selva ha 25 anni e svolge la preparazione invernale in Sicilia sin dal 2018
Francesca Selva ha 25 anni e svolge la preparazione invernale in Sicilia sin dal 2018
Racconta, Francesca: che cosa ti è capitato?

Ho sempre sofferto di aritmie quindi sapevo già cosa volesse dire averne una, perché quelle più forti riesci a percepirle. E’ successo però che a inizio ottobre ho preso il Covid, ma senza saperlo. L’ho capito dopo tutta questa storia, perché ho riconosciuto i sintomi. Quei 2-3 giorni di febbre poco sopra i 37 gradi. Non gli avevo dato peso perché un paio di giorni prima avevo fatto per due volte cinque ore sotto la pioggia, quindi pensavo di aver preso freddo. Classico dell’autunno, no?

Invece cosa stava succedendo?

Il giorno in cui mi sono svegliata con quella poca febbre, avevo da fare ancora cinque ore, con dei lavori neanche particolari in zona 3, un po’ più del medio. Ho provato a farne uno in salita e mi sono fermata dopo una trentina di secondi perché non riuscivo a respirare. Sono andata in affanno, però era umido, pioveva e mi sono detta che potesse dipendere da quello. Era il terzo o quarto giorno di carico, quindi ho continuato.

E hai fatto le cinque ore?

Più di cinque ore, da sola. Un bell’allenamento, solo che non riuscivo a fare i lavori perché se spingevo, andavo in affanno. Come se uno mi stesse tenendo la gola e mi impedisse di respirare. Non gli ho dato peso, ma il giorno dopo mi è venuta ancora la febbre e ho ricollegato quella difficoltà al fatto che stessi incubando l’influenza. Mancava una decina di giorni ai mondiali in pista. Sono andata in Danimarca, poi mi sono spostata a Londra per correre la Tre Giorni e lì davvero mi sono accorta che qualcosa non andava. Nella normalità stavo bene, però appena abbiamo iniziato a correre la prima madison, non riuscivo neanche a tenere le ruote di quelle che si staccavano. Ero completamente in affanno, una sensazione stranissima.

Selva ha concluso la stagione invernale alla Sei Girni di Brema insieme a Veronika Bartonikova (foto Instagram/Frontalvision)
Selva ha concluso la stagione invernale alla Sei Girni di Brema insieme a Veronika Bartonikova (foto Instagram/Frontalvision)
Poteva dipendere da una condizione non buona?

Il livello non era astronomico, c’erano la Guazzini e la Consonni, però a ruota ci potevo stare senza problemi. Invece faticavo e non capivo perché. La cosa strana è che le altre scendevano di bici con 160-170 battiti medi e io invece ne avevo 190, con picchi di 210 che non ho mai avuto in vita mia. Finché una settimana dopo, mentre mi allenavo su strada in un tratto di discesa, mi è sembrato di sentire un’aritmia. Ho guardato per vedere i valori e il cardio segnava zero, come se si fosse scollegato. Poi, appena si è ricollegato, segnava 195 battiti, nonostante non stessi neppure pedalando.

Sei andata da un medico?

No, ho continuato a correre, anche perché la stagione invernale è quella degli ingaggi migliori. Ho pensato che il mio corpo avesse bisogno di riposo. Non avendo pensato che quella febbre potesse essere Covid, ma fosse solo un’influenza: non dicono tutti questo? Così sono andata a correre a Copenhagen. Andavo meglio che a Londra, però ugualmente non recuperavo, tanto da chiedere alla mia compagna di fare i doppi turni nella madison. E alla fine, era novembre, sono andata dal mio cardiologo, che si chiama Marco Moretti, per fare la visita di idoneità, che in ogni caso mi sarebbe scaduta a gennaio.

Dicevi di avere familiarità con le aritmie?

Esattamente. Infatti da quando mi segue lui, tutti gli anni facciamo l’holter, l’ecografia e tutto quello che serve. E per fortuna questa volta, nella fase di recupero dopo la prova da sforzo, mi sono venute in serie delle extrasistole doppie e triple. Lui si è allarmato e io con lui, anche se da un lato mi sono sentita sollevata perché voleva dire che c’era un problema e non che fossi diventata di colpo la più scarsa di tutte. Però il sollievo è durato poco…

In questi giorni siciliani, con Francesca c’è il compagno Oscar che a breve volerà in Turchia per la Nations Cup
In questi giorni siciliani, con Francesca c’è il compagno Oscar che a breve volerà in Turchia per la Nations Cup
Che cosa ti ha detto il medico?

Mi ha spiegato che una cosa simile era già successa ad altri atleti, ciclisti e calciatori, che non hanno fatto una bellissima fine. Ho rischiato e non so cosa sarebbe successo se avessi continuato, ma sono contenta di non saperlo. Secondo lui si è trattato della classica miocardite da post-covid e la conferma l’abbiamo avuta ricostruendo i vari passaggi di quella febbre che ho sottovalutato, allenandomi e poi andando a correre. Io mi sono fermata, altri sono stati spinti a correre dalle loro squadre e hanno chiuso la carriera. Per fortuna, il cardiologo mi ha detto che il modo più sicuro di guarire fosse riposare e da lì mi sono fermata.

Riposo assoluto?

Ho continuato solo con un po’ di palestra, perché nella mia testa c’era l’idea di fare le Sei Giorni, ma c’è voluto un mese di stop per riavere l’idoneità. Poi per fortuna qualche gara l’ho fatta, ma dicendo sempre con grande sincerità alle mie compagne, che il mio livello non sarebbe stato quello di prima. Fra l’altro ho dovuto lasciare libera Amalie Winther Olsen, la mia compagna di sempre, che quest’inverno ha chiuso la carriera e mi sarebbe piaciuto scortarla. Ci tenevo tanto, ma non sarei stata in grado.

Come si fa a ripartire e scacciare la paura?

Cerco di stare con i battiti bassi, perché non ha senso stressare il cuore. Appena mi alzo sui pedali per fare un cavalcavia, la fatica è tanta, perché dopo un mese ferma a livello aerobico sono praticamente a zero. Adesso mi sto riabituando, però nelle prime uscite sentivo che il battito era pesante e mi chiedevo se fosse così anche prima. Ho passato un mese di transizione, in cui cercavo di non stancarmi neppure a salire le scale. Un po’ di paranoia, comunque di paura. L’ansia di riposare, di stare ferma, di non fare niente perché non volevo assolutamente che succedesse qualcosa di irreparabile.

Nel 2023, Francesca Selva ha preso parte alla Champions League, anche quella volta con qualche problema di salute (foto SWpix.com)
Nel 2023, Selva ha preso parte alla Champions League, anche quella volta con qualche problema di salute (foto SWpix.com)
Hai mai pensato di mollare il ciclismo?

Diciamo di no. All’inizio ero arrabbiata. Pensavo: “Sono un’atleta e ho rischiato di fare un infarto, dovrei essere l’esempio di persona che fa la vita attiva, mangia bene e si allena e invece stava per succedere anche a me”. Quando ho parlato col dottore, fra le ipotesi che mi sono vista davanti c’era anche che non avrei potuto fare più alcuno sport. Per me sarebbe stato ancora più pesante, perché fin da bambina non sono mai stata ferma. Per questo ho accettato di fermarmi. Ho fatto un mese completo di stop per fare un reset del corpo, sperando che questo poi mi permetta anche di migliorare il mio livello. E così riparto dalla Sicilia, pensando a cosa sarebbe potuto accadere se non fossi andata dal medico e avessi insistito a correre pensando di aver avuto soltanto un’influenza. Insomma, l’ho davvero scampata bella…

Abbiamo perso il conto degli atleti e degli ex atleti che sono morti inspiegabilmente per problemi cardiaci. Alcuni, come Sonny Colbrelli, sono arrivati a un passo dal farlo. Altri, come Francesca Selva, sono stati fermati prima che il problema divenisse irreparabile. Con la solita superficialità adesso qualcuno dirà di smetterla con la favoletta del Covid, pensiamo che invece sia acclarata la necessità di approfondire le visite di idoneità. Perché la superficialità con cui si può spiegare qualche linea di febbre negando l’esistenza del virus potrebbe portare diritti al campo santo.

Troppi virus: con l’idoneità (e il cuore) non si scherza

25.10.2024
6 min
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TORINO – Miocarditi, pericarditi e le tante insidie nell’ottenere l’idoneità sportiva. La ricerca medica fa passi da gigante senza dubbio, ma negli ultimi anni sono stati tanti, anche troppi i casi di anomalie cardiache o malori. Alcune hanno stroncato carriere illustri, come quella di Sonny Colbrelli nella primavera del 2022. Altre hanno persino portato via campioni in erba come più recentemente il ventunenne Simone Roganti o nell’ottobre dello scorso anno l’olandese Mark Groeneveld. Senza dimenticare l’ex iridato della mountain bike Dario Acquaroli, che ci ha lasciati ad appena 43 anni durante un’escursione in mountain bike. Sono soltanto alcuni dei tanti casi che vi abbiamo raccontato su queste pagine nell’ultimo periodo.

Tra un’intervista e l’altra ai portacolori della Jayco-AlUla durante le loro canoniche visite all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, abbiamo colto l’occasione per approfondire questo tema che purtroppo resta di attualità. A darci il polso della situazione, al termine delle visite dei corridori del team australiano in vista del 2025, ci ha pensato il dottor Ali Al Mohani.

«E’ il primo anno che seguo la Jayco-AlUla – comincia a raccontare – ma faccio da anni il cardiologo e visito gli atleti dal punto di vista sportivo e cardiologico perché ottengano l’idoneità. La mia percezione è che ci stia stato un aumento di episodi anomali dopo la pandemia, sia tra gli atleti professionisti sia tra la popolazione comune in generale. E’ difficile capirne l’origine, che potrebbe essere anche dovuta proprio al Covid, perché l’infezione virale aumenta il rischio di pericarditi e miocarditi».

Il dottor Ali Al Mohani è cardiolgo del centro Irriba di Torino. Dopo il Lombardia ha svolto le idoneità per i pro’ della Jayco-AlUla
Il dottor Ali Al Mohani è cardiolgo del centro Irriba di Torino. Dopo il Lombardia ha svolto le idoneità per i pro’ della Jayco-AlUla

Il rischio cardiologico

Chiunque faccia attività sportiva agonistica, anche soltanto per partecipare a una granfondo la domenica, necessita di ricevere l’idoneità. Già dopo la prima ondata del Covid, quando si è cominciato a tornare alla normalità, tutti ricordano che alcuni esami erano ancor più approfonditi, soprattutto se si aveva contratto il virus in maniera sintomatica.

«La visita agonistica-sportiva di idoneità e quella cardiologica sull’atleta – spiega il dottor Al Mohani – devono sempre essere svolte con estrema accuratezza. Qualunque dettaglio che esca dallo schema abituale deve attirare la nostra attenzione. Un rischio cardiologico in un atleta può essere la morte improvvisa o un evento aritmico maligno. L’accortezza da guardia alta è su tutti gli atleti in generale. Il ciclismo è uno sport molto comune in età adulta tra i 40 e i 50 anni. Se per i giovani di solito le visite sono più lineari, aumentando l’età, si fa più complessa anche la visita. Oltre al rischio di infezioni virali, aritmie e cardiomiopatie, entra in scena infatti anche il rischio di cardiopatia ischemica che in tutti i pazienti si manifesta col passare degli anni».

Dopo aver contratto il Covid nel 2021, Sagan fu fermato dai medici della Bora-Hansgrohe per scongiurare ulteriori rischi
Dopo aver contratto il Covid nel 2021, Sagan fu fermato dai medici della Bora-Hansgrohe per scongiurare ulteriori rischi

L’aumento delle anomalie

Quali possono essere i segnali di allerta per i dottori? «Siamo molto attenti sui sintomi di allarme. Ad esempio, in caso di dolore al torace, il nostro compito è quello di interrogare il paziente e capire la tipologia di questo fastidio. Spesso gli sportivi possono confondere dolori muscoli-scheletrici con un dolore cardiaco. Poi ci sono le palpitazioni, ovvero i battiti irregolari. In questo caso, è fondamentale chiedere al paziente se ha avuto dei giramenti di testa o la percezione di perdita di conoscenza: questi sono tutti segnali che possono accendere la prima spia. Poi, c’è la prova sotto sforzo, che ci permette di analizzare che non ci siano altri segnali strumentali. Mettendo insieme tutto, capiamo chi è idoneo a mettere sotto sforzo il suo cuore e chi è da indagare».

L’aumento di anomalie nello sport è un dato di fatto. «Sentiamo sempre di casi particolari sia nel ciclismo sia nel calcio. Non sempre è facile individuarli subito – prosegue – per riuscirci bisogna fare le cose in maniera iper-spinta, soprattutto coi ciclisti, che si mettono sotto sforzo costante per un numero elevato di ore ogni settimana. Poi si allenano in ambienti aperti, per cui sono più sensibili a infezioni del miocardio o del pericardio. Sono spesso persone che non riescono a rinunciare allo sport e che, davanti all’occhio del medico, cercano di esprimere il meno possibile il loro eventuale sintomo».

Sulla morte prematura di Simone Roganti, qui al Giro di Sicilia 2023, è stata aperta un’inchiesta
Sulla morte prematura di Simone Roganti, qui al Giro di Sicilia 2023, è stata aperta un’inchiesta

Il rischio pericardite

Lo sportivo, dentro di sé, vuol solo sentirsi dire che tutto va bene e che è pronto per una nuova annata, ma occorre cautela.

«Fare il ciclista ad alto livello è già un fattore di rischio – spiega il dottore – per quello bisogna essere molto aggressivi sia nell’interrogazione sia nella prova sotto sforzo, per non trascurare nessun possibile valore anomalo. I ciclisti sono maggiormente esposti o magari sono vittime di infezioni virali che non curano e continuano ad allenarsi o persino a correrci sopra. Questo comportamento vizioso può portare a pericarditi e infezioni del muscolo pericardico».

L’aspetto ambientale

Rispetto ad altri sport, infatti, non va dimenticato l’aspetto ambientale delle due ruote. «Un qualunque cicloamatore – aggiunge ancora il dottore dell’istituto torinese – in media fa all’incirca un centinaio di chilometri settimanali, spalmati in un paio di uscite. In particolare, spesso per la maggior parte del tempo della sua uscita è lontano da centri abitati e, se è in solitaria, può essere esposto a rischio elevato, essendo da solo e lontano da possibili soccorsi. Per questa ragione, il nostro obiettivo è metterlo in sicurezza anche in questa eventualità. Un calciatore, invece, se è vittima di un evento acuto, si trova sempre in un campo insieme a compagni di squadra e può ricevere assistenza immediata».

Sulla tecnologia, c’è ancora da lavorare secondo il dottor Al Mohani: «Un orologio con l’intelligenza artificiale o sistemi di monitoraggio può aiutare, ma potrebbe anche confondere un po’ le acque. Tanti ciclisti vengono a farsi visitare perché hanno frequenze anomale registrate sui loro orologi. Poi alla domanda se sono mai stati sintomatici, rispondono di no. Comunque, meglio un controllo in più che uno in meno. Anche se spesso, per fortuna, si tratta di errori del dispositivo tecnologico piuttosto che del loro cuore».

La lettura del battito anomalo sullo smartwatch può dare un’indicazione, ma necessita approfondimenti (depositphotos.com)
La lettura del battito anomalo sullo smartwatch può dare un’indicazione, ma necessita approfondimenti (depositphotos.com)

L’attenzione ai bambini

La prudenza, dunque, è comunque una buona prassi per le famiglie degli atleti e non solo per i diretti interessati. «Essere un atleta premuroso è un buon segnale. Ultimamente, riferendomi alla situazione piemontese che ho sotto i miei occhi, vedo più sensibilità nei confronti della Medicina sportiva e della Cardiologia dello sport. Le mamme e i familiari in generale sono più premurosi adesso. Se viene richiesta dal medico un’ecografia in più, si capisce che è qualcosa di normale, magari soltanto per investigare un piccolo soffio e togliersi il dubbio. In passato invece, si pensava: “Faccio fare la visita a mio figlio, che deve avere l’idoneità a tutti i costi”.

«Posso capire che una mamma si faccia prendere dal panico se sente che qualcosa nel cuore di suo figlio non funziona al 100%. In questi casi noi medici cerchiamo di avere un po’ di sensibilità nell’esprimere il nostro giudizio e nello spiegare il perché dell’eventuale controllo aggiuntivo. Non è mai tempo perso spendere una parola in più, né fare un controllo che magari ci toglie il dubbio. E permette poi al ragazzo o alla ragazza di tornare a fare quello che più ama in sicurezza».

EDITORIALE / Cuori a rischio, chi risparmia sull’idoneità?

14.10.2024
5 min
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Il primo segnale davvero drammatico fu il malore che colse Colbrelli il 21 marzo del 2022. Chi lo vide cadere sul traguardo della prima tappa del Catalunya pensò che non ci fosse più niente da fare, invece il massaggio cardiaco salvò la vita al bresciano che interruppe subito l’attività. Un mese dopo, si fermò Gianmarco Garofoli per una miocardite. Dovette ricorrere a un intervento che dopo qualche mese gli permise di riavere l’idoneità. Quello che però fu raccontato come un semplice malore, pochi giorni fa è stato descritto da suo padre come un principio di infarto a 20 anni. Qualcosa di simile al malore che di recente si è portato via Simone Roganti, che ne aveva 21.

A dicembre 2020 venne fermato per miocardite Diego Ulissi. Nel 2021 l’ablazione cardiaca toccò a Viviani e l’anno precedente a Cipollini. Lorenzo Masciarelli ha scoperto di avere una pericardite grazie a un incidente stradale. Lo hanno ricoverato per un braccio dolorante senza sapere sul momento che gli stavano salvando la vita.

Si è andati avanti di caso in caso, segnandoci la fronte quando qualcuno se ne andava senza motivazioni apparenti. Come Dario Acquaroli, ex campione del mondo di MTB, morto per un malore ad aprile 2023, mente stava passeggiando sulla sua bici. La morte di Silvano Janes agli europei gravel di ieri ad Asiago potrebbe confluire nello stesso contesto. E’ come se dopo il Covid sul mondo si sia abbattuta un’ondata di virus cardiaci che, se non diagnosticati, portano alla morte. E se questo è vero, in che modo è aumentata l’attenzione di medici, società e atleti per tutelare davvero la salute?

Lorenzo Masciarelli, in ospedale per un incidente stradale, ha scoperto una pericardite potenzialmente letale
Lorenzo Masciarelli, in ospedale per un incidente stradale, ha scoperto una pericardite potenzialmente letale

La difesa che manca

E’ un tema delicato da maneggiare. Da molte parti infatti, più che il Covid si incolpano i vaccini, ma non esiste ancora, a quanto ci risulta, un nesso dimostrato di causa/effetto. In attesa che degli studi vengano portati a termine ed evitando di perderci in chiacchiere, in che modo si tutela la salute di chi fa sport?

Abbiamo la pelle d’oca nel renderci conto della difformità di regolamento a livello internazionale. I medici sportivi parlano fra loro. E l’osservazione anche ironica che vede gli italiani vittime nei congressi internazionali arriva spesso dalla Gran Bretagna. Oltre la Manica infatti, la visita di idoneità non è obbligatoria e ugualmente il tasso di mortalità dei loro atleti è di pochissimo superiore al nostro: perché fare tante visite, dicono, se poi gli esiti sono identici?

Il punto è proprio questo. Il sistema italiano va difeso con ogni mezzo possibile, ma va reso affidabile (in apertura l’Istituto Riba di Torino, eccellenza nazionale). Avremmo il modo per ridurre a zero la percentuale, non trattandosi per fortuna di numeri elevatissimi, ma rinunciamo a farlo. Spendiamo migliaia di euro dal dentista per avere un bel sorriso e ci accontentiamo o pretendiamo che una visita di idoneità agonistica costi meno di una pulizia dei denti. E’ normale?

La visita di idoneità che duri meno di 40 minuti non può essere ben approfondita (foto Gruppo Cidimu IRR)
La visita di idoneità che duri meno di 40 minuti non può essere ben approfondita (foto Gruppo Cidimu IRR)

Le idoneità regalate

Il medico italiano di una squadra WorldTour ci ha raccontato che le visite che esegue privatamente nel suo studio durano fra 40 e 50 minuti. Un altro ci ha detto che per rendersi conto di come sia possibile fare tutto bene e anche in modo rapido, abbia cronometrato una visita, fermando il cronometro a 38 minuti. Nei loro studi non si spende meno di 120 euro. Sono visite importanti, fanno la differenza fra vivere e morire, quindi è giusto che abbiano un costo.

Qual è la qualità o la profondità di una visita di 20 minuti, pagata fra 50 e 90 euro, di cui il medico percepisce a dir tanto il 50 per cento? Con quale tranquillità d’animo egli può rendere abile un atleta di qualunque età, sapendo di non aver fatto il meglio e che, qualora quello morisse, ne dovrebbe rispondere penalmente? E come è possibile che la Federazione dei medici sportivi ritenga accettabile l’idoneità agonistica rilasciata in appena 20 minuti?

Per i giovanissimi occorrono le stesse attenzioni dei più grandi: sbagliato risparmiare sulla salute (photors.it)
Per i giovanissimi occorrono le stesse attenzioni dei più grandi: sbagliato risparmiare sulla salute (photors.it)

La salute dei figli

Probabilmente ai livelli più alti dello sport il problema è relativo, seppure non sia difficile andare con la memoria alle morti di Lambrecht, Nolf, Myngheer, Goolaerts e quelli che hanno perso la vita per malori improvvisi. Nonostante la normativa UCI preveda di eseguire ad anni alterni l’ECG con prova da sforzo e l’ecografia cardiaca, sono sempre di più le squadre che li impongono annualmente e gli atleti che chiedono di farli. Quel che lascia con l’amaro in bocca è invece l’atteggiamento di tanti genitori nelle categorie giovanili.

Si vuole spendere poco, anche se si parla della salute dei propri figli, preferendo semmai vuotarsi le tasche per la bici più leggera. Ci si accontenta di visite di idoneità poco più approfondite di una pacca sulle spalle. Si chiede al dottore di fare presto. Le società fissano appuntamenti presso studi convenzionati in cui si eseguono batterie di test senza il minimo approfondimento. E’ facile rendersi conto che l’approssimazione di certe visite sia legata alla poca attenzione da parte degli utenti, soprattutto delle famiglie dei più piccoli. Perché certe abitudini cessino, sarebbe sufficiente non frequentare più gli studi in cui si lavora con superficialità. Invece si va avanti con la mentalità italiana per cui un ristorante è buono se per 20 euro ti riempie la pancia, senza guardare la qualità di quel che si butta giù. Forse però, parlando di cuore e sopravvivenza, sarebbe meglio puntare su un… ristorante con qualche stella in più.

Garofoli rialza la testa: «Tempo di togliere il freno a mano»

31.12.2023
5 min
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ALTEA (Spagna) – E’ una sorta di buco quello in cui si è infilata da un paio di stagioni la carriera di Gianmarco Garofoli, marchigiano dell’Astana Qazaqstan Team. A pensarci bene, lui è stato il primo ad aver lasciato il Team Dsm, prima di Dainese e di Milesi. La squadra olandese lo aveva preso nel suo devo team e con loro Garofoli ha conquistato l’unica vittoria da quando è under 23: la tappa di Cervinia al Giro di Val d’Aosta del 2021. Passato alla Astana Continental, nell’ordine sono intervenuti un problema cardiaco e due volte il Covid. Si è fermato. E’ ripartito. Poi si è fermato ancora. E finalmente quest’anno, nella prima stagione WorldTour e malgrado una condizione fisica ancora da definire, a partire dal Romandia si sono visti i primi segnali di ripresa.

Garofoli fa parte della stessa infornata di Germani, Milesi e Piganzoli ed ha appena un anno più di Pellizzari. Conoscendo la sua ambizione, c’è da scommettere che morda il freno per recuperare il terreno perduto.

Dicembre è stato un mese più intenso del solito per Garofoli, chiamato a debuttare al Tour Down Under
Dicembre è stato un mese più intenso del solito per Garofoli, chiamato a debuttare al Tour Down Under
Con che spirito hai vissuto il primo ritiro?

Con più consapevolezza. Sicuramente quest’anno sono riuscito a crescere molto mentalmente e mi sento più sicuro di me stesso. Ho le idee chiare su cosa voglio fare e insieme alla squadra stiamo cercando di lavorare al meglio per ottenere il massimo.

Fisicamente a che punto ti trovi?

Sto bene e lavoro per il debutto in Australia. E visto che si tratta di correre a gennaio, dicembre è stato un mese abbastanza intenso. Non so se al Tour Down Under sarò già competitivo, però ci arriverò con una buona condizione. Dal 2024 mi aspetto molto. Voglio iniziare a vedere risultati tangibili, perché non sono qua per giocare e prendere lo stipendio.

Usare la sfortuna come scusante non è il massimo, ma certo te ne sono capitate parecchie…

Gli ultimi due anni sono stati veramente duri. Anche in questa stagione, la mia prima da professionista, non ho avuto un bell’inizio con il Covid a gennaio. Ho ricominciato quasi da zero ad aprile in Sicilia e sono andato abbastanza bene. Da lì sono riuscito a finire l’anno senza grossi intoppi, ma logicamente il salto era piuttosto alto e ne sono uscito molto affaticato. Ma adesso voglio far vedere qualcosa di buono.

Finora la sola vittoria di Garofoli da U23 è venuta a Cervinia nel 2021 in maglia DSM (foto Giro Valle d’Aosta)
Finora la sola vittoria di Garofoli da U23 è venuta a Cervinia nel 2021 in maglia DSM (foto Giro Valle d’Aosta)
Ventuno anni sono pochi per capire che corridore potresti diventare?

Direi proprio di sì, non ce l’ho affatto chiaro. La cosa che invece ho ben chiara è quello che non voglio essere, cioè il corridore che sono stato nel 2023: né carne né pesce. Bisogna cambiare le cose e vediamo dove si fissa l’asticella. Sicuramente darò il massimo per farmi trovare pronto quando sarà il momento.

Cosa ti dà fiducia: i test, le sensazioni?

Soprattutto il modo in cui riesco a gestirmi, la crescita mentale. Logicamente anche il fisico poi ne trae giovamento, perché sono più consapevole di come allenarmi. E’ difficile dirlo a dicembre, non abbiamo fatto chissà quali e quanti test e abbiamo solamente 5-6 settimane di allenamento nelle gambe. Non so dire quale sia realmente il mio livello, ma sarà più alto dell’ultima stagione.

Vedere che i tuoi coetanei cominciano a fare qualche risultato è uno stimolo oppure provoca qualche prurito?

Un po’ brucia, è normale visto che abbiamo corso sempre insieme. Vedere Milesi campione del mondo U23 della crono e con la maglia rossa della Vuelta, oppure Piganzoli che comincia ad arrivare davanti come lo stesso Pellizzari, che è anche marchigiano, mi ha fatto capire che devo togliere il freno a mano. Negli ultimi due anni sono stato bloccato, ora è il momento di cambiare e vedere dove posso realmente arrivare.

Grande fatica al Lombardia, suo primo Monumento. Garofoli è alto 1,80 e pesa 63 chili (nel 2023 era 4 sopra)
Grande fatica al Lombardia, suo primo Monumento. Garofoli è alto 1,80 e pesa 63 chili (nel 2023 era 4 sopra)
Il miglior Garofoli andava bene in salita, in volate ristrette e anche a crono: si lavora su tutto?

Voglio tenermi tutte le mie qualità. Voglio andare forte in salita e a cronometro, non concentrarmi solo sulle volate, anche se quest’anno allo sprint ho fatto un quinto posto nell’ultima tappa del Romandia. Quello non sono io o almeno non sono solo quello. Posso essere brillante nei finali, ma non mi piaceva come andavo in salita. Ero cresciuto troppo di massa, pesavo circa 4 chili più. Quest’anno li ho persi, in salita vado molto più forte e questo aspetto voglio valorizzarlo.

E’ arrivato il momento di fare un grande Giro?

Abbiamo iniziato a parlarne, ma è tutto in ballo. Mi piacerebbe fare il Giro d’Italia, perché se non sarà quello, non penso che per me ci saranno altri Giri durante l’anno. Però voglio andare un passo per volta e il primo obiettivo è presentarmi in buone condizioni alla Tirreno-Adriatico, che passa vicino casa. Lì voglio dare il massimo e chissà che a quel punto non si aprano le porte per il Giro.

Cosa faresti se Amadori ti chiamasse nella sua nazionale U23?

Nella seconda parte di stagione, si potrebbe aprire qualche porta in questo senso, dato che sono all’ultimo anno da under 23. Non sarebbe male provare a fare bene al Tour de l’Avenir o al mondiale: Non li vivrei come una retrocessione, ma come veri obiettivi. Negli ultimi anni, tanti corridori del WorldTour hanno corso il Tour de l’Avenir per vincerlo. Mi viene in mente Carlos Rodriguez, che al primo anno con la Ineos fece secondo. Negli ultimi due anni non sono riuscito a partecipare a certe corse: nel 2022 per la miocardite e quest’anno perché ci sono state diverse difficoltà. Perciò, se sarò competitivo, Marino sa che può chiamarmi. Ci sentiamo, lui mi vuole bene e mi considera uno del gruppo.

EDITORIALE / Questioni di cuore, da non prendere alla leggera

10.07.2023
4 min
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Il primo di cui ho memoria si chiamava Joachim Halupczock, polacco, classe 1968. Vinse il mondiale dilettanti del 1989 a Chambery, dopo aver preso l’argento nella 100 Chilometri vinta dalla Germania Est, che l’anno prima aveva già battuto la sua Polonia alle Olimpiadi di Seoul. Halupczock passò professionista con la Diana Colnago, ma alla fine del primo anno saltò fuori un problema di cuore: un’aritmia cardiaca a causa della quale dovette fermarsi per tutta la stagione successiva.

Lo conobbi nel 1992, quando rientrò alle corse con la MG-GB nata dalla fusione fra la Del Tongo e il gruppo belga di Patrick Lefevere, fra Ballerini e Chioccioli, Museeuw e il connazionale Zenon Jaskula. Corse per un solo anno, ma quel cuore troppo grosso continuò a dargli problemi e lo convinsero a smettere, questa volta definitivamente. Morì per un infarto nel 1994 durante una partita di calcetto.

A Niwki, la sua città natale in Polonia, sorge il monumento a Joachim Halupczock (foto CC BY-SA 3.0)
A Niwki, la sua città natale in Polonia, sorge il monumento a Joachim Halupczock (foto CC BY-SA 3.0)

Haussler, Polanc e Vanmarcke

Il cuore è una cosa seria: la vera differenza. In base alla sua capacità si distinguono i campioni dagli altri. Le leggendarie frequenze bradicardiche di Bartali e Coppi, come pure di Indurain erano la base di quel loro essere tanto resistenti e forti. Del cuore ti devi fidare. Non lo vedi come le gambe, semmai lo senti che pulsa nel collo e nel petto. In certi momenti pompa così forte da superare i 200 battiti: che cosa succede se di colpo senti di non poterti più fidare?

Eppure casi di corridori costretti a smettere per sopraggiunti problemi cardiaci sono sempre stati cosa rara. Basta chiedere ai medici delle squadre. Di recente è capitato semmai di imbattersi in atleti sottoposti ad ablazione per risolvere aritmie o fibrillazioni, che avrebbero potuto metterli a rischio, le cui origini sono state rintracciate in episodi vecchi di anni.

Invece in questa stagione, tre professionisti di squadre WorldTour hanno appeso la bici al chiodo per sopravvenute complicazioni cardiache: Haussler, Polanc, Vanmarcke (nella foto di apertura), atleti già grandicelli, ma per anni in perfetta efficienza. Sommando le loro vicende a quanto successo nel 2022 a Sonny Colbrelli, la voglia di fare una riflessione più approfondita è rimasta a lungo sulla punta della penna. Ogni caso merita infatti una trattazione a parte: cadere nel qualunquismo è l’ultima cosa che si vuole, ma la tempistica è insolita.

Non tutte le federazioni nazionali hanno mantenuto il protocollo di ripresa dopo il Covid (foto WavebreakMediaMicro)
Non tutte le federazioni nazionali hanno mantenuto il protocollo di ripresa dopo il Covid (foto WavebreakMediaMicro)

Il caso Masciarelli

Qualcuno infatti a questo punto sarà già in piedi puntando il dito sui vaccini contro il Covid. Il tema è noto ed è stato dibattuto a lungo, ma si ferma (ancora) contro l’assenza di una letteratura clinica che possa suffragare o sconfessare la tesi. Di certo però gli anni della pandemia hanno lasciato qualche strascico. E se anche non si tratta del vaccino, varrebbe la pena fare una riflessione sui tempi con cui alcuni atleti sono ripartiti dopo aver avuto il virus.

Se infatti le tecniche di indagine clinica sono sempre le stesse e le visite di idoneità non si discostano da quello che erano nel 2019, al momento soltanto l’Italia costringe i suoi atleti al protocollo Return to Play, sia pure più blando di quanto fosse all’inizio, prima di riprendere l’attività agonistica. All’estero ciò non succede. Vanmarcke si è fermato dopo un’aritmia percepita agli ultimi campionati nazionali e la scoperta di tessuto cicatriziale sul muscolo cardiaco (lo stesso che ad esempio deriva dalla miocardite), che in prospettiva avrebbe potuto creare problemi maggiori. Intendiamoci, anche con una ripresa incauta dopo la mononucleosi si incorre nello stesso rischio, ma il Covid potrebbe averlo accentuato.

Polanc si è ritirato quest’anno per irregolarità cardiache: nel 2022 ha corso al Vuelta aiutando Ayuso
Polanc si è ritirato quest’anno per irregolarità cardiache: nel 2022 ha corso al Vuelta aiutando Ayuso

Una visita approfondita fatta con anticipo avrebbe rilevato prima il problema? Probabilmente sì. Il caso di Masciarelli è lampante. Se non fosse stato per la caduta di maggio e il conseguente ricovero in ospedale, l’abruzzese del Team Colpack-Ballan non avrebbe scoperto la pericardite per la quale è stato subito fermato. Lorenzo è rimasto fermo per due mesi, ha da poco ottenuto l’idoneità ed è pronto a ripartire da Livigno. Un percorso simile l’ha seguito Gianmarco Garofoli, fermato a lungo a tutela della sua salute.

Mancata condivisione

Con il cuore non si scherza. Ciò che potrebbe aiutare a fugare i dubbi e ad individuare una via d’uscita comune e sicura per tutti, anche per gli amatori che magari non hanno mai approfondito il loro stato di salute prima di tornare in sella, sarebbe la condivisione delle esperienze, come ha fatto Vanmarcke. Tutti gli altri che si sono chiusi dietro il legittimo diritto alla privacy impediscono di fatto di capire qualcosa di più. E quella letteratura clinica di cui si lamenta la mancanza farà sempre più fatica a formarsi.

Gambe e carattere: sentiremo presto parlare di Garofoli

29.12.2022
6 min
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Una tazza di camomilla e lo sguardo sul cucchiaino mentre la mescola. La stanza è silenziosa, oltre i vetri le palme ondeggiano per la brezza del tramonto. Garofoli è il più adrenalinico dei neoprofessionisti italiani e nel suo sguardo lampeggia spesso l’inquietudine. Tuttavia, dopo quello che ha vissuto nel 2022, sembra che si sforzi per tenerla a bada. La paura aiuta a crescere e la prospettiva di perdere tutto lo ha scosso più di quanto abbia dato a vedere.

«Come ho anche scritto in un post – dice – voglio ricordare il 2022 per la grinta che ho messo nel rientrare alle gare e l’impegno per farlo in ottime condizioni. Sono stati mesi difficili, ho avuto paura di dover smettere. Quindi porto con me il ricordo di un anno sicuramente importante, in cui ho capito che realmente voglio fare il ciclista. In un anno così difficile, ti passano tante idee per la testa. Rimarrà una grande esperienza su cui chiudo la porta, perché per fortuna è andato tutto bene. I controlli sono andati a posto e posso iniziare il nuovo anno tranquillo».

Una tazza di camomilla e una lunga chiacchierata nel ritiro spagnolo dell’Astana
Una tazza di camomilla e una lunga chiacchierata nel ritiro spagnolo dell’Astana
Maini racconta che ogni volta doveva raccomandarti di stare calmo.

Avevo quest’ansia, la grinta che rispecchia anche il mio carattere. Avevo la fretta di tornare subito e il disagio di aver perso una buona parte della stagione.

Fossi stato Amadori, avresti convocato Garofoli per i mondiali?

La mia convocazione non è stata presa in considerazione, giustamente, perché non ho fatto gare e le convocazioni dovevano essere fatte in anticipo rispetto alla corsa che ho vinto in Puglia. Normalmente non si convoca un ragazzo a scatola chiusa, anche per rispetto degli altri. Condivido appieno la scelta di Marino. Magari se il mondiale si fosse corso in Europa, si sarebbe potuto aspettare di più, vedere come stava Garofoli e poi si sarebbe potuto decidere. Però dovendo fare le convocazioni a scatola chiusa, le decisioni prese sono state più che giuste.

A fine stagione, Garofoli ha corso fra i pro’ il Giro di Toscana, Giro del Veneto e Veneto Classic (foto Astana)
A fine stagione, Garofoli ha corso fra i pro’ il Giro di Toscana, Giro del Veneto e Veneto Classic (foto Astana)
TI sei fermato alla Coppi e Bartali di marzo, sei rientrato e hai vinto in Puglia a metà settembre.

E’ stato emozionante. Rivedi tutto quello che hai passato nell’ultimo anno e l’impegno che ci hai messo. Non è stata la vittoria in sé, ma tutto il percorso che c’è stato dietro. E’ stato il modo di dire: «Okay, ho lavorato bene, sono veramente contento di quello che ho fatto!».

Nonostante un anno così balordo, è arrivato il contratto con la WorldTour: ti ha meravigliato?

E’ stato una sorpresa. Era previsto se fosse stato un anno normale, ma in queste condizioni era tutto in dubbio. Non si sapeva neppure se avrei potuto correre ancora, quindi logicamente anche il mio contratto era in forse. Invece poi, parlandone, è arrivata questa bella notizia. Comunque sia, se questo passaggio non si fosse realizzato, per me sarebbe stata l’ennesima sconfitta del 2022. Per fortuna la squadra ha creduto in me nonostante tutto, quindi sono qua e sono veramente felice.

A fine stagione, Garofoli è volato in Oriente con Battistella e i fratelli Nibali (foto Astana)
A fine stagione, Garofoli è volato in Oriente con Battistella e i fratelli Nibali (foto Astana)
Quale sarà il posto di Garofoli? Ti toccherà portare le borracce?

Nemmeno quelle, sarò ancora più indietro. Sono il classico giovane che dovrà fare la gavetta, sia pure con un occhio di riguardo. Farò esperienza, è giusto che sia così. E’ ovvio che proverò a farmi vedere, mi sto allenando bene, penso a fare tutto nel migliore dei modi per venire fuori. Questo è l’obiettivo. Però non arrivo sicuramente con delle pretese, entro in punta dei piedi, poi semmai saranno i risultati a parlare.

Milesi, Germani, Piganzoli: quelli del 2002. C’è competizione tra voi?

Avendo praticamente saltato il 2022, non ho mai corso con loro. Sarebbe stato bello fare insieme il Tour de l’Avenir, ma purtroppo non si è potuto. Quando corriamo insieme scatta qualcosa, fin da juniores c’è sempre stata rivalità. Correvamo in quattro squadre diverse, era normale che ci fosse questo agonismo. Andando avanti però, si è mitigato, perché tutto intorno è cresciuto il parterre. Prima c’eravamo solo noi 4-5, sempre i soliti. Adesso ce ne sono 100, quindi è tutto diverso. Oggi siamo amici. Io sono felice se loro vincono, ma se ci troviamo in gara nessuno si risparmia.

Val d’Aosta 2021: Garofoli gioisce sull’arrivo di Cervinia, nella stagione con il Team DSM (foto Giro Valle d’Aosta)
Val d’Aosta 2021: Garofoli gioisce sull’arrivo di Cervinia, nella stagione con il Team DSM (foto Giro Valle d’Aosta)
Tutti vi aspettano, ti pesa?

Non ci penso tanto. Il peso più grande, le aspettative più grandi sono quelle che mi metto da solo, non quelle che mi mettono le altre persone. Io sono un ragazzo molto ambizioso, sono sempre stato così. Fin da bambino volevo fare sempre di più. Non trovavo mai pace. Non mi fermavo mai, ero sempre alla ricerca di qualcosa. Chi si ferma è perduto. Ero così a scuola e anche a calcio. Ho una mentalità per cui voglio essere il migliore in quello che faccio. Questo forse me l’ha tramandato anche la famiglia. Ho un bel rapporto con nonno e mio padre. Nonno ha fondato l’azienda di famiglia e a modo mio anche io ho sempre avuto questo spirito da imprenditore.

In questi sei mesi senza bici, hai pensato alla tua vita fuori dal ciclismo?

Non ci ho mai pensato, ero molto triste. Sinceramente non è stato un bel periodo e prima di vedermi in azienda, continuavo a pensare che la mia strada fosse questa e non volevo essere da nessun’altra parte. Avrei dovuto risistemare tutta la mia vita. Per fortuna non è successo, ora sono nel mondo del professionismo, si inizia a fare sul serio e voglio fare i miei passi da solo. 

Sulle strade di Tokyo a ruota di Nibali: ultime pedalate del 2022 (foto Astana)
Sulle strade di Tokyo a ruota di Nibali: ultime pedalate del 2022 (foto Astana)
Classiche o Giri?

Personalmente mi attirano di più le corse a tappe, ma credo che sarà tutto molto lungo. Strada facendo, vedremo anche quale sarà il mio reale livello. Ho vent’anni, posso ancora crescere, posso fare tante cose. L’inverno sta passando abbastanza tranquillo, sto facendo tanto fondo per costruire le basi, che mi serviranno per tutta la stagione. Comunque sia ci tengo a fare subito bene e a partire con il piede giusto. Dopo un anno in cui ho fatto praticamente 10 gare, non voglio più perdere tempo.

Germani parte dal Tour Down Under, tu cosa farai?

Il programma prevede che parta dal Provenza, però potrebbe esserci anche qualche cambiamento. Ho sentito Lorenzo, mi ha detto dell’Australia. Io ho chiesto di non andarci.

Garofoli in posa a Polignano a Mare alla vigilia del suo rientro alle corse dopo il lungo stop
Garofoli in posa a Polignano a Mare alla vigilia del suo rientro alle corse dopo il lungo stop
Come mai?

Dopo le esperienze passate e il brutto Covid che ho preso, ho sperato di non fare gare troppo lontane, con sbalzi di temperatura e lunghi viaggi. Meglio fare un inizio abbastanza tranquillo per andar forte semmai più avanti e quindi per il momento sono stato accontentato.

Cosa diresti se Amadori ti convocasse fra gli U23?

Dipende dalla stagione che farò. Nel 2022 non ho avuto l’opportunità di fare nulla e sarebbe allettante, non solo il mondiale magari anche un Tour de l’Avenir o corse di questo tipo. Bisognerebbe parlare con la squadra e programmare tutto. Però non dico affatto che lo snobberei.

Garofoli, la miocardite, gli esami e le difficoltà dei medici

13.04.2022
5 min
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Con il cuore non si scherza e mai come in questo periodo ce ne stiamo rendendo conto. Quello che sta succedendo non è normale e forse alla fine l’atteggiamento più onesto è ammettere che le conseguenze del Covid sulle carriere degli atleti sono ancora da studiare. E’ quello che si capisce alla fine del confronto con Emilio Magni, medico della Astana Qazaqstan Team e sin dall’inizio nel gruppo ristretto di Vincenzo Nibali, che nel ciclismo c’è dalla fine degli anni 90. Con lui abbiamo parlato della miocardite.

Il miocardio è la componente muscolare del cuore: la sua infiammazione può avere gravi conseguenze (foto Newence)
Il miocardio è la componente muscolare del cuore: la sua infiammazione può avere gravi conseguenze (foto Newence)

Il caso Garofoli

Lo spunto per questo approfondimento è stata infatti la diagnosi che ha fermato per tre mesi Gianmarco Garofoli, corridore marchigiano della continental kazaka. Lo avevamo incontrato alla Coppi e Bartali, trovandolo ambizioso e in forma. Eppure dopo pochi giorni, mentre correva l’internazionale di San Vendemiano, il problema è venuto a galla.

«Garofoli – conferma Magni – è stato poco bene a San Vendemiano. Alla Coppi e Bartali era brillantissimo, si è fermato dopo tre tappe perché così era previsto, dovendo poi correre in Veneto con gli under 23. Eppure in quei pochi giorni è stato bene accanto a Vincenzo, cedendo soltanto nel finale della tappa di San Marino. A San Vendemiano invece, mentre faceva uno sforzo importante anche se non massimale, ha avvertito difficoltà respiratoria e ha dovuto mollare. Alla fine stava anche bene, tanto che fra le svariate volte che ci siamo sentiti quella sera, l’ultima era al ristorante con i genitori sulla via di casa. In ogni caso gli ho consigliato un controllo cardiologico per il giorno dopo. E siccome il suo medico non c’era, è andato dritto in ospedale e dai vari esami è venuta fuori l’infiammazione del miocardio».

Con questa immagine su Instagram Garofoli ha comunicato ai suoi tifosi di stare bene, ma di doversi fermare per tre mesi
Con questa foto su Instagram Garofoli ha comunicato ai tifosi lo stop di tre mesi

Il miocardio è la componente muscolare del cuore, ne compone le pareti e lo fa funzionare come una pompa. E’ composto per il 70% da fibre muscolari, mentre il restante 30% è costituito principalmente da tessuto connettivo e da vasi. La miocardite è la sua infiammazione.

Di cosa si tratta?

La miocardite è un quadro clinico datato nel tempo, non la scopriamo ora. E’ sempre un bruttissimo cliente, che si può manifestare all’improvviso. Essendo il Covid un virus aggressivo, il cuore è diventato il suo organo bersaglio favorito. Quando si parla di miocardite, si accende la spia rossa per chiunque, ma soprattutto per gli atleti. E’ uno dei motivi per cui per riprendere dopo il Covid c’è da mettere in atto il protocollo Return to Play, che prevede anche vari controlli del cuore.

Quindi permette di rintracciare anche la miocardite?

No, perché se non si manifesta in modo particolarmente grave, non viene evidenziata dall’ecocardiogramma. Per scoprirla serve una risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto, che non rientra fra gli esami di routine. Non può essere un esame di screening primario (a questo punto ci chiediamo se non sia il caso di introdurla invece nel protocollo di esami per il ritorno alle gare, ndr).

Il solo modo per diagnosticare la miocardite è una risonanza magnetica cardiaca con contrasto (foto GVM)
Il solo modo per diagnosticare la miocardite è una risonanza magnetica cardiaca con contrasto (foto GVM)
Quindi ci si deve affidare ai sintomi?

Che di solito sono la difficoltà respiratoria, che è la sensazione più sgradevole. A volte un po’ di palpitazione. Oppure un senso generale di affaticamento, che però rientra anche tra i sintomi del post influenza, per cui è difficile rintracciarla.

Una volta trovata, scatta il riposo obbligatorio?

Tre mesi, come per Garofoli. Non bisogna sottoporre il cuore a sforzi. Non servono antibiotici, perché si tratta di un virus e non di una comune infiammazione. Semmai si danno antinfiammatori. Dire se tre mesi sia il tempo giusto è complicato. In molti casi magari è un eccesso di prudenza, forse quando sapremo di più del Covid e delle sue conseguenze, magari basterà meno. Ad ora è tutto molto nuovo.

Durante i tre mesi si fanno altri esami?

No, il protocollo è ripeterli dopo tre mesi per valutare se i segni dell’infiammazione sono ancora presenti. Se non ci sono, allora riparti con carichi graduali, fino al momento in cui puoi tornare a lavorare come un professionista. Non si fanno esami prima, perché di certo dopo un mese non vedresti miglioramenti. E poi dare tre mesi serve anche per ridurre l’ansia nell’atleta, che altrimenti sarebbe sempre con la testa a voler bruciare le tappe.

Il dottor Magni è nel ciclismo dal 1996. Fa parte da 16 anni del gruppo di lavoro di Nibali
Il dottor Magni è nel ciclismo dal 1996. Fa parte da 16 anni del gruppo di lavoro di Nibali
Questo problema riguarda tutti, anche il cicloturista che dopo il Covid si rimette a macinare chilometri?

Certamente, con tutta la difficoltà del caso nel riconoscere i sintomi. Per cui non vorrei che passasse il messaggio che siamo tutti a rischio. L’affaticamento nel fare le cose o il fiato corto appartengono anche a una normale convalescenza.

Ecco, appunto. Che cosa si prova da medico nel non riuscire a fare distinzioni e diagnosi subito esatte?

Sono situazioni che ci mettono in grande difficoltà. Il Covid è una bestiaccia, perché non esiste una casistica ancora completa, non c’è letteratura medica. E le continue mutazioni non rendono certo le cose più facili.