«Mi dispiace molto che l’azione dei miei tre ragazzi, sabato alla Milano-Sanremo, sia passata così sotto silenzio. Si guarda sempre e solo al risultato finale, all’ordine d’arrivo dimenticando che il ciclismo è impegno, prestazione, ha tanto altro da dire». Sono sferzanti le parole di Ivan Basso, il manager della Polti-Kometa anche a distanza di qualche giorno dalla Classicissima, dove Andrea Pietrobon, Davide Bais e Mirco Maestri hanno costruito un’azione durata ben 250 chilometri, in compagnia di altri 8 corridori (tra cui, è giusto sottolinearlo, un altro trio dello stesso team, la Corratec-Vini Fantini con Baldaccini, Conti e Tsarenko).
Una fuga dove c’era la chiara sensazione che nulla fosse stato lasciato al caso, ma che anzi era la messa in pratica di un progetto partito da lontano: «Noi abbiamo presentato alla Sanremo una squadra con un velocista come Lonardi che aveva il compito di tenersi il più possibile attaccato agli altri sprinter del gruppo, poi un manipolo di attaccanti. Dovevamo ritagliarci uno spazio in una gara molto particolare, perché ha un copione già scritto».
In che senso?
A differenza di tante altre corse, la Milano-Sanremo è come se avesse un copione prestabilito. Alla vigilia tutti dicevano che la Uae avrebbe cercato di far selezione per lanciare Pogacar, che Tadej e Van der Poel avrebbero cercato di fare la differenza sulla Cipressa o sul Poggio e che la corsa si sarebbe risolta o nella sfida a due o con un manipolo ristrettissimo di corridori. E così è stato, la trama è stata rispettata. Noi in questa lettura dovevamo ritagliarci un nostro spazio e potevamo farlo solo con la fuga a lunga gittata.
Perché dici che alla vostra azione non è stato dato il giusto risalto?
Perché ormai le fughe vengono date per scontate, ma non è così. C’è un metodo per andarci e devi impararlo, faticando, correndo, prendendo vento in faccia. Non è facile, non è scritto che la fuga parta e soprattutto con chi. I ragazzi sono stati bravissimi, già dopo 15 chilometri hanno beccato l’azione giusta anche con altri corridori dalle caratteristiche simili. Non è un caso ad esempio se nella stessa fuga c’erano Maestri e Tonelli, lo avevano fatto anche lo scorso anno, perché hanno quel tipo di fiuto.
Che valore ha avuto una fuga così lunga?
Altissimo perché ha dato un’impronta alla corsa. In quel gruppo di 12 coraggiosi c’erano corridori molto bravi, forti e non è un caso se il gruppo non ha permesso che si raggiungessero grandi distacchi, li ha sempre tenuti a tiro. Quell’azione ha costretto i team a lavorare sempre, per tutta la gara e quindi ha anche influito sul loro rendimento nel corso della giornata.
Pensi che abbia influito anche sulle strategie di corsa del team più forti? Ad esempio la Uae che doveva rendere la corsa dura prima che Pogacar partisse…
Questo non lo credo, squadre simili sono attrezzate a tirare per tutta la giornata come si vede sempre nei grandi Giri. Sanno come affrontare queste giornate, alla fine la trama di cui sopra si è comunque svolta senza grandi sorprese, ma certamente ha caratterizzato la corsa.
Ti aspettavi che Bais arrivasse così lontano, fino quasi all’imbocco del Poggio?
Questo è un tema che mi preme molto affrontare. Davide è un corridore italiano che sta maturando, che si sta caratterizzando per la sua capacità di andare in fuga. Si sta costruendo come atleta. Se prendi vento in faccia ti aumenta l’autostima. Oggi ti prendono a 15 chilometri dall’arrivo, domani a 10 ma verrà il giorno che al traguardo ci arrivi e lui l’ha già dimostrato al Giro d’Italia. Quando però avviene, non è un caso e non c’è da stupirsi. C’è da capire che anche quella vittoria sarà stata frutto di strategia, di un lavoro partito da molto lontano. Maestri ci aveva provato alla Tirreno-Adriatico, ci ha riprovato alla Sanremo e ci riproverà. Quando ci riuscirà (e io ne sono sicuro), sarà frutto di tutte queste occasioni che non sono andate a vuoto, non sono state tempo sprecato, anzi.
Secondo te quali erano le condizioni perché la fuga arrivasse?
Serviva innanzitutto una sottovalutazione da parte delle altre squadre, di quelle principali, ma c’erano diesse molto esperti, che infatti hanno subito sollecitato i loro ragazzi a mettersi all’opera tenendola vicina. Poi che ci fossero condizioni climatiche adatte. Se ci fosse stato un forte vento a favore soprattutto sulla costa, quando si arrivava ai meno 30, allora per il gruppo sarebbe stato complicato rimettere le cose a posto. Ribadisco, a volte le fughe arrivano, non vanno prese sottogamba e soprattutto vanno valutate nel dovuto modo, dando il giusto risalto a chi le compie. Io ricordo che avevo un compagno che proprio grazie alle fughe è diventato famoso, Jens Voigt, perché di corse ne ha vinte così e anche corse di spicco.
Questa delle fughe sta diventando un vostro marchio di fabbrica?
Sì, ma non siamo solo questo. Io ho davanti agli occhi i numeri pazzeschi che Pietrobon, Bais e Maestri hanno realizzato sabato, mettono dentro cavalli nel motore e se li ritroveranno più avanti. Io dico che il loro rendimento rispecchia questa prima parte di stagione.
Com’è stata secondo te?
Molto positiva. Abbiamo realizzato il quadruplo dei punti Uci rispetto allo scorso anno, con 3 vittorie. Ma io guardo anche oltre: quando fai doppia attività e vedi che ottieni risultati in contemporanea significa che la squadra funziona e non parlo solo dei corridori, ma di tutto lo staff. Siamo cresciuti in maniera esponenziale, abbiamo perso elementi importanti in campagna acquisti come avevo sottolineato, ma ne abbiamo presi altri validissimi e soprattutto stiamo valorizzando i nostri talenti coltivati piano piano. Guardate Piganzoli com’è andato alla Tirreno… Diamo valore alle prestazioni, non solo ai risultati, anche perché se a vincere sono sempre gli stessi, gli altri che cosa devono fare? Il ciclismo è qualcosa di molto più complesso che uno stringato ordine d’arrivo.