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Le fughe della Sanremo: l’esperienza di Tonelli e Maestri

22.03.2023
6 min
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Nella fuga della Milano Sanremo si sono ritrovati gomito a gomito due atleti che di esperienza, nell’anticipare il gruppo, e non solo, ne hanno tanta. Si tratta di Mirco Maestri e di Alessandro Tonelli, due corridori che di chilometri in testa alla corsa ne hanno messi tanti nelle gambe. I due ora si trovano rispettivamente alla Eolo-Kometa ed alla Green Project-Bardiani, ma in precedenza hanno condiviso la stessa maglia della formazione di Reverberi.

Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019
Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019

Maglie diverse, stessa situazione

Maestri e Tonelli, insieme agli altri sette corridori, si sono sciroppati 259 chilometri di fuga alla Sanremo. Una giornata in avanscoperta ma con le ore contate, una specie di “bomba ad orologeria” pronta ad esplodere. Insieme a loro scopriamo come si gestiscono e cosa si fa in una fuga così particolare come quella della Classicissima di Primavera. 

«L’avevo fatta in fuga dal 2016 al 2019 – attacca Maestri – poi per motivi diversi negli ultimi anni prima non ho partecipato e poi, l’anno scorso, ho corso in gruppo a sostegno di un mio compagno. Devo dire che una Sanremo dove la fuga prende solamente tre minuti non me la ricordo, eppure siamo andati forte, ma da dietro non ci hanno lasciato spazio. Nel 2016, per esempio, eravamo in undici e siamo arrivati a più di dieci minuti di vantaggio. Rispetto alle edizioni precedenti quest’anno abbiamo anche fatto fatica a portare via il gruppetto degli attaccanti. Infatti, io e Alessandro (Tonelli, ndr) ci siamo avvantaggiati subito ed abbiamo aspettato l’arrivo degli altri.

«Si è trattata di una mossa di esperienza – gli fa eco l’amico Tonelli – abbiamo preso quei quindici secondi sul gruppo che ci hanno fatto comodo. Una volta che il gruppo ha rallentato noi ci siamo fermati, letteralmente, ad aspettare i contrattaccanti. Quest’anno, rispetto alle edizioni precedenti, la fuga è andata via con tanta difficoltà anche a causa del cambio di percorso. Con la partenza da Abbiategrasso i primi 30 chilometri erano completamente differenti e c’era un po’ di timore».

Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga
Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga

La gestione

Quella della Sanremo sembra una fuga scontata, dove il gruppo ti tiene nel mirino e con due pedalate, nel momento clou, ti riprende. Ma dal racconto di Maestri e Tonelli non pare proprio così, anzi.

«La Sanremo – spiega Paperino Maestri – è una corsa nella quale non si sa mai. In gruppo diventa molto più stressante rispetto al correrla in avanscoperta, devi sempre limare e anche a tanti chilometri dall’arrivo sale lo stress. Alla fine vengono fuori due corse completamente differenti. Vi faccio un esempio: sul Turchino noi davanti andiamo forte ma non a tutta, mentre in gruppo si apre di più il gas. Questo perché la discesa che porta a Genova è insidiosa e in mezzo al gruppo si rischia e non poco (anche quest’anno, infatti sia in salita che in discesa ci sono state due cadute, nella prima è stato coinvolto Alaphilippe, ndr).

«Poi una volta arrivati sul mare inizia un’altra corsa, in fuga si va a tutta e cerchi di prendere più vantaggio possibile. La speranza è quella di arrivare sul mare con 5 minuti di vantaggio, così sei abbastanza sicuro che vieni ripreso a metà Cipressa, per cercare di rimanere agganciato ed arrivare nel finale davanti. A me non è mai successo, a Tonelli, fortunato lui – dice ridendo – sì, anzi lui è stato ripreso sul Poggio l’anno scorso!». 

«Non è così semplice – replica il corridore della Green Project – siamo consapevoli del fatto che verremo ripresi, ma per motivi diversi conviene andare avanti. Io preferisco anticipare perché sono consapevole che riesco a gestire meglio lo sforzo se lo affronto con più costanza. Nel 2018, l’ultimo anno che l’ho fatta in gruppo, sono arrivato dopo la Cipressa che ero finito. In questi anni sono riuscito a gestirmi bene, tant’è che sono arrivato fin sul Poggio lo scorso anno. A Mirco devo una fuga fino a lì, ci ha provato, ma non è mai riuscito».

Quest’anno i fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio
I fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio

Anticipare e “sperare”

Quella della Sanremo non sarà una fuga di anticipo come quella della Roubaix, in cui dal gruppo in avanscoperta può uscire il vincitore della corsa. Tuttavia anticipare il gruppo può portare i suoi frutti.

«Ormai – dice il corridore della Eolo – anticipare e fregare il gruppo è diventato difficilissimo. Qualche anno fa non c’era tutta questa conoscenza anticipata delle condizioni di gara, il vento era la più grande incognita e tu andavi in fuga sperando giocasse a tuo favore. Perché, se lo hai alle spalle, è tutto un altro programma. Sai che il gruppo non può guadagnare troppo tempo nel breve periodo. Negli ultimi anni, ormai, si sa tutto prima, anche la direzione del vento quando si arriva sul mare. Io quando vado in avanscoperta non penso mai al fatto che sia un’operazione “suicida”, ma credo sempre di poter fregare il gruppo. Altrimenti, se non parti convinto di testa, è meglio che stai indietro».

La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino
La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino

L’avviso di Mosca

La Trek Segafredo è una delle squadre che si è incaricata in primis di gestire l’inseguimento. Uno dei volti che appariva sempre nelle prime posizioni del gruppo era quello di Mosca, mai fuori dai primi dieci fino ai Capi. Insomma, per il corridore piemontese più di 200 chilometri ad inseguire. 

«Parlavo con lui prima del via – spiega Tonelli – e mantenere la fuga sotto controllo era parte del programma. L’anno scorso sono andato così tanto avanti, perché abbiamo giocato bene le nostre carte e sfruttato il vento a favore una volta arrivati sul mare. Quest’anno c’era ancora una volta il vento a favore, ma dietro hanno tirato costantemente in quattro e non siamo riusciti a prendere vantaggio. In fuga devi giocare sull’esperienza, è un braccio di ferro psicologico, non di forza bruta.

«Se vedi che il gruppo fin da subito ti tiene a tre minuti tu stai lì e gestisci lo sforzo. Poi nelle zone favorevoli, come il passaggio da Genova dove il gruppo si ferma, dai gas e provi a guadagnare tempo. Nel ciclismo moderno non ci sono più grandi occasioni per i fuggitivi della prima ora. Anche alla Tirreno negli ultimi anni sarà arrivata una sola volta la fuga al traguardo. Ma due corridori esperti come noi due non si fanno demoralizzare e ci proveranno sempre».

Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile
Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile

I pitstop

Una cosa che si nota in una gara da quasi 300 chilometri sono i continui pitstop, soprattutto nella prima parte di corsa. I corridori del gruppo si fermano spesso per i propri bisogni e hanno più tempo per gestirsi. In fuga, invece, il tempo e lo spazio sono contati. Sabato, alla Classicissima, il giovane francese della Tudor: Aloi Charrin, ha fatto un piccolo scatto per avvantaggiarsi e fermarsi

«E’ un’abilità anche quella – dice Maestri- io nel 2019, alla Tirreno, quando ho vinto la maglia della classifica a punti, ho imparato a fare i bisogni mentre sono in bici. Non è semplice, però ti lanci, fai e perdi molto meno tempo che a fermarti. Alla Sanremo, però, il ragazzo della Tudor non era capace e la situazione stava diventando un’agonia. Così gli abbiamo detto di fermarsi e che lo avremmo aspettato. Diciamo che fermarsi sul Turchino non è stata la mossa migliore, ma alla fine cambia poco scendere da 3 minuti a 2’30”. Tanto il gruppo non aveva intenzione di riprenderci a 150 chilometri dall’arrivo».

Milano-Sanremo 2003, con Celestino il film di quel giorno

26.02.2023
6 min
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Un amarcord felliniano, andando a ripescare un’epoca che ci accompagna ancora oggi con quei campioni che ora guidano il ciclismo dall’ammiraglia e ricoprono ruoli in federazione e nel mondo tecnico delle due ruote. Facciamo un salto a vent’anni fa, partendo dalla foto utilizzata in apertura per farci raccontare la Milano-Sanremo 2003. A riavvolgere il nastro della memoria ci aiuta l’unico che dei tre non aveva le mani alzate al cielo ma l’orgoglio pieno, Mirko Celestino

Per lui correre la classica di primavera era un sogno fin da bambino. Nato ad Andora, città attraversata dalla corsa, l’attuale cittì della nazionale XCO e XCM aveva un legame intimo e reverenziale. Per lui quegli anni alla Saeco erano tempi di vittorie con un Lombardia, una Tre Valli Varesine e tante altre corse che lo avevano già fatto conoscere al grande pubblico. Una delle caratteristiche che lo contraddistinguevano era il saper affrontare le discese a viso aperto, rilassato e disinvolto come una rondine in cielo. Mirko, raccontaci di quel giorno e dicci cosa ne pensi degli interpreti di oggi…

Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Per cinquant’anni la Milano-Sanremo si è corsa il 19 marzo, giorno del tuo compleanno. Che cosa rappresentava per te quella corsa?

Sono cresciuto guardando la Milano-Sanremo. Il mio papà mi ha sempre portato a vederla a Capo Mele che è la salitella prima di arrivare ad Andora dove mancano 50 chilometri all’arrivo. Sono cresciuto con la visione di questi corridori che arrivavano tutti sporchi e provati. Ho in testa queste immagini epiche di campioni che passavano davanti a casa. 

Da ammirarla sei poi arrivato a correrla da professionista…

Questa passione per la bici tramandata da mio papà l’ho portata avanti dai sei anni fino a farne un lavoro e non ho più smesso. Il mio sogno era quello di partecipare alla Milano-Sanremo e così sono arrivato a farne 11 tra cui quella del 2003 dove chiusi al secondo posto dietro a Paolo Bettini

Che emozioni provasti quel giorno?

Fu come una vittoria. In quel periodo Bettini era imbattibile. Per un corridore con le mie caratteristiche arrivare nei primi in quella classica era molto difficile. A quel tempo era una gara dominata perlopiù da velocisti. Ai tempi non si riusciva a fare tanta differenza perché c’era Mario Cipollini in maglia iridata con il suo treno. Fino all’anno prima con il treno rosso non lasciava scappare occasioni e quell’anno con la Domina Vacanze il trend era lo stesso. 

Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Un secondo posto che ti tieni stretto…

Quel giorno lì sento di aver fatto un’impresa. Chi ne capisce di ciclismo può capire quanta energia avessi e quanto era la mia giornata. Anche se quel giorno “l’altro” che era nella sua giornata perfetta era proprio Bettini. 

Qual era la tattica in corsa?

Gli accordi erano quelli di avvantaggiare Danilo Di Luca, mio compagno alla Saeco, che stava bene e bisognava fare la gara dura per svantaggiare i velocisti. Mi “sacrificarono” per fare l’attacco sulla Cipressa e così è stato. 

Ti staccasti prima dello scollinamento e poi li riagganciasti in discesa…

Mi riprese quasi in cima alla salita il quartetto che era uscito dal gruppo composto da Bettini, Vinokourov, Freire e Rebellin. Ero in affanno dopo l’attacco e mi ricordo che vidi che Di Luca non c’era, così mi buttai giù in picchiata, rischiando la vita, per quella discesa che conoscevo a memoria e li ripresi. Ai tempi so che feci il record. Mi piaceva molto andare forte in discesa e riuscivo a fare la differenza anche in quelle che non conoscevo.  

Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Cosa successe sul Poggio?

Ci ripresero e imboccai il Poggio in gruppo. Poi secondo me, Di Luca partì un po’ troppo presto e fu ripreso in contropiede da Bettini, Paolini e me, che mi agganciai alla loro ruota. 

Se sulla Cipressa facesti il recupero in discesa mentre a venire giù dal Poggio tirò quasi solo Paolini…

Anche loro due erano due ottimi discesisti. Paolini lo reputavo al mio livello in discesa. Si sacrificò totalmente per Paolo e tirò parecchio sia in salita che in discesa perché era molto bravo a guidare e a disegnare traiettorie. Di Luca infatti si staccò e perse terreno da noi tre. 

Che sentimento provasti al termine di quel sogno sfiorato?

Son sempre stato una persona realista. Quel giorno lì non mi ha battuto uno a caso, ma Paolo Bettini. In quegli anni lì non sbagliava un colpo, sapevo già di essere spacciato. Mi sarebbe stato utile se al posto di Paolini ci fosse stato un altro corridore di punta in modo tale da provare un attacco da finisseur e sorprenderli. Magari si sarebbero guardati quell’attimo in più e sarei arrivato all’arrivo. Ero abbastanza scaltro in questo, infatti la Classica di Amburgo e il Giro di Lombardia li vinsi così, di furbizia. 

Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Venendo all’attualità, la vittoria di Mohoric dell’anno scorso utilizzando il telescopico e attaccando proprio in discesa che impressione ti ha fatto?

Ha colto l’attimo giusto. Sì, il telescopico può averlo avvantaggiato qualcosina, ma non lo vedo così utile in una gara su strada. Si va giù talmente forte nelle discese che quel dispositivo non ti fa fare così tanto differenza. Lì ci vuole il manico e saper gestire bene la bicicletta, distribuire i pesi ed essere tranquillo e rilassato. La rigidità è quella che ti fa fare degli errori, soprattutto alle alte velocità. Lui ha saputo sfruttare questa sua dote di discesista e ha sorpreso gli altri. E’ stato un grande. Avendo il telescopico tutta l’attenzione se l’è presa quello. 

Pensi che quest’anno vedremo più telescopici in gruppo?

Sicuramente sì. Qualcuno proverà questa carta. Anche se la Sanremo la vinci con un insieme di dettagli: alimentandoti bene, arrivando con la mentalità giusta al momento decisivo e con una gamba che risponde bene dopo 300 chilometri. 

Il telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Un telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Cosa ne pensi dei nomi che ci sono oggi? Van Aert, Van der Poel, Pogacar…

Sono tutti nomi pericolosi. Pogacar ha caratteristiche diverse dagli altri due, perciò cercherà sicuramente di anticipare tutti e metterli in difficoltà. C’è da dire che Van Aert e Van der Poel non li stacchi in salita e in più sono anche veloci. Ovviamente ci aggiungo Evenepoel e Alaphilippe che sono delle vere e proprie mine vaganti per qualsiasi corsa. Al giorno d’oggi la vita per i velocisti è sempre più dura. Dopo 300 chilometri, Van Aert e Van der Poel possono dire la propria anche in mezzo ai velocisti. Le caratteristiche vanno tutte in secondo piano. Le incognite in questa classica sono infinite. Comprese le cadute che in questa gara fanno la selezione che non ti aspetti. 

Permettici questa domanda… Mirko Celestino con il telescopico avrebbe vinto una Sanremo?

No, no (ride, ndr), in Mtb l’ho usato ma serve per altri scopi. Su strada non fa la differenza che tutti si immaginano. Mi tengo stretto quel secondo posto del 2003. 

Non solo Giro Donne. I progetti in rosa di Rcs Sport

15.02.2023
4 min
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La notizia è delle ultime ore: Rcs Sport che organizza il Giro d’Italia per i professionisti ha preso in carico anche il Giro Under 23, sin da quest’anno per un quinquennio e il Giro Donne, dalla prossima stagione fino al 2027. La società di Urbano Cairo si è aggiudicata il bando della Federazione (al quale a dir la verità è stata la sola a partecipare) allargando così la gestione di eventi di ciclismo femminile che già contemplano la Strade Bianche e anche eventi all’estero, come l’Uae Tour da quest’anno nel WorldTour e monopolizzato dalle cicliste italiane.

Il Giro donne passerà in mano alla Rcs Sport dal 2024. Quest’anno toccherà ancora alla PMG Starlight Ssd
Il Giro donne passerà in mano alla Rcs Sport dal 2024. Quest’anno toccherà ancora alla PMG Starlight Ssd

Appena diffusa la notizia dell’acquisizione dei nuovi eventi, molti si sono chiesti perché questa differenza, perché non iniziare subito. La risposta è molto semplice: non era possibile, come spiega l’amministratore delegato di Rcs Sport Paolo Bellino, dirigente con un fulgido passato da specialista dei 400 ostacoli nell’atletica: «Per il 2023 c’è un contratto in essere con la società che lo ha allestito negli ultimi anni, quindi l’organizzazione di questa edizione non era in discussione, ma non nascondo che questo è stato anche un motivo per presentare la nostra proposta».

Perché?

Perché l’allestimento del Giro Donne è un progetto che abbiamo sì da anni, che non nasce dall’oggi al domani. Un simile impegno va studiato, ponderato. C’è bisogno di tempo e sicuramente non potevamo affrontarlo in pochi mesi. Posso dire che per noi allestire l’edizione 2023 non sarebbe stato possibile. Oltretutto entriamo in corso d’opera nella storia del Giro U23, non si può certo far tutto e soprattutto farlo bene come vogliamo noi.

Da sinistra Mauro Vegni, direttore organizzativo e Paolo Bellino, AD di Rcs Sport
Da sinistra Mauro Vegni, direttore organizzativo e Paolo Bellino, AD di Rcs Sport
Che cosa rappresenta questo passo nella vostra politica organizzativa riguardante il ciclismo femminile?

Un ulteriore impegno in suo favore. Il prestigio acclarato della Strade Bianche, i riscontri avuti proprio pochissimi giorni fa con l’Uae Tour al femminile ci dicono che la strada intrapresa è quella giusta, ma la presa in carico della corsa rosa è solo un passaggio, i nostri progetti vanno anche più avanti. Intanto ora, con l’attribuzione della gara a tappe per 4 anni, possiamo mettere sul tavolo tutte le nostre idee per poterne fare un grandissimo evento, un richiamo per tutto il movimento femminile.

A proposito di altri progetti, ormai il ciclismo femminile, rispetto a quello dei maschi, presenta due sole “lacune”: la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia, uniche classiche Monumento che non hanno un corrispettivo fra le donne. Vi impegnate anche in queste?

Bisogna fare un doveroso distinguo. Per la Milano-Sanremo c’è un progetto che va avanti da molto tempo e credo di poter dire che non è lontanissimo il momento che anche fra le donne ci sarà la Classicissima. Per il Lombardia i tempi sono più allungati. Si tratta di eventi molto complicati da pensare, allestire, calibrare anche in base al movimento rosa.

L’arrivo di Mohoric all’ultima Sanremo. Presto ci sarà anche una versione femminile, un po’ diversa
L’arrivo di Mohoric all’ultima Sanremo. Presto ci sarà anche una versione femminile, un po’ diversa
Quali sono le difficoltà principali nell’allestimento della Milano-Sanremo?

Tante, a cominciare dalla data. Il calendario femminile è complicato da gestire, soprattutto se vogliamo tenere fede – e lo vogliamo – alla concomitanza delle date fra uomini e donne. Ma le difficoltà non si esauriscono qui: c’è anche un importante aspetto tecnico da considerare, dobbiamo strutturare la gara su strade diverse, capire come gestire la loro chiusura. Non sarà certamente lo stesso percorso degli uomini.

D’altronde in quel caso parliamo di una gara di quasi 300 chilometri…

Appunto, dobbiamo pensare a qualcosa di completamente diverso, non è come per le altre classiche, anche quelle del Nord. Stiamo pensando a un percorso tutto ligure, un’idea in ballo è quella di Arenzano come località di partenza in modo da avere un chilometraggio congruo, ma è tutto in divenire. Quel che è certo è che con pazienza e con professionalità, la Milano-Sanremo per donne sarà presto cosa fatta.

Dal 2020 anche la Parigi-Roubaix ha una prova femminile. Per Sanremo e Lombardia c’è da attendere
Dal 2020 anche la Parigi-Roubaix ha una prova femminile. Per Sanremo e Lombardia c’è da attendere
E per il Giro di Lombardia?

In questo caso ci sarà da aspettare di più. Non dico che il progetto è in un cassetto, lo stiamo vagliando ma come detto dobbiamo procedere per gradi anche in base alle forze a disposizione, alle idee realizzabili. E’ un discorso complicato, bisogna pensare a un tracciato point to point, con località di partenza e arrivo. Non possiamo fare tutto, bisogna costruire un percorso di lavoro. D’altro canto mi pare che di carne al fuoco ce ne sia tanta, da far tremare i polsi…

Le lacrime, il cuore, il sorriso e l’addio di Colbrelli

15.11.2022
8 min
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«E’ un momento molto importante – inizia Colbrelli – come avrete sentito e letto, sono qui per confermare il mio ritiro. Dopo tanti mesi a pensare e riflettere. Dopo aver parlato con la mia famiglia e vedere se valesse la pena continuare…».

La voce si strozza di colpo. Sonny guarda in alto. Il momento è arrivato, ma non è facile ammetterlo davanti alle tante persone accorse, almeno quanto lo è stato ammetterlo con se stesso. Giornalisti. Parenti. Addetti ai lavori. Una conferenza stampa a invito. E’ il pomeriggio del 15 novembre. L’anno scorso in questi stessi giorni, il bresciano era nella sede di Merida per celebrare la vittoria di Roubaix, oggi è in casa FSA per dire che è tutto finito.

Sonny raggiunge la scrivania alle 14,40. E’ rimasto a lungo in un ufficio a parlare con Cassani e altri amici, fra cui Luca Mazzanti
Sonny raggiunge la scrivania alle 14,40, dopo aver parlato a lungo con Cassani e altri amici, fra cui Luca Mazzanti

Salvataggio Cassani

Interviene Cassani, accanto a Sonny come amico più che come tecnico. E Davide prende il microfono, sollevando Sonny dal momento difficile. Racconta delle avventure in azzurro. Ripete le parole che in questi mesi tanti gli hanno sentito ripetere, quasi a scacciare anche lui la malinconia e lanciare un salvagente di speranza all’uomo seduto accanto a lui.

«Abbiamo fatto una chiacchierata – dice – prima di venire davanti a voi. Mi ha detto di non aver ancora metabolizzato quest’idea. Ha raggiunto tanto nella sua carriera e ora ha voluto questo incontro. Da tanto tempo non parlava. E’ una persona che ha seminato tanto e bene. E adesso – voltandosi verso Colbrelli – se hai finito di piangere, tocca di nuovo a te…».

La sala scoppia in una risata e un applauso. La commozione ha invaso i pensieri di tutti, ma questo non è il momento di deprimersi. Questo è il momento per guardare avanti. Le malinconie hanno già popolato e forse popoleranno ancora le sue notti. Avere un pensiero felice da coltivare sarà il balsamo migliore.

In prima fila i genitori di Sonny, la moglie Adelina e i figli, oltre al fratello Tomas. Subito dietro giornalisti e addetti ai lavori
In prima fila i genitori di Sonny, la moglie Adelina e i figli, oltre al fratello Tomas. Subito dietro giornalisti e addetti ai lavori

La chiamata con Eriksen

«Dopo quel 21 marzo – riprende Sonny rinfrancato – la mia vita è cambiata. Capisci quello che è successo e devi essere realista. Non tornerai mai più a fare la vita di prima. E’ stato difficile guardare le corse, ma il giorno dopo ero già col mio telefono a vedere Bauhaus che faceva secondo al Catalunya. La bici mi ha dato tanto e mi ha tolto tanto, ma ultimamente mi ha fatto capire che la vita è una sola.

«Non sono Van der Poel o Evenepoel, ci ho messo 32 anni per arrivare al mio livello migliore e sul più bello mi tocca smettere. Ho fatto tanti esami. Ho usato come riferimento Eriksen (il calciatore danese dell’Inter rianimato in campo durante la partita fra Danimarca e Finlandia agli europei 2020, ndr). Tramite alcuni amici, ho trovato il suo numero. Gli ho mandato un messaggio e mi ha chiesto se poteva richiamarmi dopo la doccia, perché aveva appena finito l’allenamento. Abbiamo parlato, ma ho capito che il ciclismo non è il calcio. E se mi succedesse di nuovo in una discesa, potrei farmi molto più male. Perciò smetto. Spero di dare ancora tanto al ciclismo. Ringrazio la squadra, che mi ha tranquillizzato per il futuro…».

Miholjevic, al tavolo con Marra, Colbrelli e Cassani, ha raccontato l’importanza di Sonny per il team
Miholjevic, al tavolo con Marra, Colbrelli e Cassani, ha raccontato l’importanza di Sonny per il team

L’abbraccio di Miholjevic

Accanto a lui c’è Miholjevic, il team manager del Team Bahrain Victorious. E’ un tipo tosto Vladimir, di poche parole. Più tosto adesso da manager che quando era corridore, eppure anche lui è commosso. Non è solo un momento di Colbrelli, in qualche modo è il momento della sua squadra.

«Abbiamo conosciuto Sonny – dice – quando arrivò dalla Bardiani. Era un ragazzo fortissimo, con un grande potenziale e lo stesso entusiasmo dei suoi bimbi qua davanti. Siamo riusciti a incanalare le sue forze e abbiamo fatto la gioia della nostra squadra e del ciclismo italiano, con la vittoria della Roubaix, la classica più bella. Il Catalunya è stato uno choc anche per noi. Anche noi che abbiamo smesso per età non abbiamo metabolizzato facilmente il fatto di non essere più corridori, per Sonny sarà ancora più dura».

Due anni con il team

«Abbiamo pensato di aver perso qualcosa – prosegue Miholjevic – invece ora pensiamo di aver in qualche modo guadagnato. Avreste dovuto vederlo nel bus, motivare la squadra con le sue parole spontanee. Per questo abbiamo prima sentito l’obbligo di stare accanto a lui e alla sua famiglia. Ora però sappiamo quale potenziale abbiamo in mano, con uno che ha vinto la corsa più importante per la squadra. Sonny scenderà con noi nella… miniera (sorride, ndr) che lavora dietro le quinte. Abbiamo 28 corridori e 68 persone. Diventerà una persona più completa. Nel frattempo i bambini crescerano e Tommaso (dice ridendo mentre indica il figlio di Sonny, ndr) comincerà a vincere le corse. Sarà con noi per altri due anni».

Dopo le lacrime delle prime parole, Colbrelli è parso commosso a tratti, ma sempre più consapevole
Dopo le lacrime delle prime parole, Colbrelli è parso commosso a tratti, ma sempre più consapevole

Il ciclismo dei giovani

Scorrono le immagini delle vittorie. Poi viene presentato il logo con il cobra e il nome Sonny Colbrelli, disegnato da Johnny Mole per una linea di 71 bici Merida volute da Sonny, perché 71 era il numero sulla maglia nella Roubaix vinta. Intervengono Claudio Marra, il padrone di casa, che gli consegna un premio. Interviene Dario Acquaroli, per Merida Italy. E intervengono anche due pezzi grossi di Merida Europe: il direttore del marketing Andreas Rottler e il general manager Wolfgang Renner. E Sonny, già più disteso parla del progetto e della sua idea di lavorare per il ciclismo dei bambini.

«Quando ero piccolo – dice – avevo una pista in cui pedalare al sicuro. Ora nella zona di Brescia vedo i bimbi nel parcheggio di un supermercato e mi mette tanta tristezza vederli in mezzo ai vetri. Vorrei fare qualcosa, non so quando. Dipende da quanto mi farà lavorare Miholjevic (ride a sua volta, ndr). Un impianto in cui possano provare tutte le specialità e poi semmai scegliere. I più giovani bisogna farli innamorare del ciclismo, non proporglielo come un’ossessione».

Claudio Marra ha premiato Colbrelli con una targa che vale anche come promessa di collaborazione futura
Claudio Marra ha premiato Colbrelli con una targa che vale anche come promessa di collaborazione futura

I pensieri pericolosi

Poi prende una pausa di silenzio. Di colpo Colbrelli torna Sonny, il ragazzo che sognava di diventare campione sulla sua bicicletta e di colpo vengono avanti i fantasmi delle prime notti.

«Ho pensato di togliermi il defibrillatore – dice davanti a tutti e poi approfondirà a quattr’occhi – fare due anni al top e poi di rimetterlo. L’ho pensato subito, quando ho scoperto che è removibile. In bici senti magari di poter fare quello che facevi prima, ma poi hai paura di spingerti al massimo. E allora penso che comunque non sarei più il Sonny di una volta. Hai paura, non vai allo sfinimento. Non doveva succedere quel giorno, non era il mio turno. Sono stato fortunato. Di 10 persone che hanno avuto un arresto cardiaco come quello, 8 non sono qui a parlarne. Bisogna essere forti e intraprendere una cuova carriera.

«Ho capito di non essere più un corridore quando è arrivata la mail con l’organico della squadra e il mio nome non era più nella lista. Ma se ho fatto un cambio di marcia lo devo a Paola, la mia mental coach. Mi ha fatto capire quanto valgo e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile. Potrebbe esserci il rimpianto del Fiandre e di non aver fatto sempre la vita che ho imparato negli ultimi tempi, ma non è questo il tempo dei rimpianti».

Notevole l’afflusso dei media. La decisione di Colbrelli era già nota, ma quasi tutti hanno voluto essere presenti per raccontarlo
Notevole l’afflusso dei media. La decisione di Colbrelli era già nota, ma quasi tutti hanno voluto essere presenti per raccontarlo

Il futuro è già una vittoria

Il futuro è con la squadra e con i suoi sponsor. Con i giovani da osservare e i materiali da provare. Poi forse il futuro passerà attraverso una tessera da direttore sportivo. Zero elucubrazioni su soluzioni ardite per aggirare il divieto di correre. Ancora una volta Sonny è l’uomo maturo che nel 2021 ha fatto sognare l’Italia del ciclismo.

«Non ero solo un corridore – sorride – come ha detto Miholjevic. Mi mancheranno i miei compagni e il mio posto sul bus. Con Caruso ci sentiamo sempre. Mi ha detto: “Sonny, sono con te”. Ci facciamo delle grandi risate. Mi mancherà anche il diesse che la sera porta il numero da attaccare sulla maglia. Non mi mancheranno quelle giornate di fatica a 40 gradi a chiedersi chi me l’ha fatto fare. Però adesso che lo dico, invece mi mancano. Bisogna pensare al bello…».

Immancabile la foto con la bici, Merida Reacto, che lo ha condotto alla conquista della Roubaix
Immancabile la foto con la bici, Merida Reacto, che lo ha condotto alla conquista della Roubaix

I figli che crescono

«Ora vado in bici per divertirmi, mentre prima avevo l’assillo dei lavori e del peso. Ora la sosta al bar è prolungata. Mi godo la bici come mi diceva tanta gente, che per loro è il modo di scaricarsi la mente dopo giornate impegnative. E’ così davvero. Prima cominciavo la giornata dicendo: “Sonny, alzati, vestiti e vai ad allenarti”. Ora mi alzo e mi dico: “Sonny, alzati, vestiti e prepara la colazione ai bambini”. Parto subito con quattro caffè, ma è una cosa bella, perché noi corridori vediamo i figli crescere nel telefono.

«E per il resto – conclude – ho davanti tutta la vita e tanti progetti. L’importante è che sono qui e che non tutti possono dire che la loro ultima vittoria è stata una Roubaix. Ma vi dico subito che c’è già il mio erede. Si chiama Jonathan Milan, abbiamo visto tutti di che pasta è fatto. E magari avermi accanto lassù lo aiuterà a crescere un po’ più in fretta».

Dopo la conferenza stampa, Colbrelli ha concesso qualche minuto ai giornalisti presenti. Qui con bici.PRO
Dopo la conferenza stampa, Colbrelli ha concesso qualche minuto ai giornalisti presenti. Qui con bici.PRO

Sorride. Si alza. Si presta ad altre interviste. Sky va in diretta. Ci sono Rai e Mediaset. Ci sono Eurosport e la Gazzetta. C’è la sala stampa degna di un grande campione. C’è soprattutto il senso consapevole di una seconda occasione. E davanti alla vita, tutto il resto si ferma. Buona vita, Sonny. Ci vediamo alle corse.

I crampi all’improvviso. La disavventura di Conca alla Sanremo

21.03.2022
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Chilometro 263 della Milano-Sanremo, all’improvviso Filippo Conca sgancia il pedale sinistro, smette di pedalare e si accosta sulla destra. Si tocca il muscolo, poi addirittura si siede a terra.

Vede i suoi (ex) compagni di fuga andare via. Il tutto tra i dolori dei crampi. Alla fine riparte. E quando sta per ripartire è letteralmente inghiottito dal gruppo, lanciato a tutta verso la Cipressa. Quegli ultimi 30 chilometri (circa) sono un mezzo calvario. Però il ragazzo della Lotto Soudal è tosto. Poteva tirare dritto per Sanremo invece ha voluto onorare la Classicissima e alla fine l’ha chiusa in 145ª posizione a oltre 11′ da Mohoric.

Conca (classe 1998) dopo l’arrivo della Classicissima. Il lecchese ha poi proseguito per il Catalunya
Conca (classe 1998) dopo l’arrivo della Classicissima. Il lecchese ha poi proseguito per il Catalunya
Filippo, complimenti per la fuga prima di tutto: la volevi?

Sì e no, a dire la verità, fino ad un giorno dal via il nostro capitano era Caleb Ewan, dopo il suo forfait, perché non stava bene, i nostri piani sono cambiati. E la squadra mi ha chiesto di andare in fuga. Ero contento di questo perché alla fine la Milano-Sanremo l’ho sempre sognata, ho sempre sognato di parteciparvi. Esattamente dieci anni fa ero sia alla partenza che sul Poggio a vederla.

E come è stato stare sotto ai riflettori per tanti chilometri?

E’ stata un’emozione unica. Sapendo che c’era vento a favore e il gruppo non ci ha lasciato molto spazio. Però noi da Savona in poi abbiamo iniziato a spingere davvero forte. E infatti col vento a favore il vantaggio scendeva molto lentamente. A Laigueglia, guardando il vantaggio che era ancora di 4’33”, mi sono detto: possiamo arrivare davvero lontani.

E poi questo finale inatteso…

Gli ultimi 60 chilometri li sapevo a memoria perché a inizio febbraio ero venuto in ritiro ad Imperia. Tra l’altro nel punto esatto dove mi sono dovuto fermare per i crampi. Da una parte mi veniva quasi da ridere. Stavo ancora molto bene su Capo Berta. Hanno iniziato ad attaccare ed essendo appena sceso dall’altura facevo un po’ fatica a fare dei fuorigiri, però col mio ritmo andavo bene. Tanto che nella discesa verso Imperia sono rientrato. Il problema è che le gambe erano ancora abbastanza buone e tutto d’un colpo ho iniziato ad avere i crampi.

Il momento dei crampi per Conca (immagini TV)
Il momento dei crampi per Conca (immagini TV)
Quindi non hai avuto avvisaglie? Qualche campanello d’allarme che magari potevi intervenire con il rapporto, dei sali minerali…

No, è successo tutto nel giro di 5′. Dopo 260 chilometri avevo forza, mi sentivo ancora molto bene, ma la gamba purtroppo s’è bloccata. E’ avvenuto tutto all’improvviso ed era impossibile continuare. Ho provato a fare due pedalate, ma niente. 

Cosa ti è passato per la testa in quei momenti in cui eri fermo?

Mi sono detto: così la vita, così è il ciclismo. Quei signori che mi tenevano la gamba per i crampi mi facevano i complimenti perché ero rientrato dopo il Capo Berta.

Dove ce li avevi i crampi?

Sulla coscia destra. Proprio qui – e si tocca il quadricipite “incriminato” – tutta la parte superiore della coscia. Non mi succedeva da tanti anni e anche per questo sono molto dispiaciuto. Ci credevo e ci tenevo ad arrivare davvero lontano.

Comunque non avete fatto poco, poi Rivi e Tonelli sono arrivati all’imbocco del Poggio…

Sono sicuro che se fossi stato al mio top ci sarei stato anche io. Poi mi avrebbero ripreso sul Poggio. L’obiettivo di giornata, a quel punto, era farsi riprendere il più avanti possibile.

Okay Filippo, però ti porti via un bel bagaglio di esperienza. Hai provato il tuo fisico in gara, lo hai spinto ad oltre 260 chilometri…

Sì, sì, certo, però avrei voluto un po’ di più. Non sono tra i più forti in una corsa breve o che richiede sforzi intesi. Però mi piace andare in fuga e quando mi ricapiterà di stare così davanti alla Sanremo? Mi piace fare tante ore ad un buon passo anche in allenamento. Questa è la mia attitudine. Mi spiace, appunto, non essere stato al 100%. L’unica scusante è che fino a due giorni prima della Sanremo ero sull’Etna in ritiro.

Conca ha fatto parte della fuga del mattino (foto Instagram @andreagianaph)
Conca ha fatto parte della fuga del mattino (foto Instagram @andreagianaph)
Quindi non sapevi di dover fare la Sanremo?

Ero riserva. La squadra mi ha chiamato due giorni prima. Non per sostituire Ewan ma un altro ragazzo che non stava bene. Sapete, nell’ultimo periodo tutte le squadre stanno avendo problemi con i corridori per bronchiti, influenze varie e tante altre malattie. Io mi tenevo pronto, ma non mi sarei mai aspettato di farla veramente.

Beh, a maggior ragione dovresti essere contento…

Quando mi hanno chiamato dalla Sicilia sono tornato a casa (a Lecco, ndr). Ci sono stato cinque ore, il tempo di cambiare la valigia e di raggiungere il team a Milano.

Dai Filippo, sei giovane, hai fatto un’ottima gara e una bella esperienza…

Sì, sono davvero felice di aver fatto questa Sanremo. L’unico rammarico che ho è che credo sia l’unica Sanremo dove mi capiterà di arrivare così lontano. Solitamente sulla fuga in questa corsa chiudono molto prima. 

Dmt e RCS rinnovano: è la scarpa ufficiale del grande ciclismo

12.03.2022
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Squadra che vince non si cambia… e fedele a questa arcinota (e verissima) affermazione, Dmt ha rinnovato anche per questa stagione la propria partnership di sponsorizzazione e collaborazione con le gare targate RCS Sport. Dalle Strade Bianche, andata in scena appena una settimana fa e stravinta da Tadej Pogacar (che di Dmt è il primo testimonial) fino al Giro di Lombardia, passando per Milano-Sanremo, Giro d’Italia e Tirreno-Adriatico, il brand produttore di calzature per ciclismo di proprietà del Gruppo Zecchetto affianca la propria immagine e i propri prodotti alle corse più storiche, iconiche e seguite del nostro paese.

Strategia e pianificazione

Ma il rapporto tra Dmt e RCS Sport non si esaurisce esclusivamente in un semplice accordo di sponsorizzazione. Va oltre, ma molto oltre. E per capirlo fino in fondo, o meglio per comprendere quanto sia strategica ed organizzata questa iniziativa Dmt, abbiamo colto lo spunto della Tirreno Adriatico per scambiare qualche battuta con Mauro Scovenna, che dello stesso brand calzaturiero è Marketing e Events Manager.

Allora Mauro, raccontaci qualcosa in più di questo vostro impegno con RCS Sport…

Siamo partiti l’anno scorso proprio con la Tirreno-Adriatico. Una partenza in corsa, come si suol dire, considerando che decidemmo di chiudere l’accordo con RCS appena qualche giorno prima del via della Corsa dei due Mari. Quest’anno abbiamo rinnovato. Convinti e sospinti dagli ottimi risultati commerciali delle nostre linee di calzature per il ciclismo. Un accordo che a tutti gli effetti ci qualifica come la scarpa ufficiale di tutte le più grandi manifestazioni ciclistiche in Italia, e non solo.

Quanto è importante questa vostra presenza itinerante?

Moltissimo. Seguiamo tutte le corse con un nostro mezzo. Siamo sempre presenti in zona arrivo. Ma soprattutto ogni giorno organizziamo esposizione e test, per chiunque lo desideri, mettendo a disposizione tutta la collezione Dmt in tutte le misure disponibili. Questo è un aspetto che merita di essere messo in evidenza. Chi ci raggiunge sul truck Dmt può provare la scarpa che desidera nel numero che vuole (abbiamo anche le cosiddette mezze misure…) per così essere certo di poter poi acquistare presso il proprio negoziante di fiducia esattamente la scarpa Dmt desiderata e soprattutto nella misura più corretta. Tutte le scarpe in prova sono naturalmente igenizzate nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia di Codid-19, e per ciascun test regaliamo come gadget un esclusivo paio di calzini firmati Dmt.

Il vostro rapporto con i professionisti è trasferibile verso i cicli amatori?

L’impegno di Dmt con i corridori professionisti, e più in generale con il mondo delle corse professionistiche, ha origini lontane. Fa parte della nostra tradizione, è nel nostro Dna aziendale. Oggi Dmt è ai piedi di corridori del calibro di Tadej Pogacar, Elia Viviani e del giovanissimo fenomeno spagnolo Juan Ayuso. Come team forniamo la Eolo Kometa e la Intermarché Wanty Gobert. Tutta la nostra tecnologia, tutto il nostro know-how e i feedback preziosissimi dei corridori sono costantemente messi a disposizione per realizzare le scarpe migliori per la nostra clientela. E la nostra clientela sono i ciclo amatori. Iniziative come quelle che organizziamo alle corse RCS sono proprio mirate sia a fidelizzare la nostra clientela quanto a fornire un servizio concreto a quelli che decideranno di sceglierci in futuro per poter… pedalare assieme.

Mauro Scovenna, Marketing & Events Manager Dmt
Mauro Scovenna, Marketing & Events Manager Dmt
Che riscontro stanno avendo nello specifico i modelli KR0 e KRSL?

Molto, molto positivo. Viviani è il testimonial perfetto per il modello KR0, lanciato l’anno scorso  in occasione della rassegna expo Eurobike in settembre e caratterizzato dal sistema di chiusura con il doppio Boa. Elia è un grande amico di Dmt e lo sviluppo della nostra tecnologia lo ha sempre visto attivo protagonista, sia su strada quanto su pista. Le KRSL invece sono semplicemente le scarpe di Tadej… quelle con i lacci, con già due Tour de France sulle spalle ed una Strade Bianche che a ricordarla mi viene ancora la pelle d’oca!

Dmt

Ed Ewan zitto, zitto ci sperava per davvero

21.03.2021
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Passavano i chilometri della Milano-Sanremo e crescevano le quote dei velocisti. Il ritmo alto aveva di fatto bloccato la corsa e l’andatura regolare in qualche modo agevolava le ruote veloci, tra cui quelle pericolosissime di Caleb Ewan.

L’aussie non era nel lotto dei favoriti, tuttavia il suo nome serpeggiava tra gli addetti ai lavori. Un outsider si direbbe oggi. Ma evidentemente i corridori lo devono aver visto bene in gruppo nelle gare precedenti per temerlo. 

In Via Roma Ewan parte tardi ed è secondo dietro Stuyven
In Via Roma Ewan parte tardi ed è secondo dietro Stuyven

La Sanremo nella mente

Al mattino, Caleb è uno degli degli ultimi ad accodarsi. Dopo aver firmato ritorna sul suo bus ed esce solo all’ultimo minuto. Ha gambali e manicotti. Dà un cinque al meccanico e si avvia alla partenza. La sua bici è bassissima e lunga. Il manubrio è stretto. Sembra un killer lanciato verso l’obiettivo. E avere in squadra un certo Philippe Gilbert che ti ruba la scena gli toglie pressione. Lui però era meno sorridente del solito. Insomma, era teso.

«Questa è una gara che nella mia carriera voglio davvero vincere – dice Ewan dopo la corsa – per questo mi sono focalizzato sulla Sanremo da inizio stagione. Mi sono allenato duramente. So che per vincerla avrei dovuto cambiare qualcosa nei miei allenamenti e così ho fatto. L’obiettivo era migliorare in salita. Non so quante volte ho fatto il Poggio nelle ultime settimane».

Obiettivo salite

Ewan e il suo staff però sono stati intelligenti. Per migliorare in salita anziché concentrasi sulla perdita di peso, che avrebbe significato anche smussare la sua arma più affilata, cioè lo spunto veloce, hanno lavorato molto sulle salite brevi. 

«Esatto, mi sono concentrato molto sugli sforzi in salita da cinque minuti. E, pensando alla Cipressa, anche su quelli da dieci». E Caleb ci è riuscito. Per questo tutto sommato dopo la gara era soddisfatto, anche se lui dice di no. Probabilmente ha capito che questa corsa è davvero nelle sue corde.

«No, non ho rimpianti. Sì, ci siamo guardati un po’ troppo, ma la Sanremo è davvero particolare. Per questo correrla è fantastica. Magari se avessi avuto un compagno con me nel finale sarebbe andata diversamente: sapevo di essere il più veloce a quel punto».

Sul Poggio e sulla Cipressa Caleb si difende alla grande
Sul Poggio e sulla Cipressa Caleb si difende alla grande

Ewan e la Tirreno 

In tanti dicevano che non sarebbe stato in grado si sprintare dopo 300 chilometri. La sua risposta è stata quella di conquistare un podio in rimonta. Il lavoro in salita ha pagato e non è arrivato allo sprint con le gambe vuote.

Però c’è un qualcosa che dopo una prestazione simile, viene da chiedersi. Come mai si è fermato alla Tirreno? Nella tappa verso Gualdo Tadino il corridore della Lotto Soudal si è ritirato lamentando problemi intestinali. Il che ci può stare con le temperature di quel giorno, ma avendolo visto alla partenza di quella stessa tappa proprio non sembrava non essere in forma. Rideva e scherzava con i suoi compagni e sembrava uno dei più vispi in assoluto. L’idea è che stesse già pensando alla Classicissima e che volesse risparmiare energie. In fin dei conti per lui si profilavano solo tappe decisamente poco adatte alle sue caratteristiche. In ogni caso, chiunque vorrà vincere la prossima Sanremo dovrà fare i conti anche con Ewan.

Classicissima a Stuyven che scatta (e ragiona)

20.03.2021
4 min
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E come spesso accade, quando qualcuno è “troppo” favorito non vince. Stavolta a cogliere l’occasione e a portarsi a casa la Milano-Sanremo numero 112 è Jasper Stuyven. Il belga della Trek-Segafredo, come ha detto Cioni, ha colto l’attimo. Non ha rubato nulla ed è stato autore davvero di un bel colpo. Onore a lui!

Nino Daniele soccorre e abbraccia Stuyven stremato
Nino Daniele soccorre e abbraccia Stuyven stremato

Attacco a sorpresa

Ci ha messo un po’ il gigante di Leuven a conquistare il suo primo Monumento, almeno stando ai tempi dei fenomeni di oggi. Lui ha la “veneranda” età di 28 anni. Ma la sua crescita è stata costante e di certo non è una meteora. Nel suo palmares ci sono corse come la Omloop Het Nieuwsblad o una tappa alla Vuelta.

Nel finale è stato chirurgico. Freddo. Dalla radio gli hanno detto che doveva provare e lui non se l’è lasciato dire due volte. Quando Kragh Andersen lo ha riacciuffato non è andato nel panico. A quel punto, non ha ascoltato neanche più la radio e ha fatto tutto da solo. Era facile perdere le staffe con un avversario che ti riprende a 1.200 metri dall’arrivo e tutti i super fenomeni dietro a pochi secondi.  Stuyven invece ha cercato di risparmiare il più possibile, come se si potesse risparmiare, e poi ha scaricato a terra tutti i suoi cavalli.

Dopo l’arrivo cade stremato a terra. Non ci crede. Lo assiste subito il medico della squadra, Nino Daniele. Poi man mano passano tutti gli altri. A partire da Nibali che gli dà un cinque sincero.

Stuyven è sull’Aurelia. Si volta e capisce che dietro il primo che si muove è spacciato
Stuyven è sull’Aurelia. Si volta e capisce che dietro il primo che si muove è spacciato

Nervi d’acciaio

«Sapevo – ha detto Stuyven – che sul Poggio tutti aspettavano gli scatti di uno di quei tre. Il mio obiettivo in quel momento era restare lì. E ci sono riuscito, ma come me me ci erano riusciti anche i velocisti e così mi sono detto che avrei dovuto provare in discesa per vincere. I miei compagni non c’erano più, i tre favoriti erano anche più veloci di me e così ho dato il tutto e per tutto. Credo siano stati i chilometri più duri della mia vita».

Ma il vero capolavoro Stuyven lo ha fatto non solo sull’asfalto, ma anche nella sua mente. Già ragionare in certi frangenti non è facile, farlo quando si hanno nelle gambe quasi 300 chilometri è impresa quasi impossibile, tanto più con l’adrenalina della corsa nel sangue. Sentite qua.

«Quando sono partito ho pensato che proprio perché c’erano quei tre poteva essere il momento buono. Sia io che loro sapevamo che il primo che avrebbe chiuso, avrebbe perso la corsa. E così è stato. Poi quando è arrivato Kragh Andersen lui ha provato un po’ a rilanciare e io lì ho faticato tantissimo. Ho pensato a limitare i danni».

Jasper vive a Montecarlo. Il finale della Sanremo lo conosce bene, ma causa Covid nell’ultimo anno ci era venuto solo quattro volte. Due di queste però nell’ultima settimana.

«Giusto per ripassare un po’ il percorso. Quest’anno sono partito un po’ più piano, volevo crescere gradualmente e ci sono riuscito. Devo dire che proprio questa settimana mi sentivo molto bene». E infatti giusto la sera prima la Trek-Segafredo aveva assegnato i ruoli e Stuyven era uno dei due capitani, l’altro era Nibali.

I compagni della Trek tornano al bus con il bottino in mano!
I compagni della Trek tornano al bus con il bottino in mano!

Nessuno è imbattibile

Dal bus della Trek-Segafredo si sentono le grida di gioia. Due di loro arrivano con la bottiglia di spumante in mano, presa direttamente dal podio. Ogni corridore che arriva abbraccia l’altro e tutto lo staff. I ragazzi di Guercilena sapevano di non essere favoriti e forse per questo hanno speso meno energie mentali degli altri. 

L’alta velocità poi forse li ha anche aiutati. In fin dei conti è stata una corsa “facile” da controllare.

«Vero – afferma Stuyven – è stata una corsa velocissima e non c’è stato un team dominante anche negli ultimi chilometri. Siamo arrivati in tanti all’imbocco della Cipressa. Poi su questa salita il ritmo è stato ancora altissimo e nessuno è riuscito a muoversi. Si andava davvero troppo forte. 

«Se mi dà fastidio di non essere stato inserito tra i favoriti alla vigilia? No, visto come quei tre erano andati alla Tirreno era normale che si parlasse di loro. Sì, probabilmente nell’uno contro uno sono più forti di me, ma oggi ho dimostrato che nessuno è imbattibile».

E forse è proprio questo il bello del ciclismo. Tattiche e testa ancora contano. 

Rapporti lunghi e profili aero verso Sanremo

20.03.2021
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Milano-Sanremo gara dal fascino imparagonabile. E questo fascino sta, lunghezza a parte, nella facilità che al tempo stesso è anche la sua difficoltà. E’ molto complicato infatti fare la differenza e per riuscirci spesso contano molto i particolari tecnici. Stamattina prima del via girando tra i bus abbiamo dato uno sguardo alle belve dei corridori. Bici tutte votate alla velocità. Ruote ad alto profilo, manubri aero e, soprattutto, rapporti più lunghi.

Quel 46 di Vdp

Partiamo proprio dai rapporti. La Sanremo non ha un dislivello eccessivo e comunque le sue scalate sono tutte molto pedalabili, senza contare che, nel finale, Cipressa e Poggio si faranno a tutta. Petacchi, quando vinse disse di aver toccato i 48 all’ora proprio sul Poggio…

Andrea Pasqualon è stato il primo a dirci di aver montato il 42-54 al posto del classico 39-53. Le condizioni meteo poi hanno anche influito su questa scelta. Bel tempo e vento laterale e leggermente a favore fin sotto la prima salita, il Colle del Giovo.

La curiosità maggiore in tal senso riguarda proprio la Canyon di Van der Poel. L’olandese è partito con il 39-53, ma sul tetto dell’ammiraglia, la sua prima bici di scorta aveva il 46-54 (quando Chiappucci vinse la Sanremo aveva il 44). Che sia previsto un cambio di bici? Che voglia attaccare sulla Cipressa e non dover spingere il 53? In Alpecin Fenix, ovviamente, sono rimasti in silenzio.

Pertanto il 54 dominava la scena, ma qualcuno è andato oltre. Sembra, non lo abbiamo pizzicato, che Nizzolo avesse il 56.

Le ruote

L’alto profilo ha dominato la scena. Con l’avvento dei freni a disco, che in pratica solo la Ineos Grenadiers non ha, sono spariti gli 80 o 70 millimetri, ma i 50 e i 45 sono i più usati.

In particolare sulla Colnago di Kristoff c’era il nuovo modello di Campagnolo Bora Wto One. Una ruota senza marchi, né adesivi con profilo da 50 millimetri e cerchio più largo.

Interessante anche la Zipp della Movistar, un profilo da 45 millimetri variabile, nel senso che sulla nipple era più alto e poi andava a degradare, per tornare a risalire sulla niplle successiva.

Un po’ controcorrente è andato Van Avermaet che aveva le Campagnolo Bora ma con profilo da 35 millimetri. Che voglia assicurarsi una buona guidabilità a scendere dalla Cipressa e dal Poggio?

Non solo rapporti…

E poi dominava in generale la pulizia delle bici, ma questa non è certo una novità: nessun cavo a vista e profili alari di tubi e manubri.

Riguardo ai manubri ormai sempre più corridori optano per quello aero ed integrato. Van Aert usa il Cs28, con l’attacco a “V”, ma due corridori della Trek-Segafredo hanno soluzioni alquanto “naif”. Skujins usa la Madone, la bici aero, con manubrio tradizionale, e Mullen us la più “classica” Emonda ma con manubrio aero. Segno che comunque certe scelte tecniche spettano ancora al corridore, che predilige il comfort o la guidabilità ai numeri di peso e aerodinamica.

Mentre visto il bel tempo, alla Cofidis che monta gomme Michelin, hanno optato per pressioni mediamente più alte rispetto agli standard attuali e quindi intorno alle 8 bar. Il meccanico le rivedeva a pochi minuti dal via.

Infine, un particolare che fa sorridere e che riguarda la Specialized del campione del mondo. Alaphilippe nonostante possa avere tutte le bici che vuole ha deciso di partire con quella usa abitualmente e con la quale deve anche essere scivolato o che comunque ha sbattuto. Nella parte bassa del carro infatti si notano i segni della vernice che manca. Come a dire: non datemi il muletto!