Pedersen stronca Philipsen, ma pesa l’addio di Cavendish

08.07.2023
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La tappa di Limoges ha la gioia di Mads Pedersen e dei suoi compagni della Lidl-Trek e lo sguardo silenzioso e sconfitto di Cavendish sull’ambulanza. «Questo è il ciclismo», diceva stamattina il velocista dell’Isola di Man, ma non avrebbe mai immaginato che il suo sogno di superare il record di Merckx si sarebbe fermato sull’asfalto a 60 chilometri dall’arrivo.

Mancano 60 chilometri all’arrivo, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il sogno finisce qui
Mancano 60 chilometri all’arrivo, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il sogno finisce qui

Quelli del cross

Non sarebbe stata la sua tappa e Mark lo sapeva. Scherzando aveva parlato di traguardo disegnato per gli uomini del ciclocross, indicando così Van der Poel e Van Aert, ma di colpo su quei due si è abbattuta una nemesi sfavorevole. L’olandese si è votato ancora una volta alla causa di Philipsen, finito secondo. Il grande belga invece aveva le gambe per vincere, ma si è dovuto fermare a ruota di Laporte che, nel tirargli la volata, ha avuto un rallentamento che l’ha fatto inchiodare.

«E stato uno sprint molto lungo – racconta Pedersen, il danese diretto e fortissimo – ma i ragazzi mi hanno pilotato bene. Ero ancora fresco quando ho iniziato la volata. Sprintare in salita in quel modo è molto difficile. A 50 metri dalla linea, le gambe mi facevano così male che ho avuto la tentazione di sedermi. Ma sapevo che anche Philipsen avrebbe fatto uno sforzo estremo per rimontare. E al Tour non importa che si vinca per un metro o per un centimetro».

I record intoccabili

Chissà a cosa starà pensando adesso Cavendish, che aveva davanti alle ruote altre due tappe per dare l’assalto a Merckx. Verrebbe quasi da dire che certi record andrebbero rispettati. Armstrong provò a umiliare quelli dei cinque Tour e finì schiacciato dalla sua arroganza, ma qui la storia è diversa. Lo sport si costruisce sull’abbattimento dei limiti insuperabili e abbiamo sognato tutti accanto a Cavendish. Solo che adesso davanti a lui non c’è più uno scopo apparente.

«E’ un onore aver corso con Mark – dice Pedersen – e a proposito, deve ancora darmi una maglia, perché dovevamo scambiarcele. Spero di esserci quando farà la corsa d’addio».

Il contratto di Mark con l’Astana Qazaqstan Team è per tutto l’anno, ma aveva il fuoco sul Tour: l’unica corsa che ha sempre avuto la capacità di accenderlo. Il secondo posto di ieri gli ha dato la sensazione di essere vicino, ma ora? Cav troverà ancora motivazioni ad andare avanti?

I due sconfitti

In cima al rettilineo di Limoges è andato in scena uno scontro fra pesi medi dotati di infinita potenza. E se tutti si aspettavano una resa dei conti fra Van Aert e Van der Poel, l’evidenza ha proposto lo scontro fra Pedersen e Philipsen, uno scintillante Groenewegen e lo sfortunato Van Aert.

«Mads è stato più forte – dice Philipsen – io ho sentito le gambe inchiodarsi. Mathieu ha fatto un altro super lavoro e mi dispiace non essere riuscito a finalizzarlo, soprattutto perché questo era un arrivo adatto anche a lui. Abbiamo deciso di puntare su di me, perché altrimenti avrei potuto perdere troppi punti per la maglia verde».

«E’ sempre frustrante – dice Van Aert – quando non riesci a finalizzare il lavoro della squadra. Ho fatto l’errore di aspettare troppo. Mathieu e Jasper mi hanno superato proprio mentre Christophe Laporte si è fermato. E’ colpa mia, dovevo partire prima. Avevo le gambe per vincere? Ce l’ho da tutta la settimana. Ma ora è il momento di lavorare per la maglia gialla, sperando di cancellare presto lo zero dalla casella delle mie vittorie».

Van der Poel avrebbe potuto fare il suo sprint? Probabilmente sì, ma è rimasto fedele a Philipsen
Van der Poel avrebbe potuto fare il suo sprint? Probabilmente sì, ma è rimasto fedele a Philipsen

Irriconoscibile VDP

Chi dovrebbe e di sicuro avrebbe qualcosa da dire è Mathieu Van der Poel, che continua nel cambiamento. Già qualche settimana fa aveva spiegato la necessità di selezionare gli obiettivi, il fatto che a Limoges si sia piegato alla necessità di difendere la maglia verde lo rende quasi irriconoscibile.

«Penso che Jasper non sia più riuscito a fare il suo sprint – dice – il che non è illogico in un simile arrivo. Peccato, ma ha fatto un buon lavoro per la maglia verde. Mads è ovviamente forte negli sprint lunghi e impegnativi come questo, sapevamo che la pendenza sarebbe stato il limite per Jasper. L’ho lasciato bene alla ruota di Pedersen, però Mads ha continuato ad accelerare. Se ho pensato a fare il mio sprint? No, avrei avuto carta bianca se Philipsen non avesse avuto gambe. Ma le aveva e poteva fare un buon lavoro per la maglia verde».

Il Tour è lungo, occasioni non mancheranno. In questa dolce serata nella Nouvelle Aquitaine si segnalano i brindisi in casa Lidl-Trek, per la gioia di Luca Guercilena e dei nuovi investitori. Ma chissà che l’imprevedibile Mathieu non abbia in testa di fare bene domani sul Puy de Dome, sulle strade che fecero la storia di suo nonno Raymond Poulidor. Anzi, varrebbe quasi la pena di scommettere che qualcosa inventerà…

A Philipsen il primo sprint e ora mirino sulla “verde”

03.07.2023
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Prima volata, vince Philipsen e Van der Poel lo pilota da vero mago. Giusto pochi giorni fa Petacchi lo aveva inserito fra i velocisti più completi e per questo vicini alla maglia verde. A ben guardare lo scorso anno Jasper fu secondo, sia pure distaccato di un monte di punti da Van Aert. Sarà nuovamente il Wout nazionale l’uomo da battere o davvero se ne andrà quando sua moglie darà al mondo il secondo figlio? E se rimarrà, potrà correre libero come nel 2022?

«Sono molto contento della prestazione della squadra – ha detto Philipsen dopo l’arrivo – Jonas Rickaert e Mathieu Van der Poel hanno fatto un lavoro fantastico. E’ fantastico avere qualcuno come Mathieu come ultimo uomo. Se ha spazio per andare, nessuno può passarlo. Vincere la prima volata è sempre più difficile, sono molto contento di esserci riuscito. Ma spero che ne seguiranno altre e ovviamente anche la maglia verde resta un obiettivo».

Ancora una volta, super lavoro di Van der Poel, come ultimo uomo e pilota nella mischia
Ancora una volta, super lavoro di Van der Poel, come ultimo uomo e pilota nella mischia

Processo di crescita

E’ felice come una Pasqua per la vittoria appena ottenuta e ancor più felice di aver scongiurato il rischio che la Giuria gliela togliesse per il cambio di direzione: era lui davanti, nessuna infrazione. Al confronto, infatti, Van Aert ha fatto meno storie oggi che dopo la tappa di ieri. Si è limitato a spiegare di essersi trovato chiuso e di confidare nella valutazione della Giuria. Della maglia verde non ha parlato.

«Mi sono allenato tanto in salita – dice Philipsen – di conseguenza le mie condizioni generali sono migliorate. Me ne ero già accorto alla Sanremo. Di solito sul Poggio mi si spegneva la luce, questa volta l’ho passato bene. I dati parlano di quasi 30 watt in più: la differenza tra vincere o perdere. Non diventerò mai un Van Aert o un Van der Poel, ma forse loro non hanno il mio sprint. Divento più forte ogni anno. Non enormi passi in avanti, ma piccoli e costanti. Ho 25 anni, credo che il meglio debba ancora venire».

Carcassonne, 15ª tappa dell’ultimo Tour, Philipsen infilza Van Aert allo sprint
Carcassonne, 15ª tappa dell’ultimo Tour, Philipsen infilza Van Aert allo sprint
Strano che anche Van der Poel non voglia lottare per la maglia verde…

Non credo abbia voglia di dedicarsi ogni giorno a quel tipo di obiettivo. La squadra ci ha fatto correre molto insieme, per farci diventare compatibili e credo che questo Tour lo dimostrerà.

Come si fa a diventare compatibili se entrambi volete sempre vincere?

Abbiamo viaggiato spesso insieme e ci siamo conosciuti meglio. E’ un tipo divertente, siamo diventati amici. Prendiamo entrambi sul serio il lavoro che facciamo, ma quando si va d’accordo, tutto fila via più liscio.

Alla Tirreno, Mathieu ha lavorato per te in entrambi gli sprint che hai vinto e oggi è successo anche al Tour.

L’ho già detto: è stato un grande valore aggiunto. Mathieu può tirare molto più a lungo di altri, ma dobbiamo ancora capire come fare e valutare il rischio delle varie situazioni. So che posso vincere anche da solo.

Prima tappa al Giro del Belgio: Philipsen batte Jakobsen e dietro Van der Poel esulta
Prima tappa al Giro del Belgio: Philipsen batte Jakobsen e dietro Van der Poel esulta
Secondo Petacchi, fra te e la maglia verde c’è comunque Van Aert.

Tutto dipende da lui. Può conquistare tanti punti lungo la strada scattando e infilandosi nelle fughe. Se invece dovrà correre più coperto, allora le mie possibilità aumenteranno. Però entreranno in ballo anche gli altri velocisti, per cui sarà decisivo vincere tappe. Gli sprint intermedi peseranno meno e se perdi punti in una volata per la vittoria, le differenze saranno più marcate.

Un velocista è in grado di dire quale posizione occupa nella scala gerarchica dello sprint? 

Se non sbaglio quest’anno sono stato battuto in volata solo due volte, da Jakobsen (alla Tirreno-Adriatico e al Giro del Belgio, ndr). In entrambe le occasioni però sono arrivato secondo. Sei volate le ho vinte, ho iniziato a concentrarmi molto sui dettagli. Penso di essere più maturo e anche un po’ più forte. Nel Tour del 2021 ho conquistato sei podi e nemmeno una vittoria. Lo scorso anno, tre podi e due vittorie fra cui Parigi. Voglio di più.

Pochi scontri diretti con Cavendish. Sul podio della Scheldeprijs, con loro due c’è anche Welsford
Pochi scontri diretti con Cavendish. Sul podio della Scheldeprijs, con loro due c’è anche Welsford
Avrai fra i piedi Cavendish che insegue il record di Merckx, cosa ne pensi?

Di certo non gli farò regali. Mi ha colpito molto che dopo un Giro d’Italia così duro, soprattutto mentalmente, sia riuscito a vincere l’ultima tappa. Se batte il record, sarà tutto merito suo, ma non sarà facile.

A volte ti hanno accostato a lui per manovre un po’ rischiose in volata.

Non è più così e soprattutto non ho mai oltrepassato un limite. Andavo meno forte e dovevo approfittare degli altri per salvarmi dal vento e scalare posizioni. Da ragazzo capita di sbagliare, la regola è imparare dagli errori. Adesso arrivo più fresco ai finali, quindi mi riesce più facile prendere correttamente posizione e quindi rischio meno.

E’ vero che non ti piace studiare i tuoi dati e li lasci agli altri?

Molto vero. Preferisco restare concentrato e se poi qualcosa va male, meglio guardare il filmato, capire perché e andare avanti. Mi fido del programma e dei piani della squadra. Lascio i dati agli allenatori e faccio affidamento sul mio istinto.

E’ vero che hai in testa anche il mondiale di Glasgow?

Per me è presto parlare di classiche come il Fiandre, perché è troppo duro. Però sono arrivato secondo alla Roubaix, quindi questo mondiale diventa interessante. Ne ho già parlato con Sven Vanthourenhout, il tecnico della nostra nazionale. Potrei nascondermi un po’ in gruppo lasciando che Van Aert ed Evenepoel corrano in modo più offensivo. Io potrei fare il parafulmine, casomai si arrivasse allo sprint. Dipende dai programmi della nazionale e anche da come supererò il Tour. Fra sei o sette tappe magari ne sapremo qualcosa di più.

VdP piomba sul Tour: valori super e un pensiero iridato

29.06.2023
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Mathieu Van der Poel si appresta a correre il suo terzo Tour de France, ma il primo a mente libera come ha detto lui stesso. Una volta aveva le Olimpiadi in mtb per la testa, una volta ci era arrivato dal Giro d’Italia e quindi era già stanco. Adesso la Grande Boucle aspetta un VdP al 100 per cento e lui, chiaramente, vuol farsi trovare al meglio.

VdP ha vinto il Baloise Belgium Tour, conquistando anche una tappa
VdP ha vinto il Baloise Belgium Tour, conquistando anche una tappa

Dente “avvelenato”

L’olandese è rimasto deluso dal campionato nazionale. Aveva provato con quel mix tra follia e forza che lo contraddistingue, ma la Jumbo-Visma lo ha marcato bene e alla fine Mathieu si è dovuto arrendere: “solo” terzo. 

«Altre squadre – ha detto dopo la gara, l’atleta dell’Alpecin-Deceuninck – si sono presentate al via con molti più corridori, il che ha reso la gara difficile per me. Mi sono sentito abbastanza bene durante tutta la giornata. Sto anche affrontando meglio il caldo, ma perdere così è frustrante».

«Da parte mia però, penso di aver fatto tutto bene. A un certo punto devi iniziare a giocare d’azzardo e pensare a vincere. Dylan (Van Baarle, ndr) è un campione vero, hanno fatto bene la Jumbo-Visma a ingaggiarlo. Ora qualche giorno di recupero per me e poi andrò al Tour».

Van der Poel lo scorso anno alla Coppi e Bartali, al centro Christoph Roodhooft 
Van der Poel lo scorso anno alla Coppi e Bartali, con lui Christoph Roodhooft 

E con il suo manager e direttore sportivo, Christoph Roodhooft abbiamo parlato proprio in ottica Tour de France. Cosa aspettarci da VdP?

Christoph, come giudichi la performance di Mathieu VdP al Belgium Tour? In un’intervista dopo il Giro belga si era parlato addirittura di wattaggi tra i migliori di sempre per Mathieu?

Mathieu ha effettivamente raggiunto un livello elevato nel Baloise Belgium Tour. Dopo una breve pausa a seguito della Parigi-Roubaix, ha lavorato per essere in forma proprio per questo periodo grazie ad uno stage in Spagna, prima, e ad un ritiro in quota con la squadra a La Plagne, poi.

Con l’obiettivo del Tour…

Concentrandosi sul Tour ma anche sui Mondiali su strada. Intanto possiamo dire che è pronto per il Tour.

La Grande Boucle che sta per iniziare prevede molte tappe miste, collinari…. ne avete già individuate alcune?

Ci sono un certo numero di tappe in cui Mathieu può fare bene con le sue capacità. Penso sia alle tappe intermedie ma anche a quelle con un finale… incisivo, diciamo così. Ma prima di dire questa o quella frazione vediamo come si svilupperà la sua forma nell’arco delle tre settimane. Mathieu, inoltre, cercherà anche di aiutare Jasper Philipsen negli sprint.

Se dovesse vincere a Bilbao, per Mathieu non sarebbe la prima maglia gialla della carriera. L’aveva già conquistata nella 1ª tappa del Tour 2021
Se dovesse vincere a Bilbao, per Mathieu non sarebbe la prima maglia gialla della carriera. L’aveva conquistata nella 1ª tappa del Tour 2021
Lo scorso anno la maglia rosa al Giro, che partiva dall’estero, quest’anno anche il Tour parte oltreconfine: la maglia gialla nella prima frazione è un obiettivo concreto?

Vedremo come si evolverà la corsa a Bilbao. È una tappa adatta sia ai combattenti che ai corridori di classifica. Difficile fare una dichiarazione in merito in anticipo. Ma se si presenterà l’occasione, Mathieu di certo non se la farà scappare.

Mathieu ha detto che sarà al Tour per la prima volta “a mente libera”. Quanto è importante questo fattore per te? 

In effetti, ha una mente libera. Ma non credo che questo sia il fattore più importante. Mathieu ha detto che vuole finire il Tour per la prima volta nella sua carriera. Ma allo stesso tempo, sta correndo “con il mondiale nella parte posteriore della sua mente”».

Quindi al mondiale ci pensa. Tutto questo, può aumentare la pressione?

Riguardo alla pressione: Mathieu inizia ogni gara con la pressione di chi deve provare a vincere. Può farcela sempre, ma questo non ha nulla a che fare fare con una mente libera.

Il Tour, il mondiale, la maglia gialla… e quella verde può essere un obiettivo?

No, in più occasioni ha già detto che la maglia verde non è un obiettivo per lui. Semmai questo è un obiettivo a cui può aspirare Jasper Philipsen… se tutto va bene.

Sempre al Giro del Belgio, Mathieu si è messo anche a disposizione di Philipsen, cosa che secondo Roodhooft vedremo anche in Francia

Da Parigi a Glasgow

E’ centrale il passaggio in cui Roodhooft parla anche del mondiale, che tutto sommato sì il Tour è l’obiettivo, ma VdP ci va anche pensando alla corsa iridata in Scozia. Magari l’obiettivo arcobaleno lo porterà a correre un po’ meno alla garibaldina di quanto ha fatto al Giro d’Italia lo scorso anno.

Ci saranno da dosare benissimo le energie. Il percorso della Grande Boucle è particolarmente duro quest’anno. E tra il gran finale di Parigi (23 luglio) e la corsa iridata (6 agosto) ballano giuste, giuste due settimane.

Lo stesso Roodhooft, in un’intervista rilasciata al giornalista olandese Raymond Kerckhoffs, aveva detto: «Non c’è alcuna possibilità di migliorare durante quel periodo. Dopo il Tour probabilmente Mathieu penserà solo a recuperare».

Vedremo, come andranno le cose. Ma sapere di un VdP che al Giro del Belgio era sui valori migliori di sempre fa già drizzare i peli.

Van der Poel cambia rotta, ma vuole sempre vincere

06.06.2023
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Mille domande a Mathieu Van der Poel, che si collega da La Plagne, dove si sta allenando con la squadra alla vigilia della prima corsa da due mesi a questa parte. Sabato infatti il vincitore della Sanremo e della Roubaix (foto di apertura) ripartirà dalla Duracell Dwars Door Het Hageland e poi andrà avanti con il Giro del Belgio. Anche lui ha capito che dopo i momenti ad altissima intensità è meglio recuperare piuttosto che continuare a sbuffare polvere e fatica. Così quest’anno ha sposato una linea più… moderna. Ha ridotto i giorni di gara, aumentando quelli dedicati all’allenamento. L’obiettivo è ritrovare la super condizione della Sanremo e della Roubaix e portarla al Tour e ai mondiali.

«Meglio le gare in Belgio – spiega – piuttosto del Giro di Svizzera, dove ci sono due prove a cronometro e anche tanta salita. Preferisco provare a vincere che fare gruppetto sulle Alpi. Sono lontano da casa già da un po’, quindi è bello correre su strade più familiari. Anche perché l’ultima parte dell’estate sarà in Francia e poi a Glasgow per i mondiali. Quindi abbiamo deciso così».

La fantastica primavera di Van der Poel si è aperta con l’assolo vincente di Sanremo
La fantastica primavera di Van der Poel si è aperta con l’assolo vincente di Sanremo
Non amavi i lunghi periodi di allenamento, come mai questo cambiamento?

Sono migliorato negli ultimi anni e ora mi diverto (sorride, ndr). Mi permettono di arrivare alle corse più fresco di qualche anno fa. Quando sei in posti come questo, non hai molto da fare oltre al ciclismo, quindi le giornate passano in modo facile e senza grossi stress. Mi sono allenato bene. Per due giorni a settimana sono andato in palestra per tenere sotto controllo il problema alla schiena che sta molto bene.

L’obiettivo è ricostruire la super condizione di primavera?

Esattamente. Le classiche sono andate davvero bene e quando è così, diventa più facile lavorare per l’obiettivo successivo. Ho già fatto una buona settimana di allenamento in Spagna e poi sono venuto qui a La Plagne con la squadra, mi sembra che tutto stia andando secondo i piani. Abbiamo deciso di dedicare più tempo all’allenamento e un po’ meno alle corse, ma sono certo che al momento opportuno sarò al livello che desidero. Mi sento bene e pronto per correre.

L’anno scorso arrivò al Tour dopo un Giro bellissimo, ma molto dispendioso. Si ritirò durante l’11ª tappa
L’anno scorso arrivò al Tour dopo un Giro bellissimo, ma dispendioso. Si ritirò durante l’11ª tappa
Ti convince questa gestione?

Funziona, come si è visto nelle classiche, ma di sicuro sono davvero ansioso di tornare a correre. In certi momenti può anche essere difficile. Se cadi, ad esempio, e ti fai qualcosa di serio, hai fatto una lunga preparazione per niente. Fa parte del ciclismo moderno, immagino. Quindi da una parte sono convinto del lavoro che sto facendo, dall’altra sono contento di aver già corso e vinto bene.

Classiche e Tour de France: si può fare una classifica?

Prima vengono le classiche, almeno per me, forse insieme ai campionati del mondo, che sono pure in cima alla mia lista. Ma di sicuro sono motivato anche per fare un buon Tour. Penso che questo sia il primo anno in cui mi preparo davvero bene, senza altre cose a cui pensare. Avremo una squadra forte e affiatata, queste corse in Belgio saranno un obiettivo e insieme una rifinitura.

La mountain bike entrerà in scena dopo i mondiali su strada di Glasgow, con l’obiettivo olimpico di Parigi
La mountain bike entrerà in scena dopo i mondiali su strada di Glasgow, con l’obiettivo olimpico di Parigi
Dopo il Tour ci saranno i mondiali di Glasgow: gareggerai anche nella mountain bike per qualificarti alle Olimpiadi?

Ne abbiamo parlato proprio in questi giorni e le farò entrambe, anche senza una grande preparazione specifica. Proverò ad andare alla gara di mountain bike senza alcuna pressione, ma certo con una buona condizione. Non sarà facile qualificarsi per le Olimpiadi, Glasgow sarà il primo passo. Abbiamo parlato anche di fare altre gare di mountain bike entro la fine dell’estate, ma non è stata ancora presa alcuna decisione. 

I mondiali arrivano due settimane dopo il Tour. Che cosa cercherai in Francia? 

Difficile dirlo, per certi versi spero che il Tour passi presto. Il mio livello non è paragonabile a quello dello scorso anno dopo il Giro, quando ho avuto pochissimo tempo per prepararmi. Comunque da una parte credo che non abbia senso buttare troppe energie durante il Tour, ma di sicuro non mi tratterrò troppo.

Il Tour torna sul Puy de Dome. Nel 1964 fu teatro del duello fra suo nonno Poulidor e Anquetil (foto R. Krieger/L’Équipe)
Il Tour torna sul Puy de Dome. Nel 1964 fu teatro del duello fra suo nonno Poulidor e Anquetil (foto R. Krieger/L’Équipe)
La maglia gialla, la verde, la tappa del Puy de Dome sulle strade di tuo nonno Raymond Poulidor dove sono attesi 500 mila spettatori…

La maglia gialla sarà difficile, perché sin dall’inizio nei Paesi Baschi ci saranno in ballo anche gli scalatori. La verde potrebbe essere un obiettivo per Philipsen. Il Puy de Dome invece sarà speciale. La tappa partirà dal villaggio dei miei nonni (Saint Leonard de Noblat, ndr), ci sono stato molte volte quando ero più giovane, quindi sarà sicuramente una gara che non vedo l’ora di affrontare. Non credo che per me sia realistico pensare di poter vincere lassù. Proverò solo a godermi la giornata il più possibile.

Il Tour è il solo modo per preparare il mondiale?

No, non credo, è solo una corsa in cui mi piacerebbe fare bene come lo scorso anno al Giro d’Italia. L’obiettivo sarà arrivare a Parigi e so già che in gruppo ci saranno altri corridori con la testa a Glasgow. Questo è certo.

Van der Poel, la mountain bike può attendere

28.04.2023
4 min
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Forse la parte più difficile sarà riconoscere che per ottenere i migliori risultati su strada ci sarà da accantonare, magari non definitivamente, tutto il resto. Non a caso la fantastica primavera di Mathieu Van der Poel è arrivata proprio nell’anno in cui l’olandese ha ridotto l’intensità dell’impegno nel cross. Adesso l’osso da lasciar andare è la mountain bike.

Il programma, annunciato da Mathieu dopo la vittoria della Sanremo, prevedeva infatti la partecipazione a due prove di Coppa del mondo: quella di Valkenburg e poi di Nove Mesto. Ma quando la data olandese è stata (inspiegabilmente) esclusa dal calendario della challenge UCI, la Alpecin-Deceuninck e lo stesso Van der Poel hanno ritenuto che non valesse la pena procedere con il progetto, avendo in palio soltanto la prova della Repubblica Ceca. Per cui, sebbene la rivincita olimpica a Parigi 2024 resti al centro dei suoi pensieri, si inizierà a riparlarne più avanti.

Tutti ricorderanno la brutta caduta alle ultime OIimpiadi, quando Van der Poel non tenne a mente che una passerella presente in prova fosse stata rimossa nel giorno della gara. Cadendo quel giorno, oltre a perdere la gara, ebbero inizio a tutti i problemi della sua schiena.

La caduta di Tokyo è costata cara a Van der Poel: il risultato immediato e il mal di schiena dei mesi successivi
La caduta di Tokyo è costata cara a Van der Poel: il risultato immediato e il mal di schiena dei mesi successivi

Caccia ai punti

«Sia noi che Mathieu – ha dichiarato in un comunicato Christoph Roodhooft, direttore sportivo della Alpecin – abbiamo pensato che non fosse opportuno cambiare tutto per una sola gara. Preferiamo lasciare che Mathieu si prepari adeguatamente per il Tour e i mondiali: i suoi più grandi obiettivi della prossima estate. Ma l’ambizione di arrivare ai Giochi è ancora lì».

L’accordo di saltare la Coppa del mondo di Nove Mesto è venuta anche dopo la valutazione del tecnico arancione della mountain bike, Gerben de Knegt. Nonostante il cammino di qualificazione di Van der Poel per le Olimpiadi sia tutto fuorché esente da rischi.

L’Olanda attualmente occupa il 30° posto nel ranking olimpico, che viene calcolato sulla base dei punti dei tre migliori corridori. I Paesi classificati fra la prima e l’ottava posizione hanno diritto a due atleti olimpici; quelli da nove a 19 possono schierarne uno solo. Per fare i punti necessari alla qualificazione, l’Olanda si stanno appoggiando allo specialista David Nordemann e Milan Vader della Jumbo Visma. I due si sono impegnati e si impegneranno ancora nella qualificazione e ovviamente l’arrivo di Van der Poel all’ultimo momento potrebbe essere utile e insieme provocare malcontento.

Van der Poel ha dovuto ridurre il suo programma MTB, saltando due prove di Coppa del mondo (foto Instagram)
Van der Poel ha dovuto ridurre il suo programma MTB, saltando due prove di Coppa del mondo (foto Instagram)

Due mondiali in 6 giorni

Per questo si stima che per Mathieu la strada più breve e sicura verso Parigi 2024 sia il campionato mondiale di mountain bike. Nel gigantesco carosello dei prossimi mondiali scozzesi, la gara maschile di cross country si disputerà il 12 agosto. Se Van der Poel si piazzasse primo o secondo, strapperebbe la qualificazione olimpica. E’ indubbio che Mathieu sia in grado di farlo, il guaio per lui è che sei giorni prima ci siano in programma i mondiali su strada, che per l’olandese sono un obiettivo altrettanto importante su un percorso che gli si addice come un guanto. E’ possibile rendere al meglio su due bici diverse e in due discipline che richiedono preparazioni differenti, con così poco tempo per adattarsi? Alla Alpecin-Decenunick aspettano di sapere se davvero Van der Poel voglia tentare il doppio assalto. Dal loro punto di vista, corsi il Tour e il mondiale su strada, il grosso dell’estate sarebbe al sicuro e Mathieu potrebbe… divertirsi come meglio crede.

In azione ai mondiali MTB del 2022, Pidcock è il campione olimpico in gara (foto Instagram)
In azione ai mondiali MTB del 2022, Pidcock è il campione olimpico in gara (foto Instagram)

La scelta di Pidcock

Al contrario, la primavera di Tom Pidcock non è ancora finita. Dopo il secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, il britannico della Ineos Grenadiers ha scelto di iniziare con la mountain bike già dal prossimo fine settimana in Francia.

Nello specifico, venerdì e domenica Pidcock correrà in Coppa di Francia a Gueret: prima in una gara di short track e poi nel cross country. Domenica 7 maggio invece, il campione olimpico ed europeo in carica si sposterà in Svizzera, a Coira. Almeno da quanto si è saputo attraverso il comunicato della Ineos di martedì scorso.

Entrambe le gare sono classificate Hors Categorie, per cui Pidcock potrebbe raccogliere subito parecchi punti e trovare la condizione per partecipare alla Coppa del mondo di Nove Mesto del 12-14 maggio, dove lo scorso anno vinse nel cross country. Come Pidcock, farà Pauline Ferrand Prevot, anch’essa in forza alla Ineos Grenadiers. 

La sensazione è che Pidcock in questo momento goda di maggiore libertà rispetto a Van der Poel nell’organizzarsi la rincorsa olimpica, che presto potrebbe interessare anche Peter Sagan. L’olandese pertanto è in procinto di ripartire con la preparazione verso l’estate. E’ diventato testimonial di Lamborghini ad Anversa, da cui ha ricevuto una Urus S (Suv da 300 mila euro, foto in apertura) e ha messo nel mirino il Giro di Svizzera. Conoscendolo, nessuno si sente tuttavia di escludere che a Glasgow giocherà la doppia carta.

Chiusa la parentesi classiche, Magrini tira le somme

27.04.2023
6 min
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Mettiamo un punto alla stagione delle classiche, chiusa nel segno dei fenomeni, ma con tanti spunti di discussione. Riccardo Magrini attraverso Eurosport ha seguito e commentato tutte le corse del Nord e si è fatto un quadro abbastanza chiaro della situazione, non solo in base ai risultati ma anche a tutte le chiacchiere che hanno fatto da contrappunto alle corse.

Il toscano è entusiasta di quanto visto, ma con la sua consueta verve non manca di sottolineare alcuni aspetti: «Siamo di fronte a un ciclismo bellissimo fatto di fuoriclasse, le corse sono state tutte molto combattute e non è un caso se si siano quasi tutte concluse con arrivi in solitaria, a cominciare dalla Sanremo. L’unica uscita un po’ dai binari è stata la Freccia Vallone, ma quella ormai è una gara atipica, praticamente si corre solo per il chilometro finale. Dico la verità, non mi piaceva quando la correvo e non mi piace ora, ma i belgi si affollano sul Muro e la corsa vive di quello. Ha vinto Pogacar ma poteva anche vincere un altro, è una corsa abbastanza casuale, contano solo quei metri finali…».

Pogacar con VDP e dietro Van Aert. I grandi hanno dato davvero spettacolo
Pogacar con VDP e dietro Van Aert. I grandi hanno dato davvero spettacolo
A conti fatti però a vincere sono sempre gli stessi, un manipolo di fuoriclasse che si staccano dal gruppo…

E meno male che è così… Se tornate indietro con la mente vi accorgerete che prima di questa generazione si mancava di continuità, c’era un livellamento dei valori che portava sì a vittorie sempre diverse, ma alla fine non restava nulla. Oggi la gente si appassiona, si formano i partiti a favore di Pogacar come di Van Der Poel, c’è chi tifa per l’uno o per l’altro o per l’altro ancora e questo è bellissimo. Certo, nel gruppo affiora un po’ di nervosismo, ma è normale quando emergono vincitori assoluti. E non dipende solo dai risultati, ma dallo spirito. Tanti ad esempio paragonano Pogacar a Merckx per i risultati che ottiene, a me ricorda il belga per l’atteggiamento, la voglia spasmodica di vincere che aveva Eddy, è quello il vero punto in comune.

Parlavi di nervosismo nel gruppo e alcuni non lo trattengono più, vedi le parole di Madiot a cui ha risposto Gianetti…

Per certi versi Madiot proprio non lo capisco, ma anche da corridore era uno con idee tutte sue. E’ vero, ci sono squadre che hanno 40 milioni di budget da gestire, ma è sempre stato così. Chi ha il fenomeno se lo tiene e lo gestisce al meglio: la Uae Emirates ha messo una clausola rescissoria per lo sloveno di 100 milioni, la Soudal ha blindato Evenepoel. I campioni ci sono sempre stati, il bello è cercare di contrastarli come meglio si può. Ai tempi di Merckx, quando vinceva tutto lui gli altri che avrebbero dovuto fare?

Magrini bici 2018
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. Lavora per Eurosport dal 2005
Magrini bici 2018
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. Lavora per Eurosport dal 2005
Sarebbe plausibile introdurre un sistema di salary cap per le squadre? Gianetti ha subito detto di no…

E ha ragione, qui siamo su un altro piano economico. Pogacar, che è il corridore più pagato, ha uno stipendio che non è neanche lontanamente paragonabile a quello dei giocatori di basket o football americano. Il problema è che quando si parla di ciclismo si pensa alle squadre composte da 30 corridori: non è così, un’azienda che investe su un team deve provvedere a 200 persone. Guardate ad esempio l’universo Jumbo-Visma, che coinvolge 3 team ciclistici e uno di pattinaggio, che cosa c’è intorno, quanta gente vive di quel lavoro. Una struttura talmente evoluta che non subirà ripercussioni con il prossimo cambio di sponsor. In questo discorso c’è qualcosa che stona…

Che cosa?

Parla Madiot che nel complesso è uno che sta lavorando molto bene, che ha costruito una splendida filiera e sta portando su autentici talenti. Il suo sistema è collaudato dal tempo, ma funziona sempre. Ci sono altre squadre che soffrono molto di più. L’Astana allora che dovrebbe dire?

Ganna non ha deluso, ma da solo non poteva salvare il bilancio azzurro al Nord
Ganna non ha deluso, ma da solo non poteva salvare il bilancio azzurro al Nord
Proprio dell’Astana è pero Velasco, che almeno alla Liegi ha provato a far qualcosa. Come giudichi il bilancio italiano nelle classiche?

Ci si aspettava di più, soprattutto dopo l’ottimo inizio di stagione. Velasco e Sobrero sono quelli che più si sono fatti vedere, di Ganna sappiamo tutto, è l’unico che davvero ha le qualità per emergere in queste corse come si è visto a Sanremo e Roubaix, per il resto c’è poco. Viviamo una fase involutiva che non cambierà se non cambia la cultura. Non dico solo ciclistica, di un mondo dove i procuratori vanno a cercare gli esordienti e allievi spacciandoli per campioni del futuro, facendoli bruciare sul nascere. Il problema per me è più profondo, riguarda la cultura sportiva generale. Posso fare un esempio?

Prego…

Tutti si stupiscono del fenomeno della Slovenia con campioni come Pogacar e Roglic e tanti buoni corridori. Io ci sono stato, ma lì c’è un’attività sportiva nelle scuole che noi ce la sogniamo. Non si parla solo di sport, ma di mobilità sin dalla scuola materna. Questa è la strada giusta, lì ci si diverte. Il problema è che qui copriamo tutto con i successi del campione di turno e questo vale per qualsiasi sport. Anche nel ciclismo, dove se chiedi in Federazione ti dicono che in fin dei conti hanno vinto un titolo olimpico e quindi la crisi dov’è?

Mentre gli altri se le davano al Nord, Vingegaard continuava a vincere gare a tappe. Magrini ci punta molto
Mentre gli altri se le davano al Nord, Vingegaard continuava a vincere gare a tappe. Magrini ci punta molto
Torniamo ad allargare il discorso. Parliamo sempre del manipolo di fenomeni che vincono tutto, ma dietro che cosa c’è?

C’è un movimento professionistico dove il livello si è alzato tantissimo, dove ci sono corridori come Gaudu e Kung, per fare due nomi, che vincerebbero molto di più esattamente come si diceva di Gimondi ai tempi di Merckx. Poi abbiamo dei campionissimi e siamo fortunati ad averceli. Io però vorrei che i campioni assoluti avessero un calendario comune: non dico che dovrebbero fare tutte le corse, sarebbe follia, ma almeno nelle Monumento bisognerebbe inventarsi qualcosa per farli correre tutti.

A proposito delle Monumento, Pogacar e VDP ora sono a 3 a 5. Chi ha più possibilità di completare il Grande Slam?

Secondo me Pogacar, perché per Van Der Poel il Lombardia mi pare proprio indigesto, anche se lo preparasse specificamente. La Liegi potrebbe anche portarla a casa, ma la classica di fine stagione è lontana dalle sue caratteristiche. Per lo sloveno è diverso, la Roubaix se ben preparata, un anno potrà anche vincerla come fece Hinault. Io però resto della mia idea: il più poliedrico di tutti è Van Aert, per certi versi il più forte perché può emergere dappertutto. Certo, se poi si mette a far regali come a Gand

Groves, la freccia Alpecin puntata sul Giro

19.04.2023
5 min
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L’Alpecin non è solo Van der Poel. Trascinata dai successi classici dell’olandese, la squadra appena entrata nel WorldTour sta scalando rapidamente le gerarchie, anzi è già considerata uno dei capisaldi del movimento e a questo ha contribuito anche Kaden Groves. Australiano di 24 anni, su di lui erano cadute le attenzioni dei dirigenti del team quando era ormai certa la partenza di Tim Merlier, il velocista di punta del team.

Groves ha risposto presente, sfruttando Tour Down Under e Parigi-Nizza per prendere le misure con il nuovo treno e poi scatenandosi, con due vittorie alla Vuelta a Catalunya e il successo nella Volta Limburg Classic. Ancora poco conosciuto alle grandi folle, Groves chiarisce subito qual è stata la vittoria che gli ha fatto fare il salto di qualità e prendere in mano le redini della squadra.

«Probabilmente la prima che ho ottenuto, in Catalogna – dice – proprio perché era la prima con la nuova maglia. A dir la verità ho avuto un inizio di stagione difficile, non avevo ancora vinto e sapevo che dovevo rompere il ghiaccio, poi sarebbe stato tutto più semplice. Per questo a quella vittoria tengo molto».

La vittoria nella quarta tappa della Volta a Catalunya ha dato una svolta alla sua stagione
La vittoria nella quarta tappa della Volta a Catalunya ha dato una svolta alla sua stagione
Quali differenze hai trovato passando dal Team Jayco alla Alpecin?

Qualcosa è cambiato. E’ una squadra belga con un roster più internazionale della Jayco, dove c’è una maggioranza di ragazzi australiani, quindi è stata ovviamente la scelta più ovvia per alcuni anni. Era però arrivato il momento di cambiare, di cercare altre strade per affermarmi. Mi sono sistemato molto bene, mi hanno messo subito a mio agio e ho trovato la mia dimensione qui.

Hai preso il posto di uno sprinter puro come Merlier: ti ritieni anche tu un velocista o pensi di poter emergere anche in altre situazioni di corsa?

Certamente mi identifico come un velocista. Voglio dire, ho vinto un certo numero di sprint in passato, anche se penso di aver comunque dimostrato di avere la capacità di sopravvivere a giorni più difficili e forse in futuro essere bravo anche in alcune classiche. Diciamo che mi sento ancora un cantiere aperto…

Quanto influiscono nel vostro team i successi di Mathieu Van Der Poel?

Molto perché solleva lo spirito di squadra, forse togliendo un po’ di pressione a noi altri ragazzi. Ma voglio dire, personalmente, mi sto solo concentrando sulle gare a cui partecipo. Un effetto però c’è, per molti versi i suoi trionfi ci danno la carica e siamo portati a immergerci in questo feeling, a sentire le sue vittorie come nostre anche se magari in quella gara neanche c’eravamo. E questo comporta anche un certo spirito di emulazione che ci porta a dare sempre tutto per vincere. Quindi penso che faccia una differenza enorme, specialmente la stagione che sta vivendo Mathieu con due classiche Monumento già in carniere.

Con Philipsen, Groves costituisce una delle coppie di velocisti più forti del WorldTour
Groves è passato all’Alpecin dopo quattro anni al Team Jayco, formazione di casa
Tu sei stato 4 anni nel Team Jayco, della tua nazione: quanto è importante per il ciclismo australiano avere un proprio team nel WorldTour?

Penso che sia molto importante perché quella squadra è un obiettivo anche per i giovani australiani. La situazione da noi, ciclisticamente parlando, non è così rosea. Non c’è nemmeno una squadra negli under 23, quindi non è facile per i corridori diventare professionisti. Devono trovare i propri trampolini di lancio, sia attraverso l’Asia che l’Europa. Sapere di avere questo approdo è importantissimo, dà spinta a tutto il movimento.

Quanto è stata importante la vittoria alla Vuelta dello scorso anno?

Penso che probabilmente sulla carta sia il mio più grande risultato, soprattutto essendo stato il mio primo grande Giro. Ovviamente ora voglio vincere tappe in tutti e tre le massime corse. Quindi è stata una vittoria molto importante anche per finire bene la mia ultima stagione con il Team Bike Exchange. Ottenere una vittoria nella mia ultima gara con loro è stato davvero speciale, volevo dimostrare che ero ancora motivato anche alla fine della stagione.

La tappa di Capo de Gata alla Vuelta ’22 per Groves è stata il modo per salutare il Team Jayco
La tappa di Capo de Gata alla Vuelta ’22 per Groves è stata il modo per salutare il Team Jayco
Ora ti aspetta il Giro d’Italia…

Penso che il Giro di quest’anno mi si addica molto bene con un sacco di tappe con possibile soluzione allo sprint, ma più difficili di quel che si pensa, il che potrebbe togliere di scena nel momento clou alcuni degli altri velocisti. La squadra potrà aiutarmi molto bene in questi finali. L’obiettivo per me è ovviamente vincere: una tappa sarebbe bello, ma io non voglio accontentarmi. Quindi, non vedo l’ora di passare tre settimane buone in Italia.

Domenica hai corso la Parigi-Roubaix: come la descriveresti?

E’ stata una giornata brutale per il corpo, ma con un bel po’ di fortuna per il nostro team. Abbiamo ottenuto un risultato fantastico con Mathieu, tutti erano felici. Personalmente è stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi e non vedo l’ora che arrivi la prossima, per recitare un ruolo più importante.

L’australiano ha trovato all’Alpecin il suo ambiente ideale, prendendo il posto di Tim Merlier
L’australiano ha trovato all’Alpecin il suo ambiente ideale, prendendo il posto di Tim Merlier
Il mondiale di Glasgow può essere adatto alle tue caratteristiche?

Non se n’è ancora parlato, ovviamente, ma vorrei avere l’opportunità di farlo. Insieme a gente come Ewan e Matthews potremmo andare lì con alcune buone opzioni per portare a casa il risultato. Saremo in agosto, ma non è detto che faccia così caldo e io con il clima più freddo di solito vado abbastanza bene, quindi è qualcosa che non vedo l’ora di fare più avanti nel corso dell’anno.

C’è una gara che sembra disegnata su misura per te?

Se esiste la gara perfetta, non ne sono ancora sicuro. Dovremo vedere in futuro come posso crescere, ma il mio sogno sarebbe vincere proprio la Roubaix, come ha fatto Mathieu…

La rinascita di Degenkolb in una Roubaix maledetta

15.04.2023
6 min
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Subito dopo la fine della Parigi-Roubaix, John Degenkolb si è eclissato. Al team ha fatto sapere che avrebbe trascorso un periodo a casa per recuperare dalle fatiche delle classiche, ma soprattutto per smaltire l’immensa delusione di un sogno svanito certamente non per colpa sua. Sarebbe stato davvero un colpo a sensazione, il suo nuovo successo nel velodromo, a 8 anni di distanza. Nel “suo” velodromo, perché quella è un po’ diventata la sua corsa e non è un caso se proprio su quelle pietre è avvenuta la sua resurrezione, tanto da fargli attribuire, da qualche appassionato sui social, il soprannome di “immortale”.

Tanto è successo rispetto a quella vittoria di 8 anni fa. Curiosamente, anche lui era riuscito nella clamorosa doppietta Sanremo-Roubaix, solo altri due l’avevano centrata (il belga Van Hauwaert prima della Grande Guerra e Sean Kelly nel 1986) prima di lui, Van Der Poel lo avrebbe eguagliato proprio in quest’occasione, ma dopo essere stato causa (involontaria?) dell’infrangersi delle sue aspirazioni.

Il Grande Slam delle volate

Prima di quella Pasqua di “quasi” resurrezione, Degenkolb era quasi un desaparecido. Per capire bene la portata di quel che stava facendo, bisogna ripercorrere per sommi capi la sua carriera. Nel 2015 aveva completato una sorta di Grande Slam delle classiche adatte ai velocisti, aggiudicandosi nello spazio di 3 stagioni la Cyclassic di Amburgo, la Parigi-Tours e le due Monumento già citate. Nel gennaio 2016 però tutto sembrava cancellato a fronte di un terribile incidente.

Alicante, allenamento in gruppo per il suo team. Un automobilista britannico dimentica completamente che, rispetto alle sue usanze, in Spagna si guida al contrario, quindi si butta colpevolmente a sinistra. Prende il gruppo in pieno, i corridori saltano in aria come birilli.

«Istintivamente siamo andati a sinistra – racconterà qualche tempo più tardi Degenkolb – ma sarebbe stato meglio dall’altra parte. Quando mi sono ripreso dopo qualche attimo ho vissuto il terrore, quello vero: la mano era sformata, con le dita in posizione innaturale, ma questo era il meno, neanche sentivo dolore.

Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce
Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce

Il giorno del terrore

«Vedevo i miei compagni esanimi a terra, come manichini gettati via. Ho urlato i loro nomi, ho chiesto aiuto, ho provato ad alzarmi per prestare loro soccorso. I danni fisici non erano così gravi, ma quegli attimi hanno fatto parte delle mie notti per tanto, tanto tempo».

Già, così gravi. John non ha più recuperato la piena manualità e anche per questo ciò che stava facendo verso il velodromo era qualcosa di clamoroso, di storico. Da quel giorno la ripresa è stata lenta, qualche vittoria è arrivata, ma certamente non all’altezza di quel che poteva essere e non è stato. Dentro di sé, il Degenkolb ciclista non era cambiato, la mentalità da campione era sempre lì, ma il fisico non rispondeva. Fino a domenica 9 aprile.

Provarci, sempre e comunque

In corsa, il tedesco si è presto ritrovato a combattere con VDP e Van Aert, Ganna e Pedersen, insomma con quella ristretta pattuglia di favoriti della vigilia. E lui, da vecchio vincitore della corsa, c’era. Stava mettendo in pratica un assioma che ha sempre fatto parte della sua vita: «Ho capito molto presto che se c’è una possibilità di vincere qualcosa, devi provarci. Anche se non ti senti bene, anche se pensi di non avere buone gambe perché se credi questo hai già perso. Non puoi farti scappare l’occasione quando capita, se anche solo dentro di te accampi scuse, hai già perso. Io non sono così…».

Una forza d’animo figlia delle sue radici, da uomo della Germania Est trapiantato in Baviera a 4 anni dove il padre aveva trovato lavoro per evadere da un’esistenza economicamente difficile. Seguendo la passione del padre aveva cominciato a pedalare, poi finita la scuola prese la decisione di entrare in polizia: «Così avrei potuto gareggiare con una base d’istruzione e la sicurezza di avere un piano B se le cose non fossero andate bene. Posso rientrare quando voglio, con una famiglia alle spalle mi sento più sicuro sapendolo, anche se non avverrà».

Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione
Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione

Un settore a lui dedicato

Torniamo all’ultima Roubaix. Degenkolb non era in quel pregiato manipolo di campioni per caso. Poco importa quel che era avvenuto prima, non solo quest’anno. Su quelle strade il tedesco del Team DSM si sente a casa. Non è neanche un caso se nel settore 17, quello di Hoarming à Wandignies, John si è messo a tirare mettendo alla frusta i rivali: quel tratto è dedicato proprio a lui, porta il suo nome, da quando si è messo in testa di salvare la Parigi-Roubaix juniores che rischiava di sparire per mancanza di fondi. Ha speso il suo nome raccogliendo somme importanti, permettendo a molti giovani di vivere la sua esperienza. L’Aso non ha dimenticato.

Difficile dire se ce l’avrebbe fatta. Non lo sapremo mai. Forse, in un universo parallelo, Degenkolb ha evitato quel gomito di Van Der Poel che, seguendo il compagno di squadra Philipsen costretto a uno scarto improvviso, lo ha spinto a terra, forse ha anche vinto. Ma non qui, non in questa realtà. Questa lo ha visto chiudere settimo e accasciarsi sull’erba del velodromo, sentendo improvvisamente tutto il dolore della caduta sulla clavicola, con i due dell’Alpecin che si chinavano per chiedergli scusa, consci del male che gli avevano fatto, anche solo involontariamente.

Lontano, nel suo rifugio

C’era anche Laura, in quel velodromo. Sua moglie da tanti anni: «La famiglia è il mio rifugio, ha cambiato completamente la prospettiva con cui vivo il mio lavoro. Importante sì, ma non è tutto». Insieme si sono avviati verso casa, a Oberunsel, nord-ovest di Francoforte, staccando ogni contatto anche virtuale con il mondo. Per ritrovare il suo equilibrio. Per far pace con quel sogno infranto, di quel che poteva essere e non è stato (e non per colpa sua…).

18 marzo-9 aprile: scelte diverse fra Sanremo e Roubaix

12.04.2023
7 min
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Il solo programma di allenamento che va osservato alla lettera è quello invernale. Durante la stagione invece si asseconda il corpo, in modo da andare incontro alle esigenze che si creano. Alla luce di questa massima, che ci fu consegnata tempo fa da Michele Bartoli, torniamo alle scelte recenti di tre campioni – Van der Poel, Van Aert, Ganna – e al diverso programma che hanno seguito dopo la Sanremo del 18 marzo e la E3 Saxo Classic della settimana successiva.

Ciascuno dei tre aveva esigenze diverse. Van der Poel, in ottima condizione (in apertura durante il sopralluogo sul pavé di venerdì 7 aprile), cercava freschezza per contrastare Pogacar in salita e poi brillantezza sulla via della Roubaix. Van Aert sapeva già dalla Sanremo di non avere una grande condizione in salita, ma ha scelto le fatiche della Gand. Ganna ha usato le corse fino alla Gand per prendere confidenza con il terreno, poi ha scelto di allenarsi a casa. E allora siamo tornati da Bartoli, per sentire quale idea si sia fatto dei tre avvicinamenti.

Tre diversi avvicinamenti

Ecco il programma delle gare di Van der Poel, Van Aert e Ganna a partire dalla Milano-Sanremo, di cui hanno occupato i tre gradini del podio. Hanno tutti fatto la E3 Saxo Classic, poi le loro strade di sono divise, seguendo ragionamenti tecnici diversi.

DataGaraMathieu Van der PoelWout Van AertFilippo Ganna
18 marzoMilano-SanremoVincitore3° a 15″2° a 15″
24 marzoE3 Saxo Classic2° s.t.Vincitore10° a 1’31”
26 marzoGand-Wevelgem=2° s.t.Ritirato (caduta)
29 marzoDwaars door Vlaanderen==91° a 3’38”
2 aprileGiro delle Fiandre2° a 16″4° a 1’12”=
5 aprileScheldeprijs124°==
9 aprileParigi-Roubaix3° a 46″6° a 50″
Caro Michele, intanto vale la pena dire, dopo aver letto l’intervista sulla Gazzetta dello Sport, che Van der Poel ha ammesso di aver vissuto un inverno meno impegnativo nel cross e di aver trovato di conseguenza più freschezza su strada…

Insomma, lo si disse già due anni fa: le energie non sono infinite. Anche se mentalmente sono forti e sopportano la fatica, prima o poi il conto lo paghi. Non si può far tutto. La vita è sempre stata una questione di scelte.

Come vedi il fatto che dopo Harelbeke, Van der Poel che è parso più forte in salita si sia fermato, mentre Van Aert ha corso la Gand?

Se si fosse fermato anche lui, forse avrebbe avuto un po’ di margine per il Fiandre. Non a caso a volte certe corse vengono saltate, per privilegiare quelle che contano. Quando sei al 100 per cento, non sempre ti conviene correre. Perciò se si salta una corsa, privilegiando un allenamento ben fatto, a volte si migliora. Andare a correre e subire il ritmo della gara, se non stai bene a volte un po’ ti toglie.

Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Si parla per ipotesi, ma secondo te, non correndo la Gand, Van Aert sarebbe stato più forte al Fiandre?

Non si può dire che sia andato piano, perché anche lui almeno inizialmente ha staccato tutto il gruppo. Però poi ha pagato dagli altri due. A questi livelli si considerano anche i dettagli in apparenza più piccoli. Per cui, pur non potendo cambiare il rendimento di un atleta in un periodo breve come gli 8 giorni fra Harelbeke e il Fiandre, lo si sarebbe potuto amministrare diversamente. Non è che puoi metterti a fare lavori sul VO2 Max, perché allora ti converrebbe quasi correre. Ma se ti rendi conto che ti manca qualcosa, staccare per qualche giorno può restituirti un po’ di brillantezza. Recuperi un po’ più a lungo, ti concentri sui lavori aerobici con la speranza di arrivare al momento decisivo un po’ più carico di energie e poi incroci le dita…

Quindi è più un fatto di recupero e di freschezza?

Esatto. A quel punto il motore difficilmente lo cambi. Lavori un po’ più sulla fase aerobica, magari speri che in tutti i momenti della gara dove non si spinge a fondo, il dispendio energetico sia inferiore e arrivi un pochino più carico al finale. E’ anche vero che se devi inseguire, è sempre più difficile.

Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Tra il Fiandre e la Roubaix, Van der Poel ha inserito la Scheldeprijs dicendo di volere più ritmo…

E’ quello che si sta dicendo. Quando sei al top, sai su cosa puoi lavorare. Si tratta di aggiustare piccole cose, non hai il tempo per cambiare completamente la situazione, ma a quei livelli le piccole cose sono decisive.

E’ possibile che la Gand una settimana prima del Fiandre abbia appesantito Van Aert, perché non era al top, mentre la Scheldeprijs prima della Roubaix abbia dato più qualità a Van der Poel, che stava già molto bene?

Puo essere assolutamente così. Non so cosa abbiano fatto nel periodo dopo il cross, mi pare però che siano rientrati su strada negli stessi giorni di marzo. Normalmente il valore principale di Van Aert è la resistenza. Lo dimostra al Tour, andando in fuga e tenendo anche sulle montagne come Hautacam. Invece sembra che ora la resistenza gli manchi. Fa uno sforzo, due sforzi e il terzo lo subisce. Gli anni non sono tutti uguali e si sta discutendo su sottigliezze, perché magari si sarebbe staccato anche non correndo la Gand. Però se si vuole un’analisi, qualcosa di diverso poteva essere fatto.

Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
In carriera ti è capitato di aggiungere o togliere corse dal programma in base alla condizione?

Certo, più di una volta. Sono cose che si fanno. Quella che è programmata e bisogna cercare di mantenere il più possibile fedele alla tabella è la preparazione invernale, perché si strutturano gli allenamenti con una cadenza articolata. Quando iniziano le gare, devi lavorare in base a quello che ti senti. La programmazione potrebbe andare a perdersi e devi essere bravo ad adeguare il calendario.

In che modo?

Se sono sul filo, magari una gara in più mi potrebbe danneggiare, allora la tolgo. Oppure sto bene, mi manca un po’ di ritmo e allora la inserisco come ha fatto Van der Poel. Ha recuperato qualche giorno in più, ha messo dentro la Scheldeprijs, ha ripreso il ritmo e alla Roubaix era a posto. Sono calcoli che si fanno.

Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Cosa possiamo dire di Ganna, che non ha corso il Fiandre per preparare la Roubaix?

E’ un caso diverso, perché Ganna non ha l’esperienza di Van Aert e Van der Poel per le gare in Belgio. Non ha la loro sicurezza, non conosce i percorsi. Gli mancano tante sfumature, quindi una corsa in più per lui sarebbe stata più utile di un allenamento fatto a casa sua. Lo avrei buttato anche sul Fiandre.

E’ stata l’osservazione fatta lassù dopo averlo visto così forte alla Sanremo.

Alla Sanremo si è visto che dopo Van der Poel il più forte è stato lui, poi è mancato qualcosa: questo è lampante. Su Ganna vorrei parlare poco, perché spesso sono stato critico: non su di lui, ma sul programma che ha fatto. Filippo è una forza della natura e forse andrebbe sfruttato un pochino meglio. Sappiamo che vince in pista, che fa record dell’Ora, che diventerà campione del mondo a crono, però a lui ora serve qualcosa in più. Quest’anno ha iniziato.

Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Hanno detto che il Fiandre sia troppo duro per lui.

L’ho sentito dire anche io. Sarà anche pesante rispetto agli altri, ma ha una qualità muscolare adeguata al suo peso. Se Van der Poel sul Paterberg fa 600 watt, Ganna naturalmente ne fa 680. Perché è strutturato per supportare quel carico lì. Quindi anche il fatto del peso, alla fine, non è così proibitivo.

Correndo di più lassù avrebbe dei vantaggi nella guida e spenderebbe meno?

Rilanciare dopo ogni curva costa tanto, soprattutto perché le curve sono quello che si vede. Mi viene da pensare che forse Ganna, non essendo tanto esperto, molte volte ha dovuto rilanciare per una traiettoria sbagliata e tutti gli altri movimenti che succedono in gruppo e che da fuori non noti. Se è successo in curva, mi viene da pensare che lo abbia fatto anche in altre situazioni. Quindi la sua è stata una gara dispendiosa e ugualmente è andato fortissimo. Era lì fino all’ultimo tratto, quindi sono convinto che in futuro, quando avrà più esperienza, la Roubaix sarà la sua gara. Dovrà solo lavorare per arrivare con un po’ di riserva nel finale, quando si fa la vera differenza…