Un anno dopo in Federazione sono tornati a mescolare nuovamente le carte, Marco Villa riprende la pista femminile e seguirà il settore delle cronometro. Mentre Elia Viviani è stato nominato team manager per strada e pista, prendendo il posto di Roberto Amadio. Quest’ultimo è diventato il cittì della nazionale maschile. A più di dieci anni di distanza Roberto Amadio tornerà quindi a guidare l’ammiraglia e a gestire le dinamiche di corsa. La novità è interessante, anche se sono da capire i motivi che hanno portato al cambio di guida tecnica.
Roberto Amadio ritrova un ruolo in ammiraglia dopo gli anni in Liquigas, con un’avventura partita nel 2005 e terminata nel 2014 quando la squadra prese il nome di Cannondale. Una figura che ha lavorato per diverso tempo accanto a lui è quella di Stefano Zanatta, così siamo andati direttamente dal diesse della Polti VisitMalta per farci raccontare i segreti e i particolari dell’Amadio tecnico.
Roberto Amadio è stata una figura importante anche su pista, qui ai campionati del mondo del 1985 Roberto Amadio è stata una figura importante anche su pista, qui ai campionati del mondo del 1985
Di nuovo sulla macchina
Zanatta in questi giorni è alle prese con il percorso del Giro d’Italia, ne sta studiando il percorso e la logistica. La sua squadra non è ancora certa di ottenere la wildcard, anche se sembra esserci qualche certezza in più rispetto allo scorso anno. Basso e i suoi uomini sperano di ottenere una risposta nei primi mesi del 2026, nel frattempo ci si porta un po’ avanti con il lavoro.
«Con Amadio ho lavorato tanto negli anni buoni – dice scherzando Stefano Zanatta – penso sia la persona più adatta e ricoprire il ruolo da cittì in questo momento. E’ stato tanti anni nell’ambiente e le dinamiche dell’ammiraglia le conosce bene. Il sistema è cambiato, non c’è dubbio, ma forse per chi ricopre il ruolo di cittì meno. Pensate solamente alle radioline, vero che c’erano anche ai tempi della Liquigas, ma erano strumenti meno potenti e precisi di quelli che ci sono ora».
Una volta terminata l’avventura in bici per Amadio è iniziata quella in ammiraglia con la LiquigasUna volta terminata l’avventura in bici per Amadio è iniziata quella in ammiraglia con la Liquigas
Avete lavorato gomito a gomito già da quando eravate corridori…
Ci siamo trovati in squadra insieme per la prima volta nel 1987 alla Supermercati Brianzoli-Chateau d’Ax, che poi divenne Chateau d’Ax e abbiamo corso insieme fino al 1990. Poi quando ha iniziato il progetto Liquigas, nel 2005, mi ha chiamato subito con lui in ammiraglia. In dieci anni abbiamo condiviso tantissime esperienze, insomma erano gli anni buoni (ride ancora, ndr).
Ora gli tocca il ruolo da cittì della nazionale, che ne pensi?
Amadio ha le competenze e le conoscenze dalle quali può attingere per ricoprire al meglio questo nuovo incarico. Gli anni passati in ammiraglia gli torneranno sicuramente utili, senza dimenticare che come team manager della nazionale ha sempre mantenuto vivi i rapporti, anche se con sfumature professionali diverse.
Giro d’Italia 2010, da sinistra: Roberto Amadio, Ivan Basso, Stefano Zanatta e Dario MariuzzoGiro d’Italia 2010, da sinistra: Roberto Amadio, Ivan Basso, Stefano Zanatta e Dario Mariuzzo
Quali sono le qualità che ti ricordi di lui in Liquigas?
E’ sempre stato una figura capace di vedere le problematiche e di trovare delle soluzioni adeguate. Inoltre ha una spiccata capacità di vedere le qualità e le caratteristiche di un atleta, sia fisiche che umane.
In che senso?
Roberto (Amadio, ndr) ha sempre saputo capire se un atleta ha delle doti tecniche e se è in grado di andare di pari passo con le aspettative riposte in lui. Negli anni in Liquigas i corridori hanno sempre dato ciò che ci si sarebbe aspettato, e questo grazie alle scelte dello stesso Amadio. Ora con solamente due appuntamenti di un giorno in calendario sarà più complicato, ma rimango convinto che sia la persona giusta.
Amadio negli anni alla Liquigas ha lavorato con grandi atleti, mettendo il dialogo e il confronto al centro Amadio negli anni alla Liquigas ha lavorato con grandi atleti, mettendo il dialogo e il confronto al centro
Lo hai detto anche tu, il ciclismo è cambiato tanto…
Vero, ma lui non è rimasto fuori dal tutto. Adesso le squadre hanno molte più figure al loro interno e si deve interagire con tutte loro, ma in questi anni Amadio lo ha sempre fatto. Inoltre lui ha una dote importante: sa parlare all’atleta e capire se questo vuole seguirlo davvero oppure no.
Questo aspetto può tornare utile?
Sicuramente, pensate al prossimo mondiale in Canada. Non sempre i corridori amano fare lunghe trasferte e se non rifiutano lo fanno malvolentieri (lo stesso è accaduto in diverse Federazioni per il mondiale in Rwanda, ndr). Per lui sarà importante partire ora, fare il giro dei vari ritiri e capire con quali atleti iniziare un percorso di avvicinamento. Anche perché a volte gli obiettivi del team e della nazionale non combaciano perfettamente, di conseguenza Amadio dovrà essere bravo a dialogare con tutti.
Amadio negli anni come team manager della nazionale non ha perso la capacità di dialogo e confronto con i vari tecniciAmadio negli anni come team manager della nazionale non ha perso la capacità di dialogo e confronto con i vari tecnici
E’ stato corridore, diesse, team manager, ha una visione d’insieme sui vari ruoli…
Conosce le dinamiche di ognuno e sa prendersi le responsabilità delle proprie scelte. Non dimentichiamoci che al suo fianco avrà anche gente come Elia Viviani, i due si conoscono dai tempi della Liquigas e hanno lavorato molto insieme. Viviani ha appena concluso la carriera, conosce le dinamiche del gruppo è può dare una mano ad Amadio nel rapportarsi con i giovani. Non è sempre facile rapportarsi con ragazzi di vent’anni.
Quale lato di Amadio può tornargli utile?
Sa capire cosa ha tra le mani e riesce a dirigerlo al meglio. Ha uno spiccato lato umano, Roberto è grande e grosso ma è buono. Sa essere autoritario ma non evita mail il confronto, ascolta quello che il corridore ha da dire ma sa farsi rispettare e dare le giuste motivazioni per spiegare determinate scelte. Il cammino che inizia ora sembra lungo, ma il tempo passa in fretta e le Olimpiadi del 2028 sono dietro l’angolo. Amadio dovrà essere bravo a creare un gruppo con il quale lavorare anche in ottica impegni futuri.
Il ruolo di team manager verrà ricoperto da Elia Viviani, una figura che può fare da collante tra atleti e cittìIl ruolo di team manager verrà ricoperto da Elia Viviani, una figura che può fare da collante tra atleti e cittì
Portaci in ammiraglia con lui, che tecnico è?
Ha sempre lavorato di istinto in corsa. E’ uno con tempi di reazione davvero brevi, sa stravolgere le tattiche di gara in pochi secondi. Inoltre sa impostare bene la corsa e le dinamiche fin dalla riunione del mattino, aspetto fondamentale se poi una volta abbassata la bandierina non hai più modo di comunicare con gli atleti.
Se ci fosse stata ancora la Liquigas, lo avrebbero portato certamente al Giro e probabilmente alla Vuelta, dovendo preparare i mondiali della pista. Così Elia Viviani non sarebbe stato costretto a penare per trovare un contratto a febbraio per dimostrare di essere ancora un fior di campione. A quelli che dicono che una WorldTour italiana non farebbe la differenza, rispondiamo che in effetti sarebbe meglio averne due. E poi rilanciamo con l’esempio dell’atleta di Verona, che ieri a Santiago del Cile ha chiuso la carriera vincendo il campionato del mondo dell’eliminazione (in apertura l’abbraccio con il presidente federale Dagnoni).
Per inseguire i suoi obiettivi su pista, Viviani ha prima scelto la Ineos che però l’ha messo ai margini della sua attività su strada. Poi, quando la squadra britannica ha deciso di averne avuto abbastanza, ha dovuto convincere la Lotto che ne valesse la pena e immancabilmente ha avuto ragione. Magari, se ci fosse stata ancora la Liquigas e il suo percorso fosse stato meno sofferto, Elia avrebbe trovato la voglia di fare un anno in più.
Così, annotando la legittima soddisfazione degli ambienti federali che la pista l’hanno voluta da quando nel 2011 proposero a Marco Villa di farne un vanto nazionale e nel momento in cui Viviani si accinge a entrare nei quadri azzurri, lanciamo un guanto di sfida al presidente della Lega Roberto Pella.
Viviani è passato nel 2010 alla Liquigas. Nel 2012 preparò le Olimpiadi di Londra correndo per il team di Amadio e Dal LagoViviani è passato nel 2010 alla Liquigas. Nel 2012 preparò le Olimpiadi di Londra correndo per il team di Amadio e Dal Lago
Riaprire le porte
La Coppa Italia delle Regioni si accinge a celebrare le premiazioni del primo anno di vita. Sono nate corse, alcune sono state salvate dal rischio di chiudere, altre verranno. Offrire la possibilità alle nostre tre professional di correre in Italia e fare punti, aprire le porte alle continental serve solo marginalmente, se i loro budget restano così risicati. Forse è arrivato il momento di alzare l’asticella e usare gli agganci che soltanto Pella in teoria può vantare.
Ci eravamo tutti convinti che Davide Cassani fosse il solo ad avere i contatti per far nascere una grande squadra, ma il tentativo si è fermato ancor prima di nascere. Si è sempre detto che per smuovere l’interesse di certi sponsor, grandissime aziende in alcuni casi controllate dallo Stato, serva l’intervento della politica: vogliamo vedere se è vero?
E’ questa la sfida che proponiamo al presidente Pella: proviamo a riportare il grande ciclismo in Italia. Non organizzando corse, che promuovono l’attività, ma non servono ad elevarne il contenuto tecnico. Bensì creando le basi perché nasca nuovamente una squadra capace di prendere il meglio del ciclismo italiano e valorizzarlo. Magari anche creando le condizioni perché i ciclisti italiani tornino in Italia e non affollino le salite di Monaco, Lugano, Andorra e San Marino.
Roberto Pella, parlamentare di Forza Italia, è presidente della Lega Ciclismo ProfessionisticoRoberto Pella, parlamentare di Forza Italia, è presidente della Lega Ciclismo Professionistico
La tutela dei talenti
I migliori trenta under 23 azzurri militano in devo team stranieri. Alcuni riescono a passare nel WorldTour, altri devono reinventarsi una vita o tentare l’impossibile per cercare un contratto. Viene da fare l’esempio di due atleti della Bahrain Development, che tre anni fa venivano indicati come elementi di sicuro avvenire: Marco Andreaus e Bryan Olivo. Entrambi diventano elite, entrambi hanno avuto problemi fisici che gli hanno impedito di fare una bella stagione ed entrambi sono senza squadra per il prossimo anno. Se ci fosse stata una WorldTour italiana, possiamo pensare che li avrebbero aspettati, anziché metterli alla porta per liberare spazio per altri due ragazzini.
Avere un onorevole alla guida della Lega del Ciclismo Professionistico deve essere un’opportunità da sfruttare. Da parte sua, il presidente Pella si trova davanti alla possibilità di fare davvero la differenza. La capacità di reperire risorse per rilanciare il calendario nazionale le ha dimostrate, ma il ciclismo italiano ha bisogno di altro. La Federazione ha le sue gatte da pelare, ma i talenti in un modo o nell’altro vengono fuori. Vederli disperdersi nel mondo senza la certezza che siano seguiti come meritano sta diventando insopportabile. Serve una WorldTour italiana, meglio due.
A chi dice di no suggeriamo di andarsi a guardare l’elenco dei partenti del Tour di 20 anni fa, quando c’erano al via quattro squadre italiane dell’allora ProTour che schierarono 18 italiani, che assieme ai 9 che correvano nelle altre squadre, portarono il contingente dei nostri in Francia a quota 27. Lo scorso luglio erano appena 11.
Alle 19,40, circa 23 minuti dopo la vittoria di Wout Van Aert a Parigi e 15 dopo l’arrivo di Jonathan Milan in maglia verde, il comunicato della Lega Ciclismo è approdato via whatsapp nella disponibilità dei giornalisti.
«Jonathan Milan, orgoglio dell’Italia, vince la maglia a punti al Tour de France. Vincere 2 tappe e conquistare la maglia verde lasciandosi alle spalle campioni come Tadej Pogačar, Biniam Girmay e Jonas Vingegaard – scrive il presidente Pella (qui il testo integrale) – è un risultato straordinario. Come Lega del Ciclismo Professionistico ci faremo promotori e organizzatori di un evento di alto profilo istituzionale alla Camera dei Deputati per premiare Jonathan Milan».
L’Onorevole Pella, terzo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente FontanaL’Onorevole Pella, secondo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana
Dopo la Lega, la FCI
Alle 19,56, sedici minuti dopo, tramite l’account Telegram della Federazione sono arrivate invece le parole del presidente Dagnoni.
«Le due vittorie di tappa – scrive (qui il testo integrale) – la conquista della maglia verde da parte da Jonathan Milan, il grande lavoro fatto nelle rispettive squadre da corridori come Simone Consonni, Matteo Trentin ed Edoardo Affini, che è anche salito sul podio nella tappa a cronometro, il secondo posto di Davide Ballerini oggi in una tappa prestigiosa, dura e spettacolare, i piazzamenti di Velasco, Dainese, Albanese, ci regalano un Tour da tempo mai così felice per il ciclismo italiano».
Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativoCordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo
Italia, un modello da rivedere
Va avanti così ad ogni vittoria, in una competizione interna fra due organi che dovrebbero lavorare in comune accordo, invece non si risparmiano reciproche spallate. Presenziando a premiazioni e podi come a voler delimitare il territorio. Intanto il ciclismo italiano, di cui parlano con prevedibile enfasi, continua la sua marcia (in apertura, un’immagine depositphotos.com). Le squadre professional non hanno il livello minimo necessario per competere e vanno a fare punti nelle corse di classe 2, quelle dei dilettanti. Gli organizzatori si sono visti richiedere di aggiungere la prova femminile, ma il loro budget è rimasto sostanzialmente invariato. Soffrono e a volte chiudono squadre juniores, che negli anni hanno costruito la propria fama prendendo ragazzi forti in ogni angolo d’Italia, trascurando i corridori di casa, perché dotati di meno punti.
Si dà la colpa di tutto alle WorldTour e ai loro devo team, senza rendersi conto che il modello italiano andrebbe adeguato a ciò che accade nel resto del mondo oppure andrebbero individuate nuove regole. Il presidente Dagnoni fa parte del Professional Cycling Council, quali proposte ha portato per regolamentare il passaggio al professionismo degli juniores o quantomeno provarci?
Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italianoLe due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano
La WorldTour che manca
E’ vero che abbiamo dirigenti quotati e tecnici di grande nome, oltre a personale super qualificato. Ma lavorano tutti in squadre dal budget straniero: basta che chi mette i soldi decida di imporre staff della propria nazionalità e tutto può cambiare. Lidl, sponsor tedesco, ha scalato la squadra, prendendo il sopravvento sull’americana Trek: in quel gruppo, che assieme alla Astana più di altri tutela i corridori italiani, tutto potrebbe cambiare.
Se è vero che il Tour è la vetrina dei corridori più forti, la presenza minima degli italiani deve produrre una riflessione. La WorldTour italiana serve, eccome. Non ci nascondiamo dietro alla presenza italiana nelle squadre mondiali. L’indimenticata Liquigas di Roberto Amadio schierava anche campioni internazionali come Sagan, Szmyd e Bodnar, ma permise a Nibali, Basso, Viviani, Oss, Moser, Cimolai, Caruso, Guarnieri, Bennati, Pellizotti, Sabatini, Vanotti e Capecchi (fra gli altri) di diventare solidi e spiccare il volo verso altre realtà. Quale squadra mondiale di 31 elementi sarebbe disposta a inserire ben 21 italiani?
La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e BassoLa Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso
I soldi della Lega
La nazionale si accinge a varare la spedizione per i mondiali in Rwanda e partirà con un contingente ridotto di atleti, meccanici e massaggiatori, dati gli alti costi della spedizione. Non saremo gli unici: il viaggio è oneroso. Si vocifera anche di ulteriori tagli che potrebbero riguardare figure di riferimento e della sempre crescente influenza del Segretario Tolu nelle scelte federali.
Visti il momento e la capacità del presidente Pella nell’aver intercettato alcuni milioni di euro nell’ultima Finanziaria per le attività della Lega del Ciclismo Professionistico, perché non immaginare che la stessa integri le spese di viaggio e soggiorno dei professionisti in Rwanda, lasciando che a occuparsi delle altre categorie sia la FCI? Allo stesso modo, dato che nel suo Consiglio sono presenti anche le squadre e gli organizzatori che stanno vivendo momenti particolarmente duri, si è già pensato di intervenire in loro favore?
La parità dei premi fra uomini e donne è un grande risultato, ma ancora migliore sarebbe approvare il professionismo per le ragazze. Il calcio lo ha fatto due anni fa, concedendo alle sue atlete la prospettiva di una pensione e di tutele che non tutte le squadre sono ora obbligate a garantire.
E così se il duello fra Pogacar e Vingegaard ha fatto il bene del ciclismo, non si può dire lo stesso di quello fra Lega e Federazione. Può essere di stimolo reciproco come Tadej ha detto di sé e di Jonas? E’ auspicabile. Se invece sarà così fino alle prossime elezioni, ci attende davvero un lungo quadriennio.
La fioritura dei cronoman azzurri. Ganna, Affinim, Sobrero, Cattaneo e Milan. Malori li analizza. E poi solleva un bel problema sui misuratori di potenza
Sarà per averne vissuto la storia e per i tanti corridori e direttori sportivi che ha donato al ciclismo mondiale, quando abbiamo saputo che alla Castelli 24H di Feltre avrebbe corso una squadra fatta da ex corridori della Liquigas, abbiamo voluto fortemente raccontarne il ritorno.
E’ stato bello rivedere in gruppo Dario Mariuzzo e risentire la sua voce, come pure riconoscere i volti di ragazzi che con quella maglia hanno raccontato corse e sogni. E siccome è parso chiaro che l’anima della festa sia stato in qualche modo Alan Marangoni, ci è venuta la curiosità di parlare con lui per farci raccontare il dietro le quinte.
Nibali ha corso solo pochi giri con il team Liquigas, in prestito dal team di Paolo KessisogluNibali ha corso solo pochi giri con il team Liquigas, in prestito dal team di Paolo Kessisoglu
A chi è venuta l’idea?
L’idea è venuta a Giovanni Lombardi che già dall’anno scorso pensava di fare questa cosa. Però un conto è avere l’idea e un altro organizzare, infatti a chiamarli tutti ci ho pensato io. Il punto era che Sagan doveva partecipare con Sportful, perché è un loro ambassador. Poteva andare con la squadra di Paolo Kessisoglu, che ha un fine nobile ma è piena di celebrità, oppure si poteva far rivivere la Liquigas e alla fine è andata così. Siamo arrivati in 12 giusti. Poi Nibali ha fatto qualche giro con noi, mentre con Oss non ci siamo riusciti, perché lo hanno fatto tirare tutta la notte ed era sfinito. Ha fatto la foto sul palco e poi è andato via.
Chi è mancato clamorosamente?
Sarebbe stato bello avere Viviani, ma il regolamento vieta che ci siano professionisti in attività, mentre fino a qualche tempo fa, uno per squadra poteva partecipare. Caleb Ewan era al limite, ma ha dichiarato di aver smesso e l’hanno ammesso. Del resto noi l’abbiamo fatta in maniera goliardica, ma era una gara amatorie ufficiale a tutti gli effetti. C’era gente molto agguerrita, che ha fatto il record dei giri della storia della 24 Ore, gente che andava veramente forte. E per questo alla fine Elia non l’ho neanche chiamato. Si poteva correre al massimo in 12 e l’unica eccezione è stata fatta con Nibali.
Il team Liquigas è stato costruito da Marangoni attorno a SaganIl team Liquigas è stato costruito da Marangoni attorno a SaganMariuzzo è il primo a destra, in basso: le sue battute sono state il succo della squadra
Qual è stata la reazione dei ragazzi che hai chiamato?
Hanno detto subito di sì. Gli unici che hanno detto di no erano impegnati. I due che sono stati più dispiaciuti di non poter correre sono stati Cataldo e Gasparotto, che erano fuori con le loro squadre. La cosa incredibile è che Amadio ha avuto la conferma di poter usare il nome Liquigas un mese prima, quindi hanno dovuto fare le maglie a tempo di record.
Ci si incontra sempre alle corse, ma questa riunione è stata anche l’occasione per tirare fuori aneddoti e ricordi particolarmente divertenti?
E’ stato bello soprattutto parlare con Mariuzzo, anche di alcune cose che sono successe. Ho ripreso Dario in un video in cui prende in giro Sagan perché è sceso dalla bici ed era finito, rintronato dalla fatica. Inizialmente Peter ha provato a fare corsa di testa, finché ne ha avuto le gambe. E quando è venuto giù era distrutto e si è messo a rispondere a Mariuzzo che avrebbe voluto vedere lui. E Dario ridendo lo pungolava dicendo che lui non lo avrebbe visto nessuno, perché avrebbe corso di notte.
Da Dalto e Sagan: il campione e il gregario di fiducia. Quei due hanno scritto pagine di storiaDa Dalto e Sagan: il campione e il gregario di fiducia. Qui due hanno scritto pagine di storia
Come essere tornati ai vecchi tempi?
La cosa che ha funzionato molto bene è stata proprio il fatto che eravamo tutti molto amalgamati, molto simili, con lo stesso modo di scherzare. Tanti avevano corso in squadra assieme, mentre io con Pellizotti ad esempio non ho mai corso. Però ho scoperto un modo di fare molto vicino al gruppo. Non so se altri si sarebbero integrati allo stesso modo.
Bennati non c’era?
L’ho chiamato, ma ha corso con Kessisoglu. Ho chiamato Nibali e Oss, ma anche loro si erano impegnati con lui e non ci è sembrato bello chiedergli di dare la disdetta all’ultimo. Ho chiamato anche Capecchi e Vanotti, ma erano impegnati. Se fossero arrivati tutti quelli che ho chiamato, sarebbe servito fare almeno due squadre.
I ragazzi sono diventati grandi: nella foto anche i figli di Dall’Antonia e Da DaltoAgostini, Ponzi, Moreno Moser e Mauro Santaromita: i convocati di Marangoni erano in tutto 12I ragazzi sono diventati grandi: nella foto anche i figli di Dall’Antonia e Da DaltoAgostini, Ponzi, Moreno Moser e Mauro Santaromita: i convocati di Marangoni erano in tutto 12
Se davvero l’anno prossimo rimettono insieme la Mapei, poi bisognerà chiamare anche tutti gli ex della Mercatone Uno…
Sarebbe meraviglioso, in effetti. Vediamo come andrà il prossimo anno, pare che prenderà in mano tutto Red Bull o almeno così si dice. Ripensandoci ora, è stata una di quelle cose che è meglio fare quando si presenta l’occasione, perché non sai mai cosa possa succedere in futuro.
FELTRE – Basta il nome Liquigas e all’appassionato di ciclismo non può non scappare la lacrimuccia. A dare lustro alla 23ª edizione della Castelli 24h, la festa della bicicletta che ogni anno pone il comune bellunese al centro del mondo del pedale, ci ha pensato la squadra che tra il 2006 e il 2014 ha scritto la storia sulla strada tra Grandi Giri e classiche. Un boato ha accolto la presentazione sul palco del team, qualche minuto prima delle 21 di venerdì, per la reunion nata da una suggestione di Giovanni Lombardi.
Li riconoscete? Da sinistra il ds Mariuzzo, Ponzi, Da Dalto, Moser, Sagan, Marangoni, Curtolo, Pellizotti, Oss (foto Castelli 24H)Li riconoscete? Da sinistra il ds Mariuzzio, Ponzi, Da Dalto, Moser e Sagan (foto Castelli 24H)E a seguire, Marangoni, Curtolo, Pellizotti e Daniel Oss (foto Castelli 24H)
Sagan capitano
Alan Marangoni, Alberto Curtolo, Simone Ponzi, Franco Pellizotti, Fabio Sabatini, Moreno Moser, Mauro Da Dalto, Tiziano Dall’Antonia, Stefano Agostini, Ivan Santaromita, insieme al mitico diesse Dario Mariuzzo, presentatosi al ritiro dei chip e del pacco gara con una maglia verde brillante con una scritta inequivocabile sul petto: Sagan. Già perché il tre volte campione del mondo e re di Fiandre e Roubaix non poteva proprio mancare. Anzi, Peter e il suo sorrisone hanno aperto le danze di questa rimpatriata.
«E’ un’occasione speciale- ha raccontato l’asso slovacco – e sono contento di essere qui e di partire per primo. Sono molto emozionato, perché la Liquigas mi ha lanciato nel mondo dei pro’ ed è bello rivedere così tanti vecchi amici».
Al suo fianco, ad abbracciarlo c’è il mitico Mariuzzo che aggiunge: «Bello indossare questa maglia di nuovo con lui come i vecchi tempi e rivivere quelle vittorie e quei momenti magici».
Moreno Moser, coetaneo di Sagan, ha corso con questa squadra nel 2011 e 2012 (foto Castelli 24H)Moreno Moser, coetaneo di Sagan, ha corso con questa squadra nel 2011 e 2012 (foto Castelli 24H)
Marangoni regista
Deus ex machina di questa rimpatriata è stato Marangoni, che ha rimesso insieme i pezzi di storia e spronato il team fino alla bandiera a scacchi come solo lui sa fare.
«Ho avuto l’incarico di formare la squadra – racconta – e li ho chiamati uno per uno, ma il diesse l’ho lasciato fare a Mariuzzo, che tra l’altro è anche il più allenato di tutti quanti. Infatti, mi è toccato pure girare come una trottola, perché mi sono ritrovato in una squadra di gente che non pedala mai e ho fatto più di 100 chilometri».
Tutti ricordano con nostalgia i tempi d’oro, come commenta Da Dalto, “passistone” come lo definisce Marangoni e pedina fondamentale per Sagan: «Ci siamo divertiti tantissimo in quegli anni, credo molto di più di quello che avviene nel ciclismo moderno».
Franco Pellizotti, ds del Team Bahrain Victorious, ha corso con Liquigas dal 2005 al 2010 (foto Castelli 24H)Tiziano Dall’Antonia, Vincenzo Nibali, Alan Marangoni: i tre sono ancora nel ciclismo con ruoli diversi (foto Castelli 24H)Franco Pellizotti, ds del Team Bahrain Victorious, ha corso con Liquigas dal 2005 al 2010 (foto Castelli 24H)Tiziano Dall’Antonia, Vincenzo Nibali, Alan Marangoni: i tre sono ancora nel ciclismo con ruoli diversi (foto Castelli 24H)
I voti di Pellizotti
Pellizotti, oramai calato nel nuovo ruolo in ammiraglia Bahrain Victorius, commenta le prestazioni dei compagni: «Mariuzzo sta andando a tutto gas. Peter si è difeso bene, Moserino anche. Ponzi da rivedere, anche perché è partito senza trasponder, quindi è come se non avesse corso».
Non è stato l’unico inconveniente perché come racconta Marangoni: «Dall’Antonia si è presentato con il cambio scarico e ha dovuto prendere in prestito la bici di Da Dalto. Per fortuna avevamo il nostro Mvp, Mariuzzo, che ha dato spettacolo nonostante non sia più un giovanotto».
Sul palco alla presentazione: da sinistra Sagan, Marangoni, Curtolo, Pellizotti e Oss (foto Castelli 24H)Sagan, la star, e Marangoni: l’uomo dei piani (segreti) ben riusciti (foto Castelli 24H)Qui “Abe” Curtolo, Pellizotti e Daniel Oss (foto Castelli 24H)
Una maglia storica
E proprio il tanto citato diesse stuzzica Pellizzotti che prova a seguire le sue orme: «Ha ancora tanta strada da fare». E Franco incassa con un sorriso: «C’è sempre da imparare, non bisogna mai fermarsi e da uno come Dario non posso che prendere un grande esempio. A parte tutto, è stata una bellissima esperienza, vestendo una maglia che ha fatto la storia del ciclismo degli ultimi vent’anni e tutti sono stati contenti di tornare a indossarla».
Goliardia, ricordi e tante risate: l’esperimento è riuscitissimo e i tanti appassionati che hanno assiepato le strade del circuito cittadino di Feltre hanno applaudito e travolto d’affetto una delle squadre più forti della storia del ciclismo.
Vincenzo Nibali ha corso con la Liquigas dal 2006 al 2012, vincendo la Vuelta e altre 14 corse (foto Castelli 24H)Nibali ha corso con la Liquigas dal 2006 al 2012, vincendo la Vuelta e altre 14 corse (foto Castelli 24H)
Nibali e la sfida 2026
E non è finita qui, perché nel team benefico di C’è Da Fare capitanato da Paolo Kessisoglu c’erano anche Daniel Oss e Vincenzo Nibali, altri due gioielli della scuderia Liquigas. Lo Squalo messinese non ha resistito alla chiamata della storica maglia verde e, su gentile concessione del comico ligure, ha sfrecciato anche coi vecchi compagni.
«Bello questo doppio impegno – ha sorriso – per una buona causa e per ritrovare i compagni di tante vittorie. Questi colori mi hanno lanciato nell’Olimpo del ciclismo ed è stato fantastico ritrovarli qui a Feltre. Velocità buona, anche se la gamba non era delle migliori dopo un Giro d’Italia vissuto in ammiraglia, per cui ho sofferto un pochino. E’ stato un momento conviviale di grande festa, grazie agli sforzi del Comitato organizzatore ed è stato bello celebrarlo tutti insieme. Davvero stupendo ritrovare tanti ex compagni di squadra, direttori sportivi, meccanici: è stato davvero un evento spettacolare, un po’ di fatica c’è, ma soprattutto tanto divertimento».
Si sussurra che per il 2026 Andrea Tafi, questo weekend col team Rudy Project, e anche Paolo Bettini stiano già pensando a una rimpatriata della Mapei: la sfida è già lanciata.
A 24 ore dalla crisi più nera, Remco risorge e vince per distacco. Come è possibile? Ne abbiamo parlato con Vincenzo Nibali. E forse un'idea adesso c'è
E’ ormai un decennio che a fine stagione ciclistica i “vecchi” del Team Liquigas si rivedono a un pranzo per confrontarsi, raccontare le reciproche esperienze e lasciarsi andare ai ricordi. Un appuntamento fisso, al quale ogni componente non vuole mai rinunciare, nonostante ci siano ancora impegni e già il telefono è rovente per preparare la nuova stagione. Perché non è un caso se molti di loro sono rimasti nel mondo del ciclismo e sono andati a spargere esperienza in altri team del WorldTour.
Il Team Liquigas ha corso dal 2005 al 2012, poi altri due anni come CannondaleIl Team Liquigas ha corso dal 2005 al 2012, poi altri due anni come Cannondale
Un gruppo ancora unito
Chi ha fatto una scelta diversa, ma solo sotto certi aspetti è Roberto Amadio, attuale team manager delle squadre nazionali ma per 8 anni alla guida del team, che a questo evento tiene in maniera particolare.
«Abbiamo deciso di rivederci praticamente appena abbiamo chiuso le nostre carriere – spiega – ma è stato un fatto conseguente a tutto quello che avevamo stretto in quegli anni. Infatti sin da subito si era creato un gruppo unito che ci ha portato a rimanere legati negli anni. Nel corso della stagione ci sentiamo spesso, ci messaggiamo, fra chi è nell’ambiente e chi ne è uscito. Quest’anno poi abbiamo deciso di rivederci a Cellatica per andare in visita alla Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani, è stato un momento intenso e carico di ricordi».
Una delle sale della bellissima Casa Museo di Cellatica (foto Mariotti)Una delle sale della bellissima Casa Museo di Cellatica (foto Mariotti)
Che cos’è che ha reso quell’esperienza così importante, radicata nel tempo?
Io credo che la risposta sia da cercare nel come quell’esperienza è nata. Venne creata una struttura che era alla base del team, fatta di dirigenti e professionisti seri e molto competenti nel loro settore. Per avere tutto al massimo, dal punto di vista meccanico, logistico e non solo. Era stato formato un personale altamente qualificato e quello è fondamentale, perché i corridori vincono e passano, ma la gente che lavora nel team resta. Ed è lì che si è formato il nocciolo duro del team e che era alla base dei successi.
Sembra la ricetta ideale del ciclismo moderno, dove le prestazioni nascono dall’impegno del preparatore, del nutrizionista, dello psicologo…
E’ vero, si può dire che abbiamo precorso i tempi con la nostra esperienza. Ricordo ad esempio che allora venne introdotto proprio dal nostro team il concetto dell’allenamento in quota, allora ancora nessuno lo faceva. L’idea di base era di mettere il corridore nelle condizioni di rendere al 100 per cento. Era un bel gruppo, solido, profondamente legato, infatti in quel decennio che ho trascorso in squadra le persone che facevano parte dello staff erano pressoché le stesse. Questo contribuiva perché si formasse un gruppo di amici per il quale andare alle corse era una festa e questo valeva per gli stessi corridori.
Roberto Amadio con Jonathan Milan, è la festa per il bronzo olimpico del quartetto, una delle perle della sua gestioneRoberto Amadio con Jonathan Milan, è la festa per il bronzo olimpico del quartetto, una delle perle della sua gestione
Quel metodo si è tramandato nel tempo?
Sicuramente e noi, ognuno nel proprio ambito, ognuno nel proprio cammino abbiamo contribuito a diffonderlo. Se guardate bene ci sono tanti aspetti che si rivedono in tutti i team di oggi: la cura del calendario, la crescita graduale di un atleta sia nelle sue prestazioni ma anche a livello umano. Sono cose che oggi sono nella prassi, allora no, era una metodologia in fieri.
Hai cercato di metterla in pratica anche in un ambito completamente diverso come quello della nazionale…
E’ vero, ma è un processo lento, graduale perché parliamo di qualcosa di profondamente differente, non c’è quella quotidianità che vivi in un team, dove anche quando non corri insieme, non sei in ritiro, comunque attraverso il telefono e gli altri strumenti sei collegato. La Federazione è poi un sistema a comparti chiusi, ognuno lavora nel suo ambito con il suo staff, ma io ho pensato che si poteva portare intanto quella mentalità famigliare e al contempo professionale. Il concetto che si fa parte di una squadra unica, a prescindere da quale sia la disciplina in esame. Tutti ne facciamo parte e credo che le soddisfazioni che abbiamo vissuto in molte occasioni, in qualsiasi categoria, siano figlie di quel lavoro comune.
Ivan Basso in rosa nel 2010. In totale il team ha vinto 31 tappe nei Grandi GiriNibali in trionfo alla Vuelta 2010, la sua prima grande vittoriaSagan con la maglia della classifica a punti del Tour 2012Ivan Basso in rosa nel 2010. In totale il team ha vinto 31 tappe nei Grandi GiriNibali in trionfo alla Vuelta 2010, la sua prima grande vittoriaSagan con la maglia della classifica a punti del Tour 2012
Che atmosfera c’è in quei momenti conviviali?
Sembra che non ci siamo mai lasciati e che torniamo i ragazzi di allora. Poi il tempo passa, c’è chi va in pensione ma viene comunque spesso chiamato in causa, chi invece dopo aver chiuso con il lavoro vuole giustamente dedicarsi ad altro, vedi Dario Mariuzzo e Luigino Moro che sono andati in pensione quest’anno. Così si finisce che chi ha chiuso prende in giro chi invece deve ancora tirare la carretta… E immancabilmente si finisce con il brindisi a suon di «Zigo-Zigo, Zigo-Zigo! Mi no pago, mi no pago! Hey hey hey – Hey hey hey!». Ora lo fanno in tanti team perché lo abbiamo esportato noi, ad esempio Sagan lo aveva inculcato nella Bora Hansgrohe e quando vincono festeggiano con il canto mutuato da noi. Ma è meglio la versione veneta inventata da Dario…
Se riguardi indietro alla tua esperienza in Liquigas quale giorno ti viene in mente come il più felice?
E come si fa a sceglierne uno? Abbiamo vissuto e partecipato a tante vittorie, tante imprese, basti pensare la Vuelta di Nibali, ma anche le vittorie al Tour di Sagan. E’ come se fossero tutte foto ricordo da mettere assieme in un album immaginario, che io custodisco gelosamente nella mia memoria perché quando vinceva uno, vincevamo tutti e ognuno di noi le sente come vittorie proprie.
Abbiamo incontrato Daniel Oss una mattina a colazione alla Vuelta a San Juan. Volevamo parlare di cose importanti e lui è stato al gioco. Mettetevi comodi
CASTELL’ARQUATO – Una storia instagram di Jacopo Guarnieri durante il UAE Tour aveva attirato l’attenzione. Era la condivisione di un dato statistico di un sito specializzato che lo vedeva ad una sola gara dalle mille disputate in carriera da professionista.
La quadrupla cifra in tante discipline è sinonimo di longevità e costanza. Pensiamo ai mille gol di Pelè oppure alle mille vittorie di coach Lenny Wilkens in NBA, ma nel ciclismo attuale tagliare un traguardo simile vuol dire assistere ad un mutamento del proprio sport. Per la verità la nostra curiosità ci ha portato ad approfondire i numeri in questione e scoprire che l’alfiere della Lotto-Dstny ora è a quota 986 e raggiungerà le mille gare nelle prossime settimane. Del conteggio iniziale facevano parte anche le corse internazionali fatte da junior e U23. Tuttavia per noi è stata l’occasione di suonare al campanello di casa di Guarnieri e ripercorrere con lui questa lunga striscia agonistica attraverso i suoi aneddoti più significativi. E non sono mancati quelli divertenti.
Guarnieri vive sulle colline piacentine. Dovrebbe correre il Tour de France che partirà da Piacenza nella terza tappaGuarnieri vive sulle colline piacentine. Dovrebbe correre il Tour de France che partirà da Piacenza nella terza tappa
Jacopo ti eri reso conto di essere già arrivato a così tante gare?
Veramente no, sono rimasto abbastanza sorpreso. E’ vero anche che hanno considerato quelle da dilettante, però se ci penso a caldo sono tante, perché sono tanti giorni di corsa. Se ci rifletto invece con più calma, queste quasi mille gare spalmate su un arco temporale di sedici stagioni da pro’ ci possono stare.
Te le ricordi tutte queste mille gare?
Vi confesso che ho un’ottima memoria. I miei compagni ridono sempre perché ricordo cos’è successo in determinate gare, chi ha fatto cosa. Dire però che me le ricordo tutte è difficile.
Quali sono le gare che ti ricordi maggiormente?
In questo caso andiamo semplicemente per vicinanza temporale. Gli ultimi anni me li ricordo benissimo (ride, ndr). Battute a parte, mi ricordo le mie prime gare da pro’. Nel 2008 avevo fatto la stage con la Liquigas al Tour of Missouri, poi l’anno successivo avevo debuttato al Tour Down Under (quinto posto nella prima frazione, ndr). Ho esordito nella stagione del ritorno di Lance Armstrong quando era in Astana. Nel classico criterium che fanno prima del Down Under, era andato in fuga. Mi ricordo anche altre prime volte.
Instancabile. De Gendt, compagno di Guarnieri, ha accumulato più di 1.300 gare da pro’ Ne ha disputate addirittura 100 nel 2012 Instancabile. De Gendt, compagno di Guarnieri, ha accumulato più di 1.300 gare da pro’ Ne ha disputate addirittura 100 nel 2012
Racconta pure.
Ad esempio la prima Sanremo l’ho fatta tardi, nel 2012 al mio primo anno nell’Astana. Quell’anno si faceva ancora la salita de Le Manìe. C’era il sole, vinse Gerrans che arrivò in un gruppetto con Nibali, Cancellara e nel giro di trenta secondi scarsi eravamo tutti lì. Il primo grande Giro invece è stata la Vuelta nel 2010, quella che vinse Nibali. Eravamo compagni di squadra alla Liquigas. C’era stata la cronosquadre a Siviglia in notturna. Avevamo fatto secondi, eravamo andati molto forte. Ma c’è un episodio che ricordo ancora benissimo che quando lo racconti ai corridori di adesso non ci credono.
Ovvero?
Era una tappa per velocisti e c’era fuori una fuga. L’ottanta per cento del percorso si sviluppava su questi “su e giù”, le classiche strada vallonate della Spagna. A circa 25 chilometri dall’arrivo, quando la strada iniziava ad essere pianeggiante, riprendiamo i fuggitivi e cosa fa il gruppo? Si ferma a fare pipì (ride, ndr). Roba impensabile per il ciclismo di adesso, dove iniziano a limare per le posizioni a 50 chilometri dalla fine in qualsiasi gara.
Come andò a finire quella tappa?
Avevano vinto i soliti. Se le giocavano Farrar o Cavendish le volate. Questo fa molto ridere perché adesso fanno il triplo della fatica per poi finire a fare le stesse cose. D’altronde siamo nell’epoca in cui i direttori sportivi continuano a dirti di stare sempre davanti e fare attenzione.
Guarnieri con la Katusha ha disputato più di 160 gare in due anni. E per nove volte in carriera ha corso la “settimana santa”Guarnieri con la Katusha ha disputato più di 160 gare in due anni. E per nove volte in carriera ha corso la “settimana santa”
Da questo aneddoto si evince che il ciclismo è cambiato tanto?
E’ cambiato enormemente. In ammiraglia adesso ci sono internet, Google Maps e tutti sanno tutto, ma tutti sanno le stesse cose. Quindi non c’è neanche un vero vantaggio da sfruttare. Tutti dicono di stare davanti per evitare pericoli, quando il pericolo siamo proprio noi che cerchiamo di stare davanti. L’ignoranza di una volta, intesa nel non conoscere precisamente ogni metro di gara, poteva essere un vantaggio perché si correva in maniera più rilassata. Tanto vincevano sempre i campioni. Allora ci si stressava quando serviva, mentre adesso c’è uno stress costante anche per cose inutili.
Hai fatto anche tante annate da 80 o più gare. Anche questo è un segnale di cambiamento?
Sì, all’epoca si facevano ed era la normalità. Ora è rimasta la normalità solo per il mio compagno Thomas De Gendt. Lui infatti ha molte più gare di me, più di 1.300, tanto che quando ha visto quella storia Instagram mi ha preso in giro, dandomi del dilettante (ride, ndr). Lui non ha mai dei picchi di forma, può permetterselo, ma col livello di adesso fare 80 gare all’anno è impensabile. Adesso quando ne fai una cinquantina, sei nella media giusta. Prima c’erano tante corse in preparazione, ora ci alleniamo in modo più preciso a casa e si va alle gare per correre, salvo qualche eccezione.
Proviamo a metterti in difficoltà. Sai qual è la gara che hai corso più volte?
Non saprei (riflette un attimo, ndr). Secondo me è la classica di Amburgo che l’ho quasi sempre fatta. Dieci volte però anche per Sanremo, Gand-Wevelgem e la vecchia Tre Giorni di La Panne. Poi a memoria, appena sotto, dico Fiandre, Roubaix e Harelbeke le ho corse tante volte (nove volte, ndr). Dico bene?
Guarnieri ricorda la prima Gand 2009, diluvio, i ventagli e la vittoria del suo coetaneo Boasson-Hagen sul compagno KuschynskiGuarnieri ricorda la prima Gand 2009, diluvio, i ventagli e la vittoria del suo coetaneo Boasson-Hagen sul compagno Kuschynski
Giusto. Un aneddoto legato ad una di queste corse?
La volta che mi ricordo di più Amburgo è l’edizione di due anni fa. Sono rimasto coinvolto in una caduta di gruppo in leggera discesa. Andavamo fortissimo prima di prendere lo strappo e siamo finiti tutti a terra. Erano rimasti in piedi solo i primi trenta corridori. Invece mi ricordo bene la mia prima Gand-Wevelgem nel 2009. Si correva di mercoledì ed era di 200 chilometri. Quando era in mezzo tra Fiandre e Roubaix. Quando era ancora la vecchia settimana santa. Diluviava, al via c’eravamo sia io che Daniel Oss, esordienti tra i pro’.
Cosa successe?
Pronti via e si apre subito un ventaglio senza nessun Quick Step davanti. C’era Tosatto che tirava alla morte per riportare dentro Boonen. Abbiamo fatto quasi tutta la corsa ad inseguire a circa un minuto dalla testa. Abbiamo mollato solo nel finale quando avevamo capito che non avremmo mai ripreso i battistrada. Sia Oss che io l’avevamo finita e Quinziato, che ora è il mio manager, ci aveva detto: «Bravi, giovani!». Ero contento, poi pensi che Boasson Hagen, che ha la mia età, aveva vinto e ti cala l’entusiasmo. Lui al tempo era un fenomeno, che ha vinto poco rispetto a quello che faceva vedere in quegli anni.
Numeri alla mano, Jacopo Guarnieri ha corso tante volte la “settimana santa”.
Mi piaceva tantissimo. In quel periodo si stava in Belgio per tanto tempo anche per le altre semi-classiche. Sempre nel 2009 a De Panne per colpa mia era finito a terra Hoste, che in quelle gare era uno dei big (tre secondi posti al Fiandre, ndr), e altri corridori. Ero uscito abbastanza malconcio da quella caduta.
Guarnieri centra la prima vittoria da pro’ al Tour de Pologne 2009. La sua memoria rivive il treno dei compagni e gli avversari battutiGuarnieri e la prima vittoria da pro’ al Tour de Pologne 2009. Ricorda il treno dei compagni e gli avversari battuti
A parte la gioia per le tue quattro vittorie, hai un ricordo legato a queste corse?
La memoria va al primo successo nel 2009 alla terza tappa del Tour de Pologne. Ricordo bene il treno tirato da Quinziato e Oss a battagliare con quello della HTC. Arrivai davanti ad Allan Davis, che è stato il mio diesse l’anno scorso, e Andre Greipel, uno dei più forti velocisti in assoluto. Quella sembrava essere il trampolino di lancio per una carriera di vittorie e invece non è stato così (sorride, ndr).
Non è tempo di pensare a ciò che sarebbe stato, ora bisogna solo pensare a quello che verrà. Piacenza, città e provincia d’adozione di Guarnieri, ospiterà la partenza della terza tappa del Tour de France. L’obiettivo è essere al via col tagliando delle mille gare da pro’ sul proprio contachilometri.
Il dibattito che precede e spesso segue la Milano-Sanremo riguarda la presunta facilità della Classicissima. Un placido andare, da Milano (Pavia nel 2024) fino al mare della riviera ligure. Poi dopo 220 chilometri la corsa si accende e dai Capi si arriva a Sanremo in un batter d’occhio. Il 16 marzo, mentre in gruppo si pedalava, sui vari canali televisivi si discuteva proprio della semplicità di questa gara.
La voce di Agnoli
Sui social, invece, c’è stato chi è andato apertamente contro corrente come Valerio Agnoli, che la Sanremo l’ha corsa tante volte, tutte in supporto dei suoi capitani. Il corridore laziale ha condiviso sul suo profilo Instagram i video dell’edizione del 2012. Una gara che lo ha visto spesso protagonista, fino al Poggio.
«Chiaro – ammette – che l’interpretazione tattica non è quella del Fiandre o della Roubaix. Tutti sanno che la Cipressa e il Poggio sono i punti fondamentali della Sanremo, ma non è facile prenderli nelle migliori condizioni. Ci sono 190 corridori e dalle 22 ammiraglie al seguito tutti i diesse urlano di andare avanti. Per fare ciò devi avere la squadra migliore, strutturata per quel tipo di lavoro».
Agnoli e Oss lavorarono per gran parte di quell’edizioneAgnoli e Oss lavorarono per gran parte di quell’edizione
Contano i compagni
Lo si è visto sabato scorso con Pogacar e compagni, la squadra risulta importante, forse più che in altre corse. Non si può sbagliare, la Sanremo è la gara che si decide con uno scatto, ma va fatto al momento giusto.
«Le forze – spiega Agnoli – sono da centellinare per tutti, ma in particolar modo per i capitani. Ogni momento risulta importante, ma dai Capi inizi a fare i conti all’oste. Appena la strada sale con Capo Cervo capisci quanta energia ti rimane nelle gambe. Tatticamente la gara è semplice, ma dopo 250 chilometri devi avere i compagni che ti portano avanti e che sanno prendere il vento in faccia. Uscire dalla Tirreno rendeva tutto più agevole, l’abitudine alla fatica che ti dà quella gara è impareggiabile per me.
«Alla Sanremo – continua – capisci chi sa correre e chi no. Durante la gara devi avere mille occhi, i due davanti per guardare la strada e quattro dietro per vedere se i capitani ti seguono. Io nel 2012 dovevo portare avanti Vincenzo e la fiducia tra di noi era tale che io sapevo che mi avrebbe seguito ovunque. Lui, d’altro canto, sapeva che grazie a me sarebbe risalito in testa al gruppo senza prendere un filo di vento».
Agnoli con Nibali alle spalle: è importante stare davanti, ma senza prendere ventoAgnoli con Nibali alle spalle: è importante stare davanti, ma senza prendere vento
Anticipare
Dal Turchino in poi è tutta una volata verso Cipressa e Poggio, tutti vogliono stare davanti. Lo spazio è quello che è, serve conoscere la strada e anticipare le mosse.
«L’esperienza conta tanto – dice Agnoli – la strada è sempre quella, vero ma bisogna riconoscere i momenti importanti. La carreggiata sulla costa è larga, sì, ma nei pressi dei centri abitati gli ostacoli non mancano: rotonde, spartitraffico e strettoie.
«La Cipressa – ricorda – non è diventata importante solamente ora, ma lo è sempre stata. Nel 2012 io avevo il compito di farla davanti, insieme a Oss. Tirai per metà salita, poi ci fu uno scatto e mi staccai, le gambe lì facevano già male. Sono riuscito a rientrare prima della discesa, anche in quel caso ho fatto uno sforzo enorme per tornare avanti e mettermi alle spalle Vincenzo. La strada che scende dalla Cipressa va fatta per forza davanti, in quel momento vedi chi sa guidare la bici e chi no. Le difficoltà non sono solamente tecniche, perché la stanchezza sale e la vista si offusca. Riuscire a mettersi nelle prime tre posizioni è una buona cosa, se sei fortunato prendi le moto come riferimento. Tutte le curve chiudono, quindi prendi la bici e la butti dentro: è tutta una questione di feeling tra bici, atleta e materiali».
La discesa della Cipressa va fatta davanti, oltre la 20ª posizione si rischia la “frustata” una volta in pianuraLa discesa della Cipressa va fatta davanti, altrimenti si rischia la “frustata” una volta in pianura
Dominare? Non basta
L’edizione 2024 della Sanremo ha visto la UAE Emirates prendere in mano la corsa, fare il bello e il cattivo tempo, ma non concretizzare. Ciò che unisce il racconto di Agnoli, legato al 2012, e la corsa di quest’anno sta proprio qui.
«In quell’anno – spiega di nuovo – noi della Liquigas abbiamo dominato dalla Cipressa a metà Poggio, eppure non abbiamo concretizzato. Nel 2012 ho fatto una cosa simile a quella che avete visto fare a Milan settimana scorsa, una rincorsa fino al Poggio. Io però ho parlato con Vincenzo, ci siamo guardati e mi fa: “Attacca, rendiamo la corsa dura”. Così allungai, pensate al mal di gambe dopo 270 chilometri costantemente davanti. Appena il gruppo mi riprese mollai e finii la corsa del mio passo, senza naufragare».
Nonostante la corsa da protagonista la Liquigas colse due piazzamenti: 3° Nibali e 4° SaganNonostante la corsa da protagonista la Liquigas colse due piazzamenti: 3° Nibali e 4° Sagan
Cuore in gola
I ricordi di Agnoli poi si fanno più nitidi e riemergono importanti, fin dopo la linea bianca del traguardo.
«Un aneddoto – conclude – su quell’edizione, è che la squadra aveva preso tre stanze all’hotel Napoleon, per fare le docce. Una volta finita la corsa c’era da pedalare per 700 metri così da arrivare in camera, ricordo il mal di gambe, furono infiniti. Per arrivare all’hotel c’era una scalinata di marmo, una volta in stanza mi sedetti e sudai freddo per qualche minuto. Staccai il ciclocomputer dalla bici, guardai i dati, con lo scatto sul Poggio, dopo 280 chilometri, avevo fatto registrare 197 battiti massimi. La Sanremo non è facile, fidatevi…»
Come Evenepoel e forse anche meglio, ma dieci anni prima, Peter Sagan è stato l’esempio della carriera di un giovane fenomenocresciuto con regole meno affrettate rispetto ad altri. Lo slovacco, che al Tour de Vendee di domenica scorsa ha disputato l’ultima gara da pro’, probabilmente non era consapevole di poter diventare così importante. Quando si è affacciato sul mondo del ciclismo professionistico, forse non sapeva neppure dove fosse.
Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010
Parola a Zanatta
Ciascuno di noi abbia avuto la fortuna di vivere Peter da vicino può raccontare aneddoti a non finire. Ma se c’è uno che l’ha visto arrivare e crescere e si è stupito per il portento, quello è Stefano Zanatta, che di giovani se ne intende e della Liquigas di allora era il direttore sportivo. Il trevigiano è a casa con una punta di influenza, ma non si sottrae al racconto.
«Peter arrivò come un fulmine a ciel sereno – racconta – lo prendemmo perché aveva fatto bene nel cross e poi nel 2008 aveva vinto i mondiali juniores di mountain bike in Val di Sole. Su strada sembrava quasi che non corresse, però cominciai a prendere informazioni. Venti giorni dopo quel mondiale, andò al Lunigiana e vinse l’ultima tappa. Allora chiesi se per tornare vero la Slovacchia sarebbe passato di qui. Mi dissero che sarebbe andato a una corsa in Istria e lì vinse due tappe e la classifica. La settimana dopo, ai mondiali di Varese, mi incontrai con il suo manager. Gli proposi di venire con noi, inizialmente fra i dilettanti, perché era un bel corridorino, ma non sembrava che avesse tutte queste potenzialità…».
In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna parkIn pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
Invece?
Arrivò al primo ritiro con gli under 23, eravamo a Cecina alla Buca del Gatto. Li seguiva Biagio Conte e Peter in teoria a casa non aveva la bici da strada. Gliela avevamo data tre giorni prima e dopo i primi due giorni andarono a fare distanza. C’erano Viviani e Cimolai, entrambi neoprofessionisti, che dovevano partire forte. Era gente che da noi vinceva le corse e tornarono dicendo che questo qui a un certo punto aveva accelerato e li aveva lasciati lì. Biagio era convinto che a casa si fosse allenato, così andai a chiederglielo, ma lui confermò di aver fatto solo un po’ di cross e di mountain bike e tante camminate in montagna. Così ci rendemmo conto che fosse uno fuori dal comune.
Basso raccontò che la sua molla erano le difficoltà economiche della famiglia.
Lui era forte, ma sicuramente viveva in un paese dove la situazione familiare era un po’ incerta. Aveva quattro fratelli e questi ragazzini si divertivano ad andare fuori in bicicletta. Quel primo anno, ero al Giro di Polonia e un giorno me lo vidi arrivare in hotel. Era a casa e si presentò la sera alle sei avendo fatto 100 chilometri per arrivare e altri 100 ne avrebbe fatti per tornare. Era venuto con suo fratello e due amici per vedere la tappa. Non conosceva il ciclismo, quello era uno dei primi contatti.
Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e RochePrima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
In che senso non lo conosceva?
A parte il Tour e la Parigi-Roubaix, perché la nazionale l’aveva portato a fare la Roubaix juniores e lui era arrivato secondo, non sapeva nulla. Le altre corse gliele abbiamo insegnate noi. L’episodio al Tour Down Under del 2010 la dice lunga sul personaggio, anche se io non c’ero e il racconto di Dario Mariuzzo (uno dei tecnici della Liquigas, ndr) è da sbellicarsi dalle risate.
Cosa successe?
Il secondo giorno finì a terra e si fece male a un gomito, con un grosso taglio provocato da una corona, per cui gli misero 20 punti. Non era il Peter brillante di adesso, quando parlava alzava appena gli occhi. Il dottor Magni lo portò in ospedale e rimase con lui per tre ore. E quando ne uscirono, Peter gli disse: «Domani, io start». Magni cercava di farlo ragionare, dicendogli di dormirci sopra e il giorno dopo avrebbero valutato. Ma lui fu irremovibile: «Dottore, io domani start». E infatti ripartì e dopo tre giorni andò in fuga con Armstrong, Valverde e Cadel Evans. Tirò alla pari per tutto il tempo. E quando gli chiedemmo perché mai lo avesse fatto, visto il livello degli avversari, rispose: «Perché ero in fuga e chi va in fuga deve tirare». Era tutto da costruire, anche quando cominciammo a spiegargli che la Parigi-Nizza non era la Coppi e Bartali e ci sembrava strano dirglielo…
L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentinoL’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
Però intanto alla Parigi-Nizza lo portaste e lui vinse la prima corsa da pro’…
In Francia ci andavamo tutti gli anni dal 2005 e avevamo vinto una sola tappa con Pellizotti,arriva questo e ne vince due: capite perché eravamo sorpresi? A quel punto cominciammo a tutelarci perché non ce lo portassero via e insieme pensammo a come fare per farlo crescere gradualmente. Ci eravamo resi conto che poteva veramente andare tanto in alto: la fortuna di avere una squadra forte alle spalle, gli avrebbe permesso di lavorare con calma. Altrimenti già quell’anno avremmo avuto la tentazione di portarlo alla Sanremo. Invece avevamo la squadra fatta per Bennati e a lui dicemmo che semmai l’avrebbe corsa l’anno dopo.
E’ stato difficile gestirlo così? Oggi si tende a buttarli subito dentro…
A noi sembrava logico fare così, perché la scuola che ho avuto era questa. Farli crescere un po’ alla volta, mentre adesso le teorie sono un po’ cambiate e quindi magari qualcuno preferisce avere tutto subito. Non so se sia meglio o peggio, dico che quella era la logica del momento: seguimmo lo stesso metodo di lavoro usato con Vincenzo (Nibali, ndr). Cioè portare i giovani a fare corse buone dove potessero esprimersi. Che senso aveva portarlo alla Sanremo perché tirasse per il Benna?
Al Giro di Svizzera del 2011 iniziano le vittorie prepotenti. Qui vince a Shaffausen su Goss e SwiftNel 2011 debutta alla Vuelta e vince tre tappe: qui la 6ª a Cordoba, su Lastras, Agoli e NibaliAl Giro di Svizzera del 2011 iniziano le vittorie prepotenti. Qui vince a Shaffausen su Goss e SwiftNel 2011 debutta alla Vuelta e vince tre tappe: qui la 6ª a Cordoba, su Lastras, Agoli e Nibali
Nel 2010 aveva 20 anni tondi, ma non ha mai avuto le dichiarazioni altisonanti di Evenepoel…
Peter non ha mai avuto la mania, tra virgolette, di pensare di essere il più forte. Però ha sempre corso per vincere e il suo fisico gli permetteva di farlo, anche se gli allenamenti non erano perfetti e mangiava di tutto. Bastava che buttasse dentro, secondo lui il cibo era cibo. Poi ha cominciato a capire che ci sono delle regole, ma in quegli anni mi diceva che poteva vincere anche se mangiava solo una brioche. Era vero, ma non si potevano riscrivere le regole dell’allenamento perché lui era un’eccezione.
Si rendeva conto di essere così forte?
Secondo me nei primi anni no. Almeno fino al 2014, quando è andato via e ha cominciato a capire la gestione delle corse per spendere meno energie. Lui andava. Gli bastava salire in bici, pedalare, stare davanti e fare bagarre quando c’era da lottare. Non ti chiedeva mai quale fosse il punto giusto per attaccare, anche se ascoltava molto quello che gli consigliavamo.
Nel primo Tour nel 2012, Sagan comincia vincendo a SeraingA Metz, sesta tappa del Tour 2012, questa volta Sagan vince imitando HulkNel primo Tour nel 2012, Sagan comincia vincendo a SeraingA Metz, sesta tappa del Tour 2012, la vittoria imitando Hulk
Giocava anche nelle famose tappe del Tour vinte con un pizzico di… arroganza?
Quell’anno, era il 2012, si divertiva tanto. Andava veramente forte, ma è un fatto che dopo quella prima Parigi-Nizza ci dicemmo con gli altri tecnici che non avremmo più dovuto pensare di andare alle corse come facevamo prima. Bisognava cambiare modo di approccio alle gare e la disposizione in corsa. Perché Sagan ha portato la possibilità di fare nel ciclismo quello che nessuno aveva immaginato. Peter era avanti a tutti per il suo modo di pensare e di fare. Lo dicevamo nelle riunioni con Scirea, Volpi e Mariuzzo: «Ragazzi, non pensate di ragionare con Peter come per gli altri». Non aveva limiti. Per come andava in salita, avrebbe potuto vincere anche le corse a tappe più leggere, però mentalmente non riusciva a stare troppi giorni concentrato.
Peter ha sempre voluto attorno un gruppo solido di amici, da Oss a Viviani, Da Dalto e gli altri di quella Liquigas.
Quando è arrivato, non parlava tanto, magari per la lingua. Era più riservato, più cupo, ti guardava un po’ così. Invece dopo un po’ ha scoperto di far parte di un bel gruppo. Ha avuto un ottimo rapporto anche con Da Dalto, che nei primi anni lo andava a prendere, lo aiutava a fargli trovare i posti dove fare la spesa. L’ha fatto vivere come uno del posto. Poi con ragazzi come Oss e Viviani ha tirato fuori il suo spirito goliardico ed è nato il Peter che tutti conosciamo. Uno che in allenamento non stava mai fermo, era sempre fuori dalla sella anche quando facevamo 150 chilometri ed era sempre lì a fare scherzi e toccarli. Forse all’inizio si è sentito un po’ isolato in una squadra di italiani, quando poi è arrivato anche suo fratello, si è sciolto.
La Liquigas è una famiglia. Sagan, Oss e Viviani sono quasi coetanei e formano una banda impertinente e forteL’UCI fiuta il personaggio e lo invita al Galà di Curacao nel 2011. In stagione, Sagan ha vinto 15 corseLa Liquigas è una famiglia. Sagan e Oss sono quasi coetanei e formano una banda impertinente e forteL’UCI fiuta il personaggio e lo invita al Galà di Curacao nel 2011. In stagione, Sagan ha vinto 15 corse
Ti è dispiaciuto che quel gruppo si sia sciolto?
Quando decise di andare via, mi aveva chiesto da gennaio se avessi piacere di andare con loro, seguendo il suo gruppo. Io però non me la sentii, perché comunque era la Liquigas e avevo un ottimo rapporto Roberto Amadio. Insomma, a gennaio non avrei mai pensato che ci lasciassero per strada, per cui ci siamo salutati come si fece con Vincenzo e con tanti altri. Peter ha fatto la sua strada e la mia indole non è mai stata quella di seguire un atleta, anche se a lui ero molto legato. E’ il corridore che sono andato a prendere quando aveva 18 anni e che è diventato grande davvero. Però è rimasto un ottimo rapporto. Se c’è qualcosa, risponde subito.
Quando ti sei accorto che la sua stella si stava offuscando, fermo restando che ha fatto 13 anni da pro’?
Non pensavo che avrebbe fatto una carriera così lunga. Uno che corre come lui anche per divertirsi, a un certo punto non trova più gli stimoli. Invece lui è stato bravo a tener ancora bene, a parte questi ultimi due anni. Il suo modo di correre è stato dispendioso, bisogna fare sempre più sacrifici e intanto arrivano i giovani. Dopo dieci anni di carriera, ti ritrovi in una situazione che non riconosci più. Secondo me, Peter ha smesso di divertirsi dopo il terzo mondiale consecutivo, quando arrivava uno e gli chiedeva una cosa, arrivava un altro e gliene chiedeva un’altra. E a quel punto ha un po’ mollato. Fisicamente ne aveva ancora far bene, però non era più Peter con la cattiveria di prima.