Eroica Juniores: la Nations’ Cup torna sulle strade bianche

15.04.2024
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A breve, giovedì prossimo, scatterà la seconda edizione dell’Eroica Juniores Nations Cup. Una gara a tappe di quattro giorni, con cinque frazioni, tra le strade bianche delle terre del Chianti e non solo. Viene replicato quello che l’anno scorso è stato un successo. Anzi, a testimoniare la buona riuscita dell’edizione passata, la corsa è stata rivisitata. Nel 2023 le tappe erano state tre, distribuite in due giorni, dove a vincere fu Jorgen Nordhagen, talento norvegese passato nel Visma-Lease a Bike Development Team. 

La Nation’s Cup degli juniores si è aperta il 7 aprile con la Parigi-Roubaix e per il 2024 propone 11 tappe: L’Eroica Juniores e il G.P. F.W.R Baron sono le sole due prove italiane.

Per il territorio

Il successo e l’apprezzamento dell’Eroica Juniores Nations Cup ha portato gli organizzatori, a capo dei quali troviamo Franco Rossi, a spingere e promuovere l’evento. 

«E’ una gara – ci racconta – nata per rafforzare il messaggio valoriale del territorio. Si è capito subito che la manifestazione potesse avere un buon sviluppo, anche perché è stata apprezzata da tutti: corridori, cittì e addetti ai lavori. L’invito ad allargarla, anzi direi anche la voglia, è venuta da sé e così quest’anno abbiamo raddoppiato i giorni e i chilometri. Ci siamo rivolti agli juniores perché è diventata una categoria fondamentale nel ciclismo moderno, che può decretare già chi saranno i corridori del futuro. Poi c’è anche la parte valoriale, legata al voler trasmettere ai giovani il piacere delle strade bianche. Il nostro evento madre, la ciclostorica L’Eroica, vede avvicinarsi, piano piano tanti ragazzi, e questo ci fa un immenso piacere».

L’edizione 2024 si aprirà con una cronometro a squadre di 22,5 chilometri
L’edizione 2024 si aprirà con una cronometro a squadre di 22,5 chilometri

Da tutto il mondo

L’edizione 2024 dell’Eroica Juniores Nations Cup supera di poco i 400 chilometri, una fatica non da poco se si pensa alla categoria e al fatto che è tutto racchiuso in cinque giorni. Il Giro della Lunigiana, giusto per fare un esempio, viaggia sugli stessi numeri in quanto a giorni e chilometri di gara. 

«C’è stata una grande adesione – continua Rossi – con la presenza di ben 18 team nazionali. Ai quali si aggiungono i team satellite del WorldTour come Decathlon AG2R La Mondiale U19, JEGG-Dir Academy U19-Visma e la Grenke Auto Eder-Bora. Ci saranno anche quattro rappresentative regionali italiane: Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana. Infine Team Veleka, Fensam Hoves, Team Alta Austria e la Vangi Pirata.

«Avere così tante Nazioni rappresentate – continua – è un modo per far capire quanto il brand Eroica si sia esportato nel mondo. Già portiamo il valore del ciclismo eroico e del nostro territorio in nove Paesi del mondo con eventi organizzati».

Entriamo nel dettaglio di questi 400 e passa chilometri con la presentazione delle cinque tappe. Ogni frazione prevede almeno un passaggio su una strada bianca il vero filo conduttore della manifestazione.

«Il primo giorno – spiega Rossi – ci saranno due tappe: una cronometro a squadre da 22 chilometri con partenza da Punta Ala e arrivo a Castiglione della Pescaia. Il pomeriggio, invece, una frazione da 68 chilometri. Volevamo fare una prima tappa in linea pianeggiante, ma da noi in Toscana non ce n’è molta e già il primo giorno ci saranno 500 metri di dislivello. Nella seconda giornata ci sarà l’arrivo a Siena, in Piazza del Campo, dopo 110 chilometri e cinque tratti di strade bianche. Si passano i luoghi iconici della Strade Bianche, la gara dei professionisti. Penso che far arrivare i ragazzi dove pochi mesi fa ha trionfato Pogacar sia un motivo di orgoglio per noi e per loro.

«La terza tappa – conclude – sarà quella che probabilmente scaverà i veri distacchi in classifica generale. Si parte da Siena e si arriva a Montevarchi, con un doppio passaggio sull’arrivo e un traguardo volante a Gaiole in Chianti, dove è nata L’Eroica. Qui ci sarà il passaggio su una salita di 7 chilometri, tutta di strada bianca, il Passo di Monte Luco, che collega il Chianti alla Valdarno. L’ultima fatica prevede 102 chilometri, da Siena a Chiusdino e attraversa tutta la provincia di Siena e la Val d’Elsa. Dopo un duplice passaggio sotto l’arrivo festeggeremo il successore di Nordhagen».

Della Vedova, un grido d’amore e d’allarme per il ciclismo giovanile

03.04.2024
7 min
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«Ho voluto gettare un sasso nello stagno e capire se si possono smuovere le acque». Il post su Instagram della settimana scorsa di Marco Della Vedova sul ciclismo giovanile ha immediatamente avuto una grande eco nel panorama delle relative categorie e non solo. La causa scatenante era stato accorgersi che, a causa del fine corsa troppo vicino ai vincitori, la maggior parte dei ragazzi venuti da molto lontano non erano riusciti a concludere la gara. Da qui e dalle reazioni ricevute, è nata una denuncia delle problematiche, in termini di sicurezza e sprechi, delle categorie giovanili.

Il concetto è piuttosto chiaro quanto semplice. La base va coltivata adeguatamente se si vogliono avere ancora talenti, ma il rischio di arrivare ad un punto di non ritorno è molto alto per il diesse della Bustese Olonia. C’è una serie di problematiche che riguardano da vicino esordienti ed allievi (in apertura foto Aimi), senza tralasciare gli stessi juniores, in ogni gara. Con Della Vedova abbiamo riavvolto il nastro riprendendo il suo accorato sfogo per provare a vedere se ci possono essere delle soluzioni attuabili o per lo meno mettere sul piatto tanti spunti da approfondire. E’ serenamente consapevole di non avere la verità in mano ed è aperto ad ogni tipo di confronto o suggerimento. Sentiamolo su un argomento a lui sensibile.

Marco Della Vedova, diesse degli juniores della Bustese Olonia. Ex pro’ per sette anni, da venti è anche ispettore di percorso per le gare RCS
Marco Della Vedova, diesse degli juniores della Bustese Olonia. Ex pro’ per sette anni, da venti è anche ispettore di percorso per le gare RCS
Marco, quanto ti è costato scrivere quelle parole?

Tanto, ma mi sono venute spontanee. So che ci sono genitori che partono dalla Val Formazza con i propri figli per andare a correre a Brescia, raggiungendo la propria squadra. Oppure da Potenza Picena per andare in Emilia. Significa farsi 600 chilometri, più di sei ore di viaggio e quindi perdere una intera giornata per una gara di esordienti o allievi che sapete quanto durano. Sono sacrifici che in qualche modo andrebbero ripagati. Però se organizzatori, direttori di corsa e giuria non concedono a tutti i ragazzi di finire la propria gara, vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. E non da oggi.

Facendo gli avvocati del diavolo, sono situazioni che non si verificano sempre.

E’ vero che non è sempre così, per fortuna. Ma per me non dovrebbe capitare nemmeno una volta. So perfettamente che non si può trovare un rimedio istantaneo con delle parole sui social. So anche che non si possono far partire 280 esordienti e vederne classificati una quarantina tra primo e secondo anno perché li hanno fermati. Negli altri sport a quell’età tutti finiscono le proprie gare. Anzi, nella Mtb, ciclocross o pista si può, mentre non capisco perché nel ciclismo giovanile su strada non si possa.

Qual è il rischio principale?

Ripeto, c’è qualcosa che non va. Continuando a fare in questo modo, perderemo i ragazzi molto presto o sempre prima. La Federazione deve accorgersi che i numeri sono in picchiata. Già gli juniores sono ormai gestiti e considerati come se fossero in team continental e arrivano alla fine di quei due anni esasperati. Adesso questa estremizzazione c’è nei giovanissimi dove vedo tattiche surreali, bici con ruote ad alto profilo o freni a disco. Figuratevi negli esordienti o allievi. Invece a me interessa che dei ragazzini di tredici-quattordici anni finiscano la gara in sicurezza e soddisfatti di averlo fatto.

Radio-corsa è presente quasi ad ogni gara. Della Vedova trova superflua la moto-tv nelle gare giovanili (foto Aimi)
Radio-corsa è presente quasi ad ogni gara. Della Vedova trova superflua la moto-tv nelle gare giovanili (foto Aimi)
A proposito, la sicurezza è un altro tema importante.

Delicato direi, perché strettamente legato a quello del numero di partecipanti. Anche nell’ultimo weekend ho visto e ho saputo di gare con parecchi pericoli sulla strada per i ragazzi. Però non posso essere sempre io a fare casino (dice con un sorriso amaro, ndr). Qualcuno mi ha scritto in privato contestandomi e dicendo che non conosco l’argomento o che dovrei organizzare io se sono più bravo. Questo fa capire che non è stato capito il senso del mio sfogo.

Cos’hai risposto?

Devo dirvi che onestamente mi sono un po’ risentito. Sono nel ciclismo dal 1980, da quando ho iniziato da giovanissimo. Ho corso in bici per ventidue anni, ho fatto il pro’ per sette (con Brescialat, Lampre e Mercatone Uno, ndr), poi sono diventato diesse dei giovani e parallelamente sono vent’anni che lavoro per RCS Sport come ispettore di percorso delle loro gare. Tra tutto avrò più di tremila corse alle spalle vissute sotto ogni punto di vista, quindi, a costo di essere frainteso come un vanitoso, tutto quello che dico lo dico con cognizione di causa. E sono padre pure io. Poi certo, non ho la bacchetta magica per risolvere tutto, però non voglio nemmeno restare immobile davanti a certe cose.

Quali potrebbero essere le eventuali soluzioni?

Ce ne sono tante che si potrebbero valutare e provare a vedere se possono funzionare. Per prima cosa dovrebbero estendere il dispositivo del fine gara di ulteriori cinque minuti. Non possiamo vederlo fissato ad un minuto e mezzo dal vincitore, soprattutto nelle gare in circuito. Poi, laddove fosse possibile, bisognerebbe pensare a percorsi diversi, ma che possano essere completati da tutti. Dove c’è una folta partecipazione, come spesso accade in alcune gare, limitare il numero dei partecipanti oppure fare delle batterie per dorsali pari e dispari, dividendo le squadre equamente, come si fa nei meeting regionali o nazionali dei giovanissimi. L’organizzatore non deve voler fare a tutti i costi più categorie possibili in una giornata.

Per Della Vedova il dispositivo di fine gara dovrebbe essere esteso di ulteriori cinque minuti per concedere a tutti di finire la propria prova (foto Aimi)
Per Della Vedova il dispositivo di fine gara dovrebbe essere esteso di ulteriori cinque minuti per concedere a tutti di finire la propria prova (foto Aimi)
Cosa intendi?

Ad esempio se negli esordienti hai numeri alti, si fanno più partenze tra primo e secondo anno. Così tutti possono correre e finire la propria gara. Per me non è necessario che si corra per forza ogni weekend. Così come mi sento di dire che non tutte le società sono obbligate ad organizzare gare, anche perché si rischia di andare al risparmio per le cose fondamentali. Proviamo a vedere cosa fanno in altri Paesi, come la Svizzera, e prendere spunto. Da noi spesso ho visto e vedo delle contraddizioni.

Quali ad esempio?

Ci sono gare di esordienti con moto-tv, con radio-corsa da categoria elite e poi magari non hanno transenne adeguate oppure la gente necessaria per la sicurezza del percorso. Personalmente toglierei le premiazioni dai giovanissimi agli allievi o quantomeno non gli darei tutta questa importanza. Si rischia di creare aspettative inutili. Toglierei tutti quelli che sono i costi superflui, specialmente se un organizzatore o un comitato ha dimostrato di non sapere tenere un certo livello di sicurezza e valore sociale. Anche questo è un aspetto che va tenuto in considerazione.

Spiega pure.

Intanto a scuola non si insegna quasi più nulla ad educazione fisica. Si stanno riducendo le ore o sono le prime ad essere tagliate per certi programmi e comunque molti ragazzi le saltano. Non è un bel segnale. In questo senso il ciclismo, come il resto dello sport, deve tenere i ragazzi lontano da cattive situazioni o dalla sedentarietà psicofisica. Ma se il nostro sport non prova a cambiare mentalità a livello giovanile, non avremo più corridori fra qualche anno. Anche perché è faticoso e quando si cade ci si fa male. Oltre a non essere più sicuro per allenarsi. Adesso non mi stupisco se tutti tendono a scegliere tennis o nuoto. Possono praticarli al chiuso o all’aperto, ma in sicurezza. E tutti possono fare o completare le proprie gare.

Spesso ci sono giornate in cui corrono tre categorie con partecipazione alta. Sono pochi gli organizzatori bravi ad allestirle
Spesso ci sono giornate in cui corrono tre categorie con partecipazione alta. Sono pochi gli organizzatori bravi ad allestirle
Sono parole di un Marco Della Vedova pessimista o speranzoso?

Al momento dico pessimista, anche se dovrei dire realista. Guardo le cose come stanno andando e non vedo la voglia di cambiare. Il ciclismo giovanile dovrebbe provare a fare un paio di stagioni più austere come una volta, senza l’arrivismo attuale di certa gente. Venti-trenta anni fa si ambiva a raggiungere un certo tipo di servizi nelle gare giovanili con l’obiettivo comune di fare crescere dei corridori. Ora non è più così. Ora che avremmo tante possibilità di fare le cose fatte bene, abbiamo organizzatori che non si rendono conto di non essere all’altezza. Tutti vogliono fare quello che fa l’altro senza averne le credenziali. Per contro applaudo e faccio i complimenti a chi riesce ad allestire tutto alla perfezione o quasi. Di sicuro vedere il nostro amato sport con tali differenze nel settore giovanile mi fa molto male.

Gli allenamenti degli juniores, Pontoni puntualizza

31.03.2024
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Le dichiarazioni di Daniele Pontoni a proposito delle ore di allenamento degli juniores hanno scatenato un vespaio. Luca Scinto e Massimiliano Gentili avevano voluto puntualizzare a proposito dei ragazzi da loro seguiti, anche Pontoni è però voluto tornare sull’argomento, per chiarire un punto che evidentemente aveva creato fraintendimenti, ma che comunque ha aperto le porte a una discussione importante su come sono seguiti i nostri più giovani talenti.

Il tecnico friulano, che in questi giorni ha smesso le vesti di responsabile del ciclocross per indossare quelle del gravel e preparare la tappa delle World Series del 25 aprile a Orosei, ha voluto specificare quel che intendeva a proposito delle 25 ore settimanali che impegnano gli atleti pur in età così giovane.

I ragazzi dell’Uc Foligno. Le prestazioni di Proietti Gagliardoni e Serangeli nel 2023 hanno destato discussioni
I ragazzi dell’Uc Foligno. Le prestazioni di Proietti Gagliardoni e Serangeli nel 2023 hanno destato discussioni

«In una settimana uniamo le 16-18 ore di allenamento specifico alle 3 ore necessarie per una gara, tra il prima, durante e dopo. Poi altre 3 ore ogni ragazzo le impiega, voglio sperarlo, fra core, palestra, stretching, in più o in meno in base al periodo dell’anno. Infine, e qui mi baso su esperienze all’estero, molti ragazzi fanno anche almeno un’ora di corsa a piedi e mental coaching ed ecco così che raggiungiamo le 25 ore settimanali. Non c’era alcuno spettro, è la realtà dei fatti».

Entriamo nello specifico: la tua esperienza su che cosa è basata?

Io ho l’abitudine di confrontarmi molto con colleghi e tecnici, italiani e stranieri, questa è la media che se ne trae. La corsa a piedi ad esempio è molto praticata fuori dai nostri confini mentre molti tecnici nostrani, legati ancora a schemi del passato, non la vedono di buon’occhio. Quando dico che Francia e Belgio sono all’avanguardia, soprattutto la prima nel lavoro con i più giovani ciclocrossisti ma anche stradisti (il che poi spesso è la stessa cosa, vedi Sparfel) dipende anche da queste cose, da questa cura diversificata verso i propri ragazzi. Non si parla solamente di carichi di lavoro, c’è molto altro da tenere in considerazione.

Nella preparazione dei giovani un importante spazio va dato allo stretching
Nella preparazione dei giovani un importante spazio va dato allo stretching
Ma da parte dei tecnici non c’è un po’ di gelosia nel gestire il proprio metodo di lavoro?

Forse, ma tutti hanno gli occhi e poi è anche nell’animo di ognuno di noi che ama la disciplina che segue condividere le esperienze, perché si cresce tutti insieme. Noi a Benidorm eravamo nello stesso albergo della nazionale francese e tutti noi ci confrontavamo, ci conoscevamo meglio, notavamo le tempistiche e alla fine posso dire che in alcune cose sono sicuramente all’avanguardia, come in altro noi facciamo sicuramente di più. Quel che è importante è sempre imparare dai migliori, allargare gli orizzonti guardando cose diverse. Noi ad esempio abbiamo nel Team Performance un qualcosa che gli altri non hanno e gli effetti si cominciano a vedere.

Sei stato contattato direttamente per le tue affermazioni, qualcuno si è risentito in maniera particolare?

No, perché non c’era alcun elemento per farlo. Ogni tecnico ha le sue idee e certezze, poi sono i risultati dei suoi atleti a parlare. Ribadisco che io parlavo di impegno settimanale e non di allenamento nudo e crudo, se si fanno i conti i tempi, le ore impiegate sono quelle. Poi teniamo conto anche di un altro aspetto: la scuola. Ogni Paese ha il suo sistema scolastico e conciliare l’attività con lo studio varia da sistema a sistema. A me quel che dispiace è che la corsa a piedi è l’unico vero elemento di distinzione, qui ancora non capiamo la sua importanza e non prendo ad esempio gente come Van Aert o Roglic che escono anche il giorno dopo la gara e che fanno addirittura mezze maratone (nel caso del primo, ndr). Spesso qui si rimane ancorati a schemi vecchi di vent’anni, ma il ciclismo va avanti.

La Francia iridata nel team relay giovanile di ciclocross. Per Pontoni i francesi sono esemplari nel lavoro giovanile
La Francia iridata nel team relay giovanile di ciclocross. Per Pontoni i francesi sono esemplari nel lavoro giovanile
E’ quindi un discorso legato ai tecnici ed è indubbio che viene dai loro aggiornamenti, dalla loro voglia di apprendere la crescita del movimento, come in Italia sta avvenendo nell’atletica. I giovani tecnici italiani hanno questa voglia di imparare?

I giovani sì, sono aperti a nuove esperienze. Noi possiamo metterci a disposizione, mettere loro e i ragazzi nelle migliori condizioni, ma poi sta alla voglia di ognuno di mettersi in discussione e questo va fatto sempre. Dobbiamo capire che anche minime cose possono fare una grande differenza e tutto nasce dal continuo confronto, dal guardare con curiosità, chiedere ai colleghi. Anche perché mai come oggi le categorie giovanili sono state così importanti, visto che da lì si approda subito al ciclismo che conta.

Sabatini e il GS Stabbia, ritorno (e ripartenza) dalle origini

19.03.2024
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«I miei metodi di allenamento sono moderni, ma per certi approcci sono all’antica. Non puoi fare il corridore, inseguire il sogno – perché di sogno si tratta – se poi fai tardi la sera, esci, mangi male. Certe regole valgono sempre. Specialmente oggi che la categoria juniores è la più importante», parole di Fabio Sabatini, parole da direttore sportivo.

L’ex professionista è infatti un diesse del GS Stabbia – Iperfinish, squadra juniores toscana. Appena smesso di correre, lo avevamo incontrato nello staff della Cofidis. Poi però sono cambiate alcune regole UCI e Fabio non ha potuto proseguire subito la carriera di direttore sportivo nel team professionistico.

«Qui – racconta Sabatini – ho tanti ricordi. Ci sono le persone che mi vogliono bene, mi hanno messo in bici e mi hanno consentito di fare 16 anni da pro’. Se dovessi scegliere un ricordo solo non saprei, ma certo mi vengono in mente i tanti momenti in cui alle corse o in bici c’era anche mio padre, Loretto».

I ragazzi del GS Stabia: Picchianti, Matteoli, Del Fiorentino, Martinelli, Giusti, Simonetti e Simoni
I ragazzi del GS Stabia: Picchianti, Matteoli, Del Fiorentino, Martinelli, Giusti, Simonetti e Simoni
Fabio, raccontaci come è andata?

E’ andata che dallo scorso inverno avevo iniziato a collaborare con il Valdinievole, la squadra dove sono cresciuto. Già gli ero vicino quando avevo appena smesso di correre. Poi alle parole a me piace dare un seguito con i fatti e così ho deciso di fare un passo in più e quindi di dare una mano concretamente. Ci siamo fusi anche con il GS Stabbia. Parlando con il presidente mi sono convinto. Mi diceva: «Dai, Fabio, vieni: ci dai una mano! Non ti impegnerà tanto…». Poi però quando fai una cosa, la fai per bene ed ora eccomi qui a tempo pieno.

Chi è il presidente?

Luciano Benvenuti. Una brava persona davvero. Un super appassionato di ciclismo: oggi è in pensione, ma è sempre molto attivo.

Quando hai iniziato in modo pratico?

Con i ragazzi ho iniziato la preparazione a gennaio. Li seguo io nei programmi, ma come dicevo non si tratta solo di tabelle. Andare in bici lo devi sentire dentro, serve subito la mentalità giusta. La categoria juniores è oggi la più importante per certi aspetti sulla via del professionismo: rapporti liberi, preparazione… 

Un allenamento settimanale in comune, poi tutti con le tabelle e il controllo da remoto a casa
Un allenamento settimanale in comune, poi tutti con le tabelle e il controllo da remoto a casa
Di certo è una categoria delicata…

Certe attitudini e certi sacrifici, se li fai adesso poi te li ritrovi. Tanti ragazzi lo capiscono, altri no. Se hai qualità e le vuoi tirare fuori devi fare così. Sono due anni e ne trarrai beneficio al terzo, sulla via di quel sogno che dicevo.

Com’è dunque la tua settimana dei tuoi ragazzi?

In base alla scuola, cerchiamo di fare un allenamento a settimana tutti insieme. Poi in estate magari ne faremo due o anche dei piccoli ritiri. I ragazzi hanno il power meter e le tabelle e poi verifico quanto hanno fatto.

Si allenano tutti i giorni?

Sì, tutti i giorni con uno di recupero totale. Di solito si corre la domenica. Lunedì scarico. Martedì allenamento e mercoledì la distanza tutti insieme. Il riposo totale di solito è il giovedì. Al sabato fanno la sgambata. Io consiglio il riposo assoluto, ma se un ragazzo vuole proprio uscire, non glielo nego. Però un’ora o 45 minuti nei quali ti fermi sudato al bar a cosa servono? Meglio un riposo totale, che tra l’altro è un giorno di allenamento a tutti gli effetti.

Fabio hai corso tanti anni nel WorldTour e come i ragazzi che alleni sei stato uno juniores: quanto è cambiata questa categoria rispetto ai tuoi tempi?

Moltissimo. E’ tutto diverso, a partire dai rapporti. Io ero figlio del 52×14, da quell’epoca c’è una differenza come il giorno e la notte. In gara, nello sviluppo, nella preparazione… E’ cambiato anche il fatto che all’epoca noi italiani eravamo i primi o comunque sul podio per quel che riguarda l’evoluzione. Oggi invece inseguiamo sempre. Nei rapporti liberi ci siamo arrivati dopo. E anche tra i pro’, basta vedere la camera ipobarica… 

La squadra GS Stabbia vanta 50 anni di attività. Oltre a Sabatini nello staff tecnico ci sono Michele Corradini ed Etelbo Arzilli (foto @asia.photoss_)
La squadra GS Stabbia vanta 50 anni di attività. Oltre a Sabatini nello staff tecnico ci sono Michele Corradini ed Etelbo Arzilli (foto @asia.photoss_)
E i ragazzi, sono diversi?

Sicuramente sono più avanti tecnicamente, ma tra i social e la tv sono anche più ammaliati dalle immagini. Vedono la televisione e vogliono copiare i pro’ in tutto e per tutto. Ma ci sono dei gradini da salire se vogliono realizzare il loro sogno. Ed è quello che gli dico sempre: non basta imitare.

E tu Fabio? Questa categoria è una scuola anche per te?

Ad ottobre farò il corso da direttore sportivo per i pro’, poi vediamo. A me questa categoria piace. Mi diverte, mi stimola. E magari ci sarà anche l’idea di allargarsi con questi colori.

Ultima domanda: da quanti corridori è composto il GS Stabbia di Fabio Sabatini?

Siamo partiti con 10 ragazzi e poi due hanno smesso, quindi siamo in otto. Quello più in vista è Francesco Matteoli, un primo anno. Lui è nel giro della nazionale della pista. Quest’inverno ci ha dato un bel da fare con l’avanti e indietro fra Montecatini e Montichiari. Poi un giorno lo hanno investito. Si è rotto la clavicola ed è fermo. Per fortuna si trattava di una frattura composta e i tempi di recupero sono brevi. E ancora, ne abbiamo un altro con la mononucleosi, uno che è caduto e si è fatto male ad un gomito.

Insomma avete già dato! Siete in credito con la fortuna…

Esatto! E’ quello che gli ripeto. La ruota gira e nei momenti più difficili si risale.

Pedale Chiaravallese: un’isola felice nel ciclismo marchigiano

11.03.2024
5 min
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Fare attività in una regione difficile, dal punto di vista del movimento del ciclismo, come le Marche non è semplice e scontato. Investire, allestire un team in grado di coprire tutte le categorie lo è ancora meno. Il Pedale Chiaravallese ha intrapreso un percorso difficile e lo ha fatto prima con le attività dei più piccoli: esordienti, giovanissimi e allievi. Nel 2018 hanno aggiunto gli juniores, ampliando l’offerta e cercando di trattenere i ragazzi all’interno della regione. Garantendo loro una continuità di progetto, senza dover per forza fare le valigie e partire. 

Lo staff del Pedale Chiaravallese è un mix di esperienza e gioventù
Lo staff del Pedale Chiaravallese è un mix di esperienza e gioventù

Meno corridori? Meno società

La spirale è facile da vedere, ma non altrettanto da contrastare. Il ciclismo si evolve e la categoria juniores diventa sempre più importante e selettiva. Molti ragazzi smettono prima e, senza i corridori, le società chiudono. 

«Il nostro obiettivo – ci spiega Giulio Cardinali, il presidente – è diventare un punto di riferimento, come lo sono la Vangi o il Team Giorgi. In maniera particolare per la categoria juniores, che in questi anni, da quando l’abbiamo inserita nel nostro team, è cambiata parecchio. E’ diventata sempre più impegnativa per i nostri ragazzi. Il rischio è di vederli smettere e veder morire la categoria, con la conseguenza che gli atleti di valore siano costretti a migrare in altre regioni.

«La categoria diventa più competitiva – continua – e lo si vede, i ragazzi crescono in maniera diversa l’uno dall’altro e c’è chi ora non è pronto. Una volta avevano lo spazio per crescere, maturare, correre, ora ne hanno meno. Tanti ragazzi smettono da allievi, ma se non ci sono corridori le società vengono meno, è una conseguenza logica».

Da voi come va?

Il 2023 è stato un anno difficile, anche chi da allievo aveva vinto qualcosa ha sentito il cambio di categoria. Una società che tiene gli juniores deve essere strutturata al 100 per cento. Bisogna avere dei preparatori, i giusti diesse, un nutrizionista e una persona che cura la parte atletica. Non si può più fare attività come sei o sette anni fa. 

Il vostro progetto è nato in un momento di per sé difficile…

Avevamo intenzione di cambiare pagina, è stato un riflesso spontaneo a queste difficoltà. Nel 2024 vogliamo fare un cambio di passo, così abbiamo fondato lo Zero24 Cycling Team. Ci siamo trovati a tesserare atleti provenienti da province diverse e abbiamo voluto creare un brand che non fosse in contrasto con la nostra storia. I ragazzi sono tutti tesserati per il Pedale Chiaravallese, cambia solo il nome del team, ma la gestione è sempre nostra. 

Come lavorate?

Abbiamo capito una cosa, che se una società non si evolve rischia di morire. Tutto ciò che ci circonda è una risorsa: i ragazzi e i genitori in primis. Spesso si sente dire che nelle società comandano i direttori e i genitori devono starne fuori, ma non capiamo il perché. Una mamma o un papà sono i primi appassionati, parlano con i loro figli. Sono una risorsa, non un limite. Noi vogliamo, come prima cosa, formare degli uomini e poi degli atleti. La famiglia è il mezzo attraverso il quale tutto diventa possibile

E i collaboratori e lo staff?

Prendiamo tanti ragazzi che hanno corso con noi e che poi hanno smesso. Sono la nostra forza. Li prendiamo, facciamo fare loro formazione tecnica, investiamo. Ad esempio, abbiamo fatto un video di lancio, lo ha girato un ragazzo che correva con noi. Altri invece fanno gli allenatori e questo ci fa fare la differenza.

L’attività del Pedale Chiaravallese si basa tanto sulla disponibilità dei collaboratori
L’attività del Pedale Chiaravallese si basa tanto sulla disponibilità dei collaboratori
In che modo?

Noi teniamo tutte le categorie, il che vuol dire avere dai bambini ai diciottenni. Ci siamo accorti che l’interazione di un bambino di 6 anni è difficile con un adulto di 50. L’esperienza serve, ma è importante creare un filo diretto di comunicazione. 

E l’attività com’è organizzata?

Curiamo tutte le categorie e le discipline, crediamo molto in questo aspetto. Ai giovanissimi proponiamo strada e mountain bike. Mentre i più grandi, quindi gli allievi, li portiamo in pista. Il velodromo più vicino è quello di Forlì, sono 140 chilometri ad andare e altri 140 a tornare. E’ un grande investimento, ma ne vale la pena. Non obblighiamo nessuno a fare nulla, infatti se un ragazzo preferisce può continuare serenamente a fare mtb.

Durante la presentazione della stagione 2024, con dietro il nome di alcuni degli sponsor
Durante la presentazione della stagione 2024, con dietro il nome di alcuni degli sponsor
Come coprite tutte queste spese?

Ci sono tanti sponsor appassionati che ci seguono e sostengono ogni anno, a seconda delle possibilità. In più abbiamo un ottimo rapporto con i genitori. Fino al 2022 davamo le bici a tutti i ragazzi, anche agli juniores. Dall’anno scorso non riusciamo a causa dei costi alti dei materiali. Abbiamo parlato con i genitori e loro sono stati d’accordo nel fare questa spesa. Chiaramente se qualcuno non riesce lo aiutiamo, ci mancherebbe. I soldi che prima mettevamo nelle bici ora sono stati reinvestiti in altri campi. Diamo sempre il massimo, cercando di ottimizzare i costi.

A Sambinello la prima degli juniores, sotto gli occhi di Salvoldi

03.03.2024
6 min
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LAMPORECCHIO – Spianato sulla bici come Cavendish. Enea Sambinello è un falco sull’arrivo di Cerbaia di Lamporecchio (nella foto di apertura, la lunga volata). Il Gran Premio Giuliano Baronti è stato una sorta di campionato italiano. Che grande attesa che c’era per questo debutto stagionale della categoria juniores. Un parterre stellare, tanto da richiamare persino il cittì Dino Salvoldi. 

La giornata alterna vento e nuvoloni super minacciosi. In un inverno più mite che mai, forse questa è stata la giornata più fredda. Ma i motori dei corridori erano belli caldi. Mentre si radunavano, nella grande sala mensa ottimamente allestita da Neri Sottoli, che ha aperto i suoi stabilimenti, i ragazzi parlavano dell’impresa di Pogacar ieri alla Strade Bianche. Ma anche di allenamenti e stati di forma.

Giornata fredda, motori caldi

La corsa parte come se fosse una prova di velocità su pista. Dopo 200 metri il gruppo è allungatissimo. Complice anche il vento, i giri in basso si fanno più duri del previsto. Alla fine è un dolce ondulato, ma continuo. A ruota si risparmia tanto, altrimenti sono dolori.

Vangi, Team Franco Ballerini, CPS, Autozai, Team Giorgi… insomma le squadre dei favoriti, si alternano in testa. Solo due atleti alla fine riescono a scappare veramente. Riccardo Uderzo e Matteo Rinaldi arrivano a toccare i due minuti di vantaggio. Ma si sa che andare all’arrivo è difficile. 

Intanto Salvoldi segue la corsa dall’ammiraglia. Osserva e prende appunti: «In effetti c’è un grande parterre qui. Dopo il ritiro di gennaio, colgo l’occasione per vedere come stanno i ragazzi, soprattutto in vista del primo impegno internazionale, il trittico dell’Eroica».

In salita, verso San Baronto, scappano prima in cinque e poi nel finale in due: Andrea Bessega ed Erazem Valjavec, ma non guadagnano tanto. In discesa Giacomo Rosato, Enea Sambinello e Mattia Proietti Gagliardoni gli rientrano. Rientrano in un momento cruciale però, cioè proprio al termine della discesa. Altrimenti sarebbe stata dura.

Sambinello glaciale

A quel punto Sambinello è glaciale. Non si fa intimorire. Sa di essere il più veloce e sul rettilineo finale detta la sua legge. A dicembre lo avevamo lasciato tra le interrogazioni su Ariosto e il ritiro-premio con la UAE Emirates in Spagna.

«Abbiamo fatto il ritiro poco tempo fa con la squadra, la Vangi – racconta Sambinello – e avevo buone sensazioni. Questa settimana è iniziata male perché lunedì sono caduto e sono stato un po’ male, quindi non sapevo bene a che livello ero.

«Oggi però sulla salita ho visto che stavo bene. Ho preso un po’ dai primi, ma in discesa ci siamo buttati giù forte. Sapevo di essere tra i più veloci e sono riuscito a giocarmela bene. Sono rimasto tranquillo. Anche perché sapevo che dietro c’erano due miei compagni, pertanto potevo non dannarmi eccessivamente l’anima per portare avanti la fuga e al tempo stesso concentrarmi sulla volata».

Sambinello vince con due bici buone di vantaggio. Man mano che arrivano i suoi compagni, i ragazzi della Vangi si abbracciano. Si nota un certo affiatamento. Un affiatamento che, a quanto pare, c’è stato anche in corsa.

«In effetti devo ringraziare tantissimo i miei compagni – racconta Sambinello – soprattutto Giacomo Sgherri, perché mi ha aiutato veramente tanto a prendere la salita davanti. Ma in generale tutta la squadra ha lavorato bene e siamo stati molto uniti. Parlavamo spesso su come gestire la corsa. Comunque era la prima gara e c’era molto nervosismo in gruppo. Quindi cercavamo di stare davanti, di evitare le cadute. Ma qualche battuta l’abbiamo scambiata anche con gli avversari, più che altro per salutarci, per sapere come stavano dopo l’inverno».

«Se ho parlato con Salvoldi? Non ancora, ma spero sia contento». Sambinello ci congeda parlando dei prossimi impegni, quelli con la nazionale e quello già cerchiato di rosso: il GP Liberazione a Roma.

Salvoldi sorride

E a proposito di Dino Salvoldi, il cittì non si può lamentare. Il tecnico azzurro si è fermato sulla salita per osservare meglio i ragazzi e trarre nuovi spunti. Dino si era confrontato anche con Luca Scinto per la scelta del percorso.

«Un tracciato così – spiega il cittì – era ideale: in linea con i percorsi moderni per durezza e chilometraggio. Insomma non era il “circuitino”. I ragazzi oltre ad avere più possibilità di andare all’arrivo, potevano anche prepararsi meglio con più convinzione ad un appuntamento simile».

Il cittì è soddisfatto perché i nomi cerchiati di rosso non lo hanno “tradito” e questo è importante per proseguire il lavoro che ha in mente.

«Alla fine sono arrivati davanti tutti i ragazzi che mi aspettavo. Un buon segnale. Vuol dire che hanno lavorato bene. Ho sentito per radio che Sambinello è rientrato in fondo alla discesa. A quel punto era favorito. Mattia Proietti (un primo anno, ndr) è andato molto bene. Così come Giacomo Rosato, che in pianura ci ha provato. No, no… molto bene».

Stasera Salvoldi farà il giro di telefonate con i ragazzi. Anche se con la maggior parte di loro ha parlato faccia a faccia dopo l’arrivo.

«E’ molto importante questo dialogo, perché mi consente di capire meglio come stanno e soprattutto di sapere se qualcuno che poteva fare di più ha avuto qualche problema. Per esempio c’è stata una caduta prima della salita che ha spaccato parecchio il gruppo e per me è importante saperlo».

I progetti della Grenke Auto Eder su Finn? Ce li racconta Schrot

01.03.2024
5 min
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MANERBA DEL GARDA – Al tavolo con noi, dopo Lorenzo Finn, si è seduto Christian Schrot, diesse del team juniores tedesco Grenke Auto Eder. Intorno all’arrivo di Finn (foto GRENKE – Auto Eder/Matthis Waetzel in apertura) si è accesa tanta curiosità, allora approfittiamo della disponibilità di Schrot per scoprire i progetti dietro l’arrivo del primo corridore italiano del team. Entrare in un mondo del genere non è facile, ma se riesci a ritagliarti lo spazio per entrare in uno degli otto posti disponibili qualcosa vorrà pur dire

«Lorenzo Finn ha corso molto bene l’anno scorso – attacca subito Schrot – e lo abbiamo visto in diverse gare. Solitamente ci piace prendere parte al calendario italiano, dipende però da anno in anno. Nel vedere Finn in azione abbiamo capito che avrebbe potuto completare il nostro team, portando le sue qualità di scalatore. Infatti quest’anno avremo una squadra molto ben bilanciata, abbiamo cercato e portato da noi i migliori talenti internazionali. Vogliamo far crescere corridori per ogni terreno, cosa che viene utile anche per il team WorldTour (Bora-Hansgrohe, ndr). La nostra squadra, proprio come un team professionistico, è composta da corridori forti nelle corse di un giorno, in salita, sul pavé e in volata».

Christian Schrot (in piedi con gli occhiali) è il diesse del team juniores Grenke Auto Eder
Christian Schrot (in piedi con gli occhiali) è il diesse del team juniores Grenke Auto Eder
Cosa avete visto in Lorenzo Finn?

Abbiamo visto molto di quello che può essere il suo processo di crescita. Siamo solamente all’inizio, lavora con noi da poco. Tuttavia siamo abbastanza sicuri che possa diventare un grande scalatore e un uomo da corse a tappe. Di questo abbiamo avuto conferma al Giro della Lunigiana nel 2023, ma avevamo già visto le sue qualità in altre corse in precedenza.

Dopo qualche mese con voi che ci dici di lui?

Stiamo lavorando insieme a lui da ottobre, ha passato un buon inverno, in salute. Durante il training camp è andato molto forte ed è cresciuto giorno dopo giorno. A Mallorca ha fatto un bel lavoro, poi i ragazzi si sono allenati anche in altre discipline, come lo sci di fondo. E’ stata una cosa nuova per lui, ma si è comportato molto bene.

Schrot ha costruito una squadra equilibrata, forte su ogni terreno (foto GRENKE – Auto Eder/Matthis Waetzel)
Schrot ha costruito una squadra equilibrata, forte su ogni terreno (foto GRENKE – Auto Eder/Matthis Waetzel)
Credete molto nella multidisciplinarietà?

Sì, crediamo molto in un approccio tra diversi sport. Non soltanto in campi legati al ciclismo, ma anche in altre discipline, che possono dare valore aggiunto. La cosa bella è che le qualità si mischiano tra ciclismo e sci di fondo, e questo fa bene ai ragazzi. Lorenzo non abita lontano dalle Alpi, quindi in futuro, se vorrà fare un diverso tipo di ritiro invernale potrà andare a sciare

Dai numeri dei vari test cosa avete visto?

Abbiamo fatto i test in estate, nell’area che ci ha dedicato Redbull, che come saprete entrerà nel team in futuro, diventando un grande partner. Ci ha già dato una mano nello scouting l’anno scorso, abbiamo messo in piedi il Redbull junior brothers program. Finn ha valori molto buoni soprattutto di resistenza. 

Quali saranno i suoi obiettivi durante la stagione?

Sicuramente le corse dedicate agli scalatori, come la Classic des Alpes e Valromey Tour. 

Si metterà alla prova anche in gare in altre Nazioni, come il Belgio, pensi che si possa adattare?

Al momento possiamo dire che potrebbe fare molto bene, vedremo nelle classiche di categoria come si comporterà. Lui stesso, però, è molto concentrato sulle corse di più giorni, dove può fare davvero bene. Non abbiamo l’assillo di correre tanto, la nostra squadra è strutturata per far crescere i ragazzi, soprattutto in ottica futura. 

Finn (a sinistra) ha dimostrato grandi qualità in salita e nelle corse a tappe (foto GRENKE – Auto Eder/Matthis Waetzel)
Finn (a sinistra) ha dimostrato grandi qualità in salita e nelle corse a tappe (foto GRENKE – Auto Eder/Matthis Waetzel)
Avete pochi corridori, solamente otto, una scelta dovuta a cosa?

Non ci piace prendere tanti ragazzi e poi scartarli, non ci sembra giusto. Ogni giovane ciclista ha un sogno, quindi non avrebbe senso prenderne tanti ogni anno e poi mandarli via. Ci sembra giusto, invece, prendere solamente coloro sui quali sappiamo di poter lavorare bene.

Hai già detto, in una nostra precedente intervista, che guardi molto alla personalità e al carattere dei ragazzi, cosa hai visto in Finn?

Lui è una persona tranquilla e con una mentalità molto adulta. Molto educato e con una mentalità aperta, che gli deriva dal fatto di avere una famiglia con un background inglese (il padre di Finn è inglese, ndr). Parla un inglese molto fluente, penso che sia una persona familiare, ma molto aperta, mi piace questo mix. E’ un ragazzo che ha una sua opinione e sa esprimerla nel modo giusto, con educazione. 

I ragazzi del team Grenke Auto Eder termineranno il loro ritiro italiano domenica 3 marzo
I ragazzi del team Grenke Auto Eder termineranno il loro ritiro italiano domenica 3 marzo
Come vedi il suo processo di crescita, difficile possa passare direttamente nel WorldTour?

Negli ultimi anni abbiamo lavorato con diversi team under 23, ai quali mandavamo i corridori per crescere e per poi passare nel WorldTour. Siamo convinti che i ragazzi abbiano bisogno di un passaggio tra gli under 23, per maturare ed essere pronti. E’ importante per noi che abbiano una carriera lunga, non veloce. 

Con l’ingresso di Redbull è possibile pensare ad un investimento e avere un team under 23 tutto vostro?

Per il momento non abbiamo ancora preso decisioni interne, nelle prossime settimane ci incontreremo e ne parleremo. Sicuramente la nostra ambizione è diventare i migliori, penso che il team juniores sia cresciuto tanto in questi ultimi anni. Le ambizioni in futuro è di avere una struttura di sviluppo anche negli under 23, ma per il momento dobbiamo aspettare per capire i programmi dei prossimi anni. Guardiamo sempre al futuro, ma dobbiamo allineare le nostre ambizioni con l’investimento di Redbull. 

Juniores, 7 giorni al via: con Scinto sul percorso del GP Baronti

26.02.2024
7 min
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SAN BARONTO – Ancora una settimana e domenica prossima scatterà anche la stagione dell’ultima categoria internazionale. Dopo i professionisti e gli under 23 infatti è la volta degli juniores. Partiranno dalla Toscana, più precisamente da Cerbaia di Lamporecchio, Pistoia, con il Gran Premio Giuliano Baronti.

Qui siamo in uno dei cuori ciclistici della regione. E il GP Baronti è dedicato ad un super appassionato di ciclismo, appunto Giuliano Baronti, scomparso nell’agosto del 2022, noto nel mondo del pedale come Neri Sottoli. Per anni ha sponsorizzato, e lo fa ancora, diverse squadre anche professionistiche.

Una foto al monumento dei ciclisti davanti a San Baronto. Qui, Scinto con due suoi ragazzi, Pavi Dell’Innocenti e Buti
Una foto al monumento dei ciclisti davanti a San Baronto. Qui, Scinto con due suoi ragazzi, Pavi Dell’Innocenti e Buti

Baronti nel cuore

Ad organizzare la gara è il Team Franco Ballerini, guidato da Luca Scinto. Siamo a Lamporecchio e questo era il “confine” tra Visconti, a San Baronto, e Nibali, a Mastromarco.

«L’idea di fare una corsa – racconta Scinto – già c’era, poi dopo la morte di Giuliano, i figli Alessio e Stefano volevano in qualche modo continuare l’opera del padre. A quel punto sono stato io a proporre una corsa di più alto livello, una corsa nazionale. E infatti il prossimo 3 marzo è da qui che si aprirà la stagione della categoria juniores».

Insomma, una piccola storia di passione ciclistica. Di rinascita, di tradizioni che vanno avanti.

«Vengono i team più importanti. Ci sono 198 iscritti. Non faremo pagare la tassa dei 5 euro, anche se va detto che questa norma non vale per le corse nazionali, ma non l’avremmo fatta pagare ugualmente. Potranno mangiare sia i ragazzi che gli accompagnatori. In più abbiamo previsto una sintesi su Radio Corsa, la trasmissione di Rai Sport del giovedì».

Tredici giri più uno

Proprio con Luca Scinto e due dei suoi ragazzi, siamo andati alla scoperta del percorso. Si tratta di un tracciato equilibrato. Non duro, ma che non regala nulla. In tutto 121 chilometri, in linea con gli standard attuali della categoria. E’ prevalentemente pianeggiante, poi nel finale si affronta una salita di 4 chilometri, prima di planare di nuovo su Cerbaia di Lamporecchio. 

«La salita l’abbiamo inserita nel finale – va avanti Scinto – così che tutti i ragazzi possano finire la corsa, mettere chilometri giusti nelle gambe. E prendere fiducia. A quel punto poi anche se si staccheranno, potranno di passo andare al traguardo che, ricordo, così come la partenza, è davanti la sede di Neri Sottoli».

Il GP Giuliano Baronti si articola su 14 giri in totale: 13 in pianura, lungo un anello di 8 chilometri, e uno di 17 chilometri che comprende anche la scalata e la discesa.

L’anello in basso è pianeggiante. Non è assolutamente difficile, ma è sempre ondulato. Le strade sono ampie, l’asfalto buono e le curve non sono affatto pericolose. Ce n’è solo una che è più secca e più stretta. Si tratta di una svolta a destra nella quale si arriverà abbastanza veloci, dopo un rettilineo. Ma nulla di pericoloso. E poi dopo la prima tornata i ragazzi l’avranno memorizzata.

Salita a San Baronto

Ma se l’anello in basso non riserva grosse peculiarità tecniche, per quello finale il discorso cambia.

«Per la salita – spiega Scinto – abbiamo scelto il versante di San Baronto noto come il Frantoio, che si attacca da località Centocampi e passa per San Giugnano».

Dalla curva (a sinistra) di Centocampi alla vetta ci sono 4,4 chilometri. Le prime centinaia di metri sono in falsopiano, praticamente pianura. Terminato il falsopiano, si passa man mano al 4, 5, 6 e 7 per cento. E per un po’ resta così.

A circa metà scalata, all’uscita da un tratto boscoso, ecco la zona dei tornanti. Sono tre in successione ravvicinati. Carreggiata stretta e pendenza del 12 per cento. Questo tratto misura più o meno 500 metri. 

Degli uliveti annunciano la fine del tratto duro. Poi la pendenza crolla, fino a diventare pianura per 150 metri. Di nuovo gli ultimi 4-500 metri sono al 4-7 per cento. Lo scollinamento è precisamente davanti alla vecchia Chiesa di San Baronto.

E’ una salita impegnativa, ma non impossibile. «Non so neanche io – dice Scinto – quante volte l’abbia fatta da atleta. Proprio nel tratto in cui spiana scoppiava la bagarre con Sorensen, Sciandri e Ballerini. Si metteva su il rapporto lungo e si menava forte. Il pezzetto finale mi dava noia, ma si faceva una grande gamba.

«Sempre su questa salita, qualche anno dopo, quando il “Ballero” era cittì, gli chiesi quante possibilità avessi di far parte della nazionale di Zolder. Lui mi rispose: “Tu al 60 per cento, ma motivato per fare un certo lavoro, vali più di molti altri, Luca”. Fu una carica incredibile per allenarmi al meglio e non deluderlo. E infatti in quel mondiale andai fortissimo».

Verso l’arrivo

Dopo aver scollinato a San Baronto, inizia la picchiata verso Lamporecchio, planata lunga 3,8 chilometri. E’ una strada larga. L’asfalto è ottimo e non mancano le curve, quasi sempre ampie e con ottima visibilità.

«E’ qui che transita anche il Gp di Larciano dei pro’ e proprio lungo questa discesa (in un tratto rettilineo, ndr) Matej Mohoric ha stabilito la velocità record di 107 all’ora».

Una volta ritornati in pianura restano circa 3 chilometri prima dell’arrivo. Le difficoltà altimetriche sono terminate, ma occhio al finale. L’ultimo chilometro, tende impercettibilmente a salire: la scelta del rapporto giusto potrebbe essere quantomai determinante.

Ai 500 metri c’è una rotatoria. E’ l’ultima curva. Da lì con una pendenza forse dell’uno per cento si va all’arrivo del Gran Premio Baronti. Si percorrono questi 500 metri finali in senso opposto alla partenza.

Caneva in Sicilia: un’esperienza di vita, non solo allenamenti

18.02.2024
7 min
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Dalla pianura di Pordenone alle coste agrigentine di Licata, il Gottardo Giochi Caneva ha attraversato tutto lo Stivale italiano per svolgere il proprio ritiro. Una trasferta in Sicilia per la formazione juniores che non è servita solo per incamerare centinaia di chilometri nelle gambe in vista dell’imminente inizio di stagione, ma anche per far vivere ai propri ragazzi una esperienza di vita.

La scelta della destinazione, il viaggio fatto in due gruppi ed in due modi differenti, la giornata tra bici, studio ed escursioni. Il Caneva ha sfruttato appieno la settimana di Carnevale per scoprire qualcosa in più del proprio gruppo ed anche farsi conoscere. Ne abbiamo parlato con Michele Biz, presidente del team giallonero e figlio dello storico patron Gianni, ed Ivan Ravaioli, nuovo diesse ed ex pro’ di Mercatone Uno, Barloworld e Saunier Duval.

Il Caneva è stato ricevuto dall’amministrazione comunale di Licata. Qui l’assessore allo sport Maria Sitibondo e il diesse Ivan Ravaioli alla sua sinistra
Il Caneva è stato ricevuto dall’amministrazione comunale di Licata. Qui l’assessore allo sport Maria Sitibondo e il diesse Ivan Ravaioli alla sua sinistra

“Gemellaggio” siciliano

Dopo la morte del padre nel 2012, Michele ha assunto la guida della società mantenendo la stessa filosofia che aveva accompagnato i trionfi del Caneva negli anni Novanta e Duemila. L’anno scorso hanno celebrato i sessant’anni di attività e quest’anno si sono concessi un ritiro “stellato” in Sicilia (e capirete perché), quasi fosse un gemellaggio tra il loro Comune e quello che li ha ospitati.

«Avevamo già messo in programma di fare un ritiro durante il periodo di Carnevale – racconta Michele Biz – visto che le scuole osservavano diversi giorni di chiusura. Siamo stati via da venerdì 9 a mercoledì 14 febbraio, quindi i nostri ragazzi alla fine hanno fatto solo due giorni di assenza. E’ stato un ritiro a metà tra il turistico e l’agonistico, se così possiamo dire. Abbiamo trovato un’ospitalità che solo in Sicilia si può trovare, venendo ricevuti addirittura dall’Amministrazione locale. Per noi è stato un motivo di orgoglio e chissà che non sia nato qualcosa per il futuro».

I tredici juniores del Caneva ogni giorno facevano tra le tre e le cinque ore di allenamento
I tredici juniores del Caneva ogni giorno facevano tra le tre e le cinque ore di allenamento

«La scelta di andare a Licata – prosegue – è stata quasi un caso. Il nostro vicepresidente ha un collega di lavoro di quella zona che gli aveva suggerito che una struttura alberghiera con prezzi davvero vantaggiosi, dato anche il periodo di bassa stagione. Ci abbiamo riflettuto e così abbiamo prenotato quasi tutti gli appartamenti che avevano a disposizione.

«Una volta laggiù – continua – abbiamo poi voluto godere della loro cultura al di fuori degli allenamenti. Non siamo solo andati alla scoperta della zona, ma abbiamo voluto anche assaggiare la loro cucina. E chi meglio di Pino Cuttaia, chef stellato, poteva farcela provare? Lui ci ha preparato la tipica colazione siciliana, raccontandocene la tradizione. E pensate che Pino è un grande appassionato di ciclismo. Ci raccontava che quando lavorava negli hotel in Piemonte negli anni Novanta, durante i Giri d’Italia aveva avuto come clienti Bugno, Indurain ed altri corridori di quel periodo. Infatti le domande che ha fatto ai ragazzi o sulle nostre bici erano molto mirate. E’ stato davvero un piacere conoscerlo e i ragazzi si sono divertiti».

Il Caneva è stato ospite per colazione all’Uovo di Seppia, il locale gestito dallo chef stellato Pino Cuttaia, appassionato di ciclismo
Il Caneva è stato ospite per colazione all’Uovo di Seppia, il locale gestito dallo chef stellato Pino Cuttaia, appassionato di ciclismo

Caneva-Licata andata e ritorno

Uno degli aspetti più belli e curiosi di una trasferta è il viaggio. Per abbattere la distanza tra Friuli e Sicilia c’è l’aereo, però non è l’unico modo per farlo. La squadra giallonera si è attrezzata con dovizia di particolari.

«Tra Caneva e Licata – va avanti Michele Biz – ci sono 1.600 chilometri e quindici ore di auto. Ci siamo organizzati bene per fare tutta una tirata in giornata. Due furgoni con tre persone a bordo, che si davano il cambio alla guida, hanno raggiunto i tredici ragazzi e i tre diesse che avevano preso il volo Bologna-Catania. All’andata hanno rischiato di non partire per uno sciopero del personale di terra. Poi grazie alla nostra agente viaggi e ad una serie di telefonate per sincerarci che tutto fosse sicuro, la squadra è partita. Questo episodio fa parte della tradizione Caneva e l’ho preso da esempio per insegnare ai ragazzi che bisogna lavorare perché le cose vadano bene. Proprio come si deve fare in bici».

Il Caneva in Sicilia a parte il primo giorno di pioggia, ha sempre trovato una clima buono per allenarsi
Il Caneva in Sicilia a parte il primo giorno di pioggia, ha sempre trovato una clima buono per allenarsi

«Questo viaggio – aggiunge Ivan Ravaioli – è stato davvero un’esperienza di vita per i ragazzi. Alcuni di loro non avevano mai preso l’aereo e farlo con i propri amici e compagni è stato ancora più bello. Ma non è finita lì. Una volta atterrati a Catania, abbiamo preso un mezzo pubblico per arrivare a destinazione. All’uscita dell’aeroporto c’è proprio un pullman di linea che va diretto a Licata. E’ stato un modo per immergerci già nel clima siciliano e vedere fuori dal finestrino dove saremmo stati per sei giorni».

La giornata dei gialloneri

Le gare sono all’orizzonte e il Caneva ha macinato chilometri attorno a Licata. Quest’anno a guidare la squadra è arrivato Ivan Ravaioli, che ha preso il patentino da diesse proprio negli ultimi mesi. Per sua stessa ammissione, lui vuole improntare sul dialogo il rapporto con i suoi ragazzi. Parlare con ognuno di loro sugli obiettivi da raggiungere e poi studiare la strategia per centrarlo. Certo, poi c’è il passato da pro’ che tornerà utile da trasmettere.

«Abbiamo fatto una buona settimana di bici – spiega Ravaioli – grazie al clima. Solo il primo giorno abbiamo preso la pioggia, rientrando un po’ sporchi perché avevamo scelto strade sconosciute. Nei giorni successivi invece abbiamo programmato percorsi più precisi. A seconda dei lavori, facevamo sempre dalle tre alle cinque ore di allenamento a cavallo del mezzogiorno. Questo ritiro lo abbiamo dedicato all’intensità per cercare il ritmo-gara. Quando tornavamo nei nostri appartamenti, i ragazzi avevano qualche ora libera per studiare e poi di nuovo tutti assieme per andare a visitare la città. Altri due passi dopo cena e tutti a dormire. Questa era la nostra giornata tipo».

Il ritiro siciliano è servito al Caneva per fare intensità e trovare il ritmo gara in vista dell’inizio della stagione
Il ritiro siciliano è servito al Caneva per fare intensità e trovare il ritmo gara in vista dell’inizio della stagione

Gli obiettivi

Il soggiorno del Caneva in Sicilia è servito anche per mettere nel mirino qualche obiettivo, sia individuale sia come filosofia di squadra. La qualità per essere protagonisti non manca. De Longhi, azzurro ed argento ai tricolori di ciclocross, e Stella, quattro medaglie in pista tra europei e mondiali, sono i nomi più in vista.

«Abbiamo assemblato un gruppo – conclude Michele Biz – in modo eterogeneo, tra primi e secondi anni, tra velocisti, scalatori e passisti. Amalgameremo tutto contando anche sulla voglia di riscatto di alcuni ragazzi. Abbiamo il vantaggio che il gruppo, tra nuovi e confermati, si conosce comunque da tanto tempo, quindi sarà più facile far capire le nostre direttive. Il ritiro in Sicilia ha avuto sicuramente più aspetti positivi che negativi. Ho visto che ha fatto bene al gruppo e penso che lo ripeteremo l’anno prossimo».

«Personalmente – chiude la sua analisi Ivan Ravaioli – vorrei preparare mentalmente questi ragazzi a ciò che li attende. Metodo e programmazione dell’obiettivo sono alla base del ciclismo, specialmente quello attuale. La categoria juniores è l’anticamera del professionismo e loro devono essere pronti con la testa a fare un eventuale salto in una devo team, come succede ormai per tantissimi ragazzi.

«Naturalmente c’è anche l’aspetto tecnico da curare. Vorrei far migliorare le caratteristiche in cui sono carenti. Uno scalatore ad esempio lo porterei in pista per insegnargli come affrontare una volata ristretta. Un’altra mia idea è quella di pianificare il calendario delle gare con un mese d’anticipo tenendo conto delle prerogative fisiche dei ragazzi. Siamo tutti fiduciosi di fare bene».