Il morso di Pogacar prima delle salite. Processo alla Jumbo

06.07.2022
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In qualche modo un botta e risposta. Dal trionfo di Van Aert, ai dubbi sulla corsa dello squadrone olandese. Nel giorno in cui la Jumbo Visma ha lasciato affondare Roglic, Pogacar ha dato il primo morso a questa enorme mela che è il Tour. A 20,2 chilometri dall’arrivo, sul settore di pavé numero 3 da Tilloy les Marchiennes a Sars et Rosiers, lo sloveno ha rotto gli indugi seguendo Stuyven, allo stesso modo in cui ieri Van Aert ha dato fondo alle sue energie. E anche se non ha vinto la tappa, ha fatto in modo che tutti gli avversari vedessero le sue spalle allontanarsi e sparire in una nuvola di polvere.

«Il primo obiettivo oggi – dice il diesse UAE, Andrej Hauptman – era correre davanti per difendersi. Però con Tadej è così: quando trova l’occasione, lui parte. Oggi per noi è una buona giornata e andiamo avanti, perché il Tour è ancora lungo. Sapevamo che fosse bravo sul pavé. Ha fatto le sue ricognizioni, però in tappe come questa, devi avere anche fortuna. Oppure non devi avere sfortuna. Roglic ad esempio ha perso tanto, però questo è il ciclismo. E in una giornata come questa, ci poteva anche stare».

A 20,2 chilometri dall’arrivo, l’attacco di Stuyven e Pogacar: il gruppo esita
A 20,2 chilometri dall’arrivo, l’attacco di Stuyven e Pogacar: il gruppo esita

Lo stile di Tadej

Vederlo andare sul pavé non ha la poesia dei grandi della Roubaix. Di Cancellara, Ballerini oppure Boonen. Non ha l’armonia di una struttura disegnata per galleggiare sulle pietre, neanche tiene sempre le mani in basso o al centro del manubrio, il più delle volte le mette sulle leve dei freni. Però va dannatamente forte e dannatamente facile.

«Avevo paura che mi succedesse qualcosa – dice lui al termine delle formalità da sbrigare – ma ho scoperto di avere grandi sensazioni. Quando Stuyven ha attaccato, ho cercato di seguirlo. Andava davvero forte e sono contento di essere arrivato con lui al traguardo. Oggi doveva essere sopravvivere e non perdere terreno, invece alla fine ho guadagnato. Non troppo, ma posso essere soddisfatto. Ho sentito delle varie cadute, non sapevo di Primoz. Dopo due settori, c’era un gruppo davvero piccolo. Andavamo davvero forte sulle pietre. Stavano cominciando gli attacchi e io ho fatto la mia corsa cercando di non cadere».

Pogacar contento di aver guadagnato qualcosa, ma sfinito per seguire Stuyven
Pogacar contento di aver guadagnato qualcosa, ma sfinito per seguire Stuyven

Pasticcio Jumbo

Sono caduti invece quelli della Jumbo Visma, entrata in gara per schiacciare tutti e uscita dalla giornata con l’amaro in bocca. Van Aert caduto e ancora in maglia gialla. Vingegaard caduto e attaccato alla sua scia. Roglic caduto e sprofondato nell’ennesimo episodio sfortunato. Se il compito di Van Aert era quello di tenerli entrambi fuori dai guai, la squadra evidentemente ha fatto la sua scelta. E aveva ragione Garzelli: se hai due leader e uno ha problemi, dividi la squadra a metà perdendo efficacia? Oggi è andata così.

«E’ stato proprio diverso dalle classiche – ammette Van Aert dopo esserci tolto la polvere dalla faccia – io sto bene fisicamente, ma gestire il rientro dalla caduta non è stato facile. Abbiamo inseguito duramente, ma quando ho capito che non avremmo potuto fare quello per cui eravamo venuti, ho smesso di pensare alla maglia gialla. Ho dato per scontato che l’avrei persa. E quando Jonas (Vingegaard, ndr) ha avuto il guasto e ci sono stati problemi di comunicazione per darlgi la bici, mi sono messo al suo servizio. Roglic è lontano, non ci voleva. Ma il Tour è appena cominciato e sulle montagne tutto può ancora succedere».

Roglic è arrivato a 2’59”. Se le sue condizioni sono buone, magari potrebbe tentare di riaprire il discorso, ma sul coriaceo sloveno sembra abbattersi ogni volta una maledizione. Quasi che il Tour non gli abbia perdonato quel crollo nell’ultima crono del 2020. Chissà se tornare fra due giorni sulla salita dove tutto ebbe inizio (o dove cominciò la fine) lo aiuterà a scacciare i demoni di quel 19 settembre di due anni fa.

Caruso, storia già vista

Ancora una volta i migliori italiani sono stati Mozzato e Dainese, arrivati come Cattaneo, Pasqualon e Caruso nel gruppo di Van Aert. Per il siciliano, in particolare, la giornata segna l’inizio di un nuovo Tour, secondo lo stesso copione che lo scorso anno lo portò sul podio del Giro. La caduta e il ritiro di Jack Haig, al pari di quella di Landa di allora, privano la Bahrain Victorious del suo leader per la generale.

«Cadute e forature – dice Caruso – l’hanno fatta da padrone. Siamo stati sfortunati perché abbiamo perso Jack, io invece sono stato fortunato e bravo perché sono rimasto fuori dai problemi. Ho avuto anche buone sensazioni. Un ostacolo importante che abbiamo superato. Continuiamo giorno per giorno, siamo solo all’inizio

«Questa tappa ero venuto a provarla due volte soprattutto per i materiali. Però paradossalmente ho avuto sensazioni migliori in gara che durante la ricognizione. E’ stato difficile all’inizio quando il gruppo era numeroso, poi si è andato assottigliando ed è diventato meno stressante. Ma alcuni tratti erano veramente sconnessi».

Il miracolo di Clarke

Piuttosto, la tappa da Lille alla miniera di Arenberg l’ha vinta Simon Clarke, australiano classe 1986, sopravvissuto con il gruppetto in fuga ai vari inseguimenti di giornata. Anche a quello più inquietante da parte di Pogacar.

«Sapevamo del distacco – racconta al settimo cielo – e sapevamo anche che in un finale come questo è difficilissimo recuperare un simile vantaggio. Per prenderci, sarebbero dovuti andare super veloci. Ero sicuro che saremmo arrivati, mentre non ero sicuro che avrei vinto la tappa. La volata è stata lunghissima, è cominciata all’ultimo chilometro. Powless ha fatto un allungo pazzesco e ha preso margine. Per me aveva vinto lui. Poi Boasson Hagen si è messo a chiudere con un rapportone, mentre io continuavo a ripetermi di non andare in panico e stare calmo. E quando ha lanciato la volata e Taco Van der Hoorn gli si è messo dietro, io ho preso la sua scia. Non so come ho fatto, ma sono uscito e l’ho saltato. Non è stato niente di scontato».

«Che stagione – conclude – l’anno scorso ero senza squadra. Ho continuato ad allenarmi come se ci fosse. Quando stamattina mi hanno detto che toccava a me andare in fuga, ho pensato che le due tappe vinte alla Vuelta e la maglia rosa al Giro del 2015 erano tutte nella prima settimana. Per questo ci ho creduto. Ma quando ho dato il colpo di reni, ve lo giuro, ho solo pregato che fosse abbastanza».

FSA e Vision “in corsa” al Tour de France con ben 5 team

06.07.2022
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Il Tour de France di FSA e Vision corre decisamente veloce. Ma molto veloce. I due bike brand taiwanesi sono difatti in piena competizione equipaggiando con i propri componenti ben cinque formazioni: la EF Education Easypost, il team Bahrain Victorious, la Jumbo Visma di Van Aert e Roglic, il team Cofidis e la B&B Hotels p/b KTM.

Garanzia FSA

Fra i componenti più in vista, c’è la corona FSA full carbon 64T: compatibile con i gruppi a 12 velocità e con i misuratori di potenza, completamente nuova e realizzata utilizzando una tecnologia derivata dalla Formula 1. L’obiettivo? L’ottenimento di uno speciale materiale composito, estremamente rigido e leggero (appena 219 grammi). Sempre FSA fornisce la proprie guarniture in fibra di carbonio ai team EF Education Easypost e B&B Hotels p/b KTM: tutte compatibili con i gruppi a 12 velocità. Eliminato qualsiasi rischio di caduta di catena, il peso della guarnitura – nel caso dell’opzione 54-40 – è di appena 529 grammi.

EF Education Easypost, Jumbo Visma e B&B Hotels p/b KTM hanno anche montati all’interno dei movimenti centrali delle proprie biciclette i cuscinetti ceramici FSA: estremamente scorrevoli e leggeri. Quattro team FSA infine utilizzano il sistema di instradamento dei cavi ACR e SMR System per l’ottenimento della massima efficienza aerodinamica. Questo innovativo sistema, in attesa di brevetto, è una esclusiva di FSA e Vision ed è il frutto dell’esperienza dei due brand per quanto riguarda il tema dell’aerodinamica. Il risultato è una soluzione di passaggio dei cavi pulita, integrata ed efficiente per i marchi di bike che lo adottano al Tour: Cervèlo, Cannondale, De Rosa e KTM.

FSA e Vision sostengono anche la B&B Hotels p/b KTM di Pierre Rolland
FSA e Vision sostengono anche la B&B Hotels p/b KTM di Pierre Rolland

Innovazione Vision

Parlando invece delle soluzioni tecniche offerte da Vision per i cinque team supportati nel corso dell’edizione 109 del Tour de France, vanno segnalate in primis le ruote anteriori crono Metron 91 con cerchio interamente in fibra di carbonio, larghezza interna da 21 mm (realizzata appositamente per funzionare con pneumatici da 28 mm) e 21 raggi a lama aerodinamica. Il peso? 938 grammi. Molto originale la personalizzazione grafica delle stesse ruote realizzata da PALACE per gli atleti della EF Education Easypost. Le avrete sicuramente notata durante lo svolgimento della crono inaugurale di Copenhagen… non passavano certo inosservate.

Sempre Vision sono le protesi in composito, completamente personalizzate e realizzate a mano per adattarsi al meglio alle specifiche misure antropometriche dell’atleta. Queste “aero extensions” nascono in galleria del vento, ed il peso è di appena 120 grammi.

FSA fornisce la proprie guarniture in fibra di carbonio ai team EF Education Easypost e B&B Hotels p/b KTM
FSA fornisce la proprie guarniture in fibra di carbonio ai team EF Education Easypost e B&B Hotels p/b KTM

Il “cockpit” 100% integrato Metron 5D ACR, utilizzato da quattro team Vision al Tour, presenta un attacco manubrio più rigido e aerodinamico, oggi disponibile con la nuova finitura 3K Carbon. Il Metron 5D – dichiarano i tecnici Vision – si adatta alla posizione naturale delle braccia per l’ottenimento di un maggiore comfort ed una migliore respirazione, mentre la forma ad ala della parte superiore del manubrio ne agevola l’aerodinamica. Il peso è di appena 363 grammi nella misura 110×420mm.

Aggiornate da Vision anche le ruote lenticolari monoscocca in fibra di carbonio Metron TFW. Con la loro costruzione in composito 3K, queste ruote garantiscono rigidità, aerodinamica e leggerezza (appena 930 grammi).

FSA

Vision

Van Aert, un bel ceffone giallo alla vigilia del pavé

05.07.2022
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«Non potrei immaginare – dice Van Aert con la maglia gialla che lo illumina – di correre il Tour nascosto nel gruppo, a guardarmi intorno. Voglio avere un obiettivo ogni giorno. E noi a questa tappa pensavamo da parecchio tempo. Quando sul traguardo ho mimato il volo di un uccello, è stato per dimostrare che questa maglia mi ha fatto volare. E che quello degli ultimi dieci chilometri, è stato davvero un volo».

Tutto calcolato

Dopo tre secondi posti consecutivi, è arrivata la vittoria. Ed è stata una vittoria alla Van Aert, prepotente, arrogante come si conviene a chi attacca in maglia gialla. Persino eccessiva, almeno fino al momento in cui parleremo con lui scoprendone la freschezza, alla vigilia di una tappa cattiva come quella del pavé che agita il gruppo. Le persone normali dosano le energie, i supereroi se ne fanno un baffo. Al punto che nella diretta televisiva francese, persino un gigante altrettanto arrogante come Bernard Hinault ha detto che non si stupirebbe se a fine Tour Van Aert avesse una classifica molto buona.

Uno dei primi ad abbracciare il vincitore Van Aert è stato Roglic
Uno dei primi ad abbracciare il vincitore Van Aert è stato Roglic

«Era una tappa cerchiata di rosso – racconta Van Aert – un percorso severo, senza un metro di pianura. Da giorni ci dicevamo di provare qualcosa che fosse buono per la classifica con Vingegaard e Roglic e per la mia maglia verde. Sapevamo che facendo a tutta l’ultima salita, avremmo potuto centrare i due obiettivi e così è stato».

Strade più cattive

In quel momento, è sparito dall’interesse anche il “povero” Anthony Perez, coriaceo superstite della prima fuga, risucchiato dalla Jumbo Visma che ha corso come se il traguardo fosse in cima alla Cote du Cap Blanc-Nez, 900 metri al 7,5 per cento di pendenza media.

«Van Hooydonck – continua a spiegare Van Aert – è stato fortissimo. Lui è l’unico in gruppo a poter fare certe cose. Quindi è toccato a Benoot e poi sono partito io. Ci siamo detti di andare a tutta fino alla cima, poi di vedere. E quando gli uomini di classifica mi hanno dato luce verde e ho visto che gli inseguitori si guardavano, ho corso per vincere la tappa. Ma era ancora lunga. Sapevo che la vittoria sarebbe venuta. I secondi posti in Danimarca non sono mai stati un problema. E’ stato bello partire da lassù, ma quei percorsi erano troppo facili. E io per vincere ho bisogno di strade più impegnative».

I 5 secondi di Philipsen

La volata di Philipsen alle sue spalle è stata di una violenza unica, come la sua esultanza sulla riga, come quando raggiungi il grande sogno. E così dopo l’esultanza di Bettiol al Giro di Svizzera, che ha ricordato quella di Pozzato alla Roma Maxima, anche il velocista belga della Alpecin-Deceuninck, dovrà convivere per qualche giorno con gli sfottò.

«Per cinque secondi – sorride – ho creduto di aver vinto ed è stato bellissimo. Poi mi hanno detto di abbassare le braccia e ho capito. Temo che anche queste immagini rimarranno nel tempo (sorride con mestizia, ndr). Eravamo troppo ammucchiati in salita, non l’ho visto partire. Anche Kristoff a un certo punto ha fatto la volata per vincere, ma sono stato io a tagliare il traguardo per primo e ad esultare, quindi sarò io a dover gestire l’imbarazzo».

Un altro sguardo mesto dopo l’arrivo ce l’aveva anche Luca Mozzato, quinto nello sprint per il secondo posto, quindi sesto finale.

«Neppure io – dice – sapevo che ci fosse davanti Van Aert, me lo state dicendo adesso voi. Peccato, ero contento di aver centrato una top 5. Sono stanco, poteva essere la mia tappa e sono contento di essere arrivato davanti. Vediamo domani sul pavé…».

La danza sulle pietre

L’incubo è arrivato, anche se le previsioni del tempo non parlano di pioggia e sul pavé asciutto, viste le bici stratosferiche e le ruote più… comode a disposizione dei corridori, i problemi potrebbero essere meno e meno seri di quanto si sia prospettato per mesi.

«E’ difficile prevedere cosa succederà domani – dice Van Aert – per me sarà importante prima di tutto tenere fuori dai problemi Roglic e Vingegaard. Come oggi, si può provare per la tappa e per la classifica, perché abbiamo corridori molto forti per le classiche, che non vedono l’ora di ritrovare certe strade. Bisognerà aspettare e vedere cosa succede».

Inizia un altro Tour

E a chi sornione gli chiede che cosa avrebbe fatto se i suoi due compagni non gli avessero dato via libera sull’ultima salita, risponde con un ghigno ancor più sornione.

«Non è il mio ruolo averli dietro nella classifica generale – dice – per cui cercherò di combinare le reciproche esigenze. Se non mi avessero dato via libera? Mi sarei fermato, avrei girato e sarei tornato accanto a loro. Non c’è il minimo dubbio…».

Una risata chiude il giorno praticamente perfetto della Jumbo Visma. Van Aert sparisce sulla sua Cervélo gialla e già con la testa è sulle pietre della Roubaix. Da domani, in un modo o nell’altro, inizia un altro Tour.

E se Vingegaard smette di sorridere? Chiediamo a Garzelli

19.06.2022
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Il “Garzo” lo intercettiamo a Milano, dove si trova per il commento del Giro del Belgio. In precedenza aveva raccontato con Rizzato il Delfinato da Roma e, con lo stesso giornalista veneto, comporrà la coppia RAI per il Tour de France. E proprio su un aspetto che riguarda il Tour vogliamo punzecchiarlo, perché osservando la Jumbo Visma c’è venuto di pensare che la quiete domestica sia relativa. E che di coppie in crisi negli anni ne abbiamo viste ormai parecchie. Lasciando in pace per una volta Roche e Visentini, basta voltarsi per ricordare Garzelli-Pantani al Giro del 2000, Simoni-Cunego nel 2004, Amstrong-Contador al Tour del 2009 e anche Froome-Wiggins in quello del 2012.

«La mia esperienza fu diversa – ricorda – Marco non doveva correre quel Giro, lo decise 10 giorni prima. Io lo avevo preparato per essere leader, non nascondo che i primi giorni non furono facili. Diciamo che quella fu una situazione estrema. Ma se hai due leader, devi puntare su uno solo. Se ne hai due, rischi di dividere la squadra».

Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
Garzelli è in partenza per il Tour, che commenterà accanto a Stefano Rizzato
A voi successe…

Marco aveva creato il modo moderno di correre, con la squadra attorno al capitano. E poi gli piaceva correre dietro, per cui io che preferivo stare davanti non ero appoggiato dalla squadra e un po’ soprattutto nelle prime tappe, ne risentii. Finiva che mi appoggiavo a chi lavorava per gli altri. Ma la squadra divisa è un rischio, soprattutto nelle tappe dei ventagli o magari la prossima sul pavé. Cosa succede se Roglic buca? Fermi metà squadra o la fermi tutta? E fermi anche Vingegaard, se è davanti?

L’Astana di Armstrong e Contador era divisa a metà…

Armstrong era al rientro, Contador era ambizioso. Bruyneel, il tecnico, sapeva che Contador potesse vincere, ma era dalla parte di Lance. Chissà le tensioni! Fra Simoni e Cunego fu ancora diverso. Io ero loro avversario ed era chiaro che in partenza fossero tutti per Gilberto. Poi però fu la strada a dire chi fosse il più forte. Ci fu la spaccatura eclatante a Bormio, quando volarono parole, ma a quel punto il Giro era già deciso. Bisogna che chi guida la squadra abbia le idee chiare. E Bisogna che abbia carisma. Gli episodi di cui abbiamo parlato, soprattutto quelli con Marco, Armstrong e Contador riguardano personaggi con più personalità dei loro direttori.

Nel momento in cui ci fosse tensione in casa Jumbo, sarebbe lo stesso Tour a dare spessore ad entrambi, no?

Vero anche questo. Vingegaard ha dimostrato che ora è più forte. Nell’ultima tappa al Delfinato lo ha proprio aspettato e non so se Roglic abbia avuto una crisi di fame. Sono d’accordo con Malori sul fatto che Roglic punti tutto sul Tour, perché potrebbe essere l’ultimo a un certo livello, ma non dimentichiamo che l’altro nel 2021 è arrivato secondo. E il Tour è la corsa pià difficile da gestire. Caldo. Stress. Tutti che vogliono vincere. Devono partire con le idee chiare.

Anche perché, si parte dalla Danimarca…

Per Vingegaard una spinta pazzesca. Poi c’è la tappa del pavé. Se io fossi il diesse e Roglic buca, non fermerei Vingegaard e viceversa. L’importante è come hai costruito la squadra e quello che sei in grado di far passare. Va detto chiaramente davanti a tutti quello che si farà in determinate circostanze. Se da un lato penso che avere due capitani sia un ostacolo, quando hai davanti uno come Pogacar è bene portarne due, perché sai che nel testa a testa sono tutti perdenti. E in tappe come quella del pavé, male non fa. E’ la tappa che tutti temono…

Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Proprio grazie alla tappa del pavé, Nibali ipotecò il Tour del 2014, ben supportato da Fuglsang
Nibali ci vinse il Tour.

Ebbe dei compagni perfetti come Boom e Fuglsang e mentalmente crebbe.

Può esistere il rischio che la squadra si spacchi per simpatie verso uno o l’altro?

Non credo, sono professionisti. Non accadde con Armstrong, tanto che vinsero il Tour con Contador e anche Alberto ha il suo bel carattere. E nemmeno con Marco, che per noi era un idolo. Per lui davamo l’anima.

Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Sulle montagne del Delfinato, Vingegaard ha mostrato più freschezza di Roglic. Lo sloveno crescerà ancora?
Tu lavori tanto con i giovani, si può lavorare su questi aspetti con loro?

Ci provo, ma non è semplice, perché ci sono di mezzo i genitori che credono di sapere tutto. Però a volte capitano episodi da pelle d’oca, come quando si mettono spontaneamente a lavorare per quello di loro che sta meglio. Senza radiolina né altro. Succede con gli allievi e anche con gli juniores, nonostante io sia molto preoccupato. Da qualche anno ci facciamo del male da soli. La mentalità di passare a tutti i costi non va. Quelli che passano precoci, non hanno la struttura per reggere la pressione e magari smettono perché non sono attrezzati a sopportare il mal di gambe. Quelli che non passano, si demoralizzano e non si sentono all’altezza. Continuando così, in un modo o nell’altro, il ciclismo perde.

Affini diretto dal Giro agli italiani a crono: ecco come

18.06.2022
5 min
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Mercoledì 22 giugno ci saranno i campionati italiani a cronometro, uno degli obiettivi stagionali per gli specialisti delle ruote veloci. Edoardo Affini ha cerchiato questa data fin dal ritiro invernale, un bell’appuntamento per il corridore della Jumbo Visma. Il mantovano classe 1996 ha affrontato l’avvicinamento con il campionato nazionale in maniera alternativa, nel mese di giugno non ha mai corso, la sua ultima gara è stata il Giro d’Italia. 

«Inizialmente – racconta Edoardo – dovevo fare il Baloise Belgium Tour, in programma dal 15 al 19 giugno, in inverno i programmi erano questi. Poi prima del Giro d’Italia la squadra mi ha comunicato che non avrebbe preso parte alla gara in Belgio e quindi dalla Corsa Rosa fino al campionato italiano non avrei corso».

Dalla campagna del Nord, Edoardo è andato direttamente al Giro d’Italia
Dalla campagna del Nord, Edoardo è andato direttamente al Giro d’Italia

Poche pause

E’ normale vedere corridori correre ovunque e spostarsi da una Paese all’altro per gareggiare. Viene quasi normale dare tutto ciò per scontato, ma anche loro, anzi soprattutto loro, hanno bisogno delle giuste pause.

«Non ho fatto tantissimi giorni di corsa (39 per la precisione, ndr) – riprende – ma nonostante ciò, non ho mai fatto un vero periodo di stacco. Dopo aver corso la campagna del Nord, complice il fatto che la Roubaix è stata spostata di due settimane, sono andato subito a Budapest per la partenza del Giro. Sono state 3 settimane parecchio tirate, di conseguenza nei giorni successivi ho tirato il fiato. Visto il ritmo con il quale si è corso il Giro d’Italia, ho pensato anche che sia stata una fortuna non andare in Belgio a correre».

Ecco Affini insieme a Sobrero, i due si sfideranno anche al campionato nazionale a crono mercoledì
Ecco Affini insieme a Sobrero, i due si sfideranno anche al campionato nazionale a crono mercoledì

A ritmo tranquillo

«Da dopo la cronometro di Verona – racconta l’omone della Jumbo – ho fatto tre giorni a fare uscite molto blande, massimo di un’ora e mezza. Il ritmo era proprio da recupero, z1/z2 per intenderci. I giorni successivi ho fatto qualche richiamo, ma sempre in maniera soft. Nella seconda settimana ho iniziato ad aggiungere dei lavori specifici su crono: ripetute corte ad alta intensità o medie ad un’intensità minore. Non ho mai fatto chilometraggi esagerati, ho dato precedenza alla qualità rispetto alla quantità. Anche perché al Giro di chilometri ne avevamo già fatti abbastanza».

Ganna ha fatto anche lui la Roubaix come Affini, poi si è fermato per un lungo periodo rientrando in gara al Delfinato
Ganna ha fatto anche lui la Roubaix come Affini, poi si è fermato ed è rientrato al Delfinato

Uno stacco troppo lungo?

Finire il Giro d’Italia dona ai corridori una condizione migliore nel breve periodo rispetto a chi non lo ha fatto: basti pensare a Zana all’Adriatica Ionica Race. Ma quanto dura questo beneficio? Restare fermo per quasi 3 settimane non fa perdere tutti i benefici acquisiti?

«Può mancare un po’ di ritmo gara rispetto a chi sta correndo ora – ammette – come Sobrero al Giro di Slovenia. Non so quali siano i suoi programmi, magari lo finisce tutto oppure no. Correre ora ti potrebbe aiutare a sbloccarti, è difficile riprodurre in allenamento lo sforzo che si fa in gara. Tuttavia non si tratta di una gara in linea, ma a cronometro, quindi i margini potrebbero non essere così ampi. Pensate che le corse ormai si fanno a tutta e quindi c’è anche il rischio di finirsi troppo presto. Ripeto, sarei dovuto andare in Belgio e fare un programma molto simile a Sobrero, ma con il senno di poi penso sia stato un bene fermarsi dopo il Giro».

Ganna? Un capitolo a parte

Il più grande favorito per mercoledì 22 sarà Filippo Ganna, che vorrà riscattare il quarto posto dello scorso anno. Il verbanese, campione del mondo in carica, questa stagione ha puntato tutto sul Tour de France. Il suo avvicinamento al campionato italiano è stato differente.

«Filippo ha fatto la Roubaix come me – ragiona il mantovano – poi non ha fatto il Giro ed ha ripreso a correre quasi un mese dopo al Delfinato. Lui ha fatto tanta altura a differenza mia. Questa differenza di preparazione è ovviamente dettata dal suo obiettivo di quest’anno: la maglia gialla a Copenaghen del 1° luglio. Dovrà arrivare a quell’appuntamento tirato a lucido.Non è da escludere, essendo le due gare così ravvicinate (campionato nazionale e crono del Tour), che abbia già una forma vicina al suo massimo».

La posizione a cronometro è sempre più estrema e serve tempo per adattarsi
La posizione a cronometro è sempre più estrema e serve tempo per adattarsi

La bici da crono

Nelle prove contro il tempo la dimestichezza nel guidare il mezzo è estremamente importante. Edoardo ha corso il Giro, che nell’edizione 2022 ha visto ben poca cronometro: solamente 26 chilometri nell’arco delle tre settimane. Nel periodo di preparazione avrà dovuto anche riprendere il feeling con il mezzo. 

«Nel mese di maggio – dice Affini – avrò usato la bici da cronometro grosso modo tre volte. Di conseguenza in questo periodo ho cercato di utilizzarla il più possibile, dalle 3 alle 4 volte a settimana. Le posizioni sono sempre più estreme e di conseguenza l’adattamento diventa sempre più lungo. Per questo ci ho pedalato sopra anche per fare “scarico”. Ovviamente avrei preferito un Giro con più chilometri a cronometro, ma sono scelte dell’organizzazione e di conseguenza c’è poco da fare».

La tecnologia viene incontro ai corridori, ma il vero riscontro sul percorso lo si fa di persona
La tecnologia viene incontro ai corridori, ma il vero riscontro sul percorso lo si fa di persona

Mappe e ricognizioni

La tecnologia aiuta corridori e direttori sportivi a visionare i percorsi nei minimi dettagli. Però, quando si tratta di prove contro il tempo, il feeling con la strada conta molto di più. Devi poter vedere con i tuoi occhi quel che ti riserverà il percorso perché lasciare le cose al caso potrebbe portare alla sconfitta.

«Penso di andare martedì mattina a vedere il tracciato – conferma – ormai ci sono varie mappe o addirittura Veloviewer. Io preferisco vedere i percorsi di persona, soprattutto perché ti rendi davvero conto di tutte le particolarità del tracciato solamente quando lo provi. Probabilmente martedì lo farò un paio di volte in bici, poi aggiungerò una terza in macchina. Mercoledì mattina poi, la sgambata spero si possa fare direttamente sul percorso così da rifarlo un’ultima volta prima della gara».

Van Aert e le ambizioni di classifica? «No, sì, vedremo…»

10.06.2022
4 min
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Glielo chiedono tutti: vincerà il Delfinato? Van Aert però non abbocca. Un po’ perché è realista e un po’ perché se anche lo pensasse, non verrebbe mai a dirlo. Così getta acqua sul fuoco e probabilmente ha ragione. 

«Impossibile – ha detto ieri dopo l’ennesima vittoria – questo minuto di vantaggio sparirà sabato in men che non si dica. Il Galibier, la Croix-de-Fer… Non sono pane per i miei denti. Certamente no, soprattutto se gli uomini di classifica faranno la corsa. In tappe come sabato e domenica giocheremo le carte Roglic e Jonas Vingegaard (in apertura Wout è proprio con il giovane danese, ndr)».

Forse un giorno

Eppure il tema resta sul tavolo. E mentre ad esempio Ganna fa di tutto per starne lontano, Van Aert che pure ne condivide l’imponenza (pur con 2 centimetri e 5 chili di meno), si lascia tentare.

«Forse un giorno ci proverò – ha detto – l’anno scorso alla Tirreno ho cercato di puntare alla classifica finale (arrivò secondo a 1’03” da Pogacar, ndr). E’ stato bello, ma per un corridore con il mio profilo, il Delfinato è una delle corse più difficili da vincere. Ci sono molte montagne. Alla Parigi-Nizza di solito c’è una sola e mi si addice di più. Anche la mia vittoria dell’anno scorso nella tappa del Ventoux non è una misura assoluta. Sono partito che avevo cinque minuti di vantaggio e alla fine ne era rimasto uno. Questo dice abbastanza…».

Ecco la celebre azione sul Mont Ventoux che lo scorso anno permise a Van Aert di vincere a Malaucene
Ecco l’azione sul Mont Ventoux che lo scorso anno permise a Van Aert di vincere a Malaucene

Meglio le tappe

Il bello di questi super atleti è che in apparenza possono fare tutto: girano il selettore su una nuova modalità e diventano imbattibili. Ma sarà sempre vero?

«Dovrei reimpostare i miei allenamenti – ha spiegato – il motivo per cui ho una buona posizione in classifica è perché ho ottenuto molti abbuoni negli sprint e sono andato forte nella crono. Ma se mi concentro di più sulla salita, perdo qualcosa allo sprint. Quindi meno abbuoni e meno potenza nelle crono. Ci sono pro e contro. E io a questo punto della mia carriera, preferisco puntare alle vittorie di tappa. Il Tour è dietro l’angolo. Voglio vincere le tappe e puntare alla maglia verde».

Nella crono di La Batie d’Urfe, Van Aert secondo ad appena 2″ da Ganna
Nella crono di La Batie d’Urfe, Van Aert secondo ad appena 2″ da Ganna

Si corre per vincere

Quel che traspare è però una filosofia di corsa vincente, sul piano della prestazione e del conseguente impatto sul pubblico.

«Non ho particolari segreti – ha spiegato – mi alleno duramente e corro poco. Ma ogni volta che attacco il numero alla maglia, cerco di cogliere ogni opportunità alla mia portata. Anche per questo la squadra non vuole che corra troppo. Preferiscono che io sia forte e veloce quando serve. E quando corro, mi piace dare il 100 per cento. E’ davvero speciale essere lì ogni volta».

Così sul traguardo di Chastreix Sancy Gaudu ha beffato Van Aert
Così sul traguardo di Chastreix Sancy Gaudu ha beffato Van Aert

Un bel regalo

Il ragazzo ha anche senso dell’ironia. E così, dopo aver spiegato tecnicamente la beffa subita da Gaudu (errore che ad Alaphilippe è costata una Liegi e a Zabel una Sanremo), ha strappato un sorriso alla platea.

«Mezza ruota di differenza con Gaudu – ha detto – nel momento in cui ho staccato le mani dal manubrio. Se anche fosse stato indietro di mezza bici, non sarebbe cambiato nulla. C’era vento contrario e anche forte e su un arrivo così in pendenza, è bastato che mi alzassi per perdere immediatamente velocità. Soprattutto con qualcuno che ti pedala a ruota. E’ stato ridicolo, gli ho fatto proprio un bel regalo. Guarderò ancora quelle foto, ma non troppo spesso. Sono curioso di vedere da dove sia spuntato effettivamente Gaudu. Non l’ho mai visto arrivare. Ho guardato alla mia sinistra e ho visto Lafay della Cofidis. E’ stato uno sprint allo sfinimento, non mi era rimasto molto. L’ho praticamente finito con gli occhi chiusi. E poi all’improvviso è saltato fuori lui».

Bouwman, il re degli scalatori più amato dai meccanici

31.05.2022
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L’Italia porta bene a Koen Bouwman, vincitore di due tappe e della maglia degli scalatori al Giro d’Italia. Se è vero che la prima vittoria da professionista l’ha ottenuta al Delfinato nel 2017, i più attenti lo ricordano trionfatore sul Gran San Bernardo al Val d’Aosta del 2015, in maglia SEG Racing Academy, davanti a Frankiny e Bagioli.

Un metro e 78 per 60 chili, Bouwman è nato il 2 dicembre 1993 a Ulft, nella regione del Gelderland. Sorride sempre e va forte in salita. Nei giorni del Giro, è sempre parso di buon umore. I colleghi olandesi raccontano che la sua crescita sia stata graduale fino alla vittoria al Val d’Aosta e poi le cose siano diventate più veloci. A quel punto sono scattate le offerte, ma Koen le ha rifiutate, scegliendo lo stage con la Jumbo Visma. E dopo il Tour of Britain del 2015 ha firmato per due anni.

Sfinito dopo la vittoria di Potenza, cinque anni dopo la vittoria al Delfinato 2017
Sfinito dopo la vittoria di Potenza, cinque anni dopo la vittoria al Delfinato 2017

Il Giro è per sempre

L’ultimo Giro è stato il quinto nella sua carriera di gregario, in compenso il palmares parla di alcuni interessanti piazzamenti fra la Coppi e Bartali e il Tour of the Alps del 2018.

«Sebbene non mi capiti spesso di partire nelle corse italiane – racconta – mi trovo sempre bene. Il Giro mi piace sempre molto, non è frenetico dal punto di vista mediatico. Non come il Tour in cui devi parlare con qualcuno ogni giorno, anche se non l’ho mai corso. Ogni tanto ne parlo con Jos van Emden e lui mi dice sempre che nella carriera devi fare il Tour una volta e poi il Giro per il resto del tempo».

Partenza da Marano Lagunare, nel giorno della vittoria in Friuli: power meter a posto
Partenza da Marano Lagunare, nel giorno della vittoria in Friuli: power meter a posto

Stupore a Potenza

Dopo la tappa di Potenza, nessuno si è lasciato andare a troppe celebrazioni. Erano al Giro per supportare Dumoulin e il fatto che Bouwman fosse arrivato al traguardo assieme al suo capitano, è parso un abile gioco di squadra. La seconda vittoria del gregario, cinque anni dopo la prima.

«E’ stata incredibile – dice – quanto la mia prima grande vittoria nel Delfinato. E’ stata una giornata dura, alla fine ci siamo ritrovati in quattro e fortunatamente noi eravamo due della stessa squadra. Tom ha fatto un lavoro fantastico per me negli ultimi due chilometri e io mi sono sentito bene tutto il giorno. Mi era rimasta così tanta forza che a 40 metri dalla fine ho guardato indietro e ho visto che grande buco si fosse formato».

Imbarazzo in Friuli

Dopo la vittoria al Santuario di Castelmonte invece, trattenendo a stento felicità e stupore, ha ribadito di essere sempre lo stesso e che per nulla al mondo i risultati del Giro lo allontaneranno dal suo essere gregario.

«Metà di quella vittoria è di Affini – racconta con un filo di imbarazzo – se non avesse tirato lui, ci avrebbero ripreso. Quanto a me, resto un gregario, non saranno queste due tappe vinte a farmi cambiare mentalità e pretese. Semmai avrò più spazio quando non dovrò lavorare per i capitani. La cosa più bella è stato vedere che i più grandi del gruppo siano venuti a congratularsi con me. Ma rimarrò il Koen di sempre. Il Giro è andato oltre le mie aspettative, non dimenticherò mai queste tre settimane. Jan Boven (ex pro’ e ora coach della Jumbo Visma, ndr) si è seduto dietro di me in macchina e mi ha detto di tenere i piedi per terra».

Una Cervélo R5 di serie

Un altro capitolo per il quale Bouwen è estremamente alla mano è la bicicletta. I meccanici testimoniano che non ha mai richieste anomale o particolari. Per il Giro Bouwman ha usato la R5 Cervélo, il cui telaio ferma l’ago della bilancia a 703 grammi. Si tratta della bici più leggera in uso alla Jumbo Visma. Rispetto alla versione precedente, è più light anche la forcella, per un peso complessivo di telaio e forcella poco superiore ai 1.000 grammi. Pesano meno (circa 12 grammi) anche manubrio e attacco, mentre il reggisella è di 20 grammi più leggero.

«La mia bici ideale – dice – deve essere una all road, cioè deve andare bene su tutti i terreni che si trovano in corsa e in allenamento. La voglio rigida e leggera, alla fine una bici standard della nostra dotazione. Non chiedo regolazioni particolari, rispetto al gruppo Shimano di serie. Solo in alcune tappe chiedo di avere un plateau più grande e in montagna una cassetta con pignoni più agili. Nella tappa del Santuario di Castelmonte ho usato il 36×34».

Bouwman fa doppietta al Santuario di Castelmonte e consolida la maglia dei Gpm
Bouwman fa doppietta al Santuario di Castelmonte e consolida la maglia dei Gpm

La bici ha ovviamente i freni a disco e il manubrio non integrato, dato in dotazione agli scalatori: «Non ho avuto problemi – spiega – passando ai freni a disco. Puoi staccare dopo e mi ha aiutato il fatto di averli sulla bici da cross e la mountain bike. Quanto al manubrio, uso questo perché me lo hanno dato (scoppia a ridere: il lusso di scegliere spetta ancora ai capitani, ndr). E’ leggero, per me va bene così».

Bouwman non sa ancora se correrà la Vuelta, per ora è previsto come riserva, ma c’è di mezzo tutta l’estate per venirne a capo. La sua prossima corsa sarà per certo il Giro di Svizzera, in cui potrebbe giocare le sue carte, dato che Roglic e il gruppo Tour andranno a rodarsi sulle strade del Delfinato. E chissà che il trend positivo del Giro non valichi le Alpi e gli permetta di lasciare il segno anche di là…

Il Giro va a Genova, Roglic lavora a Sierra Nevada

19.05.2022
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Mentre il Giro d’Italia affronta un’altra giornata di su e giù, con tre salite che porteranno il gruppo a picchiare su Genova, a Sierra Nevada, Primoz Roglic continua nella sua preparazione per il Tour de France. Il 2022 si è già tinto di giallo con la vittoria della Parigi-Nizza, ma a tenerlo sveglio è ancora il giallo di luglio, dopo la beffa del 2020 e la caduta che l’ha tolto di mezzo lo scorso anno. Di giallo in giallo, intanto, la prossima sfida seria sarà il Delfinato (5-12 giugno), verifica finale in vista del Tour.

Il dolore al ginocchio è passato, la preparazione è ripresa (foto Instagram)
Il dolore al ginocchio è passato, la preparazione è ripresa (foto Instagram)

Stop inatteso

Rispetto alle solite incognite, quest’anno sulla strada di Roglic si è messo un dolore al ginocchio che dopo il Giro dei Paesi Baschi lo ha costretto a fermarsi. L’aspetto mentale è importante quanto quello fisico e lo sloveno della Jumbo Visma parrebbe aver sviluppato la capacità di mettere le cose nella giusta prospettiva.

«Penso che le cose accadano per una ragione. Non volevo, ma sono stato costretto a fare una pausa. A causa di quel periodo di riposo – dice – ora potrei anche essere un po’ più fresco nella testa per affrontare nuove sfide».

Dopo la vittoria del prologo ai Paesi Baschi, Roglic è stato in testa sino al 4° giorno
Dopo la vittoria del prologo ai Paesi Baschi, Roglic è stato in testa sino al 4° giorno

Muscolo infiammato

Inizialmente gli era sembrato un dolore innocuo, ma improvvisamente si è trasformato in un problema serio. Così Roglic ha dovuto rinunciare alle classiche delle Ardenne, rassegnandosi a riposo e cure intensive: il solo rimedio per non mettere in pericolo la sua partecipazione al Tour.

«All’inizio ho pensato che non fosse una grande preoccupazione – racconta – ma il dolore continuava a tornare. Ora le cose stanno andando di nuovo bene. Il problema era che un muscolo nella parte posteriore del ginocchio si era infiammato per lo sforzo, ma ormai è tutto a posto. Non ho mai avuto paura di saltare il Tour, ma credevo che l’avrei risolta prima». 

Con il gruppo della Jumbo Visma a Sierra Nevada c’anche Van Aert (foto Instagram)
Con il gruppo della Jumbo Visma a Sierra Nevada c’anche Van Aert (foto Instagram)

Sierra Nevada, si riparte

Il fastidio c’è stato, al punto che al Giro dei Paesi Baschi, dopo aver vinto il prologo, Roglic ha iniziato ad accusare il colpo. Rimasto in testa fino alla quarta tappa, Primoz alla fine ha perso la maglia di leader e si è piazzato all’ottavo posto. Poi si è fermato.

«Pensavo che sarebbe finita dopo qualche giorno di riposo – ammette – ma quando ho ripreso ad allenarmi ho notato che il dolore era peggiorato. Così ho dovuto riposarmi più a lungo, che lo volessi o no. Solo da poco posso caricare nuovamente il ginocchio. Nelle due settimane prima di venire a Sierra Nevada ho pedalato a ritmo blando, più per vedere se ci fosse un miglioramento e in che misura quel muscolo potesse essere nuovamente caricato. Ho dovuto fare due sedute di terapia al giorno, è stato un brutto infortunio. Ma ora sono super felice di potermi allenare di nuovo completamente».

Cervélo Caledonia, le top di gamma per tutti i giorni

16.05.2022
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Prestazioni per le gare e versatilità per le uscite di tutti i giorni. Sono queste le peculiarità della gamma Caledonia di Cervélo. I modelli della casa canadese si dividono in due segmenti con diversi allestimenti, Caledonia e Caledonia-5.

La prima è stata studiata per fornire al ciclista massimo comfort e adattabilità negli allenamenti, ad un prezzo competitivo. La seconda è la bici scelta dal team WorldTour, Jumbo Visma, per la Parigi-Roubaix. Questa infatti è la top di gamma progettata per assorbire le sconnessioni ed essere confortevole nei percorsi più stressanti.

Velocità, leggerezza e affidabilità sono i tre asset su cui i progettisti si sono concentrati per spremere al massimo le geometrie e l’indole di questi gioielli firmati Cervélo

Qui in colorazione Oasis che valorizza le linee pulite e sottili di questo allestimento
Qui in colorazione Oasis che valorizza le linee pulite e sottili di questo allestimento

Caledonia

E’ stata concepita per gestire lunghe distanze, ritmo elevato e regalare il massimo divertimento. La Caledonia dispone di manubrio, attacco e reggisella standard per offrire ai ciclisti la possibilità di personalizzare la propria uscita senza compromessi. Questo anche grazie all’utilizzo di carbonio a basso modulo nelle aree chiave per mitigare la fragilità della fibra hi-mod. 

La linea è filante e adatta per estrarre tutta l’energia dalla geometria durante gli allenamenti di tutti i giorni. L’estetica è pulita nonostante la predisposizione a molti accessori utili per l’utilizzo intensivo. 

La Caledonia rappresenta uno dei modelli più versatili della marca canadese
La Caledonia rappresenta uno dei modelli più versatili della marca canadese

Indole versatile

I supporti per gli accessori integrati ed i supporti per parafanghi nascosti mantengono l’integrità del modello Cervélo. Infatti la Caledonia ha una vasta compatibilità con componenti che ne migliorano l’utilizzo in condizioni estreme e stressanti. Un’altra caratteristica che ne favorisce l’adattamento è la predisposizione agli pneumatici da 34mm, per essere pronti ad aggredire ogni tipo di terreno

Gli allestimenti vengono racchiusi in quattro versioni selezionabili in due colori: Gloss black e Oasis. I prezzi partono da 3.699 euro con Shimano 105, 4299 euro con Ultegra, 4.899 euro con Sram Rival eTap Axs, fino ai 5.799 euro con Shimano Ultegra DI2. 

In versione Five black, l’estetica è leggera con un aerodinamica efficace
In versione Five black, l’estetica è leggera con un aerodinamica efficace

Caledonia-5

Cervélo ha progettato questa Caledonia-5 insieme agli atleti World Tour per soddisfare l’esigenza di creare una bicicletta in grado di affrontare le strade più impegnative, come quelle delle campagne del Nord. Non a caso questo modello è stato scelto da Wout Van Aert e dalla Jumbo Visma per la Parigi-Roubaix 2022. 

La Claedonia-5 offre una maneggevolezza sopra gli standard e un’assorbimento delle sconnessioni d’ispirazione gravel. Il tutto senza rinunciare alla linea con richiami aerodinamici nei profili in carbonio. I punti dov’è possibile carpirne la sua natura sono nel carro allungato, il movimento centrale con una posizione ribassata e la predisposizione ad una sezione più ampia per gli pneumatici. 

Senza limiti

Il telaio, la forcella, il manubrio e i componenti associati Cervélo sono progettati per nascondere le linee di controllo del freno e del cambio (meccanico, elettrico e idraulico) dal vento per una migliore aerodinamica, senza sacrificare l’usabilità o le prestazioni. L’attacco del deragliatore anteriore imbullonato è realizzato in lega di alluminio ad alta resistenza e si fissa al telaio con due viti a testa svasata. Ciò consente una facile sostituzione in caso di danni, ma anche una rapida esclusione in caso di montaggio di una guarnitura 1x.

Le versioni della Caledonia-5 sono quattro, disponibili in due colorazioni: Five black e Oasis. Nell’allestimento con Sram Rival eTap Axs il prezzo è di 5599 euro, con Ultegra DI2 il prezzo è di 7699 euro, con Sram Force eTap Axs il prezzo è di 7899 euro, infine il top di gamma con Sram eTap Axs a 11399 euro.

Cervélo

FocusItalia