Vingegaard getta la maschera: sui Pirenei sarà caccia a Pogacar

12.07.2024
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PAU (Francia) – Nell’immensa bolgia che ha accolto il gruppo a Pau, a un certo punto non s’è capito più niente. Eravamo al pullman del UAE Team Emirates a parlare con Ayuso, ritirato per il covid, quando s’è sparsa la voce che Pogacar fosse caduto prima della volata. Il tempo di capire che non fosse vero e ci siamo trovati davanti alla maglia gialla che invece lo sprint addirittura l’ha fatto. Certo alla larga dallo sgomitare dei velocisti, ma pur sempre una volata di gruppo. Già è abbastanza strano – ma emozionante – che corra in attacco infischiandosene delle astuzie e le cautele del leader, ma addirittura fare la volata di gruppo?

Domani Pla d’Adet, ma prima ancora il Tourmalet e Horquette d’Ancizan accenderanno il fuoco sotto il pentolone del Tour. Finora se le sono date, ma senza mai affondare il colpo. Domani potrebbe essere l’inizio di un nuovo viaggio. Oggi per qualche chilometro, Adam Yates li ha fatti tremare. La sua presenza nella fuga poteva significare ritrovarselo nuovamente in classifica. Per questo la Visma-Lease a Bike si è impegnata per chiudere.

Sprinter Pogacar

Eppure Pogacar se la ride. Sta facendo esattamente come negli ultimi due anni: fuochi d’artificio per tutti, ogni giorno, alla prima occasione. E domani che cominciano i Pirenei, Tadej si ritroverà senza Ayuso e con Vingegaard che vuole davvero capire a che punto si trovi.

«Il finale non era stressante – spiega la maglia gialla – ero nella mia zona sicura, la mia bolla ed ho evitato tutte le situazioni più frenetiche con la mente lucida. Alla fine però ho visto la possibilità di fare un piazzamento nei dieci e ho fatto la volata. Tranquilli ragazzi, non preoccupatevi. Semmai è più preoccupante l’abbandono di Ayuso, ma credo che abbiamo ugualmente una squadra fortissima. Soler e Politt stanno facendo un lavoro incredibile. Yates e Almeida in montagna sono due sicurezze. Sono tutti in forma per il lavoro che ci attende da domani. Sono le prime salite vere, finora non ce ne sono state, tranne forse nel giorno del Galibier. Considerata la situazione della classifica generale, ora possiamo correre un po’ sulla difensiva. Vorrei vincere la tappa, ma non spenderò troppe energie per quello».

Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme
Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme

Cecchino Vingegaard

Tanto è spavaldo Pogacar, per quanto è cauto e cinico Vingegaard. Il danese non ha l’appeal, il ciuffo e i modi telegenici dell’attuale maglia gialla, ma è un grande professionista. Cento giorni fa era messo davvero male, ora è qui con la sensazione che potrebbe nuovamente giocarsi il Tour. Pogacar l’ha capito e questa consapevolezza secondo noi ha reso meno rilassanti i suoi giorni. Forse il tanto sbandierare la serenità è la prima spia di qualche preoccupazione sorta nel frattempo?

«Entriamo in un terreno che mi si addice un po’ di più – dice Vingegaard – aspettiamo con ansia i prossimi giorni. Mi sento molto bene, oggi per noi è stata una bella giornata. Siamo arrivati tutti insieme, non abbiamo perso tempo con nessuno e adesso speriamo di poter recuperare bene fino a domani. Yates in fuga non era la situazione ottimale, non volevamo lasciarlo rientrare nella classifica generale, per questo abbiamo preferito riprenderlo. Da questo punto di vista è stata una giornata dura. Abbiamo provato anche a spaccare il gruppo con i ventagli, ma alla fine i principali avversari erano ancora lì e non avrebbe avuto molto senso continuare a spingere e suicidarsi.

«Da domani però non ci sarà spazio per nascondersi, ma vedremo come verrà gestita la tappa. Dovremo solo aspettare e vedere. Non ho intenzione di dire cosa faremo domani, ma abbiamo le nostre idee. E’ il fine settimana che mi si addice meglio, per cui spero in una corsa dura. Potrei anche attaccare. Finora abbiamo ragionato sul presente, anche perché non stavo benissimo: da domani inizieremo a lavorare per il futuro».

Nostalgia di Parigi

Philipsen della presenza di Pogacar in volata dice di non essersi accorto. Non che sarebbe cambiato qualcosa. Il belga, già primo a Saint Amand Montrond, ha fatto la sua traiettoria creativa, spostandosi dal centro sulla destra e resistendo poi alla rimonta di Van Aert. Al momento del cambio di linea, Wout non ha potuto fare altro che prendergli la ruota. Sarà perché convive male con il soprannome “Disaster”, quando gli chiedono che cosa pensi delle lamentele di qualche avversario, Jasper si indurisce e taglia corto. Hai qualche commento?

«No comment. Non mi piace questa domanda». Le domande dirette si possono fare, poi tutti pronti a ricevere risposte come questa. Il belga va avanti nel discorso dicendo che solo a fine Tour faranno un’analisi per capire che cosa non abbia funzionato nella prima settimana, ma che due vittorie non sono così male. Non vuole parlare di forma che non c’era e tantomeno di sfortuna, per paura che ne chiami altra. Poi con quel ghigno furbetto da velocista spiega che è impossibile prendere nuovamente la maglia verde. E che da velocista trova singolare che il Tour non finisca a Parigi.

«E’ davvero strano – sorride (penserà già al ritiro dopo la tappa di Nimes?) – manca lo zuccherino in fondo. Non è la sensazione più bella, ma è così e non possiamo cambiarlo. In pratica sappiamo che dopo la tappa 16 ne avremo altre cinque in cui soffriremo per arrivare in fondo. Dovremo restare forti, questo è il Tour del 2024».

Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa
Wout Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa

Van Aert diviso a metà

Chi si va mangiando le mani è Wout Van Aert, anche oggi secondo, come se gli mancasse la forza necessaria per volgere la volata a suo favore. Sempre alla ricasca degli altri, scegliendo traiettorie non sempre ideali.

«C’erano vibrazioni da vere classiche oggi – dice – un po’ di vento, terreno collinare e tappa a tutto gas dal colpo di pistola. Mi è davvero piaciuta, per questo è un peccato che non riesca ancora a vincere. Il gruppo era piccolo, tanti pensavano di potercela fare. Ho sbagliato ritrovandomi in testa troppo presto, per il vento che c’era. Quando è così, a volte sei troppo lontano e a volte troppo davanti. Ho dovuto aspettare un po’ ai 350 metri dall’arrivo, perché sarebbe stato troppo presto. Forse se fossi partito ai 200, avrei vinto, ma non dirò mai che non sono soddisfatto del lavoro di Laporte per me. Domani inizia di nuovo un’altra gara e daremo pieno supporto a Jonas. Spero di svolgere il mio compito, ma a questo punto spero anche di vincere una tappa. Nella seconda settimana mi sto sentendo bene, il grande risultato è nelle gambe, ma devo dimostrarlo anche sulla bici».

Philipsen di rabbia. Il belga si sblocca e attacca la verde

09.07.2024
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«Sapevamo di non essere partiti al massimo della forma, ma stiamo tutti crescendo e ci sono ancora belle tappe da vincere», Jasper Philipsen, re dell’ultima Sanremo, di fatto continua il suo urlo anche dopo l’arrivo. In quel suo sprint c’erano rabbia e frustrazione. E chiaramente tanti watt.

Chi avrebbe mai detto, prima di questo Tour de France, che all’inizio della decima tappa il tabellino del corridore della Alpecin-Deceuninck  sarebbe stato ancora a zero dopo il predominio assoluto dell’anno scorso?

Tappa piatta in ogni senso, che ha vissuto in attesa dello sprint e di un maltempo finale che non c’è stato

Piattone francese

La Orléans-Saint Amand Montrond non prevede Gpm e come già accaduto in molte altre frazioni di questa Grande Boucle si è corso “da Giro d’Italia”, con la bagarre che è esplosa solo nel finale. Anche qui al Tour dunque non si fa più la fuga per far vedere la maglia, quando prima la si cercava a tutti i costi? C’è molto meno nervosismo del solito in gruppo, tanto è vero che i ritiri sono stati pochissimi sin qui, appena quattro.

Ma torniamo a Philipsen. Ieri aveva cercato di recuperare il più possibile. La sgambata con i compagni, gli autografi ai fan… ma mancava qualcosa. Secondo posto al campionato nazionale e ancora due piazze d’onore in questo Tour, più una squalifica, altrimenti sarebbero stati tre.

«Tutto sembrava andare contro di me nella prima settimana – ha detto Jasper ai media belgi – posso dirvi che non sono rimasto positivo per tutto il tempo, c’è stata delusione. Ho cercato solo di rimanere concentrato, di mantenere la calma e fare quello che dovevo. Non penso di essere meno forte dell’anno scorso. A volte è solo questione di opportunità».

E questa tappa senza Gpm era l’opportunità perfetta. E lo era anche perché una fuga, che tra l’altro ricordiamo neanche c’è stata, non avrebbe fatto paura. Si sarebbe potuti correre tranquilli, risparmiando energie… Energie quanto mai preziose quando si è in certe condizioni di tensione.

Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti
Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti

Jasper di rabbia

Neanche il maltempo o il vento, tanto attesi, ci mettono lo zampino. E il duo delle meraviglie può scatenarsi. Sembra di tornare indietro di un anno. Ai 700 metri si mette in moto il “TVP”, Treno Van der Poel”.  Mathieu schiaccia l’acceleratore. Il gruppo si allunga e Philipsen lo segue ad un centimetro (anche questa è una dote a certe velocità).

L’iridato si sposta. Come un gatto Jasper si alza sui pedali e scarica a terra tutta la sua potenza. Il tempismo e l’aerodinamica di questo momento sono perfetti. Un gesto eseguito così bene che alle sue spalle si apre immediatamente un varco. Girmay deve così lottare improvvisamente con più aria: passa dalla terza alla seconda ruota e con Philipsen già sui pedali incassa mezzo metro di distacco. In un attimo si ritrova con un buco di una bici.

«Ho già detto più volte che l’anno scorso quasi ogni sprint è stato un successo – ha ribadito Van der Poel dopo l’arrivo – tutto andava perfettamente, ma non è sempre così. Oggi eravamo tutti estremamente motivati. Ci sono poche opportunità per noi come squadra. E sono felice che ora siamo sulla buona strada. Dubbi su Philipsen? Mai avuti e neanche lui dovrebbe averne».

E dopo l’urlo la liberazione di Philipsen: «Sono molto felice per la squadra che ha continuato a crederci e ha ottenuto una meritata vittoria. Non era facile dopo cinque sprint non vinti».

L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen
L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen

Maglia verde

Questa vittoria di Philipsen riapre i giochi per la maglia verde. E lo fa non tanto per i 20 punti rosicchiati all’eritreo, ma per quel click che è avvenuto nella testa dello sprinter numero uno al mondo.

«Ci sono ancora diverse occasioni per noi velocisti e tanti punti in palio – ha detto Philipsen – Biniam ha tanti punti di vantaggio ma con la squadra in crescita ci proveremo. Oggi i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Jonas Rickaert ha iniziato bene, Robbe Ghys e Mathieu Van der Poel mi hanno poi portato in posizione perfetta sul rettilineo finale».

Tuttavia non sarà facile battere Girmay. Anche oggi ha fatto secondo, è in una fase di sicurezza importante e lo testimonia la sua costanza di rendimento e il fatto che a Troyes sia arrivato con i big.

La lotta per la maglia verde pertanto è più accesa e intensa che mai e sembra un discorso a due. Anche se, visto il percorso del Tour, Girmay ci sembra leggermente favorito. In salita tiene meglio di Jasper. Ma adesso Philipsen è in fiducia.

L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello
L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello

Big o fuga?

Infine uno sguardo a domani. Tappa ideale per le imboscate da fuga ma anche per la classifica. Il Massiccio Centrale è una trappola continua.

Probabilmente i big torneranno alla ribalta verso Le Lioran. Se oggi è stata calma piatta è auspicabile che domani se le daranno di santa ragione, tanto più visto il dislivello complessivo che li attende: oltre 4.000 metri.

Le parole forti delle conferenze stampa del giorno di riposo sembrano un lontano ricordo. Forse proprio perché già si pensava a domani. Gli ultimi 35 chilometri in particolare sono senza respiro. C’è anche un abbuono in palio sul penultimo Gpm (Col de Pertus) e il Col de Font Cère è a soli tremila metri dall’arrivo.

Sbaragli, l’obiettivo tricolore e le sfide fra Philipsen e Merlier

22.06.2024
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Storie di campionati nazionali e strani incroci. Domani sul traguardo di Sesto Fiorentino conosceremo il successore di Velasco, mentre in Belgio sarà Zottegem a salutare l’erede di Evenepoel. Storie di campionati nazionali e strani incroci. Lo scorso anno sul traguardo di Comano Terme, proprio alle spalle di Velasco e Lorenzo Rota, Kristian Sbaragli ottenne il miglior risultato degli ultimi mesi: terzo. Poi partecipò al mondiale di Glasgow e dopo quattro anni di onorato servizio scoprì di doversi trovare una squadra. La Alpecin-Deceuninck non lo avrebbe tenuto e approdò così al Team Corratec: il campionato italiano di domani potrebbe essere il modo di affacciarsi su un palcoscenico più prestigioso.

Contemporaneamente in Belgio due suoi ex compagni di squadra della Alpecin si troveranno contrapposti dopo una settimana di schiaffoni dati e presi al Baloise Belgium Tour. Merlier e Philipsen, due tappe per il primo e una per il secondo, a tenere viva una rivalità iniziata quando già condividevano maglia e datore di lavoro. Chi meglio di Sbaragli può farci da guida in questo intreccio di storie e nomi? Caso curioso per un tricolore che si assegnerà sulle strade toscane, il favorito numero uno sarà uno dei suoi migliori amici – Alberto Bettiol – con cui ha diviso a lungo allenamenti e sogni (i due sono insieme nella foto di apertura alla Grosser Preis des Kantons Aargau, vinta il 7 giugno da Van Gils con Bettiol al secondo posto).

Kristian è rientrato da poco dall’allenamento, domani (oggi, per chi legge) farà appena una sgambata e poi aspetterà la corsa. Sulla Toscana, come già a Grosseto per le crono, grava un cielo grigio e pesante che sa di caldo, anche se le previsioni per domenica danno anche la possibilità che piova.

Il podio al tricolore del 2023 fu per Sbaragli il lancio verso la convocazione per i mondiali di Glasgow
Il podio al tricolore del 2023 fu per Sbaragli il lancio verso la convocazione per i mondiali di Glasgow
Come arrivi al campionato italiano?

In modo un po’ diverso, perché non avendo fatto il Giro, magari c’è un po’ di base in meno. Però ho fatto diverse corse, come periodo in generale ho lavorato abbastanza bene per arrivare competitivo al campionato italiano, che è un obiettivo importante della stagione.

Il fatto di conoscere le strade e che si corra vicino casa dà qualche vantaggio?

Alla fine realmente cambia poco. Penso che le strade le avranno viste tutti: quelli che hanno già corso la Per Sempre Alfredo conoscono la salita e la discesa. Faremo cinque giri del circuito, avranno tempo di prendergli le misure, non è una gara in linea in cui ti puoi inventare qualcosa. Naturalmente però correre vicino a casa è uno stimolo in più, è il primo campionato italiano che mi capita di fare in Toscana.

Fare bene l’italiano può essere il modo di dare una svolta e un rilancio alla carriera?

Sicuramente. Penso che oggettivamente ci sono tanti corridori che stanno andando forte, che magari alla partenza sono più favoriti di noi. Però faremo il massimo e l’obiettivo è sempre uno: è un obiettivo importante.

Nel 2023 Sbaragli ha corso il mondiale di Glasgow: è andato in fuga e alla fine ha chiuso al 34° posto
Nel 2023 Sbaragli ha corso il mondiale di Glasgow: è andato in fuga e alla fine ha chiuso al 34° posto
La cosa singolare è che uno dei favoriti potrebbe essere il tuo “amicone” Bettiol…

Alla fine, se si vanno a vedere i risultati e la condizione attuale dei corridori, penso che Alberto sulla carta sia il favorito numero uno. Farà una bella corsa, per cui domenica sera si tirerà una riga e vedremo come è andata.

Negli anni scorsi facevi classiche, Giro oppure Tour: cosa ti pare di questa stagione lontano dalle luci della ribalta?

E’ un po’ diverso. E’ un ambiente più tranquillo, c’è meno stress dal punto di vista del risultato in sé per sé. Come in tutte le cose, ci sono lati positivi e lati leggermente più negativi. Non essere invitati al Giro d’Italia è stata una delusione che ha cambiato i piani nella prima parte di stagione. Mi sono trovato a fare delle gare che non conoscevo, però a livello di performance sono abbastanza soddisfatto, anche se a livello di risultati non abbiamo raccolto tanto. Però c’è ancora una bella fetta di stagione, quindi penso che ci sia la possibilità di rifarsi.

Invece cosa puoi dire dei tuoi ex colleghi: andavano d’accordo quando correvano insieme?

Diciamo che la rivalità interna c’è stata al Tour del 2021. Eravamo lì con una squadra per le volate, anche se poi abbiamo tenuto la maglia gialla per la prima settimana con Mathieu. Mi pare che la prima volata la vinse Merlier e Philipsen fece secondo. Jasper ha sei anni di meno e doveva ancora diventare quello che è oggi. Per noi il velocista di riferimento era Tim e quindi oggettivamente c’era un po’ di sana rivalità.

Philipsen faceva l’ultimo uomo di Merler?

Era un vincente, forse quel ruolo gli stava stretto. Quando Tim vinse la prima volata, i ruoli rimasero quelli, fino a che Merlier finì fuori tempo massimo e dovette tornare a casa. Per cui nella seconda parte del Tour fu Philipsen a fare le volate. Fece un paio di podi (arrivò due volte terzo e poi secondo a Parigi dietro Van Aert, ndr) e non riuscì a vincere, infatti mi ricordo era un po’ deluso. Invece nel 2022 si è rifatto bene e l’anno scorso ancora di più.

Quindi era prevedibile che nel 2023 Merlier andasse via?

Sì, oggettivamente, anche vista dall’interno, era un po’ prevedibile. In tutti i team, è molto difficile tenere due corridori con le stesse caratteristiche. Magari se c’è uno scalatore o un velocista, anche se non hai un budget altissimo, si trova spesso la possibilità di tenerli. Invece due corridori con le stesse caratteristiche sono proprio un problema. Anche se non fosse un fatto economico, potrebbe diventare un problema di calendari, perché alla fine noi eravamo una squadra basata sulle gare d’un giorno e sulle tappe. Non avevamo corridori da classifica, quindi alla fine le occasioni sono quelle. E se hai due leader, è difficile che la convivenza sia possibile. Per cui alla fine fu presa una decisione.

Al Giro del Belgio se le sono suonate di santa ragione, secondo te fra loro c’è una sana rivalità o un po’ di veleno?

Non credo ci sia veleno, penso più a una bella rivalità. Anche perché soprattutto Tim è una persona veramente tranquilla, pacifica. E’ difficile discuterci, è veramente super rilassato e comunque anche al Giro d’Italia ha dimostrato di essere competitivo e sono contento anche per lui. Si portava dietro la fama di quello che non riusciva a finire i Grandi Giri, invece quest’anno ha vinto bene all’inizio e ha vinto bene anche la tappa di Roma. Penso che per lui sia stata una vera soddisfazione.

Può aver inciso nella scelta il fatto che Philipsen sia così amico di Van der Poel?

Quelle sono cose un po’ più personali. Credo che le scelte vengano fatte al 99 per cento sull’aspetto tecnico e poi sul resto. Quindi immagino sia stato solo valutato quello che Jasper poteva portare di più alla squadra e con il senno di poi, penso che ci abbiano guadagnato entrambi. Quindi alla fine, tutti contenti…

Per il giorno di vigilia (oggi) sgambatina oppure riposo?

Sgambatina. Un’oretta e mezza, due al massimo. Tranquillo. E’ il giorno prima della gara, per fare fatica ci sarà tempo domenica.

VdP è il capitano, ma alla Alpecin la legge è uguale per tutti

11.04.2024
7 min
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La Parigi-Roubaix ha consegnato alle cronache una Alpecin-Deceuninck schiacciasassi, anche più potente della Visma-Lease a Bike. Succede, quando si ha un leader forte come Van der Poel, che anche i gregari meno quotati si ritrovino con le energie raddoppiate e spesso facciano degli autentici capolavori. Se così è stato nelle classiche in presenza del… capo, non si può dire che la squadra si sia tirata indietro nelle altre corse, vincendo una tappa al Catalunya e una al Giro dei Paesi Baschi. Ad oggi il team dei fratelli Roodhooft è arrivato a dieci successi stagionali, tre dei quali nelle tre Monumento finora disputate: Sanremo, Fiandre e Roubaix. La sensazione che si abbiano occhi soltanto per Van der Poel e Philipsen insomma parrebbe sfatata dalla prova dei fatti.

Alla Roubaix, Vermeersch ha fatto gli straordinari per la Alpecin-Deceuninck, arrivando poi al sesto posto
Alla Roubaix, Vermeersch ha fatto gli straordinari, arrivando poi al sesto posto

La Alpecin di Conci

Nella squadra corrono due italiani, contro i quattro delle ultime stagioni. Uno è Luca Vergallito, approdato nel WorldTour dopo la challenge di Zwift e un anno nel devo team. L’altro, che ha seguito un iter più classico, è Nicola Conci, arrivato nel 2022 dopo la chiusura della Gazprom e in precedenza corridore della Trek-Segafredo. Il trentino ha corso ai Paesi Baschi e ora fa rotta sul Giro. Gli abbiamo chiesto di sé e del suo team, per capire se esista una suddivisione interna a favore dei big o se alla fine abbiano tutti le stesse possibilità. Lo sentiamo dopo la prima tappa del Giro d’Abruzzo che ha seguito da casa e l’esordio strappa il sorriso.

«Lo farei volentieri anche io l’Abruzzo – dice – perché non è che finora abbia corso tanto. Da quando la squadra è diventata World Tour, deve fare le corse che magari prima avrebbe saltato e di conseguenza si vede costretta a cancellarne altre a cui magari avrei potuto partecipare. Ad esempio io ho fatto il Giro dei Paesi Baschi e altri il Catalunya. E’ andata bene perché abbiamo vinto una tappa in entrambe, però dubito che nel 2022 le avremmo fatte. Quell’anno feci la Arctic Race e il Giro di Slovenia, mentre adesso siamo costretti, tra virgolette, a fare le prove WorldTour. A questo aggiungiamo che è saltata la Ruta del Sol a inizio anno e di conseguenza ho solo fatto Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Paesi Baschi».

Anche ai Paesi Baschi, con VdP impegnato sul pavé, la Alpecin ha vinto con Hermans
Anche ai Paesi Baschi, con VdP impegnato sul pavé, la Alpecin ha vinto con Hermans
Sei rimasto coinvolto anche tu nella caduta?

Quella famosa l’ho schivata, ma ero caduto il giorno prima, nella tappa che ha vinto il mio compagno Quinten Hermas. A un chilometro dall’arrivo mi è caduto davanti un altro corridore e non c’è stato modo che potessi evitarlo. Diciamo che nel male mi è anche andata bene, devo dire, perché mi sono fatto qualche escoriazione e poi all’inizio avevo un fortissimo dolore al coccige. Questo però è tutto passato, quel che invece resta è un male al torace. Con la botta deve essersi formato un ematoma interno oppure con il dottore si diceva che potrebbe esserci un piccolo danneggiamento nella zona della cartilagine, quindi nella parte finale delle costole. Mi fa abbastanza male quando respiro e soprattutto quando vado in bici.

Anche ora in allenamento?

Nelle tappe successive lo sentivo, poi ho recuperato per due giorni dopo la corsa e stavo bene. Invece martedì, che era il terzo giorno, ho fatto tre ore e ho sentito di nuovo quel fastidio. Si vede che quando respiro, il diaframma va a toccare quella zona. Ci vorrà ancora tempo, ma non c’è niente di rotto e questo è l’importante.

Adesso tutta l’attenzione è puntata sul Giro?

In realtà avevo chiesto con insistenza di fare le Ardenne. Primo perché penso che siano delle belle gare per me, secondo perché non avendo fatto la Ruta del Sol, i giorni di corsa in questa prima parte di 2024 sono veramente pochi. All’inizio sembrava che fosse possibile, invece alla fine mi hanno detto di andare in altura e concentrarmi sul Giro. C’era un programma già fatto e si è deciso di restare fedeli a quello. Al Giro si va per provare una tappa con un velocista come Kaden Groves e con Quinten Hermans che quest’anno sembra aver ritrovato buone sensazioni. Ovviamente parlo di loro, ma anch’io proverò a entrare nella fuga giusta, mentre non ho in testa di fare classifica. Il fatto che quest’anno Pogacar abbia deciso di fare il Giro è un’arma a doppio taglio. Tadej potrebbe voler fare il cannibale oppure chiudere la corsa alla fine della prima settimana e da lì in poi ci sarebbe più libertà per tutti gli altri.

Conci arriverà al Giro con 16 giorni di gara: qui alla Tirreno-Adriatico con Van den Bossche
Conci arriverà al Giro con 16 giorni di gara: qui alla Tirreno-Adriatico con Van den Bossche
Hai parlato di Pogacar, tu corri con Van der Poel: come si convive con simili fenomeni?

Ormai tutti si sono resi conto che questi cinque, sei corridori abbiano capacità ben oltre la normalità. Di conseguenza quando ci sono loro, le corse sono già indirizzate. Se ce l’hai in squadra, sei contento perché sai che lavori, ma c’è grande possibilità di portare a casa il massimo risultato. Quando invece ce l’hai contro, non è che ci siano grandi cose da fare. Per il Giro, la fuga sarà il solo modo di portare a casa una tappa.

Quando ce l’hai in squadra sei contento, va bene, ma si percepisce una differenza nel trattamento che ricevete rispetto a lui?

No, direi che da quel punto di vista sono bravi. Mi sembra che il metodo di lavoro sia molto standardizzato, anche se sostanzialmente Mathieu è la squadra. Non so esattamente come funzioni, però bene o male lui è cresciuto insieme alla Alpecin e fa parte della sua storia. Non voglio dire che sia sullo stesso piano dei fratelli Roodhooft, ma se pensiamo a cosa fosse prima la Alpecin e il modo in cui sono cresciuti, il merito è soprattutto di Mathieu. Nonostante ciò, sono molto metodici: hanno i loro schemi e tutte le programmazioni e non lo ho mai visti cambiare solo perché ci sono Philipsen o Van der Poel.

A proposito di Philipsen, credi che rimarrà o andrà via?

Il presupposto è che non so assolutamente nulla, meno di zero: non ho sentito neanche delle voci. Per come la vedo io, Jasper è uno dei corridori più forti al mondo e sa di andare fortissimo e di poter puntare al massimo risultato in qualsiasi corsa che sia adatta alle sue caratteristiche. Dall’altra penso che ormai si sia visto che i suoi obiettivi cominciano col sovrapporsi a quelli di Mathieu. Ho seguito la Sanremo dalla TV e si è visto che Mathieu si è sacrificato ben volentieri, ma penso che avrebbe voluto fare anche lui la volata. Quindi sinceramente non saprei dire quale sarà la scelta di Jasper, ma so che la sua miglior versione finora si è vista qui alla Alpecin. Per cui da una parte non vedo perché dovrebbe voler andare via, dall’altra ci saranno da capire i loro obiettivi.

Il legame che unisce i fratelli Roodhooft, titolari della Alpecin, a Van der Poel è qualcosa di raro nel ciclismo contemporaneo
Il legame che unisce i fratelli Roodhooft a Van der Poel è qualcosa di raro nel ciclismo contemporaneo
Pensi che se avessero corso in due squadre diverse, alla Roubaix le cose avrebbero avuto un altro sviluppo?

Non so se Jasper avrebbe potuto battere Mathieu, perché comunque sono un po’ diversi. Magari sarebbe arrivato ugualmente secondo o magari ci è riuscito approfittando del fatto di avere davanti il compagno, correndo così sempre a ruota. Difficile da dire…

Prima del Giro su quale altura andrai?

Sull’Etna. E poi, visto che non correrò fino al Giro, potrei fare anche un salto a Livigno. Conosco le tappe del Giro da quelle parti, anche se viste le salite, sono strade che vorresti non conoscere (ride, ndr). Deciderò in base al meteo.

Arriverai al Giro con 16 giorni di corsa: magari sarai più fresco…

Un po’ mi brucerà guardare le Ardenne in tivù, perché le avrei fatte volentieri. D’altra parte andare al Giro d’Italia avendo corso così poco mi permetterà certamente di essere freschissimo mentalmente. E magari quando arriveremo alla decima tappa, questo potrò essere un vantaggio. Magari all’inizio sarò indietro rispetto a chi ha corso di più, ma poi l’equilibrio potrebbe invertirsi. Avrei voluto provare questa soluzione già l’anno scorso ed ero convinto che sarei andato in crescita, purtroppo però mi sono fermato per il Covid. La speranza è quella di fare un Giro di crescita, vediamo se ne sarò capace.

Carera e il contratto di Philipsen: si decide dopo Roubaix

23.03.2024
6 min
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La notizia che Jasper Philipsen, il vincitore della Sanremo e prima ancora della maglia verde e di quattro tappe del Tour, volesse rinnovare il contratto per guadagnare di più ma non avesse un agente, ha colto tutti di sorpresa. E’ davvero possibile che professionisti di quel livello si gestiscano da soli? Evidentemente era così, ma alla fine Philipsen si è accasato con Alex Carera, cui ci siamo rivolti anche noi per capire quali siano stati i passi che hanno portato all’accordo e quelli sino alla firma del nuovo contratto.

«Philipsen ha avuto un agente nei primi due anni da professionista – spiega Carera – quando era in UAE Emirates. Invece negli ultimi due, tre anni ha fatto senza. Non è frequente che i corridori WorldTour siano… scoperti, il suo è un caso raro. Lui di fatto ha firmato il primo contratto con la Alpecin-Deceuninck e poi è rimasto sempre quello. E anche questo è raro…».

Alex Carera e l’agenzia fondata con suo fratello Johnny hanno rappresentato Nibali per tutta la carriera (foto Instagram)
Alex Carera e l’agenzia fondata con suo fratello Johnny hanno rappresentato Nibali per tutta la carriera (foto Instagram)
Come è avvenuto il contatto?

Sapevo che fosse senza agente, però mi ha sorpreso che mi abbia chiamato. Anche perché pensavo che dopo la maglia verde, avesse già rinnovato con la Alpecin.

Jasper sembra un buon amico di Pogacar, quanto sono importanti queste relazioni nello scegliere lo stesso agente?

La verità è che ci ho parlato un po’ a Singapore. Lo avevo già cercato due anni fa ed era venuto anche al nostro party, ma aveva ancora due anni di contratto e così avevo fatto un passo indietro, pur rimanendo in buone relazioni. A Singapore, siamo stati cinque o sei giorni insieme e probabilmente ha visto come mi relazionavo non solo con Tadej, ma anche con Ciccone, Formolo e Vacek, che erano lì con me. E nel momento in cui ha sentito l’esigenza di prendere un agente, probabilmente il primo nome che gli è venuto in mente è stato il mio.

Come ti ha contattato?

Mi ha chiamato. Ricordo che erano le quattro del pomeriggio di un giovedì. Così gli ho detto che avremmo potuto parlarne, però non al telefono perché non mi sembrava corretto. Lui mi ha risposto che il lunedì sarebbe ripartito per il training camp in Spagna e gli ho detto che non c’era problema: «Domani alle tre sono a casa tua!». E alle tre del giorno dopo, insieme al rappresentante di A&J in Belgio, che è un avvocato, ci siamo presentati a casa sua.

L’incontro fra Carera e Philipsen si è svolto a novembre al Criterium di Singapore (foto Thomas Maheux)
L’incontro fra Carera e Philipsen si è svolto a novembre al Criterium di Singapore (foto Thomas Maheux)
Che cosa vi ha chiesto?

Mi ha chiesto quale fosse secondo me il suo valore di mercato. E gli ho risposto che il valore di mercato non lo decide Alex Carera, non lo decide Jasper Philipsen e neanche Philip Roodhooft (il team manager della Alpecin-Deceuninck, ndr). Il valore di mercato lo stabilisce il mercato stesso. Quindi in base alle proposte che avremmo ricevuto successivamente, si poteva fare una stima del valore. Non sono soltanto i risultati, ci sono tanti componenti oggi che determinano il valore di un ciclista. Direi che ci siamo trovati in sintonia. Come con tutti gli altri nostri corridori, ci sentiamo regolarmente ogni due-tre giorni. Se non direttamente con me, con qualcun altro dell’agenzia o del suo staff. Poi è ovvio che in questa fase, dovendo firmare e decidere un contratto così importante e di una durata così lunga, è normale che magari ci si senta anche più volte al giorno, ma per il resto ci sono periodi in cui si sente anche meno.

Philipsen ha vinto la Sanremo e De Panne, potrebbe vincere altre classiche: vi siete dati un termine entro cui decidere?

Ci siamo detti che decideremo il nuovo contratto, che sicuramente avrà la durata di quattro anni, appena dopo la campagna del Nord, la settimana successiva alla Parigi-Roubaix. Lo abbiamo deciso prima di iniziare a lavorare insieme ed è confermato, ovviamente.

Vinta la Sanremo, Philipsen si è ripetuto quasi subito a De Panne, battendo Merlier
Vinta la Sanremo, Philipsen si è ripetuto quasi subito a De Panne, battendo Merlier
Che cosa cerca Philipsen in un nuovo contratto: soldi, ambiente, quali sono i punti su cui si ragiona?

L’aspetto economico non è il punto fondamentale, perché tra le varie proposte ci sono valori molto simili. Può variare un 10-15 per cento, ma con questi importi, fra avere tot milioni in banca o tot milioni più uno, non cambia poi molto. Cambiano però la prospettiva dell’ambiente e la possibilità, ad esempio, di correre e puntare alle tappe del Tour de France nel prossimo futuro. Cambia il leadout. Cambiano il programma e la relazione con i coach. E poi vanno valutate alcune situazioni, come la possibilità di fare dei contratti personali. Quando oggi fai un contratto con un atleta di questo livello, devi analizzare tantissimi punti. Non è che chiedi quanto mi dai e per quanto tempo e basta così. Ci sono tanti aspetti da vagliare, altrimenti tutti potrebbero essere agenti di alto livello.

Ha espresso il desiderio di rimanere alla Alpecin?

Mi ha confermato che si trova molto bene sia con la squadra, sia con Christoph Roodhooft, sia con Van der Poel. Lo ha detto prima della Sanremo e lo penserà anche dopo la Roubaix. E’ vero che sono arrivate delle proposte di grandi team che sono interessati, stiamo vagliando una serie di situazioni, però siamo assolutamente in contatto. Ho visto Philip Roodhooft, il manager della Alpecin, la sera prima della Sanremo, ero a cena con lui.

Secondo te, quando Roodhooft ha sentito che avresti rappresentato tu Philipsen, si è messo le mani nei capelli perché avrebbe preferito trattare con il corridore?

Secondo me è un bene per lui, perché riesce a scindere la parte sportiva dalla parte contrattuale. Quindi riescono a gestire in maniera più professionale il rapporto. Visto che sono due fratelli, Christoph può parlare tranquillamente dell’aspetto tecnico, ma non andrà a discutere con Jasper dell’aspetto contrattuale. E infatti il ragazzo ha più serenità nella relazione e i risultati si vedono. Oggi come oggi, non è più come 15 anni fa, quando il direttore sportivo faceva firmare il contratto sul cofano di una macchina. Oggi è tutto molto professionale e anche l’aspetto psicologico conta molto di più. In queste situazioni avere a che fare con l’agente anziché con l’atleta aiuta il team a scindere i due aspetti.

Tour 2023, tra Philipsen e Van de Poel c’è grande complicità: l’olandese lo ha spesso aiutato nelle sue vittorie
Tour 2023, tra Philipsen e Van de Poel c’è grande complicità: l’olandese lo ha spesso aiutato
A ciascuno il suo, insomma?

Con l’atleta si parla di allenamento, preparazione e vittorie. Con l’agente si parla di contratto e aspetti economici, progettualità, tasse e quant’altro. Quindi secondo me è un vantaggio che ci siamo di mezzo noi e alla fine direi che i risultati lo possono confermare.

Aver vinto la Sanremo fa crescere di tanto la quotazione di uno che comunque l’anno scorso ha avuto grandi risultati?

E’ normale che la Sanremo faccia crescere la quotazione, perché è una vittoria monumento. Se sei un atleta fuori dai primi 50 al mondo, vincere la Sanremo ti cambia la vita. Ma per un top 10 come lui, fa la differenza, però non così tanto. E’ fra i primi 10 al mondo già da un anno, ha vinto la maglia verde e sei tappe al Tour fra 2022 e 2023. Per cui, più è importante l’atleta e meno la singola vittoria farà la differenza.

La tattica della Alpecin? Portare quei due nel finale

17.03.2024
4 min
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SANREMO – Mentre Jasper Philipsen e Mathieu Van der Poel erano “rapiti” dalle tv, nel clan della Alpecin-Deceuninck si faceva festa per l’ennesimo monumento conquistato. Ormai la squadra di Christoph Roodhooft, manager e diesse, è diventata una corazzata. Due Sanremo, due Fiandre e una Roubaix solo negli ultimi tre anni. Senza contare tutte le altre classiche. E che classiche: Strade Bianche, Amstel Gold Race, Francoforte…

Christoph Roodhooft con Dillier al bus della Alpecin-Deceuninck
Christoph Roodhooft con Dillier al bus della Alpecin-Deceuninck

Davide contro Golia

Mentre Roodhooft parla ai giornalisti, arriva Silvan Dillier. Lo svizzero è sfinito. Fa parte della guardia che entra in gioco lontano dal traguardo, quella del “lavoro sporco”, ma se i suoi capitani vincono il merito è anche di quelli come lui. Firma autografi e poi si concede all’abbraccio di Roodhooft che da serissimo si illumina finalmente con un sorriso.

«Se guardo alla lista di partenza di questa mattina – dice Roodhooft – ho pensato che forse non saremmo stati più forti di altri. C’erano delle formazioni molto ben attrezzate. Ma noi crediamo nel nostro team, nei nostri uomini e abbiamo cercato di schierare i più forti. Ad un certo punto eravamo rimasti solo con quattro atleti. Ma nel finale eravamo lì».

Il manager rimarca il discorso della squadra e dei valori in campo. In settimana, vedendo come si presentavano squadre come Lidl-Trek e UAE Emirates in Belgio ci si chiedeva come avrebbero fatto a replicare il successo dell’anno scorso. Con queste parole sembrava quasi si fosse tolto il classico “sassolino” dalla scarpa.

La generosità di VdP che sia nella salita che nella discesa del Poggio si è voltato ad “aspettare” Philipsen
La generosità di VdP che sia nella salita che nella discesa del Poggio si è voltato ad “aspettare” Philipsen

VdP in crescita

E forse anche per questo Roodhooft tutto sommato si dice contento che la corsa sia filata liscia come gli altri anni fin sui capi. Alcune squadre erano più numerose della sua. Ma c’era l’asso nella manica: Mathieu Van der Poel in veste da gregario.

«Mathieu – dice – è con noi da molto tempo. E’ una persona adulta e vuole il meglio anche per il team. E’ un uomo squadra a tutti gli effetti e vuole farne parte. Non è “un’isola”».

Tra le righe, sempre ascoltando Roodhooft si evince che forse VdP non era proprio al top ai piedi del Poggio. Probabilmente esordire con una corsa come la Sanremo non è facile neanche per un super eroe come lui. Però è stato forte lo stesso e soprattutto onesto.

«Aiutare Philipsen è stata una sua intuizione – ha continuato Roodhooft – Ora si spera possa arrivare nelle sue migliori condizioni al Giro delle Fiandre (tra due settimane, ndr). Ma ci riuscirà sicuramente… se non ci saranno problemi».

L’andamento della corsa regolare, seppur con la media record di 46,1 km/h, ha favorito lo sprinter belga
L’andamento della corsa regolare, seppur con la media record di 46,1 km/h, ha favorito lo sprinter belga

Barra dritta

Il portamento retto di Roodhooft fa impressione. Non sembra una persona che ha appena vinto una corsa tanto importante come la Sanremo. E tutto sommato le parole di Philipsen si sposano alla perfezione col ritratto del manager.

«Christoph – ha detto Jasper – ma anche suo fratello Philip, non si lasciano mai prendere dal panico, elaborano un piano chiaro e lo rispettano fino in fondo. Anche se le cose non vanno benissimo, come è successo quest’anno. Non si stressano e continuano a credere in quello che fanno. E questo aiuta un uomo che, come me, a volte perde fiducia e pazienza in sé stesso».

«Penso che sia un complimento anche per me e mio fratello – ha detto Roodhooft – Siamo molto felici ovviamente. Al via sapevamo di avere due corridori molto forti ed entrambi erano presenti nel finale. Vedere Mathieu Van der Poel, campione del mondo, che si sacrifica per Jasper è stato incredibile. Gli ha dato l’opportunità di fare lo sprint per la vittoria».

«Non dico che il piano fosse questo, ma ci aspettavamo sia Mathieu che Jasper nel finale». Insomma tutto secondo programma: Davide che batte Golia, due assi nella manica e una grande intesa. Come sembra facile vincere una Milano-Sanremo.

Poggio in apnea e VdP gregario: la Sanremo è di Philipsen

16.03.2024
5 min
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SANREMO – Ha vinto alla Freire. Non si è mai visto. Sempre nascosto. Coperto. Coperto persino sul rettilineo d’arrivo. Ma alla fine a tagliare per primo la linea bianca di Via Roma è stato lui, Jasper Philipsen.

In belga dell’Alpecin-Deceuninck è stato autore di una corsa forse invisibile, ma magistrale dal punto di vista tattico. In quasi 300 chilometri di gara, corsi ad una media folle (46.113 km/h), non ha speso mezza pedalata in più del necessario.

Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP
Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP

Gamba al top

In pochi, il che è un eufemismo, lo davano tra i vincitori. Gli occhi erano tutti puntati sul duello fra Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel. Semmai il terzo uomo poteva essere Mads Pedersen. Invece, facendo come detto la formichina, Philipsen si è preso la Milano-Sanremo numero 115.

Che stesse bene, si poteva capire alla Tirreno-Adriatico. Invece proprio la corsa dei Due Mari e il terzo posto di mercoledì scorso nella “sua” Nokere Koerse hanno tratto in inganno.

«Fare la Tirreno è stato importante – spiega Philipsen – Ero raffreddato, poi il viaggio in Belgio, la Nokere, il ritorno in Italia… non mi hanno aiutato. Anzi, sono ancora un po’ raffreddato. Però da giovedì ho sentito di stare meglio. Ho sentito che qualcosa è cambiato. E credo che forse oggi ho avuto le mie gambe migliori di sempre. Se c’era un giorno in cui vincere la Sanremo era questo».

Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo
Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo

I segnali c’erano

Eppure quegli sprint persi ci hanno fatto riflettere sullo spunto meno brillante del solito. Il spunto abituale gli avrebbe consentito di dare una bici a tutti. Erano forse quei “grammi” in meno di muscolo necessari per superare, e bene, la Cipressa e il Poggio? Il fatto che a Giulianova, durante la Tirreno, sia stato battuto da Milan ha portato tutti un po’ fuori strada.

Quel giorno invece se si riguarda  a mente fredda l’ordine di arrivo non c’erano degli sprinter puri. Basta pensare che tra i primi dieci c’erano Girmay, Alaphilippe e Tiberi.

Vero, vinse Milan. Ma torniamo al discorso dello spunto. Jasper aveva superato la salitella come Milan, ma poi non aveva avuto la stessa potenza del friulano.

«In realtà non sono più magro, anzi peso più dello scorso anno. Ma ho più potenza. Forse è per questo che ho vinto», devia Jasper con il sorriso… Di certo ha lavorato su questo aspetto. Lui ha detto di essersi concentrato molto sulle classiche durante l’inverno. 

Il discorso del raffreddore sarà anche vero e lo stesso vale per il peso, ma è chiaro che la Sanremo l’aveva preparata in altro modo rispetto al passato. Forse perché anche in squadra sapevano che una doppietta consecutiva di VdP sarebbe stata impossibile ed era pur sempre alla prima gara della stagione. E forse perché quel 15° posto del 2023 il tarlo glielo aveva insinuato.

Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo
Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo

Monumento a VdP

E’ vero anche che un monumento lo deve fare al suo compagno, Mathieu Van der Poel. Il campione uscente, una volta fatta “la conta” in fondo al Poggio si è messo totalmente a sua disposizione. Ha tirato, forte, ma senza strappi. Ha tirato lungo dopo l’attacco di Pidcock e Sobrero e gli ha servito la Sanremo su un piatto d’argento.

«L’ho ringraziato per il grande lavoro fatto – ha detto e ridetto Philipsen dopo l’arrivo – E’ stato speciale così come speciale è stato il team. Sono orgoglioso di loro. Ci siamo auto regolati in corsa sulla leadership della squadra. Se dopo il Poggio fossi stato ancora lì con buone gambe avrei fatto lo sprint. In più avere un campione del mondo che lavora per te… non potevo sbagliare».

Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a Van der Poel di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità
Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a VdP di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità

Poggio in apnea

Ma un corridore come Jasper è sulla Cipressa e ancor più il Poggio che fa davvero il numero. Di sprinter puri in quel momento ce n’erano rimasti ben pochi davanti. Anzi, nessuno.

«Sul Poggio dovevo resistere. La UAE Emirates aveva speso molto e sapevamo che Pogacar prima o poi sarebbe partito. Io ho cercato di restare attaccato. Di non perderli di vista. Quando il Poggio è finito mi sono detto: “meno male!”.

«In discesa avevo paura di una caduta, di un buco. Ma a quel punto Mathieu è stato molto bravo. Gli ho chiesto di non spingere troppo. E lo ha fatto… nonostante fosse il capitano e anche lui avesse le gambe per vincere. Mathieu è davvero un generoso. Gli piace vincere, ma gli piace anche aiutare la squadra».

Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar
Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar

Il suo terreno

Finalmente al chilometro 286 Philipsen entra nel suo regno: il finale in pianura e lo sprint. A quel punto la sua mente diventa quella di un “killer”. 

«In realtà – spiega Jasper – proprio lì ho sentito la pressione. Avevo il campione del mondo che lavorava per me. Ad inizio stagione qualche sprint lo avevo sbagliato, c’erano Matthews e Pedersen che erano pericolosissimi e se si guardava l’albo d’oro degli ultimi anni non c’erano sprinter. Certo, non è stato un grande sprint. Dopo una corsa tanto lunga e tanto veloce credo di aver espresso dei valori da dilettante. Si è trattato più di una volata di voglia, di resistenza che di potenza».

La Alpecin-Deceuninck si porta a casa un altro monumento. Ormai sembra la Quick Step dei tempi migliori. Philipsen ammette che questo succede perché oltre che forti sanno essere compatti nei momenti complicati.

«Io credo che tutto ciò sia dovuto alla nostra forza mentale. Dopo la Tirreno è scattato un “clik”. La vittoria ha calmato tutti. Ma in generale il team ci dà grande supporto psicologico. Serviva pazienza e l’abbiamo avuta». 

Sprint, classiche, crono e pista: questo Milan è tutto da scoprire

12.03.2024
5 min
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Con la vittoria di San Benedetto, che si è aggiunta a quella ben più complicata di Giulianova, il nome di Jonathan Milan è entrato fra quelli dei velocisti più forti del gruppo. Se ne era avuto un sentore al Giro del 2023, quando il friulano vinse una tappa e mise in fila una serie infinita di piazzamenti, ma avreste dovuto vedere la faccia di Jasper Philipsen sull’ultimo arrivo della Tirreno. Il belga delle sei tappe negli ultimi due Tour non riusciva a farsene una ragione.

Forte a 360 gradi

Il problema con Johnny è che non si riesce a capire in quali caselle metterlo, soprattutto conoscendone la storia prima del professionismo. Veloce lo è sempre stato. Forte a crono lo stesso, tanto da aver vinto il tricolore U23 nel 2020 ed essersi piazzato terzo a Lido di Camaiore, dietro Ayuso e Ganna. Il suo sogno è la Roubaix, ma avrebbe anche numeri da Fiandre. E in pista ha aggiunto al quartetto azzurro i cavalli per vincere l’oro di Tokyo. Per questo il dibattito in vista di Parigi, sull’opportunità che corra la strada e la pista, è quanto mai fondato, anche se la scelta cadrà giustamente e inevitabilmente sulla seconda. Per cui il… cantiere resta aperto ed è emozionante, conoscendolo da un pezzo, veder crescere e costruirsi un campione così.

«Ho avuto sempre uno spunto veloce – dice – l’anno scorso al Giro ci siamo focalizzati su questo aspetto, per cui penso che lo sprint sarà il mio terreno insieme alle classiche. Io ce la metterò tutta per migliorare, perché c’è sempre qualcosa da migliorare, però questo è il mio ambito. Ci sono tanti nomi che sono sempre stati per me un motivo di ispirazione. Boonen, Cancellara, lo stesso Sagan, ma è difficile dire come sarà il mio sviluppo. Magari tra qualche anno andrò a perdere un po’ lo sprint, chi può dirlo? Per questo mi sono imposto di vivere mese per mese e poi trarremmo le somme».

Il debutto nelle classiche è già avvenuto alla Omloop Het Nieuwsblad, ma il bello deve ancora venire
Il debutto nelle classiche è già avvenuto alla Omloop Het Nieuwsblad, ma il bello deve ancora venire

Classiche in arrivo

La prossima fermata di questo treno che va veloce è la Milano-Sanremo che sabato lo vedrà impegnato per la terza volta. Le prime due apparizioni appartengono alla prima parte della sua carriera, quella in cui non v’era certezza di potersi giocare una grande corsa in volata. Una certezza che è ancora da costruire, con la curiosità di vedere se quest’anno nelle sue gambe ci sarà la capacità di scollinare sul Poggio non troppo lontano dai primi. Dalle scelte della squadra appare evidente che Milan non sia la primissima scelta, come è logico avendo davanti compagni come Jasper Stuyven, che la Sanremo l’ha già vinta nel 2021, e Mads Pedersen, che aveva giurato di non correrla mai, poi l’ha assaggiata negli ultimi due anni e se ne è innamorato.

«Inizia il periodo delle classiche – dice Milan – in realtà in Belgio è già iniziato. La prossima è la Milano-Sanremo e avremo un team molto forte. Parliamo di Stuyven e Pedersen, ragazzi con una grandissima condizione. Cercheremo comunque di supportarli al massimo, perché possano arrivare il più avanti possibile. La Milano-Sanremo è una gara che mi piace e penso che in corse come quella arriverò davanti anche io, dandomi il tempo giusto».

La prima Sanremo di Milan, quella del 2022, partì dal Vigorelli: singolare coincidenza per un pistard come lui
La prima Sanremo di Milan, quella del 2022, partì dal Vigorelli: singolare coincidenza per un pistard come lui

Sbagliando si impara

Tre vittorie in questo inizio di stagione non sono poche, soprattutto perché le due tappe alla Tirreno sono per ora le prime e uniche vittorie italiane nel WorldTour. La partecipazione alla Corsa dei Due Mari aveva questo obiettivo, unito alla necessità di affinare i meccanismi del treno. Come ha raccontato Simone Consonni, la prima tappa (vinta da Philipsen con Milan al 9° posto) ha avuto un finale complicato. Quella sera il team si è riunito, hanno chiariti i punti giusti e sono ripartiti di slancio.

«Siamo arrivati alla Tirreno – racconta Milan – con la voglia di fare bene e portare a casa dei bei risultati. Ce l’abbiamo fatta e parlo al plurale perché sono state vittorie di squadra. Sono contento di aver vinto e magari ci saranno altri momenti dove magari vinceranno altri. Ogni gara ha la sua storia, vedremo in futuro. Fare tante volate insegna a sbagliare meno, perché ci sono sempre momenti in cui si sbaglia e dagli errori si impara e si acquisisce fiducia in se stessi e soprattutto nel team. Nella prima volata l’arrivo era un po’ nervosetto… Insomma (ride, ndr), tutti gli arrivi sono nervosi! Comunque nel giorno di Follonica siamo rimasti imbottigliati e non ci siamo tanto trovati, non ci eravamo mossi benissimo. Io poi li avevo persi e ci siamo ritrovati solo nel finale. Però abbiamo visto che negli sprint successivi abbiamo corso di squadra e siamo riusciti a fare molto bene. Quando lavoriamo così, riusciamo a concludere le corse in maniera impeccabile».

Milan ha vinto l’oro olimpico del quartetto a Tokyo nel 2021, con Lamon, Ganna e Consonni
Milan ha vinto l’oro olimpico del quartetto a Tokyo nel 2021, con Lamon, Ganna e Consonni

Da Tokyo a Parigi

La scoperta continua. La Sanremo sarà il primo assaggio, il resto del menù prevede Gand-Wevelgem, Dwars door Vlaanderen, Fiandre, Roubaix e dopo il Giro. Il secondo turno olimpico sarà poi il clou dell’estate, con il primo oro conquistato a 21 anni e il secondo in palio a 24. E se in pista il suo livello è già pazzesco, la sensazione è che su strada ci sia ancora molto da fare, migliorare e crescere. Perciò quando gli chiedi se abbia un’idea dei suoi limiti, Johnny ti guarda e se la ride.

«Non lo so ancora, a dire il vero. Come si diceva, lo scopo è sempre quello di provare a migliorarsi e dopo vedremo. Quel che posso dire è che spero di aver mostrato ancora poco su strada, perché vorrebbe dire che c’è ancora tanto da vincere».

Pianeta velocisti mai così folto. Petacchi ne sceglie cinque

12.02.2024
6 min
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Jonathan Milan, Olav Koij, Jasper Philipsen, Alberto Dainese, Fabio Jakobsen, Mark Cavendish. E ancora De Kleijn, Bauhaus, Groenewegen, Merlier, Groves… senza contare i tanti giovani emergenti, non ultimo il francese Magnier. E quelli in cerca di riscatto: Nizzolo, Gaviria, Girmay, Coquard, Demare… La lista dei velocisti quest’anno è più lunga che mai.

Cosa dobbiamo attenderci? Chi è il più forte? Chi ha il miglior leadout? Domande alle quali ha risposto Alessandro Petacchi che di volate (e di velocisti) se ne intende. 

Vista la lista lunga, Alejet ne ha battezzati cinque. I cinque che secondo lui sono i più forti e che ci faranno vedere grandi cose durante l’anno. «Ma – dice Petacchi – sarebbero molti di più. Penso a Dainese (caduto recentemente, ndr), che ho consigliato personalmente a Cancellara. Penso a De Lie che forse è più di un velocista e può vincere anche una classica. Ad Ewan che anche se non è più quello di un tempo può fare male».

Tour de France 2023, a Moulins Jasper Philipsen precede Dylan Groenewegen: due velocisti super
Tour de France 2023, a Moulins Jasper Philipsen precede Dylan Groenewegen: due velocisti super

Philipsen, il numero uno

Senza dubbi il favorito di Petacchi è Jasper Philipsen. Lo sprinter della Alpecin-Deceuninck lo scorso anno ha dettato legge tra i velocisti. E quest’anno le cose non dovrebbero cambiare. Senza parlare poi del suo apripista. Un certo Van der Poel!

«Al netto di Van der Poel che può togliergli le castagne dal fuoco se è messo male o lanciarlo alla grande, Philipsen ha un’intera grande squadra vicino. Anche se per me riesce a tirarsi fuori dai guai anche da solo. L’ho visto al Tour l’anno scorso. Quando vinci in tre modi diversi significa che sei il più forte.

«Jasper è in quel momento della carriera in cui ti riesce tutto. E’ al top. E questo lo fai quando hai gamba, tanta gamba. Per batterlo deve sbagliare lui. Lo dico per esperienza diretta. So bene cosa succede. Se vede le brutte, parte prima e vince. Altrimenti parte più corto. Ha lucidità. Anche Cav, per dire, è così, ma oggi non ha quella gamba».

Jakobsen, potenza da super big. Deve ritrovare fiducia e continuità. Lasciata la Soudal-Quick Step (in foto) saprà costruirsi un treno alla DSM?
Jakobsen, potenza da super big. Lasciata la Soudal (in foto) saprà costruirsi un treno alla DSM?

Jakobsen, l’antagonista

Petacchi pone Fabio Jakobsen alla pari di Philipsen, a fare la differenza è la continuità. Quella continuità che è venuta a mancare a Fabio dopo il grave incidente del 2020 in Polonia. Grande potenza, grande velocità di punta.

«Jakobsen ha una potenza incredibile, ma qualche volta si perde un po’. Non so se è per paura o per gamba. Ma io credo che se ritrova gli equilibri giusti può tornare alla pari di Philipsen, perché ha l’età e i numeri per riuscirci».

Nel caso dell’olandese c’è anche il discorso della squadra, forse meno votata alla causa rispetto a Philipsen. Jakobsen ha lasciato la Soudal-Quick Step per approdare alla DSM-Firmenich, che sì gli assicura fiducia, ma anche automatismi da oliare.

«Non mi aspettavo un suo cambio di squadra, ma è anche vero che quando hai un Evenepoel come compagno che accentra molte attenzioni, ci sta. Poi magari dietro ci sono anche questioni economiche, ma questo non lo so. Di certo, lui voleva fare il Tour e lì avrebbe fatto fatica ad andarci. Alla DSM non ha più Mayrhofer che ha seguito Dainese e ne sono contento, perché i due potranno fare bene alla Tudor. Quindi non so chi davvero potrà pilotare Jakobsen. Vedremo».

Una foto di qualche anno fa di Cavendish e Petacchi… insieme hanno un palmares di oltre 350 vittorie!
Una foto di qualche anno fa di Cavendish e Petacchi… insieme hanno un palmares di oltre 350 vittorie!

“Cav” e il suo obiettivo

Si arriva poi a Mark Cavendish, velocista che Petacchi conosce alla grande visto che ci ha anche corso. Quanti duelli tra i due. Chissà se è cambiato da allora il Cav sprinter?

«Prima aspettava sempre un po’ a partire per paura di essere rimontato, adesso invece noto che tende ad anticipare. Ora, sa che se aspetta non vince più, perché ha perso quel super spunto e così intelligentemente anticipa. Difficilmente ha la posizione ottimale di un tempo».

Qui ritornano in mente le parole di Pasqualon, sulle tempistiche, i watt e le punte di velocità. Ma Petacchi stesso ci regala una perla con lo sprinter dell’Astana Qazaqstan.

«Di questa cosa parlai proprio con Cav. Glielo dissi: “Negli ultimi anni quando ti ho battuto, l’ho fatto perché anticipavo. Non avevo il tuo treno, né quello spunto, così cercavo di partire prima e di partire “secco”. Ti prendevo tre bici e poi speravo di tenere fino alla fine. A volte ci riuscivo, altre no. Ma era l’unico modo per batterti”.

«E così fa lui ora. Certo, ci vuole gamba, ma anche testa. Mark continua perché ha un solo obiettivo: quello del record di tappe al Tour. E’ molto difficile, ma non impossibile (ha di nuovo Morkov come apripista, ndr). Ma è pur sempre una volata e se tutto gli gira bene può riuscirci. Fosse stato un arrivo in salita di 15 chilometri avrei detto di no, ma in volata…».

Groenewegen quest’anno ha vinto all’esordio (eccolo alla Clasica Valenciana 1969). Con qualche aggiustamento potrà trasformare molti secondi posti dietro Philipsen in vittorie
Groenewegen ha vinto alla Clasica Valenciana 1969. Con qualche aggiustamento potrà trasformare molti secondi posti in vittorie

Groenewegen, quanta potenza

Dylan Groenewegen. Petacchi non poteva non inserire il corridore della Jayco-AlUla tra i grandissimi velocisti visto il suo motore gigante. Sarà interessante la sua convivenza con Ewan.

Magari in qualche occasione (non molte a dire il vero) correranno insieme e allora sarà curioso vedere “chi tirerà per chi”. Ewan è più piccolo e potrebbe essere pilotato. Però è anche vero che Caleb è un funambolo, è più “vecchio” e potrebbe essere lui il leadout. Dylan e Caleb: coppia esplosiva. Senza dimenticare Matthews.

«Qui parliamo di un velocista puro, puro… Groenewegen fa fatica in certe tappe, ma in quelle piatte può andare forte. E’ un po’ discontinuo e a volte si perde nel finale. Ha una velocità di punta pazzesca, parte fortissimo, fa la differenza in quel momento, ma più di qualche volta viene rimontato da Philipsen. Segno che arriva alla volata con le gambe un po’ in croce, gli manca spesso qualcosina». 

Jonathan Milan (classe 2000) al primo successo 2024 con la nuova maglia della Lild-Trek: per Petacchi può battere chiunque
Milan (classe 2000) al primo successo 2024 con la nuova maglia della Lild-Trek: per Petacchi può battere chiunque

Milan, il futuro è suo

Chiude il lotto dei “fab five” Jonathan Milan. Il gigante della Lidl-Trek piace molto a Petacchi. Ha anche un apripista ottimo, Simone Consonni, e potrebbe avere persino Mads Pedersen, che tra l’altro potrebbe a sua volta essere inserito in questa classifica. Ma Petacchi reputa il danese più di un velocista.

«Milan, per capire quanto è grande, deve confrontarsi con i velocisti del Tour. E’ sicuramente forte, anche alla Valenciana, dove è stato ben pilotato, è ripartito alla grande, ma se viene al Giro d’Italia e quest’anno il lotto dei velocisti è lo stesso dell’anno scorso, sarebbe grave se non vincesse. Deve dominare… e io ne sarei felicissimo».

Alejet fa le pulci a Milan e parla del suo gesto tecnico. Deve lavorare molto, specie per la questione aerodinamica, cosa che lo penalizza.

«Sia per lo stile, che per la sua stazza, Jonathan deve cercare di abbassarsi. Oggi la questione aerodinamica è troppo importante. Si guardano calze, caschi… e un solo chilometro orario in più può fare la differenza, specie a 70 all’ora. E’ un po’ il discorso che c’è a crono tra Ganna e Remco. Il belga non farà mai gli stessi wattaggi di Pippo, ma va forte tanto quanto (o di più) perché ha un coefficiente aerodinamico molto favorevole.

«Milan è da volata lunga. Un bestione così deve assolutamente essere lanciato e possibilmente anche forte. Meglio rettilinei lunghi, che la curva a 200 metri. In quel caso se uno come lui è terzo, è difficile che rimonti, che si metta in moto in tempo. Consonni come apripista va bene. Se è un po’ basso? Il problema non è Simone, che anzi è bravissimo e sfrutta al meglio ciò che gli dà la pista in termini fisici e tattici, ma è Jony che è un bestione!».