Una stagione da record per Canyon

27.12.2024
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Gli ultimi giorni di dicembre sono solitamente dedicati a stilare i bilanci dell’anno che si sta concludendo e ad impostare i programmi dell’anno che verrà. Guardando in casa Canyon, l’azienda tedesca non può che ritenersi molto soddisfatta per i risultati sportivi ottenuti in questa stagione. Il 2024 passerà infatti alla storia di Canyon come uno degli anni di maggior successo mai registrati. Grazie a campioni del calibro Mathieu Van der Poel, Jasper Philipsen, Kasia Niewiadoma, Chloé Dygert, Puck Pieterse, Laura Phillip e Patrick Lange, solo per citare i più famosi, sono arrivati 17 titoli mondiali UCI, 2 campionati del mondo Ironman, una vittoria in un grande giro e un oro olimpico. A questi titoli prestigiosi vanno ad aggiungersi oltre 180 vittorie tra strada, cronometro, pista, gravel, cross-country, enduro e downhill.

In sella alla sua Canyon Gravel CFR Mathieu Van Der Poel è diventato campione del mondo in Belgio lo scorso ottobre
In sella alla sua Canyon Gravel CFR Mathieu Van Der Poel è diventato campione del mondo in Belgio lo scorso ottobre

Da Mathieu a Kasia

Il vero mattatore della stagione è stato senza dubbio Mathieu Van de Poel. L’asso olandese ha saputo conquistare la maglia di campione del mondo nel ciclocross e nel gravel. Due successi arrivati rispettivamente sui modelli Inflite CFR e Gravel CFR. Non vanno poi dimenticati i successi alla Parigi-Roubaix e al Fiandre ottenuti in sella alla Aeroad CFR

Un’altra stella nella stagione di Canyon è stata sicuramente Kasia Niewiadoma con la sua vittoria al Tour de France Femmes avec Zwift, ottenuta con la sua Canyon Aeroad CFR.

Uno dei successi più importanti per Canyon è arrivato dal ciclismo femminile con la vittoria del Tour de France da parte di Kasia Niewadona
Uno dei successi più importanti per Canyon è arrivato dal ciclismo femminile con la vittoria del Tour de France da parte di Kasia Niewadona

Padroni della pista

Non sono mancati anche i successi in pista. Chloé Dygert, Jennifer Valente, Lily Williams e Kristen Faulkner del Team USA hanno portato a casa l’oro olimpico nell’inseguimento a squadre femminile. Tobias Aagaard Hansen, Carl-Frederik Bevort, Niklas Larsen e Frederik Rodenberg Madsen della Danimarca hanno vinto i titoli di campione del mondo nell’inseguimento a squadre, nel madison, nella gara a punti e a eliminazione. Tutti questi risultati sono stati ottenuti grazie al supporto della Speedmax Track CFR di Canyon.

Nel mondo del triathlon, Laura Philipp ha vinto il campionato mondiale Ironman femminile a Nizza. Ai campionati mondiali Ironman maschili a Kona, Patrick Lange ha conquistato il suo terzo titolo mondiale. Ad accompagnarli nei loro trionfi mondiali la Speedmax CFR.

Il modello Speedmax Track CFR è stato protagonista alle Olimpiadi di Parigi 2024
Il modello Speedmax Track CFR è stato protagonista alle Olimpiadi di Parigi 2024

Pieterse…e non solo

Il futuro di Canyon è sicuramente in buone mani quando si pensa alla poliedrica Puck Pieterse, capace di ottenere vittorie su strada, nel ciclocross e nella mountain bike, queste ultime ottenute sulla Lux World Cup CFR.

La Pieterse non è la sola promettente stella in casa Canyon. Accanto a lei troviamo altri giovani ciclisti che nel 2025 faranno sicuramente parlare di sé. Ci riferiamo a Zoe Bäckstedt, Tibor Del Grosso, Ivan Romeo, Antonia Niedermaier e Cat Ferguson, tutti campioni del mondo nel 2024 fra under 23 e junior.

La giovane olandese Puck Pieterse, infine, è stata capace di vincere sia su strada che fuoristrada
La giovane olandese Puck Pieterse, infine, è stata capace di vincere sia su strada che fuoristrada

Sempre vicino ai professionisti 

Fin dalla sua nascita avvenuta nel 2002, Canyon ha visto il mondo del professionismo come parte integrante della sua storia. Nel corso degli anni dai professionisti che hanno corso su bici Canyon sono infatti arrivate innumerevoli informazioni per il reparto di ricerca e sviluppo dell’azienda tedesca. 

Andreas Walzer, Pro Sports Director di Canyon, ha così commentato lo straordinario 2024 a livello di successi ottenuto dalla sua azienda: «Il 2024 passerà alla storia come un anno in cui le nostre affermate stelle dello sport hanno dimostrato ancora una volta perché sono le migliori al mondo. Siamo incredibilmente orgogliosi di lavorare in partnership con alcuni dei migliori ciclisti della loro generazione. Le preziose intuizioni che ci danno consentono a Canyon di creare nuove innovazioni che possono spingere i confini di ciò che è possibile nel ciclismo professionistico, alcune delle quali portano direttamente alle nuove bici che vedrete nel 2025».

Canyon

L’occasione mancata: Piva e la Sanremo 2024 di Matthews

26.11.2024
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Sedici marzo del 2024, il giorno in cui Valerio Piva si è mangiato le mani per la Sanremo sfumata. Più rivedi quel finale, più ti accorgi delle sfumature che hanno impedito a Michael Matthews di conquistare il traguardo di via Roma. E si fatica a capire se nel tono di voce del tecnico del Team Jayco-AlUla prevalga la delusione o la stizza. Prosegue la nostra galleria delle incompiute (raccontate dai direttori sportivi) e questa volta in palio c’è la prima Monumento della scorsa stagione.

«Si poteva vincere – dice Piva – ma Matthews da un certo punto di vista è stato corretto, perché non ha insistito nel tenere Philipsen alla corda. Era nel suo diritto perché era davanti, invece gli ha aperto la porta e chiaramente l’altro è passato. Invece poi al Fiandre lo hanno squalificato dal terzo posto per un leggero movimento, ma questa è un’altra storia».

Pidcock viene ripreso all’inizio della volata. Prima Stuyven e poi Matthews in prima persona risucchiano il gruppo in un’accelerazione violentissima. L’australiano sogna da sempre di vincere la Sanremo: si sposta sulla sinistra del rettilineo, ma anziché tenere la linea si scosta. Anche perché sul più bello, tenendo lo sguardo verso il basso, gli scivolano via gli occhiali. La minima esitazione permette a Philipsen di infilarsi, risalire e poi batterlo al colpo di reni.

Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Si poteva vincere?

Era un’opzione, chiaramente Michael era uno dei papabili. Però sul momento il secondo posto ti va bene, perché in partenza non sai mai se potrai vincere. Poi vedendo com’è andato il finale, è chiaro che perdere la Sanremo a quel modo brucia parecchio. Io la vinsi alla stessa maniera con Cavendish nel 2009, quando batté Haussler. E immagino che nell’entourage di quest’ultimo ci fosse qualcuno che in quel momento si sentì come me. Non è bello perdere a quel modo una corsa di questo livello e questa importanza.

Ci sono margini di manovra per l’ammiraglia una volta che la corsa torna sull’Aurelia dopo la discesa del Poggio?

Neanche un po’. Dalla macchina vedi immagini televisive che già sono ritardate, in più si vede a scatti. Allora senti la radio, ma in quei momenti non danno tante informazioni. Per cui anche noi si sta zitti oppure si incitano e si danno le ultime raccomandazioni. Però non è che puoi guidare il corridore o dirgli esattamente cosa deve fare, da lì in poi sono loro che decidono. In più la televisione non l’ho vista e non ho neanche visto quello che è successo in volata. Ho sentito poi l’ordine d’arrivo e ho scoperto che era arrivato secondo. Ma poi vedendo il filmato, ha iniziato a bruciare anche di più.

Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Diresti che Matthews in volata è un bandito oppure è molto corretto?

Da come l’ho conosciuto quest’anno, a volte mi sembra forse un po’ tenero. Da fuori ho sempre pensato che fosse veramente un mastino, un cagnaccio, uno di quelli duri. Quando io avevo Van Avermaet, si batteva con lui e con Sagan. Ho sempre pensato che fosse veramente duro invece, imparando a conoscerlo e sentendo quello che dicono in squadra, viene fuori che è sempre un po’ dubbioso. E’ un corridore con tanta classe e per questo ottiene i suoi risultati: gli si può dire tutto tranne che sia scorretto. Anzi, purtroppo è il contrario…

Sul pullman avete rivisto il finale? Ne avete riparlato?

Di solito dopo la corsa si fa un debriefing, che alla Sanremo è abbastanza veloce, perché parti, hai già all’aereo e vai a casa. Di solito il nostro sistema, per esempio nelle corse a tappe, è confrontarsi sul bus una quindicina di minuti prima di raggiungere l’albergo. Serve per far parlare i corridori. Gli si ricorda quale fosse la tattica e si chiede perché non sia stata attuata. E se qualcuno ha commesso un errore, a quel punto deve dichiararlo. Solitamente è una discussione molto produttiva, perché permette di chiudere lì uno screzio o un’incomprensione. Quel giorno Matthews era dispiaciuto e ha raccontato il finale dal suo punto di vista. Ha fatto notare come gli fossero caduti gli occhiali e che in quel momento di esitazione, l’altro l’ha bruciato. Finire secondo per tanti sarebbe un bel risultato, però quando hai la possibilità di vincere è chiaro che la reazione è differente.

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Lo chiamano velocista gentile, ma questo Merlier non fa sconti

18.09.2024
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Domenica sera due uomini ad Hasselt non stavano nella pelle: Sven Vanthourenhout e Tim Merlier. Il tecnico della nazionale belga e il fresco campione europeo hanno visto i loro sogni esauditi. Anche se, rileggendo il film della corsa e dei giorni che l’hanno preceduta, sarebbe più corretto parlare di un piano ben riuscito. Si dubitava della possibile convivenza fra Merlier e Philipsen. E pur con l’assenza di Van Aert caduto alla Vuelta, pochi si erano soffermati sulla presenza in squadra di Jordi Meeus, vincitore lo scoro anno sui Campi Elisi a fine Tour. Invece Vanthourenhout ha realizzato un vero capolavoro. E dopo Wollongong 2022 con Evenepoel e la doppietta olimpica ugualmente con Remco (e il bronzo della crono con Van Aert), si è portato a casa anche il titolo europeo su strada. Quando il prossimo anno cambierà incarico, nessuno potrà rimproverargli di non essere stato un tecnico vincente.

Merlier esulta con la compagna Cameron (figlia di Frank Vandenbroucke) e loro figlio Jules
Merlier esulta con la compagna Cameron (figlia di Frank Vandenbroucke) e loro figlio Jules

Il treno per Philipsen

Contrariamente alle previsioni, il piano del Belgio era quello di dare a Philipsen il vero treno. Merlier invece, che ama muoversi con più libertà, si sarebbe arrangiato con la collaborazione di un solo uomo: Bert Van Lerberghe, suo amico dai tempi della scuola e suo leadout alla Soudal Quick-Step. Raccontano i corridori che all’uscita della riunione tutti erano convinti della scelta. I due velocisti più forti sono tornati nella loro camera d’albergo certi di avere la situazione per loro più confortevole. Pare che Vanthourenhout abbia avuto l’idea già dai giorni della Scheldepriijs, quando Merlier aiutato dal solo Van Lerberghe batté Philipsen che invece aveva schierato il treno della Alpecin.

Come ha raccontato dopo la corsa l’ultimo uomo del vincitore, perché certi finali vadano come si vuole, occorre che tutto prenda la piega giusta. Che il gruppo si apra davanti quando è il momento di lanciarsi e che la bici non abbia problemi di alcun tipo. Hanno raccontato che a Merlier sia caduta la catena ai 400 metri. Di solito per un problema del genere, non si riesce a fare la volata. Invece Tim l’ha fatta e anche forte. A capo di una corsa di 222,8 chilometri (dislivello di 1.261 metri), percorsa in 4 ore 37’09” alla media di 48,234, i dati Strava raccontano di una velocità massima di 72,9 chilometri raggiunta nello sprint.

Nel team belga, Philipsen aveva un treno tutto per sé. Per Merlier, il solo Van Lerberghe
Nel team belga, Philipsen aveva un treno tutto per sé. Per Merlier, il solo Van Lerberghe

La catena di Merlier

Il nuovo campione europeo, che per due volte era già stato campione nazionale, ci ha messo un po’ a capire di aver battuto tutti i velocisti più forti d’Europa. Ha confermato il salto di catena e quindi di non aver potuto fare la volata che aveva in mente. Il tempo di rimetterla su e si è lanciato, scacciando via l’alone di sfortuna che sembrava averlo ammantato nelle ultime settimane.

«Non ho capito bene cosa sia successo né come sia andata la volata – ha raccontato – so che all’improvviso la catena è caduta dal davanti. Ho cercato di farla risalire il più rapidamente possibile e in qualche modo sono riuscito a riprendere velocità. Forse è stata la mia fortuna, altrimenti sarei partito un po’ prima e con quel vento l’avrei pagata. Ho sentito le critiche. Ho lasciato il Renewi Tour per una caduta dopo un solo sprint. Sono caduto di nuovo ad Amburgo. E a quel punto ho pensato di rivolgermi al nostro mental coach, ma non l’ho fatto. Lunedì ho pedalato per quattro ore verso il confine francese, passando da un acquazzone all’altro. E’ andata meglio mercoledì e giovedì, con l’aiuto di Mario De Clercq che mi ha fatto allenare dietro moto. Sono arrivato al via con parecchia pressione addosso, è stato così per tutti».

Merlier a terra con Groenewegen nella prima tappa del Renewi Tour. Si ritirerà l’indomani dopo la crono
Merlier a terra con Groenewegen nella prima tappa del Renewi Tour. Si ritirerà l’indomani dopo la crono

Il ruolo di Van der Poel

Ai media piace così, a quelli belgi poi in maniera particolare. E questo ha fatto sì che i primi chilometri non siano stati esaltanti per Merlier, che pure un po’ da solo nella squadra deve essersi sentito. Nel gruppo davanti Mathieu Van der Poel, grande amico e compagno di squadra di Philipsen, faceva il diavolo a quattro. Correva per sé, per Kooij o per il compagno di squadra? E mentre per le prime due ore Merlier non ha avuto sensazioni eccezionali, quando la corsa si è infilata nel primo tratto di pavé, lo scenario è cambiato.

«Dicono spesso che per battere Merlier – ha raccontato – bisogna rendere la gara dura. In realtà di solito dopo le gare impegnative faccio delle belle volate, si è visto anche al Giro d’Italia. E ho capito che forse le cose stavano cambiando quando nel tratto di pavé di Manshoven ho bucato e ho trovato subito un uomo della nazionale con la ruota pronta. Solo dopo mi hanno detto che era Carlo Bomans (ex pro’ ed ex tecnico della nazionale, ndr). Nel giro precedente avevo visto che in quel punto c’era qualcuno con la felpa della nazionale. E dire che non foro quasi mai. Ho pensato che la sfortuna stesse per ricominciare e invece domenica se l’è presa con qualcun altro».

Ad Hasselt sotto il podio una folla oceanica: la vittoria di un corridore di casa ha fatto esplodere la festa
Ad Hasselt sotto il podio una folla oceanica: la vittoria di un corridore di casa ha fatto esplodere la festa

Il ciclismo che cambia

Ed è stato così che il velocista gentile ha marcato un bel punto a suo favore. Probabilmente questo non farà cambiare la considerazione generale nei suoi confronti, ma certo resta un bel punto a suo favore. 

«Sono un corridore cresciuto per gradi – ha raccontato – e forse sto crescendo ancora. Alcuni non mi considerano al livello dei migliori e noto che se non vieni elogiato dai media, sei destinato a rimanere piccolo. Io posso solo rispondere con i risultati. Il ciclismo è cambiato tanto negli ultimi dieci anni e a volte vedo juniores che lavorano più di quanto faccia io da professionista esperto a tempo pieno. Il livello delle gare è ogni anno più alto. Lo vedi dai numeri, dalle velocità in gara e quelle degli sprint. Guardate anche lo sprint di Hasselt. A 400 metri dal traguardo eravamo tutti lì, larghi quanto la strada, mentre una volta a quel punto della corsa c’era solo chi avrebbe fatto lo sprint. Per questo i tempi di lancio e posizionamento sono ancora più importanti. C’è sempre meno spazio e tanti fattori giocano un ruolo che può fare la differenza tra vincere o perdere».

Una foratura sul pavé, poi il salto di catena, ma alla fine Merlier e la sua bici ce l’hanno fatta
Una foratura sul pavé, poi il salto di catena, ma alla fine Merlier e la sua bici ce l’hanno fatta

Merlier è fatto così. La gentilezza, che a volte gli viene appuntata addosso quasi come un limite, fa parte di un modo di essere di cui va fiero. Nel confronto con gli altri sprinter forse paga in termini di immagine, ma di questa diversità si fa un vanto.

Il 2024 gli ha portato finora 15 vittorie e una maglia che potrà indossare ogni santo giorno sino al prossimo anno. Nessuna rivendicazione, salvo rispedire al mittente i dubbi di quanti credevano che il Belgio sarebbe tornato a casa con le ossa rotte. A lui sono bastati una chance e un solo compagno al fianco. Ma non era scontato che bastassero.

L’abbondanza del Belgio ci ricorda Zolder 2002. Parola a Petacchi

01.09.2024
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Con Alessandro Petacchi vogliamo fare un viaggio nell’abbondanza tecnica del Belgio. Quell’abbondanza di cui già vi avevamo parlato in vista del campionato europeo, quando nel mazzo erano finiti Tim Merlier e Jasper Philipsen, i due velocisti “di Bruxulles”… Il tutto senza contare un certo Wout Van Aert. Giusto qualche giorno fa, Sven Vanthourenhout, il commissario tecnico belga, ha diramato le convocazioni. Ebbene ci sono tutti e tre. Come farà a metterli d’accordo?

Questa vicenda, e forse anche il luogo dove si disputerà l’europeo, cioè nel Limburgo, ricordano un po’ il famoso mondiale di Zolder 2002, con Mario Cipollini capitano e una serie di uomini tutti attorno a lui, tra i quali Alessandro Petacchi.

Il tecnico del Belgio, Sven Vanthourenhout, durante la proclamazione dei convocati: «Una nazionale difficilissima da fare» (foto Photonews)
Il tecnico del Belgio, Sven Vanthourenhout, durante la proclamazione dei convocati: «Una nazionale difficilissima da fare» (foto Photonews)
Alessandro, dicevamo dei problemi di abbondanza per il Belgio. Lefevere diceva di schierarli entrambi, per esempio…

Con due velocisti più Van Aert non è una cosa semplice per Vanthourenhout. Ovvio che Lefevere vorrebbe il suo atleta in corsa ed è normale che abbia spinto per quello. Ma Philipsen viene dal Tour, dove ha vinto, mentre Merlier ha ripreso adesso a correre. Tim veniva dal Giro d’Italia, dove aveva vinto anche lui. Sono la squadra super favorita. Hanno anche Van Aert che sta andando molto forte alla Vuelta e magari alla fine sarà lui il capitano del Belgio.

Perché?

Perché il percorso è veloce, ma presenta anche qualche piccola difficoltà e poi c’è anche del pavè. Per me non è così facile. Loro dovranno tenere la corsa, e con due uomini veloci più Van Aert, dovranno farlo in cinque.

Uno dei quali è Jordi Meeus, che in pratica è un velocista aggiunto…

A questo punto, fossi stato il cittì del Belgio, avrei portato un velocista in meno e un uomo in più da far lavorare.

Dopo aver vinto al rientro in gara al Polonia, pochi giorni fa Merlier (a destra) è caduto al Renewi Tour
Dopo aver vinto al rientro in gara al Polonia, pochi giorni fa Merlier (a destra) è caduto al Renewi Tour
Merlier e Philipsen sono compatibili? Ed eventualmente come potrebbero convivere?

La vedo difficile. Se gli chiedi di fare l’europeo o il mondiale, entrambi ti dicono di sì. Ma sono rivali prima di tutto. Il discorso è un po’ diverso da quello che fu tra me e Cipollini all’epoca. Primo, lui era già Cipollini, in più quell’anno aveva vinto la Sanremo, la Gand… dava più garanzie per certe corse e certe distanze rispetto a me. Philipsen e Merlier sostanzialmente sono sullo stesso livello, stanno vincendo adesso in questa fase di carriera. Io credo che Vanthourenhout abbia già scelto il leader, tra i due.

Chi è?

Credo abbia scelto sulla base di quanto ha visto quest’anno e quindi Philipsen (che ha vinto anche ieri, ndr). In primis, per il secondo in una corsa lunga e dura come la Roubaix, poi per la Sanremo. Jasper ha dimostrato che dopo 250-300 chilometri il suo sprint non perde troppa potenza. Sono vittorie di un altro livello rispetto a quelle di Merlier, danno più garanzie. 

Merlier non potrebbe fare l’apripista?

Meglio uno Stuyven allora (che non è stato convocato, ndr) che è più forte e ha dimostrato di saperlo fare. Lo abbiamo visto al Giro con Milan. Merlier non so com’è in questo ruolo. Magari è bravissimo, ma ribadisco che sono rivali e che tutto sommato stanno vivendo una carriera parallela. 

Chiaro…

Sarebbe davvero brutto in un europeo, per di più in Belgio, vedere due atleti della stessa nazione disputare lo sprint. L’unica cosa che al massimo potrebbero fare è essere super onesti e ad un certo punto della corsa chi dei due non è super, decide di mettersi a disposizione dell’altro. Ma se fossi nei loro panni, direi di no.

Anche Philipsen è tornato in gara dopo il Tour. Qui è battuto da Milan, ma sta già ritrovando la sua brillantezza
Anche Philipsen è tornato in gara dopo il Tour. Qui è battuto da Milan, ma sta già ritrovando la sua brillantezza
Facciamo un passo indietro, Alessandro: Zolder 2002. Situazione vagamente simile. Anche quella volta c’erano tre velocisti: tu, Lombardi e Cipollini…

Lombardi era lì perché era l’ultimo uomo di Mario e non perché fosse un velocista. Io ero lì perché ero andato bene in primavera e al Giro. Nella prima parte di stagione Cipollini lo avevo anche battuto, ma come detto, lui aveva inanellato una serie importante di vittorie e sarei andato per aiutare. Ero adatto a quel percorso. Già se fosse stato l’anno dopo, il 2003, probabilmente non avrei accettato.

Comprensibile…

Quella era una squadra forte con un solo unico leader ed un obiettivo e non poteva non andare così. Abbiamo preso in mano la corsa sin da subito. Non ci sono mai stati rivali in campo, abbiamo fatto e gestito noi azzurri tutta la gara. Quella nazionale era fortissima per quel tipo di percorso.

Che lavoro fece Ballerini? Ricordiamo anche di qualche polemica che girava prima del mondiale: qualcuno metteva in dubbio che avresti rispettato i ruoli…

So bene a cosa vi riferite. Tutto nacque da Giancarlo Ferretti, mio diesse alla Fassa Bortolo, che un po’ spingeva per me e un po’ non amava molto Cipollini. Fece delle dichiarazioni e i giornalisti iniziarono a parlare di questa cosa. E io rischiai persino di fare la riserva! Al mondiale ero in camera con Bramati, corridore importante, esperto e uomo fidato di Ballerini. Ogni sera in hotel, mi parlava un’ora, un’ora e mezza della corsa. Voleva fare gruppo, sincerarsi che stessi ai patti e che accettassi il lavoro da fare… Ma non ce n’era bisogno. Io non dissi mai di non essere d’accordo.

Che storie!

Solo il venerdì sera ebbi un incontro da solo con Ballerini. Gli risposi che se fossi venuto per fare la mia corsa con Cipollini in squadra, me ne sarei stato a casa. Gli dissi che poteva contare su di me, che mi sarei messo a disposizione. Poi è chiaro che se Mario avesse avuto dei problemi, se fosse caduto, a quel punto si sarebbe corso per me.

Ballerini e Petacchi a colloquio. Ma nel mondiale di Zolder per il Peta non ci sarebbe neanche stato bisogno di parlare
Ballerini e Petacchi a colloquio. Ma nel mondiale di Zolder per il Peta non ci sarebbe neanche stato bisogno di parlare
Il che era anche scontato…

Fare quel mondiale sarebbe stata comunque un’occasione, anche se avessi lavorato per lui. Se fossi rimasto a casa perché volevo essere io il leader quell’occasione non l’avrei avuta a prescindere. Quindi diedi la mia parola a Ballerini e la mantenni.

E tirasti anche forte nel finale. Dai 750 metri…

Diciamo dal chilometro e cento – interrompe con fermezza e orgoglio Petacchi – ai 350 metri (qui il video dei 1.500 metri finali, ndr). Davanti a me infatti ci sarebbe dovuto essere Bettini. Ma Paolo rimase intruppato in un contatto con Freire e non riuscì a risalire. Per non rallentare il treno entrai subito in scena io e tirai il più possibile. Fu una situazione complicata. Se mi fossi spostato prima non sarebbe stato uno scandalo.

Già fare 400 metri al vento in quelle situazioni è qualcosa di mostruoso. Figuriamoci 700 metri…

Avrei poi lasciato lungo Lombardi e magari Cipollini non avrebbe vinto. A quel punto immaginate che discussioni che sarebbero emerse. “Petacchi non si è tirato indietro, non ha fatto lui la volata, ma ha cercato di fargliela perdere”. Per questo dico che tra Merlier e Philipsen non sarà facile.

Belgio al bivio: agli europei con Merlier o Philipsen?

26.08.2024
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Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Alfredo Martini, eppure c’è chi in Belgio avrebbe bisogno della sua arte e della sua saggezza. Per fare la squadra da schierare ai prossimi campionati europei e mettere d’accordo Philipsen e Merlier (i due sono insieme a Matthews nell’apertura) sarebbe davvero preziosa la capacità di sintesi di chi ha schierato Moser con Saronni. Oppure Bugno, Fondriest e Argentin. Ma Alfredo non c’è più e per Sven Vantohurenhout la scelta si prospetta come una bella gatta da pelare. Al punto da avergli fatto dichiarare di trovarsi nel momento più difficile della carriera.

L’ultimo capolavoro di Vanthourenhout (il terzo da destra) è stato l’oro olimpico di Evenepoel (photonews.be)
L’ultimo capolavoro di Vanthourenhout (il terzo da destra) è stato l’oro olimpico di Evenepoel (photonews.be)

La provocazione di Lefevere

A rendergli il compito ancor più scomodo ci si è messo Patrick Lefevere, manager di Merlier alla Soudal-Quick Step. Dopo aver lodato le capacità del tecnico, il vecchio belga si è detto certo che agli europei Vantohurenhout porterà il suo corridore. Perché a suo dire lo merita più dell’altro. Perché è vero che Philipsen ha vinto tre tappe al Tour, cui Merlier (che ne ha vinte 3 al Giro) non ha partecipato dovendo lasciare spazio a Evenepoel, ma lo avrebbe fatto solo grazie a Van der Poel.

«Spero che alla base di questa scelta – ha detto – non ci siano giochi politici. So che i corridori stessi non ne sono entusiasti, ma se fossi il tecnico della nazionale, selezionerei sia Merlier che Philipsen, perché entrambi possono fare la propria corsa. In una gara a tappe, una squadra con due velocisti non è mai una buona idea, ma i campionati europei durano un giorno. A volte la scelta migliore è non fare una scelta».

Nel 2002 il capolavoro di Ballerini fu vincere il mondiale con Cipollini mettendo al suo servizio Petacchi
Nel 2002 il capolavoro di Ballerini fu vincere il mondiale con Cipollini mettendo al suo servizio Petacchi

Come a Zolder 2002

In realtà ci sarebbe bisogno anche di Franco Ballerini. Il cittì toscano, che in quei giorni aveva comunque Martini al fianco, si trovò a fare la squadra per i mondiali di Zolder. La zona è la stessa e anche il percorso è simile: 222 chilometri con appena 1.273 metri di dislivello. E quella volta, Ballero per tirare la volata a Cipollini portò Petacchi e Lombardi, con il giovane Bennati come riserva. Ci fu una sorta di patto d’onore fra gli azzurri e tutto funzionò alla perfezione. I belgi saranno in grado di fare lo stesso?

«Ogni giorno rispondo al telefono e sono in contatto con i corridori – dice Vanthourenhout – voglio dare presto la squadra. In realtà guardiamo tutti a quei due nomi, ma la rosa è parecchio più ampia. Abbiamo anche Meeus, Thijssen, Van Aert o De Lie. Ci sono tanti bravi velocisti in questo momento. Ma certo, se parliamo di velocisti puri di altissima qualità, torniamo a Philipsen e Merlier. Se ci sarà da lasciarne a casa uno, sarà molto importante comunicare chiaramente il motivo per cui ho preso la decisione. Ma con Jasper e Tim è una cosa molto difficile. Non ci sono argomenti a favore di uno sull’altro».

La variabile Van Aert

Il discorso porta nella stessa direzione indicata da Lefevere, a patto però che alla fine entrambi convergano su una sola volata e non su due sprint paralleli. La soluzione potrebbe gettare nello scompiglio gli avversari, ma potrebbe anche sgretolare la forza della squadra belga.

«Stiamo valutando se è possibile averli entrambi», spiega Vantohurenhout, che ha già gestito la convivenza di Evenepoel con Van Aert a Wollongong e Parigi. «Tuttavia il mio punto di vista è sempre stato che una squadra con due velocisti sia molto difficile da guidare. Tim e Jasper conoscono la mia posizione».

I due hanno corso insieme nel 2021 e 2022 e gli capitava spesso di partecipare alle stesse corse, però allora Merlier era il velocista già affermato e Philipsen il giovane che spingeva per uscire. Ora i due sono quantomeno alla pari, salvo che nel frattempo Philipsen ha vinto la Sanremo ed è arrivato secondo alla Roubaix.

L’attuale Van Aert della Vuelta potrebbe essereun autorevole candidato al ruolo di leader agli europei
L’attuale Van Aert della Vuelta potrebbe essereun autorevole candidato al ruolo di leader agli europei

«So che potrebbero farlo – annota Vantohurenhout – ma alla fine sarò sempre io che prendo la decisione: li ascolterò e poi seguirò il mio istinto. Se non dovesse finire bene, starà a me renderne conto. E se poi Van Aert dovesse dire di voler partecipare, le cose saranno ancora più complesse, perché a quel punto non è detto che servano entrambi i velocisti. Non è che perché uno fa sempre e solo le volate, in nazionale non possa fare qualcosa di diverso. Comunque a breve arriverà la squadra. Non penso sia colpa mia, al momento però abbiamo un’abbondanza enorme di corridori con le stesse caratteristiche. E’ un enigma difficile da risolvere, ma questa settimana vorrei sciogliere gli ultimi nodi».

Guillestre, chilometro 21,1: il ring perfetto per Girmay e Philipsen

19.07.2024
4 min
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EMBRUN (Francia) – Guillestre, paesino con il campanile e il castello nel Parco Naturale del Queyras, sarà teatro dello sprint a punti della tappa di oggi. Passaggio previsto fra le 12,56 e le 12,58. Girmay potrebbe chiuderla o essere costretto a rimandare al giorno dopo. Non è un paese a caso, bensì quello da cui parte la scalata del Vars. I velocisti, soprattutto Girmay e Philipsen, avranno 21,1 chilometri per scaldare la gamba e sprintare per i 20 punti che vanno al primo, i 17 del secondo, i 15 del terzo e poi giù a scendere. Ad ora il distacco è di 34 punti, con 60 ancora a disposizione.

La differenza potrebbero farla certo la volata, ma anche la fatica dopo le salite che si stanno accumulando. Nella volata intermedia di mercoledì a Veynes, il corridore eritreo della Intermarché-Wanty ha dimostrato di aver ben recuperato dalla caduta, piegando il rivale nello sprint per il quinto e sesto posto, dato che davanti viaggiava la fuga. Ieri anche peggio da loro punto di vista, dato che la fuga di giornata ha spazzolato ogni punto residuo sulla strada. E così oggi, nella tappa che gli scalatori rispettano e i velocisti temono, dopo 21,1 chilometri ci sarà una volata di tutto rispetto.

La caduta di Girmay

Girmay è caduto martedì, prima del traguardo di Nimes che rappresentava l’ultima occasione per i velocisti. Con lui sono rimasti indietro quasi tutti i più forti, così che Philipsen ha avuto gioco anche più facile nel vincere la sua terza tappa di questo Tour. L’eritreo della Intermarché-Wanty ha riportato contusioni alla spalla, al gomito e al ginocchio, ma non ci sono state fratture. Nonostante i cerotti, quando mercoledì si è trattato di sprintare sulla riga di Veynes ha superato piuttosto agevolmente il belga che la verde la vinse lo scorso anno.

«Quando sono caduto – ha raccontato Girmay – ho detto alla squadra: “Non è un problema, mi sento davvero forte mentalmente e fisicamente”. Sono andato dal dottore dopo la corsa per escludere che ci fosse qualcosa di peggio. Sono felice di aver potuto dimostrare che sono ancora in questa lotta fino a Nizza».

Jasper Philipsen ha già avuto modo di vincere tre tappe come Girmay e la verde nel 2023
Jasper Philipsen ha già avuto modo di vincere tre tappe come Girmay e la verde nel 2023

Philipsen non si ritira

Il messaggio chiaramente era destinato anche a Philipsen, di cui Girmay è diventato ormai l’ombra. Davanti a una tattica così cauta e attenta, anche il tecnico della Alpecin-Deceuninck ha voluto dire la sua.

«E’ più facile difendere questa maglia che andare a prenderla», ha ammesso Philip Roodhooft, allenatore dell’Alpecin-Deceuninck. «Ma se si guarda lo sprint di mercoledì, non credo che Jasper abbia intenzione di ritirarsi».

Il ritiro è un’opzione che qualsiasi velocista inizia a valutare quando alla fine del Grande Giro non c’è una volata bensì una crono. Parlando di velocisti in buona forma, quello che potrebbe incidere potrebbe essere qualche intoppo, derivante magari da recupero precario o dallo stato di salute.

Biniam Girmay occupa la testa della classifica a punti. Ha vinto anche lui tre tappe
Biniam Girmay occupa la testa della classifica a punti. Ha vinto anche lui tre tappe

Asmara in delirio

E’ innegabile che in ogni tappa Girmay venga ripreso nei pressi dell’auto del medico e che dopo l’arrivo di ieri abbia eseguito degli allungamenti del braccio destro. Ma qui entrano in ballo altri fattori.

«Il ritiro è da escludere – dice però lui – da quando mio padre mi ha detto che la folla era in delirio ad Asmara. Non c’era nessuno per le strade dalle 14 in avanti, perché stavano guardando la tappa».

Non si molla niente. Non ci meraviglieremmo di vedere le loro squadre già scaldarsi sui rulli. In una giornata così severa, con il Vars, la Bonette e l’arrivo a Isola 2000, l’idea di partire tutti in fila potrebbe non rendere entusiasti anche gli uomini di classifica.

L’ultimo sprint di Cavendish, che alla fine ci mette il cuore

16.07.2024
6 min
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NIMES (Francia) – Jasper Philipsen ha vinto l’ultima volata del Tour, la terza per lui. Questa volta Van der Poel è stato una forza, con quel guizzo che tradisce la forma in arrivo per Parigi. Una caduta ha tagliato fuori Girmay dalla possibilità di vincere la quarta tappa, perciò i due ora sono tre a tre e così sarà fino a Nizza. La differenza la farà la voglia di arrivare in fondo. Di solito quando non ci sono più volate e tante montagne, i velocisti tendono a squagliarsi, ma questo è il Tour e Girmay comunque a Nizza ha da portare la maglia verde. Chi cercherà di tenere duro ad ogni costo è invece Mark Cavendish.

Oggi “Manxman” ha preso parte alla sua ultima volata al Tour de France, anche se il finale non è stato quello che si aspettava. Eppure, come quando Manzoni vinse la tappa di Cava dei Tirreni ma nessuno se ne accorse (perché tutti guardavano Pantani), ai piedi del pullman dell’Astana c’è mezza sala stampa per raccogliere la voce di colui che ha fatto la storia e oggi non ha vinto. Cavendish si è fatto voler bene. Raramente si è aperto raccontando le sue fragilità e quando lo ha fatto è nato un capolavoro disponibile su Netflix, la cui visione è illuminante.

La commozione di Renshaw

Mark Renshaw, il direttore sportivo richiamato proprio per la missione impossibile, è sceso a fatica dall’ammiraglia. Sembrava commosso, è bastato sentirlo parlare per capire che lo fosse davvero. Il caldo è pesante e umido, l’australiano e le sue lentiggini tendevano vivacemente al rosso. Insieme hanno vissuto decine di volate e poi i momenti più duri di questa risalita.

«Abbiamo raggiunto ciò per cui siamo venuti – ha detto prima di sparire sul bus – e questo è stato davvero l’ultimo sprint di Mark Cavendish. Non so come sia andata, parlerò con i ragazzi, ma siamo felici di aver raggiunto il nostro obiettivo. Nel team tutti credevano che sarebbe stato possibile, è per questo che abbiamo costruito il progetto. Se lo conosco, Mark sarà arrabbiato per oggi e per un paio di altri giorni in cui non siamo riusciti a farcela. Però ha fatto uno sprint magico nella quinta tappa ed è diventato l’uomo che ha vinto più tappe nella storia del Tour.

«Non mi ha sorpreso, lui in questa corsa si trasforma. Se vince una tappa alla Tirreno-Adriatico o al Giro d’Ungheria, non cambia molto. Solo al Tour de France cambia davvero. Quanto a me, è stato diverso. Sono partito in un Tour in qualità di direttore sportivo. Mi piace molto come lavoro, c’è molta pressione, ma è una pressione da parte mia per fornire loro quante più informazioni possibili. Tutti i ragazzi e tutti coloro che hanno fatto parte di questa vittoria ne sono davvero orgogliosi. E adesso daremo il 110 per cento per arrivare al traguardo di Nizza».

Nonostante la volata sfumata, Cavendish ha parlato con grande calma e alla fine si è aperto
Nonostante la volata sfumata, Cavendish ha parlato con grande calma e alla fine si è aperto

Il pullman di Borselli

Sotto al pullman dell’Astana già da qualche minuto è tutto uno sgomitare di telecamere che vogliono accaparrarsi la prima fila. Poi si trova un’intesa, fra quello che si abbassa, quello che tira fuori l’asta del microfono e chi chiede a un bambino, beato in prima fila, di tenere per lui il telefono con il registratore acceso. Borselli sale, sbircia e poi scende, l’attesa continua. E poi Mark viene giù, con il sorriso sul volto e il saluto per la gente che al suo apparire esplode in un applauso.

Ci racconti gli ultimi chilometri dal tuo punto di vista?

Eravamo abbastanza ben posizionati. Arrivando al finale, c’erano molte squadre tutte insieme, potete vederlo da qualunque immagine. Poi è spuntata una rotatoria nel posto sbagliato e nel momento sbagliato ed è successo un pasticcio. Alcuni ragazzi sono riusciti a passare, altri no. Alcuni sono scesi di bici, Girmay è caduto. Forse a questo punto, la cosa più importante è che stiano bene e siano arrivati sani e salvi. Non ho visto molto, appena un piccolo filmato. Negli ultimi tre chilometri potevamo andare solo da un lato di ciascuna rotatoria, per cui tutti avevano la stessa idea. C’è solo un pezzo di corda, a volte capisci bene e a volte no. Ecco cosa è successo…

A Plateau de Beille, Cavendish è arrivato quasi trasfigurato. Da domani e fino a Nizza sarà così quasi ogni giorno
A Plateau de Beille, Cavendish è arrivato quasi trasfigurato. Da domani e fino a Nizza sarà così quasi ogni giorno
E’ la fine di un’era, in qualche modo…

Abbiamo fatto ciò che ci eravamo prefissati di ottenere e lo abbiamo fatto presto, quasi all’inizio. Poi io ho provato a fare altre volate e la squadra a fare qualcosa con Harold (Tejada, ndr) in montagna. Non ci resta che tenere duro fino all’ultimo traguardo.

Che tipo di spirito cercherai di portare in questi ultimi giorni?

Sulle Alpi la corsa sarà difficile, mi sono allenato un bel po’ da quelle parti. Resteremo sempre insieme e cercheremo di farcela. Speriamo che Tejada e Lutsenko possano fare qualcosa. Domenica abbiamo visto Harold restare a lungo con i migliori, così almeno noi velocisti non avremo più pressione addosso. Ora si tratta solo di percorrere il resto dei chilometri e provare a restare nel tempo massimo, sperando che Pogacar ce lo permetta (ride, ndr).

Tutti qui hanno passato l’intera giornata a essere nostalgici, hai un momento per ammettere se è così anche per te?

E’ incredibile vedere il supporto qui al Tour. E’ stato fantastico vederlo all’inizio e alla fine di ogni tappa e anche durante la corsa. Sono molto fortunato ad avere persone così incredibili che mi seguono e che vivono la mia carriera con me. Non so da quanti anni sento tutto e apprezzo tutto questo. Vedete questo bambino? Forse tra dieci anni correrà il Tour de France e magari sentire queste cose lo ispirerà. Lo farai?

Autografi alla sua gente prima di salire sul pullman: ora l’obiettivo è arrivare a Nizza
Autografi alla sua gente prima di salire sul pullman: ora l’obiettivo è arrivare a Nizza

Cavendish si è rivolto al bambino in prima fila, quello col telefono in mano. Ma il bimbo è francese e dell’idioma smozzicato di Cav probabilmente non ha capito un bel niente. Però lo guarda rapito e forse l’effetto sarà lo stesso. E Mark ricomincia: «Tra qualche anno farai uno sprint? Dì solo di sì. Annuisci, dì di sì…». E poi scoppia a ridere…

C’è spazio per l’emozione adesso?

Sono stato in mezzo a loro per quasi due anni negli ultimi venti, sommando i giorni del Tour. Questa è stata la mia famiglia (si sofferma per un istante che dura una vita, ndr). Non ho fatto festeggiamenti da quando ho iniziato il Tour de France. Ho festeggiato correndo il Tour e ho sofferto al Tour. Ho mostrato al Tour il rispetto che merita e ho avuto successo. E adesso verrà il momento di festeggiare. Ho ricordi fenomenali di questa corsa, dalla prima tappa a quella che sarà l’ultima. Sono uno dei tanti corridori di una gara che ogni anno diventa il più grande evento sportivo del mondo. Sarà strano vederlo da casa, ma è stato molto bello farne parte.

Vingegaard getta la maschera: sui Pirenei sarà caccia a Pogacar

12.07.2024
6 min
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PAU (Francia) – Nell’immensa bolgia che ha accolto il gruppo a Pau, a un certo punto non s’è capito più niente. Eravamo al pullman del UAE Team Emirates a parlare con Ayuso, ritirato per il covid, quando s’è sparsa la voce che Pogacar fosse caduto prima della volata. Il tempo di capire che non fosse vero e ci siamo trovati davanti alla maglia gialla che invece lo sprint addirittura l’ha fatto. Certo alla larga dallo sgomitare dei velocisti, ma pur sempre una volata di gruppo. Già è abbastanza strano – ma emozionante – che corra in attacco infischiandosene delle astuzie e le cautele del leader, ma addirittura fare la volata di gruppo?

Domani Pla d’Adet, ma prima ancora il Tourmalet e Horquette d’Ancizan accenderanno il fuoco sotto il pentolone del Tour. Finora se le sono date, ma senza mai affondare il colpo. Domani potrebbe essere l’inizio di un nuovo viaggio. Oggi per qualche chilometro, Adam Yates li ha fatti tremare. La sua presenza nella fuga poteva significare ritrovarselo nuovamente in classifica. Per questo la Visma-Lease a Bike si è impegnata per chiudere.

Sprinter Pogacar

Eppure Pogacar se la ride. Sta facendo esattamente come negli ultimi due anni: fuochi d’artificio per tutti, ogni giorno, alla prima occasione. E domani che cominciano i Pirenei, Tadej si ritroverà senza Ayuso e con Vingegaard che vuole davvero capire a che punto si trovi.

«Il finale non era stressante – spiega la maglia gialla – ero nella mia zona sicura, la mia bolla ed ho evitato tutte le situazioni più frenetiche con la mente lucida. Alla fine però ho visto la possibilità di fare un piazzamento nei dieci e ho fatto la volata. Tranquilli ragazzi, non preoccupatevi. Semmai è più preoccupante l’abbandono di Ayuso, ma credo che abbiamo ugualmente una squadra fortissima. Soler e Politt stanno facendo un lavoro incredibile. Yates e Almeida in montagna sono due sicurezze. Sono tutti in forma per il lavoro che ci attende da domani. Sono le prime salite vere, finora non ce ne sono state, tranne forse nel giorno del Galibier. Considerata la situazione della classifica generale, ora possiamo correre un po’ sulla difensiva. Vorrei vincere la tappa, ma non spenderò troppe energie per quello».

Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme
Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme

Cecchino Vingegaard

Tanto è spavaldo Pogacar, per quanto è cauto e cinico Vingegaard. Il danese non ha l’appeal, il ciuffo e i modi telegenici dell’attuale maglia gialla, ma è un grande professionista. Cento giorni fa era messo davvero male, ora è qui con la sensazione che potrebbe nuovamente giocarsi il Tour. Pogacar l’ha capito e questa consapevolezza secondo noi ha reso meno rilassanti i suoi giorni. Forse il tanto sbandierare la serenità è la prima spia di qualche preoccupazione sorta nel frattempo?

«Entriamo in un terreno che mi si addice un po’ di più – dice Vingegaard – aspettiamo con ansia i prossimi giorni. Mi sento molto bene, oggi per noi è stata una bella giornata. Siamo arrivati tutti insieme, non abbiamo perso tempo con nessuno e adesso speriamo di poter recuperare bene fino a domani. Yates in fuga non era la situazione ottimale, non volevamo lasciarlo rientrare nella classifica generale, per questo abbiamo preferito riprenderlo. Da questo punto di vista è stata una giornata dura. Abbiamo provato anche a spaccare il gruppo con i ventagli, ma alla fine i principali avversari erano ancora lì e non avrebbe avuto molto senso continuare a spingere e suicidarsi.

«Da domani però non ci sarà spazio per nascondersi, ma vedremo come verrà gestita la tappa. Dovremo solo aspettare e vedere. Non ho intenzione di dire cosa faremo domani, ma abbiamo le nostre idee. E’ il fine settimana che mi si addice meglio, per cui spero in una corsa dura. Potrei anche attaccare. Finora abbiamo ragionato sul presente, anche perché non stavo benissimo: da domani inizieremo a lavorare per il futuro».

Nostalgia di Parigi

Philipsen della presenza di Pogacar in volata dice di non essersi accorto. Non che sarebbe cambiato qualcosa. Il belga, già primo a Saint Amand Montrond, ha fatto la sua traiettoria creativa, spostandosi dal centro sulla destra e resistendo poi alla rimonta di Van Aert. Al momento del cambio di linea, Wout non ha potuto fare altro che prendergli la ruota. Sarà perché convive male con il soprannome “Disaster”, quando gli chiedono che cosa pensi delle lamentele di qualche avversario, Jasper si indurisce e taglia corto. Hai qualche commento?

«No comment. Non mi piace questa domanda». Le domande dirette si possono fare, poi tutti pronti a ricevere risposte come questa. Il belga va avanti nel discorso dicendo che solo a fine Tour faranno un’analisi per capire che cosa non abbia funzionato nella prima settimana, ma che due vittorie non sono così male. Non vuole parlare di forma che non c’era e tantomeno di sfortuna, per paura che ne chiami altra. Poi con quel ghigno furbetto da velocista spiega che è impossibile prendere nuovamente la maglia verde. E che da velocista trova singolare che il Tour non finisca a Parigi.

«E’ davvero strano – sorride (penserà già al ritiro dopo la tappa di Nimes?) – manca lo zuccherino in fondo. Non è la sensazione più bella, ma è così e non possiamo cambiarlo. In pratica sappiamo che dopo la tappa 16 ne avremo altre cinque in cui soffriremo per arrivare in fondo. Dovremo restare forti, questo è il Tour del 2024».

Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa
Wout Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa

Van Aert diviso a metà

Chi si va mangiando le mani è Wout Van Aert, anche oggi secondo, come se gli mancasse la forza necessaria per volgere la volata a suo favore. Sempre alla ricasca degli altri, scegliendo traiettorie non sempre ideali.

«C’erano vibrazioni da vere classiche oggi – dice – un po’ di vento, terreno collinare e tappa a tutto gas dal colpo di pistola. Mi è davvero piaciuta, per questo è un peccato che non riesca ancora a vincere. Il gruppo era piccolo, tanti pensavano di potercela fare. Ho sbagliato ritrovandomi in testa troppo presto, per il vento che c’era. Quando è così, a volte sei troppo lontano e a volte troppo davanti. Ho dovuto aspettare un po’ ai 350 metri dall’arrivo, perché sarebbe stato troppo presto. Forse se fossi partito ai 200, avrei vinto, ma non dirò mai che non sono soddisfatto del lavoro di Laporte per me. Domani inizia di nuovo un’altra gara e daremo pieno supporto a Jonas. Spero di svolgere il mio compito, ma a questo punto spero anche di vincere una tappa. Nella seconda settimana mi sto sentendo bene, il grande risultato è nelle gambe, ma devo dimostrarlo anche sulla bici».

Philipsen di rabbia. Il belga si sblocca e attacca la verde

09.07.2024
5 min
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«Sapevamo di non essere partiti al massimo della forma, ma stiamo tutti crescendo e ci sono ancora belle tappe da vincere», Jasper Philipsen, re dell’ultima Sanremo, di fatto continua il suo urlo anche dopo l’arrivo. In quel suo sprint c’erano rabbia e frustrazione. E chiaramente tanti watt.

Chi avrebbe mai detto, prima di questo Tour de France, che all’inizio della decima tappa il tabellino del corridore della Alpecin-Deceuninck  sarebbe stato ancora a zero dopo il predominio assoluto dell’anno scorso?

Tappa piatta in ogni senso, che ha vissuto in attesa dello sprint e di un maltempo finale che non c’è stato

Piattone francese

La Orléans-Saint Amand Montrond non prevede Gpm e come già accaduto in molte altre frazioni di questa Grande Boucle si è corso “da Giro d’Italia”, con la bagarre che è esplosa solo nel finale. Anche qui al Tour dunque non si fa più la fuga per far vedere la maglia, quando prima la si cercava a tutti i costi? C’è molto meno nervosismo del solito in gruppo, tanto è vero che i ritiri sono stati pochissimi sin qui, appena quattro.

Ma torniamo a Philipsen. Ieri aveva cercato di recuperare il più possibile. La sgambata con i compagni, gli autografi ai fan… ma mancava qualcosa. Secondo posto al campionato nazionale e ancora due piazze d’onore in questo Tour, più una squalifica, altrimenti sarebbero stati tre.

«Tutto sembrava andare contro di me nella prima settimana – ha detto Jasper ai media belgi – posso dirvi che non sono rimasto positivo per tutto il tempo, c’è stata delusione. Ho cercato solo di rimanere concentrato, di mantenere la calma e fare quello che dovevo. Non penso di essere meno forte dell’anno scorso. A volte è solo questione di opportunità».

E questa tappa senza Gpm era l’opportunità perfetta. E lo era anche perché una fuga, che tra l’altro ricordiamo neanche c’è stata, non avrebbe fatto paura. Si sarebbe potuti correre tranquilli, risparmiando energie… Energie quanto mai preziose quando si è in certe condizioni di tensione.

Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti
Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti

Jasper di rabbia

Neanche il maltempo o il vento, tanto attesi, ci mettono lo zampino. E il duo delle meraviglie può scatenarsi. Sembra di tornare indietro di un anno. Ai 700 metri si mette in moto il “TVP”, Treno Van der Poel”.  Mathieu schiaccia l’acceleratore. Il gruppo si allunga e Philipsen lo segue ad un centimetro (anche questa è una dote a certe velocità).

L’iridato si sposta. Come un gatto Jasper si alza sui pedali e scarica a terra tutta la sua potenza. Il tempismo e l’aerodinamica di questo momento sono perfetti. Un gesto eseguito così bene che alle sue spalle si apre immediatamente un varco. Girmay deve così lottare improvvisamente con più aria: passa dalla terza alla seconda ruota e con Philipsen già sui pedali incassa mezzo metro di distacco. In un attimo si ritrova con un buco di una bici.

«Ho già detto più volte che l’anno scorso quasi ogni sprint è stato un successo – ha ribadito Van der Poel dopo l’arrivo – tutto andava perfettamente, ma non è sempre così. Oggi eravamo tutti estremamente motivati. Ci sono poche opportunità per noi come squadra. E sono felice che ora siamo sulla buona strada. Dubbi su Philipsen? Mai avuti e neanche lui dovrebbe averne».

E dopo l’urlo la liberazione di Philipsen: «Sono molto felice per la squadra che ha continuato a crederci e ha ottenuto una meritata vittoria. Non era facile dopo cinque sprint non vinti».

L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen
L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen

Maglia verde

Questa vittoria di Philipsen riapre i giochi per la maglia verde. E lo fa non tanto per i 20 punti rosicchiati all’eritreo, ma per quel click che è avvenuto nella testa dello sprinter numero uno al mondo.

«Ci sono ancora diverse occasioni per noi velocisti e tanti punti in palio – ha detto Philipsen – Biniam ha tanti punti di vantaggio ma con la squadra in crescita ci proveremo. Oggi i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Jonas Rickaert ha iniziato bene, Robbe Ghys e Mathieu Van der Poel mi hanno poi portato in posizione perfetta sul rettilineo finale».

Tuttavia non sarà facile battere Girmay. Anche oggi ha fatto secondo, è in una fase di sicurezza importante e lo testimonia la sua costanza di rendimento e il fatto che a Troyes sia arrivato con i big.

La lotta per la maglia verde pertanto è più accesa e intensa che mai e sembra un discorso a due. Anche se, visto il percorso del Tour, Girmay ci sembra leggermente favorito. In salita tiene meglio di Jasper. Ma adesso Philipsen è in fiducia.

L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello
L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello

Big o fuga?

Infine uno sguardo a domani. Tappa ideale per le imboscate da fuga ma anche per la classifica. Il Massiccio Centrale è una trappola continua.

Probabilmente i big torneranno alla ribalta verso Le Lioran. Se oggi è stata calma piatta è auspicabile che domani se le daranno di santa ragione, tanto più visto il dislivello complessivo che li attende: oltre 4.000 metri.

Le parole forti delle conferenze stampa del giorno di riposo sembrano un lontano ricordo. Forse proprio perché già si pensava a domani. Gli ultimi 35 chilometri in particolare sono senza respiro. C’è anche un abbuono in palio sul penultimo Gpm (Col de Pertus) e il Col de Font Cère è a soli tremila metri dall’arrivo.