Un plebiscito di voti su Facebook a favore della maglia di Eolo-Kometa e di colpo la divisa del team di Basso e Contador si è ritrovata sul gradino più alto del podio. Il concorso era nato per far vedere i bellissimi disegni di Jeroen Annaert e in breve si è trasformato in un fiume di commenti. Perciò, essendo di parola, ecco la storia della maglia vincitrice, disegnata e realizzata dalla spagnola Gobik con il contributo decisivo di tutti gli sponsor coinvolti. A farci da guida in questo progetto azzurro, con tratti di rosso, verde e bianco è Gino Donà, madrileno di padre ligure che nell’azienda spagnola è responsabile dell’area commerciale.
Ecco il bozzetto realizzato da Jeroen Annaert, vincitore del nostro concorsoEcco il bozzetto realizzato da Jeroen Annaert, vincitore del nostro concorso
Una maglia spagnola su un team italiano…
Il nostro rapporto con la Fundacion Contador, quindi con Alberto e suo fratello Fran, e con Ivan Basso è molto stretto. Si può parlare di vera amicizia, per cui c’è voluto poco per trovare un’identità forte. L’anno scorso, quando la squadra era Kometa, avevamo lavorato per un look che garantisse la miglior visibilità, ma in genere la nostra filosofia è produrre divise belle, visibili ed eleganti, anche seguendo le tendenze della moda.
La maglia di Eolo è insolitamente pulita.
C’è stata da subito grande affinità. Quando si devono mettere d’accordo più marchi, è importante che tutti concedano qualcosa per conciliare i vari loghi. Vedere che la nostra maglia ha vinto il vostro contest con tanto vantaggio su Bora e Trek è emozionante e gratificante.
Anche il colore della bici Aurum è coordinato con la magliaAnche il colore della bici Aurum è coordinato con la maglia
Domina l’azzurro.
Un colore legato più a Eolo che a Kometa. L’idea ora è di mantenere la linea senza grossi cambiamenti. L’azzurro, il bianco, il rosso e il verde per una squadra che si è rinforzata con tanti corridori italiani sono la scelta più giusta. Ma non è mai facile, perché fino all’ultimo i team lottano per inserire nuovi sponsor e questa è la sfida più forte. Insieme a quella di coordinare tutto.
Coordinare cosa?
Non ci sono solo le maglie. Vanno abbinate alle ammiraglie, al pullman e a tutto ciò che è grafico, per creare l’identità della squadra, anche facendo leva sulla visibilità di due testimonial come Alberto e Ivan.
La linea Gobik va coordinata con le auto, il bus e le ammiraglieLa linea Gobik va estesa alle auto, al bus e alle ammiraglie
La maglia deve essere visibile.
Ti devi vedere dall’alto, per quando ti riprende l’elicottero, dalla moto, sull’arrivo e sul podio. E’ importante avere un colore riconoscibile da lontano e per questo è necessario capire come si muovono le altre squadre. Che brutto quando ci sono più squadre con lo stesso colore. Poi bisogna sapere che dall’elicottero non riuscirai a leggere il logo, ma deve in qualche modo diventare riconoscibile per la sua forma. Mentre deve essere perfettamente leggibile nell’inquadratura frontale, al traguardo e sul podio. Per cui una delle nostre attenzioni è dare delle raccomandazioni sulla misura dei loghi sulla maglia.
Gobik lo sa bene: la maglia deve esser visibile da ogni inquadraturaLa maglia deve esser visibile da ogni inquadratura
Hai parlato dell’idea di mantenere la linea.
Se continueremo a lavorare insieme anche nei prossimi anni, lo sviluppo della grafica del team deve essere coerente alle idee da cui è nato. Ridisegnare ogni anno tutto quanto disperde l’identità della stessa squadra.
A Besozzo c’è il sole e Casa Eolo si stacca contro l’azzurro, risultando anche più imponente. Quando il cancello finisce di scorrere, il saluto di Ivan Basso è pieno di orgoglio e buon umore. Siamo nella sede del Team Eolo-Kometa che lui per primo e poi Luca Spada hanno voluto, proprio nel luogo da cui è iniziata la fortuna di Eolo. C’è del simbolismo positivo anche in questo, assieme alla sensazione di un progetto che sta mettendo solide radici. Conosciamo Ivan sin dagli juniores, l’ambizione non è mai stata un problema. Gli anni e le esperienze hanno portato anche un’interessante visione da manager.
Il cartello campeggia accanto alla porta d’entrata di Casa EoloIl cartello accanto alla porta di Casa Eolo
Siamo i primi, ammette mentre fa gli onori di casa, a varcare questa porta. Il colpo d’occhio è intrigante. Si vedono le postazioni per i computer, dove l’addetto stampa Francesco Caielli è già al lavoro assieme a Carmine Magliaro che segue la logistica delle prime corse. La cucina. Alcune stanze con il nome sulla porta. La sala interviste: Eolo on Air. La sala riunioni: Cuvignone. L’ufficio di Ivan: Zoncolan. La sala più grande, per i meeting con il team: Stelvio. E mentre Basso spiega, si ha la sensazione che l’obiettivo sia aggiungere altri pezzi. Un deposito per i mezzi, ad esempio, come pure una foresteria per gli atleti.
Ne parlavi da anni, ce l’hai fatta…
Ce l’ho in testa da sempre (sorride, ndr) perché la casa dà un senso di appartenenza. Nel tempo le squadre si sono evolute. Qui nei dintorni ci sono le basi degli australiani e della Uae, con centri molto belli. La nostra idea sin dall’inizio era quella di creare un posto dove l’allenatore, l’addetto alle pubbliche relazioni, gli sponsor e i manager possano lavorare insieme, perché così nascono le idee. Vogliamo che Casa Eolo diventi un riferimento per la nostra regione. Io sono di Varese, ho cominciato qui e qui ci sono i miei tifosi. Eolo è nata proprio in queste stanze e Spada abita qualche chilometro più in là. C’è l’orgoglio varesino e questa casa era il primo tassello, poi sono venuti i materiali, le bici e tutto il resto. La prima cosa è il progetto, poi vengono gli uomini.
Che cosa intendi?
Si è discusso anche del valore tecnico del team, ma si è fatto il mercato alla fine. La priorità era fare una squadra italiana, c’erano 14 corridori liberi e ne abbiamo presi 10. La parte importante è essere partiti da un’idea e nell’idea c’era di trovare dei direttori sportivi come Stefano Zanatta e Sean Yates con cui si può costruire qualcosa di importante, aiutando Jesus Hernandez a maturare. Per migliorare questa squadra serve gente esperta. Prima il progetto, appunto, poi gli uomini.
Basso con l’addetto stampa Francesco CaielliBasso con l’addetto stampa Francesco Caielli
Come stanno i ragazzi?
Ho visto un costante miglioramento, sin dal primo ritiro. Abbiamo lavorato cercando di curare ogni area. Era un gruppo da amalgamare, anche se molti si conoscevano. Si dice che sia una squadra nuova, ma in realtà ha già tre anni di vita comecontinental, già strutturata come una professional e con un budget consistente. Tanti nostri corridori sono nel WorldTour. Moschetti, Oldani e Ries. Ma credo di aver preso ragazzi che riusciranno a rilanciarsi. Albanese può tornare al livello di quando all’Hopplà i più forti erano lui e Ballerini. Anche Ravasi ha ancora tanto da dire. Tiriamo tutti nella stessa direzione.
Tutti?
Pedranzini, il signor Kometa, si sente il papà di tutti. Del resto se trovi un imprenditore che ha speso così tanto in una continental, visto il tipo di ritorno, è evidente che lo facesse soprattutto per passione. Poi è arrivato Spada, che ha messo il 53×11. E sì che dopo il Covid rischiavamo persino di non ripartire. Spada è arrivato e adesso quasi non riescono più a trattenerlo in ufficio. L’altro giorno era qui in Casa Eolo a montare i mobili…
Carmine Magliaro al lavoro per la logisticaCarmine Magliaro al lavoro per la logistica
Sembra che tu stia parlando di Paolo Zani ai tempi della Liquigas.
Me lo ricorda molto per la passione, nonostante fosse alla guida dell’azienda era sempre con noi. Spada è coinvolto al 100 per cento, chiede cosa facciano i ragazzi, vuole il calendario, chiama quando sente che c’è stata una caduta. Pedranzini è lo stesso e parliamo di uno che lavora dalle 4 del mattino fino alle 21. Le telefonate con lui si svolgono fra le 5,30 e le 6 del mattino. La famiglia viene dalla campagna, i fratelli sono in malga. Hanno disponibilità economica importanti e una vasta tipologia di aziende. Sono grandi lavoratori, ma vivono la squadra con un entusiasmo incredibile. E la cosa bella è che i due, Spada e Pedranzini, parlano spesso insieme.
La dimensione continental vi andava stretta…
Non aveva neanche tanto senso continuare in quel modo, per il tipo di impegno e di mezzi non ci sentivamo più troppo a nostro agio. Con Alberto e suo fratello Fran c’era condivisione anche su questo. Ma Spada non è arrivato dalla sera alla mattina, c’è dietro un lavoro di due anni e mezzo. Sono orgoglioso di aver cercato sponsor dove gli altri non sono andati. Non è vero che in Italia non ci sono i soldi, ma quanto tempo ho perso…
Alla Clasica de Almeria, la Eolo-Kometa guidata da Gavazzi e BellettiAlla Clasica de Almeria, Eolo-Kometa guidata da Gavazzi e Belletti
A fare cosa?
A spiegare in senso generico ciò che il ciclismo potesse fare in generale, mentre ogni azienda ha i suoi valori. Ho imparato da ogni rifiuto. Un imprenditore non sei tu a convincerlo, deve convincersi da solo. Tu puoi fargli vedere che cosa il ciclismo può fare per la sua azienda, ma se ti metti a tirarlo per la manica, è certo che ti mostra la porta.
Ci sono stati giorni in cui parlavi dei tuoi progetti come un visionario…
Me lo dicono ancora (ride, ndr). Mi accorgo che ho tante idee, ma le vedo solo io e magari sono irrealizzabili. A volte le dico e mi prendono per matto. A volte mi sveglio nel cuore della notte e devo comunicarle a qualcuno. Mi piace ascoltare le storie dei grandi imprenditori, c’è tanto da imparare. Questa squadra si evolverà perché tutti vogliamo che accada. Spada vive la squadra. Pedranzini è il nostro riferimento in Valtellina, un approdo sicuro dopo il Giro d’Italia.
Sembri contento?
Sono felice, è vero. Non è stato semplice, ma la vera soddisfazione è vedere che tutti si sentono coinvolti e che tante volte nemmeno serve parlare. Io seguo tutto, ma non mi occupo di tutto. Ho scelto delle persone per come le ho viste lavorare e so che faranno bene quel che devono.
Un orgoglioso padrone di casa all’inizio della nuova stagioneUn orgoglioso padrone di casa
Che cosa vuol dire andare al Giro d’Italia?
E’ importantissimo, è il sogno di ogni ragazzino che comincia a correre. Ho detto ai corridori che per noi saranno 21 campionati del mondo. Ci saranno le solite 5-6 squadre che lo monopolizzeranno e noi dovremo essere fra le altre 15-16 che lotteranno per vincere una tappa. Dovranno avere il fuoco dentro. In più confido nei direttori sportivi che abbiamo, che hanno vinto Giri e Tour.
Quanto sei presente con i ragazzi?
Non amo intromettermi. Magari in ritiro faccio tardi la notte a parlare con Zanatta e Yates: abbiamo scelto loro, è giusto che siano loro ad avere il rapporto e la responsabilità. Io cerco di dire il mio nel modo giusto, quando serve. Lo stesso fa Alberto. C’è una suddivisione dei ruoli che funziona. A Laigueglia inizieremo questa avventura. E davvero non vedo l’ora…
Malta, storia di un giorno venuto fuori quasi per caso. Ci sono Basso, Agnoli, il Ministro del Turismo e l'Ambasciatore italiano. E a sorpresa arriva Spada
Dario Andriotto, tirato in ballo giorni fa da Basso, ci spiega come lavorano sui giovani alla Eolo-Kometa. I criteri di scelta. E il rapporto con le squadre
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Al penultimo giorno di ritiro spagnolo, Stefano Zanatta si è messo a guardare i ragazzi che pedalavano davanti all’ammiraglia (in apertura, Gavazzi e Albanese) e sotto sotto ha provato un moto di soddisfazione. Si può cominciare col passo giusto, ha pensato. Poi è tornato a concentrarsi sulla guida. La Eolo-Kometa concluderà il primo training camp a Oliva con le ultime cinque ore di allenamento previste per oggi. E nel quaderno degli appunti del tecnico veneto sono finiti alcuni spunti su cui ragionare.
«Ci siamo allenati bene – dice – con tranquillità ed entusiasmo. Abbiamo sempre trovato bel tempo. Giusto ieri 16 gradi, ma è stato il giorno più freddo. Altrimenti siamo stati sempre sui 21 gradi, per cui i ragazzi sono usciti sempre con maglietta e pantaloncini».
Ivan Basso ha partecipato al ritiro per una settimana, uscendo in bici con i ragazziBasso ha partecipato al ritiro per una settimana
Adesso che li hai un po’… annusati, che gruppo hai tra le mani?
Un bel mix, fra giovani ed esperti. Abbiamo impostato il lavoro per tutti con Carlos Barredo e Giuseppe De Maria, i nostri preparatori. L’obiettivo di adesso è entrare bene in sintonia, per stabilire e confermare le linee guida della stagione. Siamo un gruppo ben strutturato, in cui io sono l’ultimo arrivato.
Con quali di questi corridori avevi già lavorato?
In pratica solo con Albanese e Wackerman, che ho avuto alla Bardiani. E’ passato del tempo, ma è certamente utile conoscersi, perché se non altro parliamo la stessa lingua. Altri due, Gavazzi e Belletti, li conosco ma li ho sempre avuti come avversari.
Quattro corridori dalla Androni alla Eolo-Kometa: Frapporti, Pacioni, Gavazzi e Belletti (foto)Belletti (sopra), Pacioni, Frapporti e Gavazzi dalla Androni alla Eolo
Quale sarà il loro ruolo in un team così giovane?
Hanno avuto entrambi l’opportunità di continuare. Di fatto, non avendoli portati al Giro d’Italia, nel 2020 hanno corso per una settimana e la loro motivazione è dimostrare che ci sono ancora. Da parte nostra, li stimoliamo perché siano di esempio al gruppo dei più giovani. Il loro aiuto potrebbe aiutarli ad abbreviare i tempi. Poi, fatto questo, hanno davanti un anno. Se il fisico regge, si tolgono l’ultima soddisfazione della carriera. Altrimenti smetteranno, sapendo però di essersi giocati le loro carte.
A cosa serve soprattutto il primo ritiro?
A entrare in sintonia con corridori che magari non si conoscono, dando loro l’opportunità di conoscersi. Ci si confronta, si parla, si cerca di capire le ambizioni dei singoli e di conoscere le persone. A tutti loro voglio portare la mia esperienza.
Primi test anche per Edward Ravasi, chiamato a un anno di riscattoIl momento dei test per Ravasi, chiamato al riscatto
Come avete gestito l’aspetto della sicurezza Covid?
Abbiamo fatto i tamponi prima di partire. Tutte le mattine il dottore misura la temperatura e l’hotel è comunque solo per noi. I rapporti con l’esterno sono ridotti praticamente a zero e sempre con la mascherina, anche quando andiamo fuori per mangiare. E poi faremo l’ultimo tampone prima di partire, che è obbligatorio per rientrare in Italia. Io l’ho fatto ieri. Abbiamo fatto tutto nella norma, per tutelarci e perché sarebbe stato un peccato rischiare. La paura c’è, per cui abbiamo vissuto questi giorni con serenità, ma non con leggerezza.
Abbiamo dedicato loro i primi due giorni del ritiro. Prima Alberto le ha illustrate e siccome è pignolo, ha controllato tutto. Poi abbiamo fatto il posizionamento. Quindi i test sui rulli, le visite, i test in salita e parecchie ore di sella.
Il ritiro della Eolo-Kometa si è svolta a Oliva, in SpagnaIl ritiro della Eolo-Kometa si è svolto a Oliva, in Spagna
Basso e Contador si sono visti?
Sono stati con noi fino a domenica, poi li abbiamo mandati via. Scherzando gli ho detto che noi pensiamo a pedalare, loro a trovare i soldi. Si sono allenati per una settimana con i ragazzi e nel weekend si è unito anche Spada, il presidente di Eolo. Quando è arrivato Alberto, i giovani hanno smesso di parlare. Penso a Rivi e Bais, soprattutto. La sua presenza è stata un valore aggiunto. E soprattutto si sono resi conto di cosa sia un campione. Perché è vero che ha preso qualche chilo e per questo lo abbiamo preso un po’ in giro, ma in bici va ancora molto forte. Per cui la riverenza dovuta al nome è diventata rispetto per il corridore…
Quando vedi sbocciare e poi appassire un giovane, resti sempre con l’amaro in bocca, per questo la notizia che Vincenzo Albanese ha firmato con la Eolo-Kometa ha portato il sorriso. Il miglior risultato 2020 del campano è stato il 5° posto al Matteotti, che curiosamente vinse all’ultimo anno da under 23. Qualcosa è cambiato, non c’è dubbio. Ma siccome le battute dicevano che la prima causa dei problemi fossero lui e la poca voglia di lavorare, siamo andati direttamente alla fonte. A Reggello, paesino di 16.000 anime, a mille metri sul mare, dove vive con la sua famiglia.
Nella casa di Reggello, cogliendo le olive a novembreReggello, a novembre si colgono le olive
«In Campania torno poco – dice – a Natale e semmai ad agosto. Quest’anno sono rimasto fuori dal Giro d’Italia e ho cominciato già da un mesetto a lavorare bene. Non faccio tante ore. Esco in bici 4 volte a settimana. Poi palestra, camminate e attenzione alla tavola. Il peso è a posto, perché sto molto meglio psicologicamente. Ormai tutti sanno come allenarsi, la differenza la fa la testa».
Squadra nuova, testa nuova?
Quello che mi intriga di correre per Basso e Contador è che hanno fatto la storia di questo sport e sanno che ambiente creare per far rendere bene i corridori. Non ci siamo mai incrociati alle corse, ma hanno già l’esperienza della continental. Credo molto in questo progetto.
Curioso il raffronto fra i due Matteotti a quattro anni di distanza, non trovi?
Non voglio mettere le mani avanti, ma il Covid ci ha messo lo zampino. Nel 2016 partimmo con 80 corridori, fra continental e professional. Quest’anno eravamo 180 con quattro squadre WorldTour. Non voglio sminuire la vittoria di allora né allontanare le mie responsabilità in tante cose, ma il 2020 ha preso tante corse minori e le ha trasformate in campionati del mondo.
Da U23, ai campionati europei di Plumelec 2016: andava forte con qualche chilo di piùPlumelec 2016, agli europei under 23
Che cosa è successo in questi anni?
Alti e bassi, fisici e di testa. Qualche infortunio. E quasi non mi sono reso conto di essere arrivato alla quinta stagione. Vedo tanti corridori che hanno vissuto gli stessi problemi, poi sono rinati.
Può darsi che tu sia passato pensando che fosse tutto facile?
Non facile, ma certo l’ho presa sotto gamba. Ero abituato a vincere con poco lavoro, ma ho capito che qua per vincere a volte non basta il 110 per cento. E poi le continental stanno cambiando la storia.
Da quale punto di vista?
Quando sono passato io alla Bardiani-Csf, erano davvero pochi i neopro’ che arrivavano alle squadre WorldTour. Invece adesso vanno a cercarli persino negli juniores. Sono convinto che con il sistema di adesso e visti i miei risultati da giovane, sarei approdato in una WorldTour. Ma è andata così. Non posso rimpiangere il fatto di essere nato cinque anni prima.
Ha ripreso la preparazione: bici 4 volte a settimana e camminateCamminate e bici per ripartire bene
Per quale motivo Contador e Basso, parlando al bar con gli amici, dovrebbero essere contenti di averti ingaggiato?
Perché porto esperienza e sono un corridore da rilanciare. Anzi, sono un corridore da scoprire. In questi quattro anni non ero al mio posto, io non sono quel Vincenzo lì. Ho sbagliato molto e mi assumo le mie responsabilità. Ognuno deve adattarsi all’ambiente che trova, alcuni ci riescono e altri no. Non dico che la colpa sia della squadra, come detto mi prendo la mia fetta, ma mi sono sentito poco considerato, lasciato senza consigli, allo stato brado. Colpa mia probabilmente che non ho saputo gestire quella fase.
Ritrovi Zanatta, un problema alla luce di quello che hai appena detto?
No, un lusso! Sono contento, perché finché ha potuto gestire noi giovani, l’aria era diversa. Poi si è reso conto di non avere autonomia e ha lasciato. Con Zanatta non scappa una virgola, abbiamo tutto organizzato. I programmi giorno per giorno per i tre mesi successivi, come nelle WorldTour.
Siete già in contatto?
Sì, sento di essere nelle mani giuste. E’ un ambiente propositivo che mi mette grinta. Sento lui e il preparatore, Carlos Barredo, anche lui un ex professionista. Faremo un ritiro in Spagna fra 15 giorni, non vedo l’ora. Ripeto, la differenza si fa con la testa. Io l’avevo un po’ persa, ma adesso sto a mille.
«Non potevo dire di no a Basso e Contador – dice Zanatta ridendo – ho provato a fare un sondaggio in famiglia e ho capito che i figli mi avrebbero ammazzato. Ci ho provato a stare a casa, ma li tiravo tutti matti. E a quel punto ho accettato».
Stefano è di buon umore. Basso aveva fatto il suo nome sin dall’inizio, pregando di non scriverlo. C’era solo da aspettare che Zanatta si decidesse, contento com’era della pensione raggiunta da un anno e scottato dall’incredibile storia del Team Monti in cui aveva messo comunque la faccia. Al punto che, avendolo incontrato alla partenza di Mileto al Giro d’Italia, aveva detto che mai e poi mai sarebbe tornato a guidare un’ammiraglia. E non mentiva, non del tutto almeno. Infatti l’affondo davvero deciso Basso con lui l’ha fatto due giorni dopo la fine del Giro, di martedì.
Ritiro Liquigas a San Pellegrino: Scirea, Mariuzzo, Slongo, Conte, Zanatta e VolpiA San Pellegrino con Mariuzzo, Slongo e Biagio Conte
Però ti girava intorno da un po’…
Ogni tanto ci sentivamo, sin dai tempi della continental. Mi ha sempre dato stima, tutto quello che abbiamo fatto in Liquigas è rimasto. Così quando è stato sicuro di fare la squadra, mi ha chiamato. Cercava una figura di riferimento, ma io ero perplesso…
Perché?
Non morivo dalla voglia di partire nuovamente e fare 300 giorni via da casa, perché un direttore sportivo campa così. Ma Ivan mi ha spiegato la struttura e allora ho intravisto la possibilità, assieme a Yates ed Hernandez e con Andriotto a fare lo scouting. Insomma, al Giro abbiamo parlato un po’ nelle rare volte in cui è venuto e al martedì mi ha chiamato e mi ha chiesto se volessi diventare la figura di riferimento del team in Italia.
E tu?
Lavorare con i giovani mi è sempre piaciuto, far crescere una squadra è un grande stimolo. Avevo messo da parte certe velleità, ma obiettivamente non avevo più un solo motivo per dire di no. E alla fine ho detto di sì.
In due parole, chi è stato Ivan Basso per Stefano Zanatta?
L’ho conosciuto da giovane, alla Fassa Bortolo. Ha vinto con me le sue prime tre corse. Poi ci siamo ritrovati in Liquigas. Cercavamo un corridore adatto a richiamare l’attenzione dei media e lui era perfetto. Amadio mi ha dato fiducia e ho cominciato a lavorarci io. Si è creato un bel rapporto. Ivan è andato verso grandi risultati e intanto diventava un riferimento per giovani come Nibali e Caruso, che intanto crescevano accanto a lui.
Un grande campione?
Ha tirato fuori il meglio da se stesso, facendo tutto il necessario per arrivare ai grandi risultati. Il suo talento è stato capire di non avere la brillantezza di Nibali e Sagan, che si alzavano dal letto e vincevano senza fare colazione. Lui ha dovuto sudarsi ogni risultato. Ha puntato sull’autostima e sul lavoro che paga.
Sembra che stia facendo lo stesso con la Eolo-Kometa.
Da quando ha smesso, ha cominciato a lavorare a questo progetto. Ha trovato in Contador un ottimo compagno di avventura. Ha creato un bel gruppo di giovani e li ha plasmati secondo la sua mentalità. E lui ha competenze e conoscenze.
Tra Stefano e Ivan si è subito creato un rapporto di grande fiduciaTra Basso e Stefano, subito grande fiducia
Per parecchie cose dice di ispirarsi alla Liquigas.
Quel gruppo è stato un esempio di ottimo ciclismo in cui i grandi vincevano, lasciando ai giovani il tempo di crescere. Un budget non eccessivo, eppure una famiglia in cui ciascuno portava il suo mattoncino fino a completare la costruzione. Ci si divertiva. Tutti quelli che ci sono passati la ricordano volentieri. Abbiamo ancora un gruppo whatsapp in tutti scrivono. Alle corse ci ritroviamo sempre, come avendo un filo conduttore. E una volta l’anno ci si ritrova sempre a cena, tranne quest’anno ma per colpa del Covid.
Quanto ha inciso l’esperienza Monti sulla tua ritrosia ad accettare?
Ero legato a Scirea e Magrini, c’erano bei giovani che restano validi, perché ovunque siano andati hanno fatto bene. Il fatto di essere riusciti a sistemare tutti ha reso la cosa meno spiacevole. Mi ha dato fastidio non mantenere le promesse, ma pesa meno perché non è dipeso da me. Era una squadra di dilettanti, avremmo lavorato per farli crescere. Mi sarebbe pesato di più essere coinvolto nel flop della squadra ungherese (il progetto teoricamente finanziato dal governo ungherese in cui erano stati coinvolti parecchi corridori, sfumato nel nulla a novembre 2019, ndr) di cui hanno fatto le spese dei professionisti.
Quali i programmi imminenti della Eolo-Kometa?
Per ora incontri in videoconferenza. I preparatori hanno già iniziato a lavorare dando le loro indicazioni e intanto aspettiamo di capire se e come potremo muoverci. Il primo passo l’ho fatto, sono tornato. Adesso studiamo con calma e tutti insieme quale sarà il prossimo.
Sembrava un’indiscrezione, poi l’arrivo di Sean Yates sull’ammiraglia della Eolo-Kometa ha dato spessore alla voce secondo cui fra i direttori sportivi della squadra di Basso e Contador salirà anche Stefano Zanatta. Voci di corridoio, si sa, che però in certi casi profumano di arrosto.
Stefano Zanatta con Giovanni Carboni nel 2019 alla BardianiZanatta con Carboni alla Bardiani
Zanatta, 56 anni, è in pensione e ci sta bene. Ha fatto per 10 anni il professionista, poi dal 1997 è salito in ammiraglia con Aki, Vini Caldirola, De Nardi, Fassa Bortolo, Liquigas e Bardiani. Lo abbiamo incontrato più volte al Giro d’Italia e ogni volta ribadiva il concetto: sono in pensione. E in fondo c’era da capirlo.
Sceso dall’ammiraglia della Bardiani-Csf, aveva sposato il progetto del Team Monti, naufragato come tutti sappiamo. Quando sei fatto come Stefano e hai fatto della serietà la tua bandiera, quell’episodio è stato la pietra tombale su una carriera esemplare.
Zanatta è infatti il direttore sportivo che oltre ad aver guidato Basso alla vittoria del Giro d’Italia del 2010, ha tirato fuori i migliori professionisti della Liquigas. Ha plasmato lui Nibali e Viviani, Sagan e Caruso, Oss e Formolo. Saperlo fuori dal gruppo era già strano di per sé. Saperlo accanto a Basso dà invece il senso del cerchio che si chiude. E forse non è neanche un caso che, al momento di scegliere i nomi per l’ammiraglia, Ivan abbia puntato su due tecnici con cui ha tanto lavorato e anche bene, come Yates e Zanatta.
Non sappiamo quando arriverà l’ufficialità, ma certo lo staff della Eolo-Kometa inizia a farsi interessante. Accanto ai due tecnici sopra citati, dovremmo trovare Jesus Hernandez come diesse da far crescere e Dario Andriotto come responsabile dello scouting. Se così sarà, buon lavoro, ci attendono scenari molto interessanti.
«I soldi in giro ci sono – dice Basso parlando della nuova Eolo – solo che in Italia si continuano a rincorrere sempre gli stessi sponsor, che vedi passare di anno in anno da una squadra all’altra. E’ proprio brutto. Nel mio territorio ci sono aziende che non sono mai state coinvolte nel ciclismo. Devi andare da chi non sei mai andato. Ci vuole più tempo. Devi far conoscere il ciclismo, perché il ciclismo ha dei valori da raccontare».
Basso è un abile raccontatore, ma questa volta è più ispirato del solito. Il suo sogno e quello di Contador è realtà. Dalla Kometa-Xstra continental nascerà la Eolo–Kometa professional e non è stato un viaggio breve.
Ci provò subito Ivan, incontrando sulla sua strada qualche furbacchione e tanti rifiuti. Una sorta di Piccolo Principe, con la sua rosa da difendere. Solo che in questo caso, perdonate il gioco di parole, le rose erano quattro, più due maglie gialle del Tour e tre rosse della Vuelta. E se due campioni come Basso e Contador si mettono in testa di raggiungere un obiettivo, dati i loro palmares, hanno quel che serve per arrivarci. Si trattava solo di capire dove agganciare i piedi e poi rimettersi a pedalare.
Aurum Magma, progetto Contador: la bici del team Eolo-KometaAurum Magma, progetto Contador
E’ tutto pronto, Ivan?
Direi di sì, ormai. Siamo arrivati abbastanza lunghi a causa del lockdown, ma allo stesso tempo proprio in quel periodo abbiamo avuto le ultime certezze. I corridori buoni nel frattempo avevano già firmato. Avrei preso volentieri Aleotti, per fare un esempio. Ma abbiamo comunque una bella rosa di 20 uomini.
Perché quest’anno è andata in porto?
Probabilmente è stato premiato il lavoro a lungo termine. Abbiamo iniziato tre anni fa con Kometa che voleva crescere, ma da sola non bastava. Il progetto è sempre lo stesso, non abbiamo cambiato la linea in base a quello che avevamo di fronte. E l’idea prevede un vivaio, un centro di allenamento e una sede come per le squadre di calcio.
Quando è arrivato Eolo?
Un paio di anni fa. La sede è a 3 chilometri da casa mia. Conobbi Luca Spada tramite amici comuni alla Gran Fondo Tre Valli Varesine. Non conosceva il ciclismo e io non gli parlai della squadra, anche se lui sapeva chi fossi e cosa facessi. C’era voglia prima di creare un rapporto che prescindesse dalle convenienze.
Ed è nato?
Decisamente sì. Da parte mia ho provato a trasmettere i valori del ciclismo. Il primo punto secondo me è proprio questo: raccontare e far vivere lo sport. In un secondo tempo devi capire se per quell’azienda il ciclismo sia interessante. Non può essere solo un fatto di passione, deve esserci un ritorno per entrambi.
E funziona?
Lo abbiamo scoperto con Kometa. Aver investito non ha giovato solo alle vendite, ma ha fatto crescere l’azienda e favorito la nascita di relazioni. Alla fine di questo percorso, devi aspettare che la persona si convinca. Non devi andare a chiedere soldi, ma far nascere il desiderio.
Paolo Zani, manager di Liquigas, con Elia Viviani nel 2012Paolo Zani, manager Liquigas, con Viviani
Quale filosofia c’è dietro la squadra?
La Eolo-Kometa rispecchierà i valori migliori delle squadre in cui sono stato. Ricordate lo Slogan della Liquigas che portava il gas dove gli altri non arrivavano? Curiosamente è lo stesso di Eolo, che porta internet dove gli altri non arrivano. Un messaggio semplice per la gente. Parlo quotidianamente con Pedranzini (titolare di Kometa, ndr) e Spada, come Amadio parlava con Zani. Sanno tutti come viene impiegato il budget, saremo parte delle loro aziende.
Un progetto che si espanderà?
Esatto, non è già finito, vogliamo crescere. Volevamo una casa per il team e ne avremo una in Valtellina e anche un quartier generale super innovativo dentro la sede di Eolo. E’ fondamentale per costruire cose importanti. Un luogo in cui nascano idee e progetti.
Un team italiano?
Sì, ma con un’unica anima. Il progetto della Fundacion ne fa parte, con Fran Contador in un ruolo chiave, ma io e Alberto facciamo fatica a definirci italiano o spagnolo. Abbiamo la bandiera comune del ciclismo. La maggioranza dei corridori sarà italiana ed è un bel segnale in un anno in cui tanti vanno indietro.
Quale è stato il criterio di scelta dei corridori?
Ho puntato sui ragazzi attratti dal progetto. Non quelli che sono venuti con una richiesta di soldi, ma quelli che piuttosto chiedevano informazioni su struttura e programmi. Ho trovato giovani fantastici che si sono messi a disposizione. Ho Andriotto che ci farà da talent scout. Vorrei essere come la Liquigas, ricordi?
La squadra di Basso e Sagan, Oss e Sabatini, Viviani e Nibali, Caruso e Capecchi…
Era un team stellare. Ho preso da Ferretti la serietà nel fare le cose e da Riis la programmazione tecnica, da tutti si deve imparare.
Quale sarà il tuo ruolo?
Sarò Basso e Alberto sarà Contador. Scherzi a parte, lui è più concentrato sull’aspetto tecnico-tattico. Io sono più sulle relazioni e i colloqui con gli sponsor e i dirigenti delle aziende.
Biciclette Aurum?
Esatto, Aurum, il nuovo marchio sviluppato da Alberto.
Quindi si chiudono i rapporti con Trek?
Resta un’ottima relazione. E’ stata una scelta che ha fatto Contador e che io ho seguito. Alberto è un cavallo di razza e ha voglia di gestire le sfide in cui si impegna.
Contador e Basso con Mauro Vegni al Giro di Sicilia del 2019Contador e Basso con Vegni: Giro di Sicilia 2019
Quali saranno i prossimi passi?
A novembre ci sarà una serie di annunci e diremo quali sono i corridori. Ci sarà un ritiro di tre, quattro giorni a Varese, che però è legato alla situazione attuale. E poi abbiamo programmato due ritiri di 10-12 giorni a Oliva (in Spagna) che è la nostra base invernale.
Obiettivo Giro d’Italia?
Non voglio entrare nel terreno minato delle wild card. I criteri di selezione ci sono e ognuno deve pensare a fare bene il proprio dovere. Facciamo da tre anni una continental con risultati onorevoli. Siamo una squadra italiana. Abbiamo un contratto di tre anni con tre aziende sulla maglia, tre anni di progetto. Metteremo il numero sulla schiena dal primo gennaio per correre il più possibile, però mi tolgo da certi discorsi. Uno non deve pretendere niente, sono cose che ti devono essere date. Se hai i requisiti, vai avanti. Non abbiamo ancora dimostrato niente in questa categoria, dobbiamo andare forte in bicicletta.
Tre nomi soltanto, un’eccezione.
Ne sono orgoglioso. Fare una professional. Mantenere 15 corridori under 23. Aiutare il vivaio della Bustese in Italia che fa junior, esordienti e allievi. Quindi creare due scuole di ciclismo, una in Spagna e una in Italia. Mantenere tutta la struttura e fare il passo avanti è motivo di orgoglio. Ora c’è da lavorare sodo e con serietà per fare bene.
Il 6 ottobre, staccatosi per scelta a 10 chilometri dall’arrivo, Luca Wackermann pedalava con alcuni compagni verso il traguardo di Villafranca Tirrena. Il giorno dopo sarebbe andato in fuga nella tappa di Camigliatello Silano: era evidente che un attacco ben portato sarebbe infatti andato all’arrivo. Ganna può confermarlo.
«Mi ricordo bene tutta la corsa – racconta – molto poco del finale. Solo che pedalavo e c’era questo elicottero davvero molto basso. L’ultima cosa che vedo è una transenna che decolla e mi arriva in faccia. Poi il buio. L’ho riguardata due giorni dopo in televisione con Citracca che parlava e vedermi immobile per terra a quel modo è stato brutto. Capisco cosa possa aver provato mia moglie, che era al lavoro ed è stata per un’ora e mezza in attesa di notizie. Per fortuna è riuscita a raggiungermi tramite il telefono del dottore mentre mi stavano portando in ospedale. Dice che abbiamo parlato e ha capito che ero vivo, ma io non ricordo nulla. Anche delle telefonate del viaggio verso casa non ricordo nulla. C’era solo da pedalare e avere un po’ di fortuna perché il Giro fosse la ciliegina sulla torta, ma di nuovo la fortuna…».
La transenna si sposta e investe i corridori della Vini Zabù, Wackermann resta a terraCaduta a VIllafranca Tirrena, Wackermann resta giù
Wackermann è a casa, ci sentiamo di mattina presto perché poi ha un’altra serie di visite. Ventotto anni, è professionista dal 2013. La prima risonanza ha evidenziato due ematomi in fase si assorbimento, si spera che la prossima confermi che tutto è posto. Certo qualche mal di testa c’è ancora e la schiena duole, ma il corridore avrebbe già voglia di tornare in bici. E questo è un buon segno.
Il Giro stava andando bene…
Il quinto posto di Agrigento con una bella azione in finale diceva proprio questo. Il morale era alto, per me e per la squadra. E da lì in avanti ci sarebbe stata la possibilità di andare in fuga. Avevo corso molto prima del Giro. Sesto a Sibiu, la corsa della ripartenza. Poi avevo vinto il Tour du Limousin. Quindi ho fatto Coppi e Bartali e Tirreno e a seguire dieci giorni in altura. C’era tutto per fare bene.
Hai parlato di fortuna.
Qualcosa che non ho sempre avuto nella mia carriera. Sono partito dalla Lampre, ma è stata una lunga serie di alti e bassi. La squadra WorldTour è grande, ma se non sfondi, hai la sensazione di essere un numero in mezzo a tanti. La professional è più una famiglia, anche se meno organizzata. E’ stato Visconti, che è un amico e compagno di allenamento, a volermi alla Vini Zabù-Ktm. Una tappa al Giro sarebbe stata una gran cosa, ma per come è andata, mi sarei accontentato di arrivare sano a Milano e di poter fare un buon inverno.
Radio mercato lo vedrebbe dal prossimo anno con la maglia della Eolo-Kometa, la squadra sognata, progettata e finalmente creata da Ivan Basso e Alberto Contador. Si vede che Luca vorrebbe dire, ma non può sbilanciarsi.
«E’ un bel progetto – dice – una bella realtà italiana, ma non c’è ancora nulla di certo. Di certo posso confermare che un contatto c’è stato».
Se con Basso parli di Fancellu, vedi che a Ivan si illuminano gli occhi. Il varesino ha una predilezione per i corridori italiani della sua Kometa Xstra, ma per il ragazzino di Binago ha probabilmente un debole. Perché Fancellu va davvero forte in salita e di lui si è accorta anche la Trek-Segafredo. Alessandro sarebbe dovuto passare con loro già nel 2021, ma dopo il complicato 2020, farà ancora un anno nella professional di Basso e Contador, poi salirà al WorldTour
La storia di Fancellu in bicicletta è di quelle che fanno emozionare e inizia ad Aprica, località in cui la famiglia trascorreva le vacanze. Nell’estate dei suoi 13 anni, infatti, il ragazzino si accorge delle indicazioni per il Mortirolo e con la sua mountain bike inizia a pedalare. Dio solo sa quanto tempo impiega, ma arriva in cima. E la sera, mentre lo racconta orgoglioso in famiglia, il padre Salvatore molla lì una battuta: «Dovevi vedere cosa ha fatto Pantani sul Mortirolo!».
E’ la scintilla. Alessandro si attacca a Youtube e inizia a scoprire la storia di un ragazzo con pochi capelli che in bicicletta sapeva volare.
«Pantani è il mio idolo – dice – anche se non l’ho mai visto né conosciuto. Cominciai a vedere quei video e mi resi conto che oltre a saper vincere, Marco era capace di farti innamorare. E fu per questo che decisi di fare il corridore».
Fancellu, bronzo ai mondiali juniores di Innsbruck 2018Fancellu, bronzo ai mondiali juniores 2018
Adesso che per trascorsi personali gli occhi brillano anche a chi scrive, il nostro incontro con Fancellu assume un altro sapore.
Sei forte come dice Basso?
Mi fa piacere che parli bene di me. Ritengo di andare bene in salita, ma non sono Evenepoel. Sono un ragazzo di vent’anni con tanta strada da fare.
Soddisfatto del 2020?
Non troppo. Il Giro d’Italia U23 era un obiettivo, ma è andato male. Alla vigilia stavo bene. Poi siamo partiti e devo aver preso un’infezione, perché dopo la quarta tappa, ho cominciato a sentirmi debole. Ad Aprica sono stato malissimo. E dopo il campionato italiano, ho fatto due settimane di antibiotici.
Come l’hanno presa in squadra?
Molto bene, è un grande gruppo. L’anno è stato difficile per tutti e mi sono stati vicini anche dopo il Giro per cercare la causa di questa infezione. All’inizio non conoscevo bene tutti i compagni, perché alcuni erano già nella continental, ma si è formato un bel gruppo.
Le parole di Basso, l’amore per Pantani… Che cos’è per te la salita?
E’ fatica, per tutti. Ma quando sto bene, la salita è anche divertimento. Mi dà soddisfazioni, anche prima dell’arrivo, quando capisci di essere andato.
Quando ti sei sentito super Fancellu?
Quest’anno forse al Tour of Antalya, a inizio stagione. C’erano anche squadre WorldTour e una tappa con l’arrivo in salita, non durissima ma pur sempre in salita. Dovevo tirare per i compagni, ma quando mi sono girato, ho scoperto di essere solo e ho tirato dritto. Ha vinto Zoidl e io sono arrivato quarto.
Che cosa ti manca per fare bene tra i pro’?
Tanto, ma so di poterlo fare e di avere margini. Quest’anno la squadra ci ha permesso di fare parecchia attività tra i pro’. Alla Vuelta Burgos vedere andare forte uno come Valverde è stato illuminante. Vanno davvero tanto, non solo in salita. E io ad esempio dovrò migliorare anche in pianura, per arrivare bene alle salite, che sono il mio ambiente.
E la crono?
Devo lavorarci. Vanno forte ovunque, anche quelli che vanno piano.
Che cosa hai imparato da quest’anno?
Tanto, soprattutto a gestire le situazioni difficili. Quando va tutto bene, non si impara. Quando va male, devi fare conto su di te.
Che effetto fa sentire che Basso ha tanta considerazione di te?
Ivan ci sta molto vicino. Se un consiglio lo dà una persona qualunque, lo ascolti. Ma se te lo dà uno che ha vinto così tanto, lo ascolti due volte. E’ stato bello averlo accanto al Giro, anche se le cose non andavano bene.
Perché non sei come Remco?
Perché è un fenomeno, uno che nasce ogni tanto, come Pantani. E poi è un grande professionista, si vede dal lavoro che ha fatto dopo l’infortunio.
E ora che per un po’ potrai riposare?
Starò a casa e con gli amici. Con le mie sorelle Giulia e Sofia, con mia madre Monia e mio padre Salvatore. Ora sto bene, non vedo l’ora di ricominciare.