Giulio Ciccone, Monaco, autunno 2020

Ciccone e un inverno per… ricostruirsi

06.11.2020
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Il comunicato della Trek-Segafredo è arrivato nel mattino della crono di Valdobbiadene: Ciccone non parte. Dopo una serie di esami presso l’ospedale di Bassano del Grappa, l’abruzzese si ferma. Il suo Giro finisce qui. Giulio si ferma e poi sparisce. Conoscendolo, non è difficile immaginare il fastidio di abbandonare la squadra alla vigilia delle tappe più importanti. Ma se Cicco decide di mollare, allora sta male davvero. E magari ne avrà le tasche piene di questa stagione che doveva spalancargli la porta del paradiso e si è trasformata in un baratro.

Sono passati venti giorni e di Giulio si erano perse le tracce. Era giusto lasciargli lo spazio per rielaborare la delusione, ma adesso il tempo è maturo. E il timbro di voce dell’abruzzese da Monaco è migliore di quanto si potesse immaginare, anche se la situazione non ancora del tutto superata e questo dà la misura di quanto il Covid sia materia sconosciuta.

Cicco, come va?

Mi sono curato, mi sto ancora curando. Ho dovuto fare altri accertamenti, il covid non era passato del tutto. E adesso sono totalmente fermo. Così fermo che, per passare il tempo, sto giocando con i Lego.

E’ stato incauto partire per il Giro?

I dati erano buoni, non è stata una scelta casuale. Avevo i test giusti, ma il freddo è stato più forte. Il covid non è un’influenza che passa e riparti, ma è talmente sconosciuto che fai fatica a inquadrarlo. Il Giro d’Italia non è una cosa banale. Porti il fisico al limite e te ne accorgi.

Giulio Ciccone, Roccaraso, Giro d'Italia 2020
Il freddo di Roccaraso, nonostante la buona prova, ha dato inizio ai problemi
Giulio Ciccone, Roccaraso, Giro d'Italia 2020
I primi problemi per il freddo di Roccaraso
Quando te ne sei accorto?

I primi giorni facevo fatica a livello di gambe. Lo sapevo, venivo da una lunga sosta. Poi piano piano sono iniziati i segnali positivi, soprattutto a Camigliatello. Però contemporaneamente col freddo sono arrivati i primi problemi di respirazione e ogni giorno si è fatta più dura. Il primo giorno veramente negativo l’ho avuto quando ha vinto Sagan a Tortoreto. Lì ho cominciato ad accusare.

Come stavi a quel punto?

Il morale era alto, il fisico perdeva colpi. E dire che aspettavo solo la terza settimana…

E’ stato duro fermarsi ancora?

Per un verso sì, per l’altro era il modo di chiudere definitivamente questa stagione orrenda. Tolto Laigueglia, non è mai andata bene. Almeno adesso si riparte da zero. Gli accertamenti hanno detto che ne sto uscendo. Era già nei miei piani fare 20 giorni di stop, adesso mi hanno fermato completamente. Devo recuperare.

Dicono che con te in corsa, lo strapotere degli stranieri sarebbe sembrato meno importante.

Sono abbastanza critico su questa cosa degli stranieri e mi infurio. Noi italiani ci pestiamo i piedi da soli. Ci esaltiamo e ci buttiamo giù. L’anno scorso e non perché ci sia di mezzo proprio io, dopo Giro e Tour ero l’erede di Nibali, ma siccome il Giro è andato male, non esisto neanche più. Abbiamo tanti giovani forti, davanti ai quali io mi sento un po’ vecchio. Ma sono più che convinto che in una stagione normale, avrei potuto dire la mia. Invece è saltato tutto.

Con che spirito ripartirai?

Riparto arrabbiato. Non come l’anno scorso, che ero quasi senza aspettative. Ovviamente non rischierò di strafare, perché la squadra mi segue, ma sono carico a molla.

Cosa resta del primo anno ad imparare da Nibali?

Un anno zero sul piano dell’esperienza. Al ritiro di San Pellegrino abbiamo lavorato tanto e bene. Al Giro invece è stato tutto storto, l’opposto di quello che ci aspettavamo. Si è creato un bel gruppo, ma il nostro obiettivo principale si è trasformato in un calvario.

Hai seguito il resto del Giro in tivù?

Un po’, ma siccome mi giravano, guardavo solo i finali.

Come sta tua madre?

Bene, grazie. Ha finito un ciclo di terapie e adesso si riguarda.

Sei stato in Abruzzo dopo il Giro?

Sì, qualche giorno, poi sono venuto a Monaco per riprendere la stagione. Fra un paio di settimane ricomincerò ad allenarmi e vorrò il clima più caldo.

Vincenzo Nibali, Sestriere, Giro d'Italia 2020

Guercilena, adesso con Nibali cosa fai?

04.11.2020
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Riconoscere con Luca Guercilena, team manager della Trek-Segafredo, che qualcosa non abbia funzionato nel Giro di Nibali è abbastanza immediato. Se ti chiami Nibali e sei convinto di giocarti la maglia rosa, non ti stacchi da Dennis sullo Stelvio. E se si dice che avessi i numeri degli anni migliori, forse quei numeri non sono così attendibili o non bastano per descrivere la situazione. Servirà un’analisi più attenta, a partire dal programma seguito per arrivare al Giro. Nel 2016 dell’ultima maglia rosa, l’avvicinamento prevedeva Tour of Oman, Tirreno-Adriatico e Giro del Trentino. Nel 2020, a 36 anni, la sola corsa a tappe alla vigilia è stata la Tirreno-Adriatico. A partire da agosto e prima della Tirreno, Tao Geoghegan Hart ha corso la Route d’Occitanie e il Tour de l’Ain; Hindley ha corso anche il Polonia. Cari miei, anche a 36 anni Vincenzo Nibali vale più di così…

Luca Guercilena
Luca Guercilena è il team manager della Trek Segafredo
Luca Guercilena
Guercilena, team manager Trek-Segafredo
Pensavate potesse vincere il Giro?

Per i numeri della vigilia, pensavo fosse da podio. Slongo descriveva il cambio di sensazioni che di solito ha portato i risultati migliori.

Cosa hai pensato il giorno dello Stelvio?

Voleva vincere, me lo ha detto lui. Se fosse salito in modo controllato, avrebbe perso di meno. Invece ha scelto di restare con Dennis e l’ha pagata.

Anche a Piancavallo i numeri erano ottimi.

Ha impiegato 40” meno del 2017, quando arrivò 18° e prese 14” da Pinot che anticipò il gruppo degli uomini di classifica. Quest’anno la fuga è stata ripresa e lui è stato 10° di tappa, ma a 1’36” da Geoghegan Hart che ha vinto. Vincenzo è andato forte, ma i primi sono andati fortissimo.

Significa che c’è poco da fare?

Significa che ci sono da fare considerazioni diverse, i numeri non bastano.

Finalmente…

In primis si può mettere in discussione la strategia di gara. Siamo partiti baldanzosi nelle prime tappe e alla fine ci siamo ritrovati soli. La squadra ha fatto il possibile, anche se a un certo punto è sembrata non all’altezza.

Mancava qualcuno?

Se ci fosse stata una stagione normale, sarebbe venuto al Giro uno scalatore come Elissonde. Ma vista la sovrapposizione di corse, si è fatta qualche modifica. E quando si è parlato del Tour, che sembrava l’unico grande Giro che si sarebbe fatto, c’era una tale ansia che siamo andati con un gruppo forte per sostenere Porte. Ed è andata anche bene.

Vincenzo Nibali, Piancavallo, Giro d'Italia 2020
A Piancavallo, Nibali è salito 40″ più forte che nel 2017
Vincenzo Nibali, Piancavallo, Giro d'Italia 2020
A Piancavallo, 40″ in meno che nel 2017
Che cosa è successo invece al Giro?

Weening, che sarebbe stato importante in montagna, si è ritirato per le vertigini. Ciccone purtroppo non è riuscito nella scommessa di rientrare. Brambilla ha dovuto ritirarsi per caduta. Se tutto fosse andato come nei piani, avremmo avuto un gruppo all’altezza dei migliori. Non mi pare che la Sunweb, tolti Hindley e Keldermann avesse chissà quali nomi…

Gli altri?

E’ difficile valutare i singoli, Mosca ha fatto tanto. Ma è chiaro che da qualche gregario ci aspettassimo prestazioni migliori.

Torniamo a Nibali. Non credi che l’avvicinamento italiano senza gare a tappe prima della Tirreno lo abbia penalizzato?

E’ arrivato al Giro cercando di rispettare i due blocchi di altura che ha sempre fatto. Le corse di agosto sono state intense. Con una classica a settimana e quelle nel mezzo, si correva ogni quattro giorni. In più a marzo stava bene, alla Parigi-Nizza andava. Poi il lockdown ha cambiato tutto.

I giovani si sono adattati meglio al nuovo calendario?

A 36 anni, si fa fatica a cambiare. Faremo le nostre analisi. Eravamo partiti puntando a Liegi, Giro e mondiale, si è visto che annata è saltata fuori.

Quando si faranno le analisi?

Un primo confronto con Vincenzo e con Slongo c’è già stato. Ormai ho poco tempo per entrare nelle questioni sulla preparazione, ma ho già dato la mia opinione. Dopo la Vuelta vedremo finalmente quei numeri e ci sarà uno scambio più approfondito.

Ti dispiace che non sia venuto con voi già tre anni fa?

E’ un grandissimo rammarico. Tre anni fa era un altro atleta e mi dispiace perché al Giro non è riuscito a correre da Vincenzo Nibali. E lui, più di noi, ne aveva voglia.

Che inverno gli suggeriresti?

Un bel periodo di stacco e recupero, perché lo stress mentale l’hanno avuto tutti. Poi di riprendere con gradualità e intanto faremo un’attenta verifica. I numeri sono numeri, ma quando ci siederemo, troveremo cose che sono cambiate e che hanno portato a questi risultati. Ne sono sicuro. E gli darei un consiglio…

Quale?

Piano a dire che è vecchio e a farsi venire la sindrome dell’anziano. Le cose non cambiano dall’oggi al domani. Attenzione a non incensare troppo i giovani, che non hanno moglie e figli e magari hanno vissuto questo periodo con spensieratezza. La carriera di uno sportivo vede vittorie e conferme. Loro non li conosco a fondo, ma sulla solidità di Nibali metto le mani sul fuoco.

Argentin, fra classiche e Giri

02.11.2020
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Seconda tappa del nostro viaggio con Moreno Argentin. Dopo aver parlato del mondo juniores, ecco questa volta il suo ricordo del Belgio e delle 4 Liegi vince, a un solo successo dal record di Eddy Merckx. Ma poi il focus si sposta sulla scelta delle corse cui puntare.

Seconda tappa del nostro viaggio con Moreno Argentin. Dopo il capitolo sugli juniores, questa volta spaziando dal Belgio che lo ha reso grande, fino al Giro d’Italia del 1984 che lo vide sul podio, alle spalle di Moser e Fignon.

Obiettivo Giri

Senza sfortune o problemi, dopo un anno il corridore lo vedi e vedi anche su quali terreni può esprimersi al meglio.

«Quando un corridore passa professionista – dice Argentin – deve capire subito dove può essere forte e dove può specializzarsi. Non può dire, senza aver mai vinto una piccola corsa a tappe “punto ai grandi Giri”. Io ne vedo tanti che fanno questi ragionamenti, ma uno deve farsi il suo percorso. Se ha le caratteristiche di essere un corridore a tappe, deve passare attraverso le piccole corse a tappe, perché anche lì si aggiungono tasselli su tasselli. Prima di ambire a un Tour, a un Giro o a una Vuelta».

Liegi del 1991 su Criquielion, Sorensen e Indurain
Liegi del 1991 su Criquielion, Sorensen e Indurain

Capire subito

Quante corse a tappa ha disputato Tadej Pogacar, prima di passare professionista? Il Tour conquistato è stato un fulmine a ciel sereno o non era stato annunciato piuttosto dal Tour de l’Avenir e dal podio alla Vuelta del 2019? Stessa cosa per il vincitore della maglia rosa. Andate a guardare: negli anni scorsi Tao Geoghegan Hart ha disputato quasi esclusivamente gare a tappe.

«Il compito di un direttore sportivo è capire quali sono le attitudini dei ragazzi, cercando di farli ragionare. Non esiste l’atleta che può fare tutto. Già ai miei tempi era necessario specializzarsi. Le mie caratteristiche mi consentivano di essere più brillante nelle corse di un giorno. Quindi ho provato a fare la classifica a un Giro d’Italia. Il Giro d’Italia del 1984, abbastanza facile dal punto di vista altimetrico. Mi sono misurato, poi però ho preferito proseguire assecondando la mia indole. E il Belgio mi ha accolto permettendomi di cogliere 8 classiche importanti, cui ho aggiunto un Lombardia e un mondiale».

Ivan Basso, Alberto Contador, Giro di Sicilia, Rcs, 2019

Basso apre lo scrigno della Eolo-Kometa

31.10.2020
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«I soldi in giro ci sono – dice Basso parlando della nuova Eolo – solo che in Italia si continuano a rincorrere sempre gli stessi sponsor, che vedi passare di anno in anno da una squadra all’altra. E’ proprio brutto. Nel mio territorio ci sono aziende che non sono mai state coinvolte nel ciclismo. Devi andare da chi non sei mai andato. Ci vuole più tempo. Devi far conoscere il ciclismo, perché il ciclismo ha dei valori da raccontare».

Basso è un abile raccontatore, ma questa volta è più ispirato del solito. Il suo sogno e quello di Contador è realtà. Dalla Kometa-Xstra continental nascerà la EoloKometa professional e non è stato un viaggio breve.

Ci provò subito Ivan, incontrando sulla sua strada qualche furbacchione e tanti rifiuti. Una sorta di Piccolo Principe, con la sua rosa da difendere. Solo che in questo caso, perdonate il gioco di parole, le rose erano quattro, più due maglie gialle del Tour e tre rosse della Vuelta. E se due campioni come Basso e Contador si mettono in testa di raggiungere un obiettivo, dati i loro palmares, hanno quel che serve per arrivarci. Si trattava solo di capire dove agganciare i piedi e poi rimettersi a pedalare.

Bicicletta Aurum Magma, Alberto Contador, eolo Kometa
Aurum Magma, progetto Contador: la bici del team Eolo-Kometa
Bicicletta Aurum Magma, Alberto Contador, eolo Kometa
Aurum Magma, progetto Contador
E’ tutto pronto, Ivan?

Direi di sì, ormai. Siamo arrivati abbastanza lunghi a causa del lockdown, ma allo stesso tempo proprio in quel periodo abbiamo avuto le ultime certezze. I corridori buoni nel frattempo avevano già firmato. Avrei preso volentieri Aleotti, per fare un esempio. Ma abbiamo comunque una bella rosa di 20 uomini.

Perché quest’anno è andata in porto?

Probabilmente è stato premiato il lavoro a lungo termine. Abbiamo iniziato tre anni fa con Kometa che voleva crescere, ma da sola non bastava. Il progetto è sempre lo stesso, non abbiamo cambiato la linea in base a quello che avevamo di fronte. E l’idea prevede un vivaio, un centro di allenamento e una sede come per le squadre di calcio.

Quando è arrivato Eolo?

Un paio di anni fa. La sede è a 3 chilometri da casa mia. Conobbi Luca Spada tramite amici comuni alla Gran Fondo Tre Valli Varesine. Non conosceva il ciclismo e io non gli parlai della squadra, anche se lui sapeva chi fossi e cosa facessi. C’era voglia prima di creare un rapporto che prescindesse dalle convenienze.

Ed è nato?

Decisamente sì. Da parte mia ho provato a trasmettere i valori del ciclismo. Il primo punto secondo me è proprio questo: raccontare e far vivere lo sport. In un secondo tempo devi capire se per quell’azienda il ciclismo sia interessante. Non può essere solo un fatto di passione, deve esserci un ritorno per entrambi.

E funziona?

Lo abbiamo scoperto con Kometa. Aver investito non ha giovato solo alle vendite, ma ha fatto crescere l’azienda e favorito la nascita di relazioni. Alla fine di questo percorso, devi aspettare che la persona si convinca. Non devi andare a chiedere soldi, ma far nascere il desiderio.

Paolo Zani, Elia Viviani, Tour de San Luis 2012
Paolo Zani, manager di Liquigas, con Elia Viviani nel 2012
Paolo Zani, Elia Viviani, Tour de San Luis 2012
Paolo Zani, manager Liquigas, con Viviani
Quale filosofia c’è dietro la squadra?

La Eolo-Kometa rispecchierà i valori migliori delle squadre in cui sono stato. Ricordate lo Slogan della Liquigas che portava il gas dove gli altri non arrivavano? Curiosamente è lo stesso di Eolo, che porta internet dove gli altri non arrivano. Un messaggio semplice per la gente. Parlo quotidianamente con Pedranzini (titolare di Kometa, ndr) e Spada, come Amadio parlava con Zani. Sanno tutti come viene impiegato il budget, saremo parte delle loro aziende.

Un progetto che si espanderà?

Esatto, non è già finito, vogliamo crescere. Volevamo una casa per il team e ne avremo una in Valtellina e anche un quartier generale super innovativo dentro la sede di Eolo. E’ fondamentale per costruire cose importanti. Un luogo in cui nascano idee e progetti.

Un team italiano?

Sì, ma con un’unica anima. Il progetto della Fundacion ne fa parte, con Fran Contador in un ruolo chiave, ma io e Alberto facciamo fatica a definirci italiano o spagnolo. Abbiamo la bandiera comune del ciclismo. La maggioranza dei corridori sarà italiana ed è un bel segnale in un anno in cui tanti vanno indietro.

Quale è stato il criterio di scelta dei corridori?

Ho puntato sui ragazzi attratti dal progetto. Non quelli che sono venuti con una richiesta di soldi, ma quelli che piuttosto chiedevano informazioni su struttura e programmi. Ho trovato giovani fantastici che si sono messi a disposizione. Ho Andriotto che ci farà da talent scout. Vorrei essere come la Liquigas, ricordi?

La squadra di Basso e Sagan, Oss e Sabatini, Viviani e Nibali, Caruso e Capecchi…

Era un team stellare. Ho preso da Ferretti la serietà nel fare le cose e da Riis la programmazione tecnica, da tutti si deve imparare.

Quale sarà il tuo ruolo?

Sarò Basso e Alberto sarà Contador. Scherzi a parte, lui è più concentrato sull’aspetto tecnico-tattico. Io sono più sulle relazioni e i colloqui con gli sponsor e i dirigenti delle aziende.

Biciclette Aurum?

Esatto, Aurum, il nuovo marchio sviluppato da Alberto.

Quindi si chiudono i rapporti con Trek?

Resta un’ottima relazione. E’ stata una scelta che ha fatto Contador e che io ho seguito. Alberto è un cavallo di razza e ha voglia di gestire le sfide in cui si impegna.

Alberto Contador, Mauro Vegni, Ivan Basso, Giro di Sicilia 2019
Contador e Basso con Mauro Vegni al Giro di Sicilia del 2019
Alberto Contador, Mauro Vegni, Ivan Basso, Giro di Sicilia 2019
Contador e Basso con Vegni: Giro di Sicilia 2019
Quali saranno i prossimi passi?

A novembre ci sarà una serie di annunci e diremo quali sono i corridori. Ci sarà un ritiro di tre, quattro giorni a Varese, che però è legato alla situazione attuale. E poi abbiamo programmato due ritiri di 10-12 giorni a Oliva (in Spagna) che è la nostra base invernale.

Obiettivo Giro d’Italia?

Non voglio entrare nel terreno minato delle wild card. I criteri di selezione ci sono e ognuno deve pensare a fare bene il proprio dovere. Facciamo da tre anni una continental con risultati onorevoli. Siamo una squadra italiana. Abbiamo un contratto di tre anni con tre aziende sulla maglia, tre anni di progetto. Metteremo il numero sulla schiena dal primo gennaio per correre il più possibile, però mi tolgo da certi discorsi. Uno non deve pretendere niente, sono cose che ti devono essere date. Se hai i requisiti, vai avanti. Non abbiamo ancora dimostrato niente in questa categoria, dobbiamo andare forte in bicicletta.

Tre nomi soltanto, un’eccezione.

Ne sono orgoglioso. Fare una professional. Mantenere 15 corridori under 23. Aiutare il vivaio della Bustese in Italia che fa junior, esordienti e allievi. Quindi creare due scuole di ciclismo, una in Spagna e una in Italia. Mantenere tutta la struttura e fare il passo avanti è motivo di orgoglio. Ora c’è da lavorare sodo e con serietà per fare bene.

Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo

Sram al Giro con due guarniture diverse

30.10.2020
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Le parole di Frapporti sul gruppo Sram della sua Ktm ci hanno incuriosito e così, tirando il filo del discorso siamo arrivati da Stefano Faustini di Amg (uno dei due importatori italiani di Sram, l’altro è Beltrami) e ad una interessante scoperta.

Per quale motivo i corridori della Vini Zabù-Ktm hanno dovuto correre il Giro d’Italia (e le altre gare di stagione) con guarnitura 37-50 mentre Nibali e la Movistar (foto di apertura) hanno avuto il 52? E perché non è stato possibile un adeguamento per i corridori di Scinto?

«Quando è nato il Red Etap Axs a 12 velocità – spiega Faustini – sono state presentate nuove combinazioni di rapporti. Al posteriore ci sarebbe stato il pignone da 10 in due configurazioni (10-26 e 10-33). Questo avrebbe permesso un salto inferiore rispetto alle corone davanti, abbinate in combinazione 33-46, 35-48, 37-50. La più venduta sul mercato è stato subito la 35-48 mentre la 33-46 è più per cicloturisti veri e propri. L’obiettivo di Sram era di favorire i passaggi ravvicinati, tanto è vero che dal 10 al 17 i pignoni sono tutti in fila per uno…».

Guarnitura Sram 37-50 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 37-50 con cui ha corso la Vini Zabù-Ktm
Guarnitura Sram 37-50 Trek Segafredo
Sram 37-50 con cui ha corso la Vini Zabù-Ktm
Ma quando si parla di professionisti?

Diciamo che per la prima volta un gruppo è stato pensato per l’acquirente finale, quindi per un impiego amatoriale, e non per il professionista. Ma il problema si è posto l’anno scorso al Tour, quando la Katusha ci ha chiesto di avere corone più grandi. Il professionista ha più potenza di un amatore, è innegabile.

Quindi che cosa ha fatto Sram?

Dato che il passaggio da 11 a 10 al posteriore è impegnativo, sono state realizzate delle guarniture 41-54 con cui Mollema ha vinto il Lombardia e Pedersen il mondiale. Quest’anno la richiesta identica è partita da altri corridori, credo Nibali per primo. E così per Trek-Segafredo e Movistar abbiamo realizzato un 39-52.

E gli altri come la Vini Zabù?

Loro hanno avuto materiale di serie. La fornitura Trek e Movistar è stata frutto di un accordo privato fra Sram e le squadre, ma a questo punto…

A questo punto?

Non si potrebbe dire, ma visto che c’è richiesta per prodotti di quel tipo…

Li metterete in catalogo?

Sembrerà strano ma le guarniture classiche 39-53 rappresentavano il 3-5 per cento delle nostre vendite. Ma è chiaro che se si passa a un 52, il 10 viene sacrificato.

Ci hanno detto che il 10 è troppo piccolo e la catena nel girarci attorno genera troppo attrito.

Mi sembra davvero strano, perché la catena è stata riprogettata per il 10 con un diverso accoppiamento con il pignone. I piolini hanno diametro maggiore proprio per compensare gli attriti della catena standard. Diciamo che in questo settore molto spesso sono le abitudini a fare la differenza, ma è chiaro che se un certo tipo di richiesta esiste, non si può lasciarla inevasa…

Marco Frapporti, Giro d'Italia 2020

Frapporti, la fatica e un bimbo in arrivo

30.10.2020
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Poco dopo la fine del Giro, quando di solito si torna dai propri cari per raccontare le proprie avventure, Marco Frapporti ha scritto su Facebook un messaggio carico di amarezza, che parlava di fatica, di delusione e di un anno storto, lasciando anche intuire l’incertezza sul futuro. In effetti la corsa del bresciano è stata una faticosa rincorsa, nella quale si possono rintracciare i temi di tutto in questa stagione così strana.

Tutto sul Giro

«Avevo dato tanta attenzione al Giro – spiega “Frappo” – invece niente è andato come volevo. Forse il Covid. Forse il freddo. Forse la stagione. Avevo fatto un bel lavoro di forza alla ripresa dopo il lockdown. Poi due ritiri in altura a Livigno prima e dopo la Tirreno-Adriatico, ma quando sono arrivato al via non ho mai avuto una sensazione accettabile. Non so se abbia pagato le ore sui rulli durante la chiusura, ma non sono di quelli che ci passava sopra le giornate. Il fatto è che sono arrivato a Palermo imballato e non mi sono mai ripreso. Anche se finire il Giro con la paura che si aveva di non riuscirci è stato bello. Nonostante la fatica, ci siamo tutti divertiti».

Marco Frapporti, Tirreno-Adriatico 2020
Prima del Giro d’Italia per Frapporti la Tirreno-Adriatico
Marco Frapporti, Tirreno-Adriatico 2020
Prima del Giro, la Tirreno-Adriatico

Attesa e gratitudine

Dopo un anno non esaltante alla Androni Giocattoli, Frapporti aveva riparato alla Vini Zabù-Ktm e per palese gratitudine avrebbe voluto ripagare il team.

«Citracca dice che sono un suo corridore – sorride – ma ancora non si è parlato di contratto. Il Covid ha gelato ogni cosa, mi sento di dire che rimarrò con rispetto e gratitudine, ma sarebbe bello avere qualche risposta. L’idea di puntare tutto sul Giro in qualche modo l’abbiamo condivisa, perché sarebbe stata la vetrina migliore. Purtroppo la caduta di Wackermann è stata un duro colpo. Avremmo lottato per lui nelle tappe più adatte e questo avrebbe dato morale a tutta la squadra. E quando alla fine è arrivato il ritiro di Visconti, sembrava che fosse finito il Giro. E non è stato bellissimo per chi è rimasto».

Rapporti corti

Ma nel Giro sfortunato di Frapporti, si è vista anche la differenza abissale fra squadre WorldTour e resto del mondo.

«Me ne sono accorto – dice – e l’ho provato sulla mia pelle. Quando aprivano il gas, la differenza era abissale. Vedi che sono in un altro mondo, possono permettersi di spendere e dedicare attenzione alle bici e ai dettagli. E così quando guardi i wattaggi in corsa, vedi che non sono troppo lontani da te, ma la differenza cronometrica è enorme. Vuol dire che a (quasi) parità di sforzo, loro vanno più veloci».

I corridori delle Vini Zabù-Ktm poi correvano con guarnitura Sram 37-50 e dietro il pacco pignoni con la scala che partiva dal 10. Non certo l’ideale per le giornate più veloci.

«Ed è stato un problema – dice – che nemmeno era risolvibile. So che Citracca ci ha provato ed è venuto fuori che Sram ha fatto una fornitura personalizzata con la guarnitura più grande per la Trek-Segafredo e la Movistar, mentre a noi è rimasta quella di serie. Che non è compatibile con altri gruppi in circolazione. E devo dire che quando si andava a 60 all’ora, girare il 50×11 ci imballava tantissimo. Il 10 non puoi usarlo troppo, se non in discesa, perché è molto piccolo e aumentano gli attriti. Pensare che negli altri anni, io andavo abitualmente con il 54…».

Arriva l’inverno

In attesa dell’inverno, una settimana di riposo dopo il Giro e poi si ricomincerà da lunedì con la mountain bike e qualche camminata in montagna.

«E visto che in Trentino si può cenare negli hotel – sorride – e finora ho trascurato la mia ragazza, ho prenotato un weekend a Pinzolo, mentre domani raggiungo un mio grande amico in Val Passiria, che è lassù con moglie e bimbi. Non vi dico chi è, perché sennò si guasta la sorpresa. Vi basti sapere che è più piccolo di me e ha cominciato nella squadra dei miei genitori».

D’accordo, acqua in bocca. Speriamo che non se ne accorga, speriamo che un contratto arrivi presto e speriamo che la sorpresa alla fine riesca. Anche se la vera sorpresa arriva alla fine della chiacchierata, davanti a una semplice domanda.

Come si chiama la tua ragazza?

Loris Corli… e se vuoi dirlo, diventerò papà a maggio dell’anno prossimo. Inizio a dirlo ora. Abbiamo aspettato il terzo mese per essere certi. Siamo insieme da poco, è un amore sbocciato velocemente e inaspettatamente. Uscivano entrambi da storie lunghe e ci siamo trovati».

Bè, cosa dire d’altro a questo punto: auguri, ragazzi!

Luca Wackermann, Agrigento, Giro d'Italia 2020

Wackermann, la luce in fondo al buio

30.10.2020
3 min
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Il 6 ottobre, staccatosi per scelta a 10 chilometri dall’arrivo, Luca Wackermann pedalava con alcuni compagni verso il traguardo di Villafranca Tirrena. Il giorno dopo sarebbe andato in fuga nella tappa di Camigliatello Silano: era evidente che un attacco ben portato sarebbe infatti andato all’arrivo. Ganna può confermarlo.

«Mi ricordo bene tutta la corsa – racconta – molto poco del finale. Solo che pedalavo e c’era questo elicottero davvero molto basso. L’ultima cosa che vedo è una transenna che decolla e mi arriva in faccia. Poi il buio. L’ho riguardata due giorni dopo in televisione con Citracca che parlava e vedermi immobile per terra a quel modo è stato brutto. Capisco cosa possa aver provato mia moglie, che era al lavoro ed è stata per un’ora e mezza in attesa di notizie. Per fortuna è riuscita a raggiungermi tramite il telefono del dottore mentre mi stavano portando in ospedale. Dice che abbiamo parlato e ha capito che ero vivo, ma io non ricordo nulla. Anche delle telefonate del viaggio verso casa non ricordo nulla. C’era solo da pedalare e avere un po’ di fortuna perché il Giro fosse la ciliegina sulla torta, ma di nuovo la fortuna…».

Luca Wackermann, caduta Villafranca Tirrena, Giro d'Italia 2020
La transenna si sposta e investe i corridori della Vini Zabù, Wackermann resta a terra
Luca Wackermann, caduta Villafranca Tirrena, Giro d'Italia 2020
Caduta a VIllafranca Tirrena, Wackermann resta giù

Wackermann è a casa, ci sentiamo di mattina presto perché poi ha un’altra serie di visite. Ventotto anni, è professionista dal 2013. La prima risonanza ha evidenziato due ematomi in fase si assorbimento, si spera che la prossima confermi che tutto è posto. Certo qualche mal di testa c’è ancora e la schiena duole, ma il corridore avrebbe già voglia di tornare in bici. E questo è un buon segno.

Il Giro stava andando bene…

Il quinto posto di Agrigento con una bella azione in finale diceva proprio questo. Il morale era alto, per me e per la squadra. E da lì in avanti ci sarebbe stata la possibilità di andare in fuga. Avevo corso molto prima del Giro. Sesto a Sibiu, la corsa della ripartenza. Poi avevo vinto il Tour du Limousin. Quindi ho fatto Coppi e Bartali e Tirreno e a seguire dieci giorni in altura. C’era tutto per fare bene.

Hai parlato di fortuna.

Qualcosa che non ho sempre avuto nella mia carriera. Sono partito dalla Lampre, ma è stata una lunga serie di alti e bassi. La squadra WorldTour è grande, ma se non sfondi, hai la sensazione di essere un numero in mezzo a tanti. La professional è più una famiglia, anche se meno organizzata. E’ stato Visconti, che è un amico e compagno di allenamento, a volermi alla Vini Zabù-Ktm. Una tappa al Giro sarebbe stata una gran cosa, ma per come è andata, mi sarei accontentato di arrivare sano a Milano e di poter fare un buon inverno.

Radio mercato lo vedrebbe dal prossimo anno con la maglia della Eolo-Kometa, la squadra sognata, progettata e finalmente creata da Ivan Basso e Alberto Contador. Si vede che Luca vorrebbe dire, ma non può sbilanciarsi.

«E’ un bel progetto – dice – una bella realtà italiana, ma non c’è ancora nulla di certo. Di certo posso confermare che un contatto c’è stato».

Fausto Masnada, Phil Lowe, Madonna di Campiglio, Giro d'Italia 2020

Giornalisti al Giro, parla lo «Zio» Diciatteo

28.10.2020
5 min
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Racconta Diciatteo che la rogna più grossa l’hanno avuta nel primo riposo in Abruzzo.

«All’improvviso – racconta il capo ufficio stampa di Rcs Sport – iniziano a venire fuori notizie non chiare. Pare che sia partito tutto dal Facebook della città in cui era ospitata la carovana del Giro E, il Giro elettrico. Scrivono della positività di 17 poliziotti della Scorta del Giro d’Italia. La riprendono tutti. Siti e quotidiani. Nessuno che verifichi. De Gendt legge e scrive di sentirsi insicuro. Il giorno dopo abbiamo tutti i corridori di traverso. Per cui, tra rintracciare la prima notizia e capire che in effetti si trattava di 17 poliziotti del Giro E, abbiamo passato qualche ora concitata. Alla fine per fortuna è arrivato il comunicato del Ministero dell’Interno, dalla stessa Polizia, e noi lo abbiamo rilanciato. De Gendt ha rettificato. Credo che quello sia stato un giorno ben peggiore dello sciopero di Morbegno…».

Stefano Diciatteo, Giro d'Italia
Stefano Diciatteo: per lui quest’anno il Giro d’Italia numero 27
Stefano Diciatteo, Giro d'Italia
Stefano Diciatteo, 27° Giro d’Italia

Ai primi di luglio, quando è stato chiaro che il ciclismo sarebbe ripartito, Stefano Diciatteo e tutti i collaboratori dell’ufficio stampa di Rcs Sport, si sono messi a pensare a come far lavorare giornalisti, fotografi, cameramen e uffici stampa delle squadre senza infrangere i protocolli di sicurezza. Quella che segue è una chiacchierata fra due… giovincelli che hanno visto passare più di qualche maglia rosa e che di colpo, ciascuno nel suo ruolo, hanno visto cambiare il mondo.

«I primi passi – racconta Diciatteo, per tutti “Zio”, a quota 27 Giri d’Italia – li abbiamo fatti con la Strade Bianche e le altre classiche. Erano le prima gare WorldTour e ci rendevamo conto che ogni soluzione valida sarebbe stata veicolata al Giro d’Italia».

E’ il primo agosto quando Van Aert si porta a casa la corsa di Siena e dopo una settimana si ripete alla Sanremo. Per vedere Fuglsang al Lombardia si aspetta Ferragosto e poi si fa rotta sulla Tirreno-Adriatico che scatterà il 7 settembre.

Che cosa c’era da cambiare?

La prima cosa è stato stimare la limitazione degli accrediti. Abbiamo valutato la capienza media delle sale stampa, concludendo che avremmo potuto ospitare poco più della metà dei giornalisti. Stessa cosa per i fotografi sul traguardo. Abbiamo dato via libera a 12-15 agenzie, senza accreditare i locali. Agli altri abbiamo detto di no. E sarebbe stato davvero facile se tutti avessero accettato senza protestare…

Dottor Emilio Magni, Nicola Conci, fotografa Trek-Segafredo, Etna, Giro d'Italia 2020
Al traguardo, soltanto staff e corridori: qui il dottor Magni, Conci e la fotografa del team
Dottor Emilio Magni, Nicola Conci, fotografa Trek-Segafredo, Etna, Giro d'Italia 2020
Al traguardo solo staff e atleti: lui è Conci
Un taglio netto.

Abbiamo fatto anche un grosso lavoro con i comitati di tappa, che sono nostri partner e ci accolgono a casa loro. Per andargli incontro, di volta in volta concedevamo 4-5 giornalisti, 2 tivù locali cui si aggiungeva la Rai regionale e anche un paio di fotografi che poi condividessero le foto con gli altri. In ogni caso, nei comunicati mettevamo anche un’ampia copertura di immagini.

I risultati si sono visti?

Direi di sì. La sala stampa è stata sempre ordinata e senza assembramenti. E lo stesso agli arrivi.

Arrivi da cui i giornalisti sono stati tenuti alla larga.

La logistica ha studiato la bolla e gli unici media inclusi erano i fotografi dei team. L’idea era non consentire ai giornalisti l’accesso alla strada, tanto che l’ingresso nella loro area avveniva da dietro. Gli altri fotografi avevano la loro postazione e non potevano muoversi, soprattutto per seguire il corridore dopo il traguardo.

E le immagini di abbracci e fatica che abbiamo visto?

Sono state fatte da due fotografi, uno nostro e uno di BettiniPhoto, che poi le condividevano. Credo che il sistema abbia retto bene, se pensiamo ai 4 corridori positivi e qualcuno del personale, a fronte di oltre 5.000 tamponi in un mese.

Ci sono stati aggiustamenti in corsa? Penso alla zona mista…

Esatto. Alla Tirreno-Adriatico l’avevamo collocata alla partenza: una porzione di spazio con doppie transenne in cui i giornalisti potessero fare domande agli atleti, rimanendo a distanza. Qualcuno però ha chiesto di parlarci dopo l’arrivo. I bus erano spesso lontani dal traguardo e andando, non sarebbe stato possibile seguire la conferenza stampa di vincitore e leader. Così mi sono accordato con gli uffici stampa che, prima di andar via, portassero i corridori nella zona del box stampa (nella foto di apertura Fausto Masnada con Phil Lowe, l’addetto stampa della Deceuninck-Quick Step).

Tra le novità del Giro, c’è stata anche la videoconferenza stampa, che al Tour c’è da anni.

Una delle novità che probabilmente resteranno anche dopo. Alla Tirreno c’era una tenda, ma era d’estate e il Covid sembrava alle spalle. Altre volte al Giro nelle tappe complicate ci eravamo attrezzati in qualche hotel, altrimenti leader e vincitore venivano caricati in auto e portati alla sala stampa. La situazione ci ha agevolato…

Quanto tempo abbiamo risparmiato?

Un’ora, a volte un’ora e mezza. Per i giornalisti, i corridori e noi di Rcs. In più, per essere più rapidi, facevo un passaggio all’antidoping. Quest’anno c’erano sei sorteggiati, più vincitore e leader. E allora chiedevo agli addetti stampa se, piuttosto che tenerli in attesa per un’ora, venivano prima alla conferenza. Devo dire che ha funzionato bene.

Jakob Fuglsang, Giro d'Italia 2020
Interviste schermate e microfoni a distanza
Jakob Fuglsang, Giro d'Italia 2020
Mascherine e microfoni a distanza
Quindi rispetto ai timori della partenza è andato tutto bene?

Direi di sì. Chi non è riuscito a venire ha avuto un’ampia copertura e i nostri comunicati sono stati sempre ripresi e rilanciati.

In quanti avete lavorato al Giro come ufficio stampa?

Oltre a me, c’era l’agenzia Shift con Dario Esposito e Jeff Quenet come freelance. In più c’erano Elena Fiume ed Emilio Giletti che completano la squadra alle corse e prima per gli accrediti.

E adesso che cosa vi aspetta?

Si stacca, ma non troppo. A gennaio dovrebbe esserci la presentazione del Giro 2021, che va preparata. Non sarà a fine mese, quindi prima di tutto ci sarà da capire come evolverà la pandemia. Poi bisognerà sentire Mauro Vegni. Ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport di avere già il percorso pronto, con l’incognita della partenza. Andare all’estero potrebbe essere complicato. Staremo a vedere. Rimettiamo tutto in ordine. E poi ripartiamo…

Joao Almeida, Stelvio, Giro d'Italia 2020

Testa e gambe sono tutt’uno. Parla Joao…

27.10.2020
4 min
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Acacio Da Silva ha quasi 60 anni e nei giorni del Giro ha speso parole bellissime per Joao Almeida.

«Sono passati 31 anni dai miei tempi – ha detto – e questo è il momento di Joao. E’ bello vedere corridori giovani seguire le nostre orme, è molto bello per tutti noi e per il ciclismo portoghese. Voglio ringraziare Almeida per aver continuato a portare il nostro nome e quello di tutti i nostri connazionali in giro per l’Italia. Quello che hanno fatto lui e Ruben Guerreiro (vincitore della classifica del Gpm, ndr) non è facile. Siamo tutti molto orgogliosi».

Joao Almeida, Piancavallo, Giro d'Italia 2020
A Piancavallo, la mente ha spinto il fisico oltre i suoi limiti
Joao Almeida, Piancavallo, Giro d'Italia 2020
A volte la mente spinge il fisico oltre i limiti

L’investitura

Quando gli hanno riferito questa frase, Joao ha sorriso. Chi sia Acacio Da Silva lo ha ben chiaro e ha sentito parlare delle sue cinque tappe al Giro e le tre del Tour. Solo che lui ancora non era nato e questo fa capire quanto sia giovane l’onda di talenti lanciata dal Giro d’Italia. Perché Joao è giovane davvero.

Tra il ragazzino della Deceuninck-Quick Step e Geoghegan Hart ci sono stati alla fine 2’57”. A favore del vincitore del Giro ballano soprattutto tre anni di età e quattro stagioni di WorldTour. Tao infatti ha 25 anni ed è salito alla massima categoria nel 2017 quando ne aveva 22. Ameida invece ha debuttato proprio quest’anno, alla stessa età del britannico quando debuttò.

Giro per caso

La considerazione da cui partire per interpretare la grandezza del suo quarto posto, dopo due settimane di maglia rosa, è che Almeida il Giro non doveva neanche farlo. Non era nei piani, oppure semplicemente era stato ritenuto troppo giovane. Se Remco Evenepoel non fosse caduto al Giro di Lombardia, per Joao non ci sarebbe stato posto e chissà se lo avremmo scoperto così presto.

Joao Almeida, Tour Down Under 2020
Al Tour Down Under all’inizio della stagione 2020
Joao Almeida, Tour Down Under 2020
Al Down Under all’inizio del 2020
Che cosa ti è parso di questo viaggio attraverso l’Italia?

Fantastico. Un sogno trasformato in realtà. Era il mio primo grande Giro, solo finirlo mi ha reso molto contento. Ma non è stato una passeggiata, ho dovuto lottare e soffrire. Anche la crono di Milano alla fine è stata una giornata dura, fatta di 15 chilometri al limite estremo.

Che cosa sognavi quando sei arrivato? 

Il mio obiettivo era restare con i migliori il più a lungo possibile. Sono partito ambizioso, ma concludere quarto nella generale è più di quanto potessi aspettarmi, quindi sembra un sogno. E’ stato giusto festeggiare con la mia squadra per tutto quello che ha fatto. I miei compagni, lo staff, tutti quanti. Davvero grazie.

Come hai gestito la pressione?

Vivendo giorno dopo giorno, l’eccitazione è stata enorme. Quindici giorni in maglia rosa sono stati un’esperienza impressionante. Ho scoperto molte cose su di me qui, mi sono spinto mentalmente oltre limiti che potevano farmi paura. Ho dato tutto ogni volta. Lascio questa dura gara con tanti bei ricordi.

Che cosa hai scoperto che già non sapevi?

Avere attorno compagni che credono in me mi rende più forte. E poi che anche gli altri fanno fatica. Infine il mal di gambe è uno scoglio mentale prima che fisico. A Sestriere ero stanchissimo, ma sono andato oltre.

Joao Almeida, Ruben Guerreiro, Giro d'Italia 2020
Con Guerreiro, l’orgoglio portoghese al Giro d’Italia
Joao Almeida, Ruben Guerreiro, Giro d'Italia 2020
Con Guerreiro, l’orgoglio portoghese
Qual è il ricordo più vivido?

Il giorno in cui ho conquistato la maglia rosa sull’Etna, per il modo rocambolesco in cui è venuta e la gioia nell’indossarla. Sono ancora giovane e vedrò cosa riserva il futuro, ma quello che posso dirvi ora è che un giorno spero di indossarla di nuovo.

Il ciclismo portoghese si è un po’ fermato al mondiale di Rui Costa, pensi di essere il futuro nel tuo Paese?

Penso sia chiaro che il momento sia davvero storico. Dovevo fare esperienza, non mi hanno chiesto nulla di più e credo di averne fatta abbastanza da ritenermi soddisfatto. Il Giro d’Italia era sempre stato il mio sogno da quando arrivai secondo in quello per under 23. Averlo guidato fino a una settimana dalla fine mi riempie di belle sensazioni.

Senti il peso della bandiera?

Non arrivo a tanto (ride, ndr), ma voglio dire grazie ai miei tifosi. Abbiamo bisogno di atleti giovani e forti e spero che questi giorni siamo stati di ispirazione per i ragazzi più giovani di me.

Joao Almeida viaggia con il futuro che soffia forte alle spalle. E la Decenunick-Quick Step, come pure il Team Ineos, si ritrova in casa un altro ragazzino terribile, pieno di tanta, tanta luce.