Un anno fa, erano in pochi, anche fra gli addetti ai lavori, a considerare Clement Champoussin come un prospetto fra i più interessanti del ciclismo attuale. Tutto è cambiato, al punto che se anche non compare (ancora) fra i vincitori di stagione, sul suo nome sta montando un’attenzione clamorosa, soprattutto nei social e anche in chi magari guarda con poca simpatia i cugini d’Oltralpe. Il perché? E’ presto detto: Champoussin è uno che fa spettacolo e non ha mai paura di mettersi in gioco, proprio come i big attuali.
Champoussin alle spalle di Bernal: il Laigueglia lo ha rivelato al grande pubblicoChampoussin alle spalle di Bernal: il Laigueglia lo ha rivelato al grande pubblico
Il 2020 iniziato tardi
Una dimostrazione l’abbiamo avuta anche in casa, al recente Trofeo Laigueglia, dove il transalpino dell’AG2R-Citroen ha corso da protagonista, sempre in fuga. Eppure solo un anno fa questo era un sogno, come ha raccontato lui stesso a Cyclingnews: «Ad aprile 2020 ero ancora un dilettante, oltretutto senza gare dove poter correre. Sono rimasto fino ad agosto in compagnia di pensieri e dubbi, senza sapere che cosa aspettarmi. Per giunta ho anche preso il Covid, così ho potuto iniziare solo a settembre, ritrovandomi però già fra i professionisti. Quelle settimane alla fine sono state utili per rimanere tranquillo e prepararmi con calma. Poi iniziando le gare mi sono sentito sempre meglio».
Champoussin alle spalle di Gaudu alla Faun Ardeche Classic, per la gioia dei francesiChampoussin alle spalle di Gaudu alla Faun Ardeche Classic
Alla Vuelta i primi squilli
Un esordio bello tosto, il suo, passando per la Vuelta di Spagna condita da due belle top 10 di tappa: «All’inizio è stata una fatica enorme. Però man mano che si andava avanti stavo sempre meglio e nelle tappe di montagna ho potuto far vedere le mie qualità. Come corridore sono principalmente uno scalatore e non ho una preferenza specifica, mi adatto bene alle salite brevi come a quelle lunghe, agli strappi secchi come alle salite pedalabili. Ogni tappa che finivo ero stanco, ma mai troppo…».
A ben guardare le prove di Champoussin, non può essere definito solo uno scalatore: va bene anche sul passo, a cronometro se la cava (alla Vuelta ha chiuso una tappa fra i primi 20) e non è propriamente fermo in volata. Insomma, ci sono tutte le qualità per emergere e all’AG2R-Citroen lo sanno, stanno investendo molto su di lui. «Andrò al Giro d’Italia per fare esperienza e dare una mano, ma prima potrò correre il Giro di Catalogna e il Romandia come capitano della squadra, credo che la dimensione delle corse a tappe di una settimana sia quella che attualmente più mi si attaglia».
Nato dalla Mtb
Interessante anche un riferimento ai suoi inizi: «Quando ho cominciato non ci pensavo neanche alle corse su strada. Pedalavo con la Mtb per divertimento. Ma visto che andavo forte, ho cominciato a gareggiare nei cross country, fino alla categoria junior. Andavo su strada solo per allenarmi e fare esperienza in qualche gara di pari età. Perciò, vedendo che andavo bene anche lì, ho pensato di provarci». Non è stato il primo, non sarà l’ultimo, speriamo anche dalle nostre parti…
Con Gilberto Simoni, parlando del rapporto fra il corridore e la montagna. Le storie dei suoi Giri. E quel senso di pace ogni volta che la salita iniziava
La storia è ormai ben nota. Il 10 febbraio Rcs Sport dirama l’elenco delle squadre invitate al Giro d’Italia e fra queste, sebbene si aspettasse di esserci, non è inclusa la Androni Giocattoli-Sidermec. La notizia stupisce, in effetti, perché probabilmente nella valutazione tecnica delle squadre in lista, quella di Savio non è l’ultima. Il colpo è duro. A Savio lo dice bici.PRO, dato che nessuna comunicazione è stata fatta preventivamente e già questo fa pensare che si siano volute evitare polemiche. Ma le polemiche esplodono lo stesso.
Savio va già duro e parla di «infamia sportiva». Mauro Vegni si chiude a riccio e non risponde, ma quando lo chiama bici.PRO risponde e non risparmia colpi. Durezza contro durezza e questa volta il messaggio contiene parole pesanti.
La Androni legge. Metabolizza. Analizza. Riflette. E poi ci manda una lettera di commento, che pubblichiamo a seguire.
Non avremmo voluto continuare una inutile polemica con Rcs Sport in merito all’assegnazione delle wild card, ma non possiamo non replicare alle dichiarazioni rilasciate da Mauro Vegni.
Il direttore del Giro d’Italia dice di non aver preso in considerazione la nostra squadra per il Giro poiché – pur essendo la prima Professional italiana – nel ranking mondiale Uci occupava la 29ª posizione. Consideravamo che, vista la concessione dell’Uci di una terza wild card agli organizzatori per favorire i team nazionali, uno degli inviti stessi spettasse alla squadra con i migliori risultati. A proposito dell’appunto per aver invitato due squadre italiane in posizione più arretrata della nostra, Vegni, in mancanza di argomenti validi, giustifica la sua scelta con un secco: «Ho le wild card e faccio come voglio». Ed è proprio per questo che ci siamo rivolti alle Istituzioni ciclistiche, con la nostra lettera aperta per chiedere che l’assegnazione delle wild card dovesse tenere conto anche e soprattutto dei meriti sportivi.
Noi comprendiamo che un organizzatore debba tener conto anche dell’aspetto commerciale, ma riteniamo non si possa escludere totalmente il profilo etico-sportivo. Invitare team che hanno ottenuto risultati assolutamente inferiori ad altri è una palese discriminazione sportiva.
Riteniamo inoltre antisportivo e addirittura offensivo verso i corridori che il direttore del Giro d’Italia dichiari che non gli «importa di squadre che vanno in fuga». Evidentemente non prende in considerazione che le nostre fughe ci hanno consentito – dall’avvento del World Tour – di vincere ben 14 tappe dei Giri d’Italia. Due anni fa, sempre grazie alle fughe, abbiamo vinto con Fausto Masnada la tappa di San Giovanni Rotondo e abbiamo sfiorato nuovamente il successo con Mattia Cattaneo e Andrea Vendrame, entrambi secondi classificati in altre frazioni. Lo scorso anno, abbiamo sempre mandato all’attacco i nostri corridori cercando la vittoria come in passato. Non ci siamo riusciti ma la conseguenza è stata che Simon Pellaud e Mattia Bais, sono saliti sul podio finale di Milano quali vincitori dei Traguardi Volanti e dei Chilometri in Fuga, due delle sette classifiche ideate dagli organizzatori stessi proprio per premiare i corridori che vanno ripetutamente all’attacco.
Vegni oggi dice che la classifica della Ciclismo Cup – ideata dalla Lega del Ciclismo Professionistico del cui direttivo Vegni stesso fa parte – «non conta nulla». Fino al 2018 la Ciclismo Cup rappresentava quanto meno per le squadre italiane l’unica ancora di salvezza con criteri meritocratici al fine delle assegnazioni delle wild card. Viene da pensare che non si sia rinnovato l’accordo con la Lega proprio per rendere irrilevanti i risultati sportivi al fine di disporre come meglio si crede delle wild card.
Vegni conclude minacciando che, se ci lamentiamo, il prossimo anno non saremo invitati neppure alle altre corse della Rcs. Affermazioni che generano in noi profondo sconcerto. Abbiamo sempre dato il massimo per onorare il Giro d’Italia e tutte le corse di Rcs. Siamo convinti di esserci riusciti con risultati e protagonismo.
Lotteremo con tutti i mezzi a nostra disposizione per far prendere coscienza al mondo dello sport intero che servono regole uguali per tutti: è necessario cambiare questo sistema che non tiene in alcun conto la meritocrazia sportiva.
Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la pianura, le colline e le montagne del Friuli Venezia Giulia: due tappe in programma, Zoncolan compreso, più una terza con partenza da Sacile. E a luglio si replica: il Giro Rosa si concluderà in terra friul-giuliana, con le ultime due frazioni di gara, che probabilmente raggiungeranno il monte Matajur sulle Prealpi Giulie e le dolci colline del Collio. Il percorso della corsa femminile, però, non è stato ancora definito ufficialmente.
Anche il Giro 2020 è stato in Friuli, con l’arrivo di PiancavalloAnche il Giro 2020 è stato in Friuli, con l’arrivo di Piancavallo
Patron Cainero
Se nell’ultimo ventennio la più piccola regione del Nord Est italiano ha ospitato spesso la carovana del Giro con percorsi che hanno contribuito a scrivere la storia della corsa rosa – oltre allo Zoncolan è arcinota la salita di Piancavallo – il merito dev’essere riconosciuto a Enzo Cainero, storico deus ex machina del ciclismo professionistico Fvg. Prima di approdare al mondo delle bici da corsa, ha trascorso una vita nello sport: portiere di calcio del Varese dalla fine degli anni Sessanta (ha giocato anche in seria A), dirigente dell’Udinese e del Venezia calcio, poi presidente della squadra di basket di Udine e organizzatore delle Universiadi di Tarvisio 2003 (nella foto di apertura, Cainero premia Chris Froome, vincitore sullo Zoncolan nel 2018, poi della stessa maglia rosa).
Simoni ha domato 2 volte lo Zoncolan: nel 2003, qui sopra, e nel 2007Simoni ha domato 2 volte lo Zoncolan: nel 2003 e nel 2007
«Il ciclismo è stato sempre la mia passione. Da bambino avere una bici sportiva era un lusso e io ho avuto la fortuna di possederla», racconta Cainero. «Mi ricordo come fosse ieri la mitica tappa del Bondone nel 1956, vinta dal lussemburghese Charly Gaul. Con mio padre eravamo lì ad aiutare i ciclisti assiderati e sfiniti nella bufera di neve fuori stagione che fece entrare nella leggenda quella corsa».
Versante di Sutrio
Tornando all’oggi, Cainero illustra la tappa Cittadella-Zoncolan, quasi interamente in territorio friulano: «I ciclisti percorreranno la pedemontana pordenonese da Caneva a Maniago per poi superare la forcella di monte Rest e scendere in Carnia. Lo Zoncolan quest’anno, dopo 18 anni, sarà scalato dal versante di Sutrio, leggermente meno impegnativo di quello di Ovaro».
Nel 2010 sull Zoncolan, Basso in rosa e tifosi… a tavolaNel 2010 sull Zoncolan, Basso in rosa e tifosi… a tavola
Passaggio in Slovenia
La salita più impegnativa del ciclismo mondiale (Ovaro-Zoncolan) può attendere. La tappa successiva, Grado-Gorizia, toccherà alcune delle meraviglie della regione – Grado, la laguna di Marano, Aquileia, il Castello di Spessa, il Collio – e renderà omaggio alle due Gorizie (Nova Gorica in Slovenia e Gorizia nella Venezia Giulia) a pochi mesi dalla scelta delle due città come capitali europee della cultura 2025.
«L’itinerario è stato proposto un anno e mezzo fa, ci ho visto lungo», ammette Cainero, che sottolinea anche l’importanza di correre a cavallo di un confine «fino a pochi anni fa armato». Era un tratto della famigerata cortina di ferro che divideva l’Europa occidentale da quella orientale e i due blocchi contrapposti ai tempi della Guerra Fredda.
Già nel 2001 il Giro passò in Slovenia: sarà ancora così nel 2021Già nel 2001 il Giro passò in Slovenia: sarà ancora così nel 2021
Il primo Zoncolan
Con la Cittadella-Zoncolan e la Grado-Gorizia, sono ventuno le tappe del Giro in Friuli Venezia Giulia dal 2003, tutte proposte e organizzate dal manager friulano.
«Ho instaurato ottimi rapporti con Rcs, meritando la fiducia degli organizzatori nazionali della corsa rosa», si vanta, giustamente, Cainero. «Diciotto anni fa l’allora direttore Carmine Castellano mi disse: “Se sbagli questa non torneremo più sullo Zoncolan”. E’ andata bene. Da allora non mi sono più fermato e devo ringraziare gli efficientissimi volontari friulani che mi supportano in ogni edizione».
Lo Zoncolan venne affrontato per la prima volta nel 2003Lo Zoncolan fu scoperto dal Giro nel 2003
Il freno Covid
Si sa che il Giro è anche una vetrina promozionale d’eccellenza per il territorio e per il movimento cicloturistico. Da un anno a questa parte le cose non vanno proprio a gonfie vele per i motivi noti a tutti.
Enzo Cainero conclude la chiacchierata con un auspicio: «Spero che la pandemia ci lasci più liberi dello scorso anno, che possano tornare al più presto i tanti tifosi che affollano le strade della corsa. Perché l’uomo è un elemento imprescindibile in questo sport bellissimo e appassionante».
Jai Hindley riallaccia il filo con il Giro d'Italia e prova a riprendersi la rosa persa l'anno scorso all'ultima tappa. Primo inverno lontano dall'Australia
Davide Cimolai diventerà padre. Per questo la sua sfida sarà vincere e dedicarle i fiori alla sua compagna. E' il sogno di “Cimo” alla vigilia del Giro
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Look, quei pedali speciali per il Giro d’Italia: il famoso marchio francese propone un’edizione limitata. L’esemplare (unico) che abbiamo in mano è stato pensato per l’edizione 2020 della corsa rosa, ma purtroppo nessun corridore ha avuto la possibilità di utilizzarli, stiamo parlando dei pedali. I Look Keo Blade Carbon, colorati di rosa, sono stati pensati esclusivamente per la corsa d’eccellenza italiana. Con un peso di 110 grammi, i cuscinetti in ceramica e la tecnologia Blade, i pedali offrono un trasferimento molto efficace dei watt alla trasmissione, con una superficie d’appoggio di 700 mm, che ne fanno un appoggio ideale. Abbiamo voluto approfondire la questione con Alberto Fumagalli responsabile marketing e comunicazione dell’azienda francese.
Pedali Look rosa per il leader? L’Astana andrà al Giro con VlasovPedali Look rosa per il leader? L’Astana andrà al Giro con Vlasov
Come è nata questa iniziativa di proporre dei pedali dedicati alla corsa rosa?
La spinta è sempre quella di voler essere originali, sulla base di una grande tradizione ciclistica come quella del Giro d’Italia. Così abbiamo pensato di proporre questi pedali.
Un’esperienza non nuova alla Look…
Esattamente! Abbiamo fatto lo stesso con il Tour de France, ovvero ci siamo convinti che proporre dei pedali dello stesso colore della maglia di leader della classifica potesse essere interessante, cosi ne abbiamo approfittato e abbiamo lanciato, oltre ai pedali “gialli”, anche quelli a “pois”.
I primi riscontri come sono stati?
Sinceramente buoni, sono stati apprezzati, i corridori hanno gradito.
Ecco il pedale creato per il vincitore del Giro 2020, se avesse avuto Look…Ecco il pedale creato per il vincitore del Giro 2020, se avesse avuto Look…
Quale corridore ha avuto la fortuna di usare i pedali?
Romain Bardet al Tour de France, nei giorni in cui indossava la maglia di miglior scalatore.
Ci puoi dire qualcosa sull’aspetto tecnico dei pedali?
Questo modello ha dei cuscinetti in acciaio per migliorare l’affidabilità. Abbiamo tenuto conto del rapporto tra il peso e la potenza. La conclusione è che è diventato, questo pedale, il top di gamma per le corse su strada. Leggero e affidabile.
Curiosità: la Look offre la possibilità di montare le tacchette Keo Cleat o Keo Grip, a seconda delle preferenze, per raggiungere la comodità che permette di fare molti chilometri sulla bici, avendo adottato un sistema di adattamento unico tra le tacchette Keo e i pedali Look Keo Blade carbon.
Look anche per Movistar: qui Soler, capitano al prossimo Giro d’ItaliaLook anche per Movistar, al Giro con Soler
Salvatore Puccio riparte per la 12ª stagione da pro'. Il rammarico per l'incidente di Bernal. I leader per Giro e Tour. E la sua idea su Ganna a Sanremo
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Questo Giro con cinque tappe vere per velocisti sarebbe piaciuto ad Alessandro Petacchi, che degli sprinter è stato a lungo il re?
Lo spezzino, toscano di adozione, si è fatto un’idea studiando le carte che sono uscite su social e siti e pur essendo l’ideale ambasciatore della categoria veloce, ha una posizione interessante e alla fine condivisibilesu volate e salite. Avete presente le rimostranze di alcuni uomini veloci, secondo cui anche le tappe con arrivo in volata hanno dislivelli elevati? Secondo Alessandro non è necessariamente un male, ma ci arriveremo con ordine.
Giro 2003, a Lecce Petacchi batte Cipollini e apre la sua eraGiro 2003, a Lecce Petacchi batte Cipollini
Che cosa ti sembra del Giro?
Ho visto il percorso, direi che il Giro ormai è disegnato così da qualche anno. Quest’anno forse i giorni veramente duri sono concentrati e sembra che ci sia più respiro.
Cinque volate, in teoria a capo di percorsi pianeggianti, sono un lusso?
La tappa piatta sicuramente è tranquilla per chi fa classifica. La salitella a ridosso dell’arrivo diventa sempre motivo di tensione. Diciamo che la tappa piatta è più rilassante per tutti, finché non arrivi alla volata, a meno che non trovi vento. L’Italia da questo punto di vista non è come la Spagna o la Francia, le uniche zone in cui ne trovi tanto sono a Sud, di solito in Puglia. Ma la tappa che parte da Foggia sembra dura e non si arriverà in volata.
Rilassante per tutti, finché non arrivi alla volata?
Quando vedono una tappa così, tutti vogliono fare lo sprint. C’è confusione proprio in finale, soprattutto quando si parla della prima settimana, quindi ad esempio a Cattolica. Sono quelle tappe in cui arriva il gruppo “compattone”. Invece nella terza settimana, fra chi è stanco e chi è già andato a casa, il gruppo si allunga e ci sono meno problemi.
Bennett è uno di quelli che tiene bene anche sulle medie salite. Qui vince al Uae TourBennett tiene bene in salita. Qui vince al Uae Tour
Meglio tappe un po’ più impegnative, quindi?
La salitella in finale mette ordine. Magari a meno 15 dall’arrivo, ma niente di troppo duro, sennò il velocista non arriva. Uno strappo entro i 3 chilometri, in cui magari qualcuno resta tagliato fuori.
Petacchi era di quelli che tenevano.
Mi allenavo su salite entro i 10 minuti, con pendenza del 5-6 per cento. Pendenze o lunghezze superiori erano problemi anche per me. Ma c’è in gruppo chi si stacca anche dopo un chilometro. Con la salita è più bello, sale l’adrenalina, sai che la volata devi guadagnartela. Chiaro che il velocista che si stacca preferisca il piattone…
Oggi ce ne sono pochi.
Infatti corridori come Viviani, Nizzolo, Gaviria, Bennett se stanno bene, non si staccano. Forse Groenewegen, Jakobsen quando tornerà, Mareczko vanno meglio sui percorsi veloci.
Quando è in forma, Fernando Gaviria tiene bene sugli strappiQuando è in forma, Fernando Gaviria tiene bene sugli strappi
Si dice in giro che tornerai al Processo alla Tappa.
Ne abbiamo parlato anche ieri. Il mio problema è che la squalifica scade il 14 maggio, dopo la prima settimana del Giro. Auro (Bulbarelli, direttore di Rai Sport, ndr) pensava finisse ai primi del mese, invece hanno fatto partire i due anni dal giorno che lasciai il Giro. Il fatto è che non posso frequentare luoghi in cui ci siano i corridori. All’Uci spiegai che avrei voluto riprendere il mio lavoro e dissero che per loro non era un problema. Ma cosa succede se per arrivare al palco del Processo devo ad esempio attraversare un passaggio in cui potrebbero passare anche i corridori? Qualcuno farebbe la foto e sarebbero rogne per la Rai e per me. Al Tour il compound delle televisioni è lontano dall’arrivo, al Giro siamo sempre sulla strada.
Sembra un po’ surreale…
Il bello è che mi hanno squalificato perché nel 2018 mi tesserai per correre la Cape Epic con Chicchi, altrimenti non avrebbero potuto farmi niente. E Hondo, che secondo l’Uci mi avrebbe tirato in ballo, mi ha fatto mandare dal suo avvocato i verbali degli interrogatori, in cui non c’è nulla che parli di me. Non mi ha mandato tutto? Non lo so, ormai la squalifica l’ho avuta. Spero solo di poter tornare a lavorare.
Con Paolo Rosola questa volta parliamo della figura del velocista. Stanno sparendo quelli puri per la necessità di andare forte in salita. Ma serve davvero?
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Il ragazzino Jai Hindley, che al Giro ha picchiato come un fabbro, ha concluso presto la sua permanenza in Australia e si è trasferito in Europa rinunciando al ritorno a casa per Natale. Debutto previsto alla Parigi-Nizza. Inutile dire che questa volta non si tratta del ritorno di un giovane promettente, ma del giovane promettente che ha perso il Giro d’Italia nella crono di Milano, cedendo per appena 39 secondi. Le attese saranno superiori e con le attese aumenterà anche la pressione. A ben vedere il gioco comincia adesso e si capirà se le meraviglie dello scorso anno poggiavano su solide fondamenta o se si sia trattato di exploit dovuti a vari fattori ambientali.
Al ritiro di dicembre del Team DSM, nato sulla base del Team SunwebAl ritiro di dicembre del Team DSM, nato sulla base del Team Sunweb
Zero pressione
La sua fortuna è che certe pressioni inizieranno semmai qui da noi, dato che a Perth dove vive, la risonanza del Giro è stata abbastanza esigua.
«L’unico segnale per pensare che qualcuno nei media australiani fosse interessato al Giro – ha raccontato suo padre Gordon a Ride Media – c’è stato quando abbiamo ricevuto una telefonata dalla Abc appena prima dell’ultima tappa. Hanno chiesto se potevano fare un servizio e una chiacchierata su Jai, su quali fossero i suoi risultati e da dove venisse. Invece il giornale di qui, il West Australian, non ci ha nemmeno contattato per chiedere qualcosa su di lui. Poi, quando mi hanno effettivamente chiamato, il loro giornalista mi ha chiesto se potevo aiutarlo perché lui non sapeva davvero niente di ciclismo».
L’anno del rugby
Gordon Hindley non è australiano, ma arrivò laggiù da Manchester nel 1989. A dirla tutta, il vero appassionato di ciclismo è sempre stato lui, con un passato da corridore. Fu lui a mettere in bici il piccolo Jai portandolo in pista e fu lui a rischiare l’infarto quando per un anno suo figlio mise via la bici e decise di dedicarsi al rugby. Non ne aveva la stazza, ma fu giusta l’intuizione di sua madre Robyn di lasciargli provare qualcosa di diverso per mettere alla prova la passione per il ciclismo. Infatti, dopo aver apprezzato il cameratismo fra rugbisti, il piccolo Hindley riprese la bici.
In azione intorno ai 12-13 anni (foto Ride Media)
Da ragazzino nell’inseguimento a squadre: inizi in pista (foto Ride Media)
Ancora una vittoria nell’inseguimento a squadre foto Ride Media)
I suoi genitori Robyn e Gordon (foto ABC News)
Da Junior è sempre stato vincente (foto Ride Media)
Diventa campione nazionale juniores a Mount Stromlo (foto Ride Media)
In azione intorno ai 12-13 anni (foto Ride Media)
Da adolescente nell’inseguimento a squadre: inizi in pista (foto Ride Media)
Ancora una vittoria nell’inseguimento a squadre foto Ride Media)
I suoi genitori Robyn e Gordon (foto ABC News)
Da Junior è sempre stato vincente (foto Ride Media)
Diventa campione nazionale juniores a Mount Stromlo (foto Ride Media)
Rosa effimera
Jai Hindley ha indossato la maglia rosa per appena 15,7 chilometri: quelli dell’ultima crono. Infatti l’ha conquistata a Sestriere, nel giorno in cui l’ha persa il compagno Kelderman. Sulla gestione del Giro da parte del Team Sunweb si potrebbe parlare a lungo. Probabilmente l’australiano avrebbe potuto prendere vantaggio sin dal giorno ai Laghi di Cancano, magari provando anche a staccare Tao Geoghegan Hart.
Sul divano
«Fisicamente – ha raccontato a Cyclingnews – mi sentivo ancora abbastanza bene nell’ultima settimana, fino a Sestriere. Penso che a travolgermi sia stato più che altro più il lato mentale. E’ qualcosa che non avevo mai passato, davvero. Mi ha colpito come una tonnellata di mattoni in quell’ultima settimana. E quando sono tornato a casa a Girona, è stato semplicemente bello sedermi sul divano e sprofondare senza dover fare nulla. Ma ora penso che sia importante fare un passo indietro, non lasciarsi risucchiare troppo e godersi davvero il momento. Sembra un cliché, ma non capita tutti i giorni di indossare la maglia rosa, anche se solo per 15 chilometri. E’ stato un momento che mi ha cambiato la vita».
A Sestriere Kelderman perde la maglia e Hindley, che lo consola, la conquistaPrende la rosa a Sestriere dalle spalle di Kelderman
Pista a 7 anni
Crescendo con un padre come il suo, è inevitabile che per tutta la vita abbia inseguito quello che il Giro d’Italia del 2020 gli ha messo nel piatto. Essere al centro delle operazioni. Lottare con i migliori sulle salite. Fronteggiare le interviste. E anche sostenere gli sguardi di chi non lo conosceva, se lo è ritrovato fra i piedi e poi lo ha visto vincere ai Laghi di Cancano, pensandolo uscito dal nulla. Senza immaginare che la sua strada fosse iniziata davvero da tanto lontano.
«Lo abbiamo portato al velodromo di Midland quando aveva sette anni – racconta ancora suo padre – dove avevano costruito un programma per lo sviluppo dei bambini in pista, che all’epoca era gestito da un allenatore chiamato Rick Lee. Quando poi lui è partito per andare a lavorare in America, io sono diventato un allenatore accreditato, passando per il sistema di coaching australiano. In cuor mio sapevo che avrebbe perso il Giro nella crono, ma concedere solo 39 secondi a Geoghegan Hart, che è più grande e potente di lui, è stato un bel risultato. Sono anche sicuro che con il tempo Jai migliorerà nelle crono, ha cominciato a farlo ogni anno da quando è arrivato in questa squadra».
Maglia rosa presa a Sestriere e indossata da Hindley soltanto nei 15,7 chilometri dell’ultima cronoI ragazzino in rosa sul podio di Sestriere
All’antica
Sarà questo miscuglio di vecchio stile inglese e gli insegnamenti appresi in Italia con Umbertone che hanno dato a Hindley un approccio con le corse forse all’antica, che però gli ha permesso di giocarsi il Giro a testa alta.
«Non è vero che sono uscito dagli U23 e ho iniziato a vincere immediatamente – dice – sono cresciuto di qualche passo ogni anno. Nel 2018 ho lavorato sodo e senza riflettori. Nel 2019 sono venuti i primi piazzamenti. Penso che la nostra squadra sia davvero brava a far maturare anche i ragazzi che non vincono tutto al loro primo anno da professionisti. Quando corro non voglio conoscere la potenza o il battito cardiaco. Se guardi in basso e vedi che stai già facendo numeri altissimi, quando qualcuno attacca pensi di non avere margine per seguirlo. Personalmente, preferisco correre vecchio stile e andare avanti con le sensazioni».
Non solo le Tre Cime di Lavaredo. Pare che il Giro d’Italia torni anche lassù, sullo Zoncolan che nel 2003 salutò l’ultimo grande Pantani e si concesse alla furia rosa di Gilberto Simoni. I ricordi sono come vetri rotti. Hanno forme diverse, alcuni sono taglienti, altri sono abbastanza grandi da riflettere le immagini di quel giorno di maggio di quasi vent’anni fa. Non provate a ricomporle, il quadro sarebbe troppo frammentato.
A 1,5 chilometri dalla vetta, Simoni è già da soloA 1,5 chilometri dalla vetta, Simoni è già da solo
Come l’Angliru
Il Giro sullo Zoncolan, 22 maggio 2003. Con quel nome la salita fa già paura, anche se nessuno c’è mai stato. Si sale da Sutrio e si sussurra che ci sia un versante ancora più duro, che parte da Ovaro, che però non è stato ancora asfaltato.
«Si tratta di un arrivo molto duro – racconta Francesco Casagrande che è andato a vederlo a fine aprile – mi hanno impressionato gli ultimi 3 chilometri impegnativi con tratti al 22 per cento, pari all’arrivo dell’Angliru. Non oso pensare a cosa potrebbe succedere se quel giorno dovesse piovere. I corridori rischierebbero di scivolare indietro, respinti dalla montagna».
Volano caschi
Ma quel giorno non piove. La pioggia è venuta tutta giù il giorno prima a San Donà di Piave, procurando la caduta di Cipollini, che per lo Zoncolan stava già pensando di mettere su strada una mountain bike biammortizzata che allo sponsor avrebbe procurato parecchio piacere e avrebbe permesso a Mario di stigmatizzare certi percorsi troppo duri. E’ l’anno dell’assurda regola per cui il casco puoi toglierlo all’inizio della salita. Così quando il gruppo prende a salire, si assiste a un lancio di caschi anche pericoloso a destra e sinistra della strada.
Mai visto al Giro un finale così ripido come lo ZoncolanMai visto al Giro un finale così ripido come lo Zoncolan
«Anche io ero andata a vederla una settimana prima del Giro – ricorda Garzelli – e non si era mai fatta una salita con quelle pendenze. Prima 15 chilometri costanti, poi svolta a sinistra e iniziavano quei 2-3 chilometri durissimi, in un periodo in cui il rapporto più agile che avevamo era il 39×28».
Gibo all’attacco
Simoni ha la faccia da duro, bruciata dal sole. Alla partenza, il suo vantaggio su Garzelli è di appena due secondi. La maglia è ancora appesa a un filo e Gibo è più che mai deciso a difenderla fino alla morte, dopo quello che è successo l’anno prima con la storia delle caramelle colombiane. Sono anni di ciclismo insolito e questa volta il trentino non vuole correre rischi. Per cui all’inizio di quella salita così dura, prende il largo lasciando gli altri dietro a litigarsi l’osso.
Vigilia bagnata
La sera prima, sotto ai pini di San Donà con il profumo di bagnato, i meccanici della Mercatone Uno preparavano le bici Carrera della squadra. Passandoci davanti con Ilario Biondi ci eravamo trovati a pensare quanto fosse strano non fermarsi dal Panta alla vigilia di una tappa così dura. Ma la classifica lo vedeva 14° a quasi cinque minuti e in quella sera così buia c’erano altre voci da sentire. Era tardi, in ogni caso, e Marco era di certo già in camera con la sua bici gialla.
Simoni conquista lo Zoncolan e consolida la rosaSimoni conquista lo Zoncolan e consolida la rosa
Invece l’indomani, appena il gruppo imbocca il primo tratto della salita, sulla testa assieme agli uomini della Saeco e della Caldirola arrivano quelli della Mercatone Uno.
Gomito a gomito
«Dopo un chilometro e mezzo – ricorda Garzelli – parte Gibo e Marco è lì che rientra su di me. Mi prende e restiamo in due. Di quella tappa ho parlato anche con sua mamma, la foto di noi due insieme sullo Zoncolan è la più bella della mia carriera. Le immagini del duello dall’elicottero non me le scordo più. Ero a tutta, ma il fatto di avere accanto Marco Pantani, mi permise di arrivare secondo. Volete sapere che cosa spingeva entrambi? Ce lo dicemmo il giorno dopo e ci venne da ridere. Per tutto il tempo non feci che pensare: “Col cazzo che mi stacchi!”. E lui lo stesso. Ho la pelle d’oca pensando al pubblico».
Hai visto chi era?
Simoni sale seduto. Si alza solo a tratti, ma tiene l’andatura costante. Dietro Garzelli e Pantani danno di gomito e ancora più indietro ci sono Casagrande e Popovych. Vanno così piano che l’ultimo chilometro sembra lungo un’ora. Il tornante più ripido prende la strada e la solleva brutalmente di una ventina di metri. C’è folla da curva nel derby e quando lo speaker grida che nel gruppo della maglia rosa c’è anche Marco Pantani, l’attesa esplode con un fragore possente che scuote la montagna. I tifosi lo vedono passare, lo incitano stupiti e poi si guardano come a dire: «Hai visto chi era?».
La gente quel giorno rivide l’ultimo, grande Marco PantaniLa gente quel giorno rivide l’ultimo, grande Marco Pantani
Non mi stacchi
Nell’ammiraglia della Saeco che sta per vincere la tappa e il Giro con Simoni, Martinelli fa il tifo per Marco. Ci sono moto ferme con la frizione bruciata, Pantani che scatta e Garzelli che risponde. «Col cazzo che mi stacchi!» E così vanno avanti insieme.
«Non lo avrei mai lasciato andare – ricorda ancora Stefano – era Marco Pantani in una delle sue più belle imprese sportive, forse l’ultima. Quel giorno siamo stati rivali, forse l’unica volta in una vita. La classe di Marco non si è vista quando ha vinto il Giro e il Tour, ma secondo me è stato un gigante al Tour del 2000 quando ha vinto due tappe e poi proprio in quel Giro del 2003».
Troppo ripido
Simoni vince la tappa e guadagna 34″ su Garzelli, che sulla cima dello Zoncolan è ancora secondo in classifica ma a 44″.
«Non mi piacciono queste salite – dice Simoni – troppa pendenza non permette di fare differenze».
Dopo. l’arrivo Marco è sfinito, ma rivede la luceDopo. l’arrivo Marco è sfinito, ma rivede la luce
Pantani, invitato al Processo alla Tappa, risponde che se uno è scalatore, in giornate come queste ha il terreno perfetto per fare la differenza. Troppo diversi per essere amici.
«Credo che il miglior Marco – commenta Garzelli – avrebbe fatto la differenza. Gibo non è uno che facesse tanti cambi di ritmo, andava fortissimo ma in modo regolare. Marco era uno che si alzava e aumentava di due chilometri e lo faceva in continuazione. Con quei rapporti, se avevi la forza di girarli, facevi per forza velocità. Ma dovevi anche stare attento, perché una volta il rischio di piantarsi c’era molto più di adesso, che con la compact gestiscono bene lo sforzo».
La bici gialla
Entriamo nell’hotel di Maniago. La Mercatone Uno Scanavino è una piccola squadra, la guida Amadori e non c’è più lo sbarramento della Ronchi, che Boifava non ha voluto al seguito. Marco è passato per andare a cena e alla battuta che ci è parso di averlo riconosciuto, ha fatto un cenno con la mano come a dire: «Manca poco». Quando torna gli chiediamo il favore di fotografare la bici gialla, che ormai tiene sempre in camera. E mentre siamo insieme in ascensore commentando il lancio dei caschi, il Pirata fa un ghigno amaro. «Quando ero famoso e tutti mi volevano – dice – non avete idea di quanti soldi mi offrivano perché mettessi il casco. Invece adesso che non sono nessuno, mi tocca metterlo e pure gratis».
La bici era là, tutta gialla, ai piedi del letto. E c’era ancora Marco…
Victor Lafay vince a Guardia Sanframondi, dopo un giorno in fuga e un solo scatto nel finale. Parla di lui il suo diesse Damiani. Una tattica ben congegnata
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Se nel ciclismo professionistico la storia è fatta da tre grandi corse a tappe, anche fra gli under 23 ci sono tre gare attraverso le quali si dipana l’evoluzione della categoria, da Soukho a Pogacar. Si comincia in primavera con la Corsa della Pace, storico appuntamento disegnato nell’Est europeo, si va avanti in estate con il Giro d’Italia Under 23 per concludere con il Tour de l’Avenir in Francia. E’ così per gli under 23 come una volta lo era per i dilettanti, ma raffrontando le storie delle tre corse si scoprono indicazioni molto interessanti.
Tripletta proibita
La prima è che, mentre nella storia ciclistica ci sono corridori che sono stati capaci nel corso della carriera di fare tripletta, nessuno invece è riuscito a mettere insieme le tre gare under 23. E’ vero che la loro storia è più corta. La Corsa della Pace è stata la prima a iniziare, nel lontano 1948. L’Avenir ha aperto i battenti nel 1961. Il Giro d’Italia nel 1970. Tutte e tre le corse non hanno avuto un’evoluzione continuativa, saltando più edizioni. Ci sono invece 4 corridori che sono perlomeno riusciti a fare doppietta e due sono stelle del ciclismo attuale.
Tadej Pogacar ha vinto il Tour de l’Avenir e la Corsa della PaceTadej Pogacar ha vinto Avenir e Corsa della Pace
Pogacar-Gaudu: bis
Tadej Pogacar, vincitore dell’ultimo Tour de France, aveva già fatto vedere le sue qualità fra gli under 23 come grande specialista delle corse a tappe. Nello stesso anno infatti, il 2018, ha vinto sia la Corsa della Pace che il Tour de l’Avenir. Se si pensa che solo l’anno successivo sarebbe già salito sul podio della Vuelta e nel 2020 avrebbe trionfato al Tour, quello “vero”, la sua statura di campione diventa ancora più definita.
C’è però un corridore che due anni prima aveva fatto lo stesso, il francese David Gaudu (foto di apertura). Leader della Groupama FDJ, è atteso alla conferma fra i grandi dopo molti incoraggianti segnali. Le sue vittorie giovanili lo avevano indicato come il nuovo Laurent Fignon e il bretone ora è pronto per realizzare tutte le speranze riposte su di lui.
Chi avrebbe potuto ripetere simili gesta da professionista era il belga Bjorg Lambrecht. Nel 2017, dopo aver conquistato la Liegi-Bastogne-Liegi di categoria vinse la Corsa della Pace e finì secondo all’Avenir. Passato professionista nella Lotto Soudal, la sua parabola si concluse tragicamente con un volo in un fosso al Giro di Polonia 2019, tarpando le ali a un campione che avrebbe potuto ottenere davvero tanto.
Bjorg Lambrecht vinse la Liegi, fece 2° all’Avenir e vinse la Corsa della Pace: se ne è andato troppo prestoAl Polonia 2019, Mohoric vince a Bukowina Tatrzanska
Leggenda “Souhko”
Andando indietro nel tempo non si può non parlare del sovietico Sergei Soukhorutchenkov. Fra i dilettanti ha rappresentato quello che Eddy Merckx è stato fra i professionisti. Il russo, olimpionico a Mosca 1980, nel 1979 era riuscito a conquistare sia la gara dell’Est europeo sia il Tour de l’Avenir. Ad esse aggiunse l’antipasto: il Giro delle Regioni, la corsa italiana di primavera che contrapponeva le nazionali dilettantistiche. A tal proposito, tanti ricordano ancora una delle mitiche imprese di “Soukho”. Nel 1981, nella quinta tappa, i suoi rivali avevano approfittato di una sua foratura per attaccarlo. Il russo perse molto tempo, ma poi iniziò un forsennato inseguimento che lo portò a superare di slancio i vari gruppetti che si erano formati davanti. Per dare loro una lezione continuò a tirar dritto allargando il vantaggio fino a misure mostruose: arrivò al traguardo di San Marino con oltre 11 minuti di vantaggio…
Super Poulnikov
Un altro grande capace di una doppietta, ma Giro-Avenir è stato Baronchelli, che riuscì ad abbinare le due vittorie nel 1973 e l’anno successivo diede battaglia addirittura a Eddy Merckx alla corsa rosa.
L’analisi in parallelo delle tre corse regala però altre “chicche”. Nell’albo d’oro il suo nome non compare, eppure il russo Vladimir Poulnikov nel 1988 fu capace di un’impresa ai limiti dell’impossibile. Centrò infatti nello stesso anno il secondo posto a Corsa della Pace e Giro e il 7° all’Avenir. Nessuno, fra i pro’, ha mai neanche pensato di fare lo stesso nelle classifiche dei tre grandi Giri…
Nel 2004, Michele Scarponi vinse la Corsa della PaceNel 2004 Michele Scarponi vinse la Corsa della Pace
Scarponi storico
Va detto che per molti anni la Corsa della Pace è stata quasi inviolabile dai corridori occidentali. Al tempo, eravamo nel 2004, la vittoria di Michele Scarponi fu salutata come un evento storico. Essà scaturì dal suo colpaccio della quarta tappa e soprattutto da una grande attenzione nelle frazioni successive, con tre piazzamenti per conservare una manciata di secondi sul polacco Kohut. Il compianto Michele ricordava sempre con grande trasporto quel successo, in una terra allora poco battuta dai grandi del pedale, nella quale si era scoperto specialista delle lunghe corse a tappe come si sarebbe confermato anche da professionista.
Ornella è la moglie di Damiano Caruso. Sta seguendo il Giro da Ragusa, dove vivono. E ci parla della famiglia, di suo marito, della corsa che sta facendo
Il consiglio migliore ai ragazzi della Androni Giocattoli, storditi per l’esclusione dal Giro, lo dà Davide Cassani, commissario tecnico della nazionale.
«Se fossi Ellena o Spezialetti – dice – avrei una cosa sola da dire ai miei corridori, guardandoli negli occhi. Utilizziamo ogni corsa per fargli vedere che con questa esclusione si sono sbagliati. Con la rabbia delle grandi occasioni. E’ come quando una squadra di calcio si trova in zona retrocessione e non molla, ma anzi va a battere le grandi. Fossi in loro, la vivrei così. Mi rendo conto che non è facile, ma non ci sono altre cose da fare».
Cassani fra la delusione degli esclusi e la grinta dei debuttantiCassani fra la delusione degli esclusi e la grinta dei debuttanti
Dilemma wild card
Davide è nel mezzo di un giro di test in pista, programmando l’attività 2021 e osservando quello che accade nel professionismo. La scelta delle squadre per il Giro ha provocato ben più di un malumore, per giunta comprensibile. Si potrebbe parlare per ore dei criteri che hanno spinto Rcs Sport a operare le scelte delle wild card in favore della Eolo-Kometa, della Bardiani-Csf e della Vini Zabù. In realtà, la sola cosa da fare è aspettare le motivazioni di Mauro Vegni (nella foto di apertura). Perché alcuni passaggi della scelta, in assenza di un criterio oggettivo, destano davvero qualche perplessità.
Davide, che cosa ti sembra della seleziona fatta?
Quando si commenta l’esclusione di una squadra italiana, è sempre duro da spiegare. Soprattutto perché l’Androni ha dimostrato di onorare sempre il Giro d’Italia e ha lanciato davvero tanti ragazzi nel WorldTour. Se non altro, avranno ancora a disposizione un bel calendario per farsi valere. Ed è già buono che sia stata concessa la wild card in più, altrimenti saremmo qui a parlare di due esclusioni.
Non sarebbe meglio abbandonare il sistema degli inviti e affidarsi a criteri più oggettivi?
Il guaio è che sarebbe difficile stilare una graduatoria.
Francesco Gavazzi è fra coloro che, secondo Cassani, vogliono rilanciarsiGavazzi è fra coloro che, secondo Cassani, vogliono rilanciarsi
Il Giro d’Italia U23 è andato avanti per anni con il sistema delle qualificazioni, un po’ come si è fatto qua con la Coppa Italia o Ciclismo Cup che dir si voglia…
Vero, però alla fine l’anno scorso siamo passati anche là agli inviti, perché i direttori sportivi obiettavano che non si potevano sfinire i ragazzi nella rincorsa al posto. L’unico criterio potrebbe essere il ranking Uci dell’anno prima, perché altrimenti avresti squadre che corrono di più e vanno a fare punti in giro per il mondo e altre che non possono.
Ti aspettavi che Quintana sarebbe rimasto fuori dal Giro?
Onestamente preferisco ragionare da cittì della nazionale e sono contento che ci sia spazio per una squadra italiana in più.
Era già scritto che la squadra di Basso e Contador sarebbe entrata?
Scritto non so, ma è innegabile che il progetto sia valido. Hanno corridori giovani e altri più esperti che vogliono rilanciarsi.
Immagina di essere uno dei corridorini con poca esperienza della Vini Zabù, quale sarebbe stasera il tuo stato d’animo?
Avrei il morale a mille. A partire da Mareczko e giù a scendere, mi sentirei la responsabilità di far vedere che il posto ce lo siamo meritato. Mi ricordo che quando passai professionista a 21 anni non vedevo l’ora che il Giro cominciasse. Ecco, penso che loro dovrebbero viverla allo stesso modo.
RIvediamo con Alessandro De Marchi il concetto di distanza. L'allenamento più lungo ormai ha cambiato faccia. Si lavora per ricreare le situazioni di gara
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