Racconta Diciatteo che la rogna più grossa l’hanno avuta nel primo riposo in Abruzzo.
«All’improvviso – racconta il capo ufficio stampa di Rcs Sport – iniziano a venire fuori notizie non chiare. Pare che sia partito tutto dal Facebook della città in cui era ospitata la carovana del Giro E, il Giro elettrico. Scrivono della positività di 17 poliziotti della Scorta del Giro d’Italia. La riprendono tutti. Siti e quotidiani. Nessuno che verifichi. De Gendt legge e scrive di sentirsi insicuro. Il giorno dopo abbiamo tutti i corridori di traverso. Per cui, tra rintracciare la prima notizia e capire che in effetti si trattava di 17 poliziotti del Giro E, abbiamo passato qualche ora concitata. Alla fine per fortuna è arrivato il comunicato del Ministero dell’Interno, dalla stessa Polizia, e noi lo abbiamo rilanciato. De Gendt ha rettificato. Credo che quello sia stato un giorno ben peggiore dello sciopero di Morbegno…».
Ai primi di luglio, quando è stato chiaro che il ciclismo sarebbe ripartito, Stefano Diciatteo e tutti i collaboratori dell’ufficio stampa di Rcs Sport, si sono messi a pensare a come far lavorare giornalisti, fotografi, cameramen e uffici stampa delle squadre senza infrangere i protocolli di sicurezza. Quella che segue è una chiacchierata fra due… giovincelli che hanno visto passare più di qualche maglia rosa e che di colpo, ciascuno nel suo ruolo, hanno visto cambiare il mondo.
«I primi passi – racconta Diciatteo, per tutti “Zio”, a quota 27 Giri d’Italia – li abbiamo fatti con la Strade Bianche e le altre classiche. Erano le prima gare WorldTour e ci rendevamo conto che ogni soluzione valida sarebbe stata veicolata al Giro d’Italia».
E’ il primo agosto quando Van Aert si porta a casa la corsa di Siena e dopo una settimana si ripete alla Sanremo. Per vedere Fuglsang al Lombardia si aspetta Ferragosto e poi si fa rotta sulla Tirreno-Adriatico che scatterà il 7 settembre.
Che cosa c’era da cambiare?
La prima cosa è stato stimare la limitazione degli accrediti. Abbiamo valutato la capienza media delle sale stampa, concludendo che avremmo potuto ospitare poco più della metà dei giornalisti. Stessa cosa per i fotografi sul traguardo. Abbiamo dato via libera a 12-15 agenzie, senza accreditare i locali. Agli altri abbiamo detto di no. E sarebbe stato davvero facile se tutti avessero accettato senza protestare…
Un taglio netto.
Abbiamo fatto anche un grosso lavoro con i comitati di tappa, che sono nostri partner e ci accolgono a casa loro. Per andargli incontro, di volta in volta concedevamo 4-5 giornalisti, 2 tivù locali cui si aggiungeva la Rai regionale e anche un paio di fotografi che poi condividessero le foto con gli altri. In ogni caso, nei comunicati mettevamo anche un’ampia copertura di immagini.
I risultati si sono visti?
Direi di sì. La sala stampa è stata sempre ordinata e senza assembramenti. E lo stesso agli arrivi.
Arrivi da cui i giornalisti sono stati tenuti alla larga.
La logistica ha studiato la bolla e gli unici media inclusi erano i fotografi dei team. L’idea era non consentire ai giornalisti l’accesso alla strada, tanto che l’ingresso nella loro area avveniva da dietro. Gli altri fotografi avevano la loro postazione e non potevano muoversi, soprattutto per seguire il corridore dopo il traguardo.
E le immagini di abbracci e fatica che abbiamo visto?
Sono state fatte da due fotografi, uno nostro e uno di BettiniPhoto, che poi le condividevano. Credo che il sistema abbia retto bene, se pensiamo ai 4 corridori positivi e qualcuno del personale, a fronte di oltre 5.000 tamponi in un mese.
Ci sono stati aggiustamenti in corsa? Penso alla zona mista…
Esatto. Alla Tirreno-Adriatico l’avevamo collocata alla partenza: una porzione di spazio con doppie transenne in cui i giornalisti potessero fare domande agli atleti, rimanendo a distanza. Qualcuno però ha chiesto di parlarci dopo l’arrivo. I bus erano spesso lontani dal traguardo e andando, non sarebbe stato possibile seguire la conferenza stampa di vincitore e leader. Così mi sono accordato con gli uffici stampa che, prima di andar via, portassero i corridori nella zona del box stampa (nella foto di apertura Fausto Masnada con Phil Lowe, l’addetto stampa della Deceuninck-Quick Step).
Tra le novità del Giro, c’è stata anche la videoconferenza stampa, che al Tour c’è da anni.
Una delle novità che probabilmente resteranno anche dopo. Alla Tirreno c’era una tenda, ma era d’estate e il Covid sembrava alle spalle. Altre volte al Giro nelle tappe complicate ci eravamo attrezzati in qualche hotel, altrimenti leader e vincitore venivano caricati in auto e portati alla sala stampa. La situazione ci ha agevolato…
Quanto tempo abbiamo risparmiato?
Un’ora, a volte un’ora e mezza. Per i giornalisti, i corridori e noi di Rcs. In più, per essere più rapidi, facevo un passaggio all’antidoping. Quest’anno c’erano sei sorteggiati, più vincitore e leader. E allora chiedevo agli addetti stampa se, piuttosto che tenerli in attesa per un’ora, venivano prima alla conferenza. Devo dire che ha funzionato bene.
Quindi rispetto ai timori della partenza è andato tutto bene?
Direi di sì. Chi non è riuscito a venire ha avuto un’ampia copertura e i nostri comunicati sono stati sempre ripresi e rilanciati.
In quanti avete lavorato al Giro come ufficio stampa?
Oltre a me, c’era l’agenzia Shift con Dario Esposito e Jeff Quenet come freelance. In più c’erano Elena Fiume ed Emilio Giletti che completano la squadra alle corse e prima per gli accrediti.
E adesso che cosa vi aspetta?
Si stacca, ma non troppo. A gennaio dovrebbe esserci la presentazione del Giro 2021, che va preparata. Non sarà a fine mese, quindi prima di tutto ci sarà da capire come evolverà la pandemia. Poi bisognerà sentire Mauro Vegni. Ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport di avere già il percorso pronto, con l’incognita della partenza. Andare all’estero potrebbe essere complicato. Staremo a vedere. Rimettiamo tutto in ordine. E poi ripartiamo…