Boato Roglic. Conquista tappa, maglia e Slovenia

27.05.2023
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MONTE LUSSARI – Pazzesco. Paz-ze-sco… Neanche Agatha Christie avrebbe potuto scrivere un finale così intenso del Giro d’Italia. Merito suo e se vogliamo anche di Enzo Cainero che si è inventato questa scalata. Per Primoz Roglic: tappa e maglia rosa.

Il Lussari era una bolgia. Da Tarvisio al Monte era una fila continua di sloveni e di bandiere della Slovenia. Slovenia che è qui a poche centinaia di metri. Sulla bandiera spunta il Monte Tricorno. Vediamo la sua cima verso Est fare da sfondo al set di questa sfida. Capite che clima, anche mistico, che c’era?

Sulla bandiera slovena il profilo del Monte Tricorno, oggi un talismano
Sulla bandiera slovena il profilo del Monte Tricorno, oggi un talismano

Un conto col destino

Si dice che ogni sloveno nella vita dovrebbe scalare questa montagna. E’ un simbolo. E questo simbolo guardava Primoz scalare il Lussari. Non poteva andare come al Tour del 2020 un’altra volta, nella famosa crono della Planche. Dopo incidenti, cadute, fratture, la sorte non poteva metterci lo zampino di nuovo con quel guaio meccanico. Stavolta le cose dovevano andare nel verso giusto. 

Scrivere questo articolo, stando ancora quassù è una vera emozione. Fuori dalla sala stampa la gente inneggia a Roglic e persino a Sepp Kuss. Cantano l’inno. Non ci si può non far travolgere dall’entusiasmo. Ma dobbiamo mantenere i nervi saldi e raccontare le cose come sono andate. Quindi andiamo con ordine.

In mattinata sciolti i dubbi: Cervélo R5 con monocorona 42×44. Ma gomme (25 mm) più corpose rispetto alle Tre Cime, visto il cemento
In mattinata sciolti i dubbi: Cervélo R5 con monocorona 42×44. Ma gomme (25 mm) più corpose rispetto alle Tre Cime, visto il cemento

Sale la tensione

Questa mattina il capitano della Jumbo-Visma è stato l’unico a fare la scalata, parzialmente in bici. Ha percorso gli ultimi 1.500 metri. «Sono salito in bici quando era finito il pezzo duro», ha detto lo stesso Primoz. Mentre saliva vedeva già i suoi tifosi a bordo strada. Ma cercava di essere concentrato. Quando è ripassato qualche minuto dopo e si stava cambiando in auto li ha salutati.

Poi è tornato al bus. A Tarvisio. La riunione con il direttore sportivo Marc Reef e lo staff, per decidere il ritmo e la bici. Poi ancora via in una camera d’albergo nelle vicinanze affittata dal team per l’occasione. Poco dopo le 15 rieccolo al bus. Riscaldamento, rulli, partenza.

In mattinata lo staff giallonero non aveva voluto parlare. Bocche cucite sulle scelte tecniche a partire dalla monocorona. Clima tranquillo, ma concentrato… diciamo così.

Alle 17:11 scatta Roglic. La tensione è palpabile. Ma le birre e la gioia fanno superare tutto al pubblico, mentre Roglic è ben più teso.

«Nella prima parte – ha detto lo sloveno – sono stato tranquillo. Ho cercato di prendere il mio passo, di non fare dei fuorigiri. Poi è iniziata la scalata e pensavo solo a spingere bene. Mentre salivo avevo i brividi. E’ stato stupendo con tutti quei tifosi. Loro sarebbero stati contenti a prescindere dal risultato, ma per fortuna sono riuscito a ripagarli».

Brividi gialloneri

Intanto i suoi compagni si radunano davanti al podio. Persino Sepp Kuss che dovrebbe stare sulla sedia del leader, dietro le quinte. Fremono. Sono una squadra anche in questo caso. 

Primoz sta guadagnando terreno. E quando al secondo intermedio il vantaggio diventa netto ecco che gioiscono. Ma è una gioia effimera. L’immagine successiva vede Roglic fermo per un problema meccanico. 

Si alzano. Si mettono le mani nei capelli. Sembra tutto perso.

«In quel momento – spiega Roglic – ho cercato di ripartire subito. Poi però mi sono spaventato un po’ perché su quella pendenza non ci riuscivo. Per fortuna che sono intervenuti il mio meccanico e quel tifoso. Un tifoso grosso, che mi ha dato davvero una grande spinta! Lo ringrazio. Un po’ di questo successo è anche il suo.

«E’ stato un brutto momento, però devo ammettere che mi ha anche aiutato a recuperare un po’».

Quell’istante è stato quello del tutto o niente. Basta calcoli. Basta agilità da laboratorio. Primoz inizia a spingere forte. Quando si alza sui pedali stavolta fa velocità. E si vede.

Il Monte Lussari e il resto del percorso erano tutti per Roglic
Il Monte Lussari e il resto del percorso erano tutti per Roglic

Il Lussari esplode

Al terzo intermedio, nonostante tutto, Primoz è ancora davanti e Geraint Thomas non ha più la stessa pedalata. E’ di nuovo il boato. I volti dei Jumbo-Visma sotto al palco si riaccendono.

Primoz taglia il traguardo in testa. Ma c’è da attendere Thomas. Sono minuti interminabili. Poi il verdetto. Primoz Roglic è maglia rosa. Il Lussari esplode.

Kuss alza la bici al cielo. I tifosi inneggiano anche a lui. E’ stato un grande protagonista di questa corsa. 

«Sono senza parole – dice lo statunitense – Un finale da mangiarsi le unghie. Il momento dell’incidente è stato spaventoso, ma sapevo che Primoz avrebbe potuto superare le avversità. Non riesco a immaginare quanta pressione e quanto stress abbiano avuto, penso anche a Thomas. Una crono come questa, alla fine di tre settimane… incredibile».

«Io un leader di questa squadra? No, non sono un leader, sono solo un atleta molto felice del lavoro che riesce a fare. Aiutare ragazzi come Primoz mi rende contento». 

«E’ stato onore combattere con Thomas – ha concluso Roglic – Geraint è un grande atleta. Un corridore onesto. Io ho lavorato per arrivare al meglio a questo momento. Ho avuto paura dopo la caduta della seconda settimana. Avevo battuto l’anca e non ero al meglio. Ma ogni giorno miglioravo. Ora però pensiamo alla tappa di domani.

«Qualcosa è cambiato stamattina. Quando dopo la ricognizione scendendo a valle ho visto tanta gente ho capito quello che mi aspettava. Sarebbe stato bellissimo. Io mi volevo divertire. E mi sono divertito».

Astoria celebra il Giro con due bottiglie speciali

27.05.2023
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Da oltre 100 anni il Giro d’Italia è sinonimo di vera e propria festa nazionale. Una festa popolare, sempre benvenuta con il mese di maggio, che porta spensieratezza ovunque, anche se… alimentata della fatica di tutto il gruppo dei ciclisti sulle salite più belle del nostro Paese.

E anche quest’anno Astoria si è ritagliato il prestigioso ruolo di partner ufficiale della corsa rosa, e lo ha fatto alla grande – a suo modo – predisponendo tra le altre cose la caratteristica bottiglia intagliata che nel 2023 non poteva non rendere omaggio alla città di Roma: la città eterna, la nostra Capitale, nonché passerella finale del Giro. Una bottiglia speciale, quella realizzata da Astoria x il Giro d’Italia, caratterizzata da una grafica rosa e nera con l’inconfondibile silhouette del Colosseo. Roma diviene così l’assoluta protagonista di questa edizione, e con Astoria la stessa Capitale sarà… presente nei brindisi di tutte le frazioni, fino a quella – oramai imminente – conclusiva che ne decreterà il vincitore finale.

Queste le due bottiglie speciali pensate da Astoria: una dedicata a Napoli e l’altra a Roma
Queste le due bottiglie speciali pensate da Astoria: una dedicata a Napoli e l’altra a Roma

L’omaggio a Napoli

Ma oltre alla bottiglia ufficiale, Astoria ha creato un’edizione limitata che invece della sagoma del Colosseo riporta la “silhouette” del Vesuvio negli inconfondibili colori bianco e azzurro. La bottiglia è stata stappata giovedì 11 maggio in occasione della tappa che lo stesso Giro d’Italia ha quest’anno dedicato alla città di Napoli. Il risultato? Un vero e proprio omaggio alla passione partenopea per il ciclismo.

Guidata da Paolo e Filippo Polegato, Astoria Wines è tra i massimi rappresentanti dell’arte del Prosecco. Nata nel 1987 dalla passione di una storica famiglia di viticoltori, Astoria è oggi il primo vinificatore privato del Conegliano-Valdobbiadene DOCG. I suoi vini sono stati celebrati dai più importanti concorsi enologici.

Luca Zaia, Governatore del Veneto, con Filippo Polegato
Luca Zaia, Governatore del Veneto, con Filippo Polegato

La Tenuta Val del Brun è il cuore pulsante di Astoria: quaranta ettari di vigneti immersi tra le scenografiche Colline del Prosecco: un paesaggio unico riconosciuto Patrimonio Mondiale dall’Unesco nel 2019 che l’azienda protegge anche attraverso l’adesione al protocollo “Vignes fleuries” (2014) e la certificazione SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata, 2018). Da non dimenticare che Astoria è un’azienda certificata ISO 14001.

Astoria

La furbizia dei sudamericani. Ugrumov ne sa qualcosa…

27.05.2023
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Certe volte è meglio perdere per far perdere, che provare a vincere. E’ quello che ha pensato un imbufalito Pinot a Crans Montana, indispettito dall’atteggiamento di Cepeda e alla fine Rubio ha messo tutti d’accordo. Chi ha buona memoria ha assistito a un copione già visto: Val Thorens, Tour de France 1994. Piotr Ugrumov è in fuga con Nelson “Cacaito” Rodriguez, pupillo di Gianni Savio alla ZG Mobili. Il colombiano non tira un metro, Ugrumov s’indispettisce e s’innervosisce, prova a levarselo di dosso, ma il rivale gli resta attaccato e non dà un cambio. Poi, alla fine, uno scattino e la tappa è sua.

Sono passati tanti anni e il lettone, ormai da tempo romagnolo d’adozione, quel fatto lo rivive con distacco, anche se gli è chiaro nella testa ogni metro della scalata. Oggi Ugrumov continua a lavorare con la nazionale messicana, è a San Marino con 8 ragazzi che vivono e si allenano sotto le sue direttive, per poi partire in giro per l’Europa per continuare a imparare: «Ma ora con noi c’è anche un ragazzo locale. Crescono e imparano, pian piano».

Ugrumov con Rodriguez, che lo befferà al traguardo. Ma il lettone si rifarà con due vittorie successive (foto archive le DL)
Ugrumov con Rodriguez, che lo befferà al traguardo. Ma il lettone si rifarà con due vittorie successive (foto archive le DL)
Hai visto quel che è successo a Crans Montana?

A dir la verità no, non ho avuto tempo per vedere questo Giro d’Italia, nel pomeriggio sono sempre impegnato, ma so bene quanto è successo e immaginavo che a qualcuno potesse tornare in mente quella tappa.

I corridori sudamericani sono tutti così?

No, non creiamo stereotipi. E’ che molti cercano di sfruttare la situazione e devi metterlo in conto. Ricordo che Domenico Cavallo, il diesse che era nell’ammiraglia di Rodriguez e oggi purtroppo è scomparso, non faceva che urlargli: «Stai a ruota che ti porta al traguardo…». Io cercavo di mollarlo, ma rimaneva sempre attaccato.

Cepeda al Tour of the Alps: la sua tattica al Giro non ha pagato, ma in salita il talento c’è
Cepeda al Tour of the Alps: la sua tattica al Giro non ha pagato, ma in salita il talento c’è
Te la sei presa?

Lì per lì sì, ma non sono tipo da mettermi a fare discussioni. Ho reagito come dovevo reagire, infatti il giorno dopo me ne sono andato da solo e ho vinto. D’altro canto non ero per nulla veloce, se volevo vincere dovevo arrivare da solo. Ma tornando a quanto detto prima, non tutti i colombiani sono così. Ricordo ad esempio Lucho Herrera, un grande che ho affrontato sia da dilettante che da pro’. Lui non stava a ruota, attaccava e vinceva, uno scalatore con i fiocchi.

Perché però molti seguono quella strada?

Io dico che fa parte della vita, è quello che essa ti insegna. Sanno bene che la montagna non ti regala niente, ci vivono. Imparano ad andare in bici lì. Faticano. Sanno che la stanchezza ti colpisce all’improvviso e quindi devi cercare in tutti i modi di risparmiare energie. E’ un discorso complesso: non tutti riescono ad andare per 5-6 minuti fuori soglia.

Lucho Herrera, primo grande colombiano della storia ciclistica. Vincitore della Vuelta 1987
Lucho Herrera, primo grande colombiano della storia ciclistica. Vincitore della Vuelta 1987
Tu lavori con i messicani: sono diversi?

E’ una cultura diversa che deriva dalla situazione geografica: in Messico c’è sì l’altitudine, ma ci sono molte meno montagne e quindi è difficile trovare grandi scalatori, io ricordo solo Alcala. Sono forti sul passo, hanno un’evoluzione ciclistica più lineare, anche se poi quando arrivano in Europa si trovano in un mondo diverso dal loro. C’è un aspetto dei colombiani che ripensandoci mi colpisce…

Quale?

Tempo fa sono stato al Giro di Colombia e la cosa che mi ha lasciato stupefatto è che gareggiavano anche ragazzini di 16 anni, insieme ai pro’. Lì non ci sono grandi numeri, ma non fanno distinzione fra categorie e sin da giovanissimi si trovano a competere con i più grandi. Poi non hanno i limiti di rapporto che c’erano in Italia fino allo scorso anno. Perdevano magari in agilità, ma ne guadagnavano in forza.

Per Pinot tante polemiche dopo Crans Montana. La sua scelta ha lasciato interdetti
Per Pinot tante polemiche dopo Crans Montana. La sua scelta ha lasciato interdetti
Tornando a quanto successo all’ultimo Giro d’Italia, che ne pensi del comportamento di Pinot?

Mi spiace, ma ha sbagliato. Non è un corridore qualsiasi, è un campione con un grande curriculum, correre così non gli fa onore. Poteva cambiare tattica, poteva giocare di furbizia proprio come fanno i colombiani. Era superiore e lo dice la storia stessa degli ultimi anni. Io non avrei fatto così, Pinot poteva agire diversamente.

Altri quattro anni: Castelli rinnova con il Giro d’Italia

27.05.2023
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Il Giro d’Italia e Castelli hanno rinnovato la propria collaborazione per i prossimi quattro anni. L’accordo, ufficializzato nella sede di Milano de La Gazzetta dello Sport, è stato sancito direttamente dal Presidente di RCS MediaGroup, Urbano Cairo, e dall’Amministratore Delegato di MVC Group Alessio Cremonese.

Castelli è stato l’orgoglioso fornitore delle maglie leader nel Giro d’Italia per quasi vent’anni. Negli anni Ottanta, e nei primi anni Novanta, numerosi campioni hanno indossato e vinto con maglie Castelli lasciando il segno nella storia del ciclismo mondiale. Tra questi, ricordiamo Miguel Indurain, che trionfò a Milano nel 1992 indossando l’iconica Castelli maglia rosa. Negli ultimi anni Castelli ha continuato a fornire i campioni della corsa rosa, e lo ha fatto per ben sei anni consecutivi: dal 2018 al 2023. Durante questo periodo, corridori come Chris Froome, Tao Geoghegan Hart ed Egan Bernal hanno conquistato la vittoria “vestiti” Castelli incidendo i loro rispettivi nomi sul meraviglioso “Trofeo Senza Fine”.

La maglia rosa firmata da Castelli insieme al “Trofeo Senza Fine”
La maglia rosa firmata da Castelli insieme al “Trofeo Senza Fine”


Uno sguardo al futuro

«Questo storico e prestigioso marchio italiano, in costante sviluppo – ha dichiarato Urbano Cairo, Presidente di RCS MediaGroup – è tornato da sei anni a produrre le maglie dei leader del Giro dopo l’esperienza a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. In questo lasso di tempo, il mitico logo dello scorpione si è legato a doppio filo con la maglia rosa: due simboli iconici conosciuti in tutto il mondo. Il rinnovo di questa partnership per i prossimi anni è la testimonianza di un connubio di qualità, che dà il giusto lustro ad un’azienda italiana che porta in alto i valori del Made in Italy nel mondo, proprio come il nostro Giro d’Italia».

Per altri quattro anni Castelli disegnerà la maglia rosa
Per altri quattro anni Castelli disegnerà la maglia rosa

«Avere il leggendario logo dello scorpione sulle strade del Giro d’Italia – ha ribattuto Alessio Cremonese, Amministratore Delegato di MVC Group – ci riempie immensamente di orgoglio. Come azienda italiana, collaborare con RCS Sport nella corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo ci rende estremamente felici. Quella rappresentata dal Giro d’Italia è difatti una grande occasione per mostrare i nostri prodotti innovativi, nonchè il nostro impegno verso questo sport, la sua lunga storia e la nostra passione nel cercare costantemente di spingere più in là i confini di ciò che è possibile nel mondo dell’abbigliamento ciclistico performante… E sempre con uno sguardo rivolto al futuro».

Castelli

Monte Lussari: per Garzelli qualcosa di mai visto

27.05.2023
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E’ oggi che si decide il Giro d’Italia. E stavolta non si potrà rimandare a domani. La scalata del Monte Lussari è l’ultima vera fatica di questa edizione della corsa rosa. E tutto è ancora in ballo.

Con Stefano Garzelli si ragiona su chi potrà essere il vincitore finale. Questi ragionamenti si facevano ieri pomeriggio in attesa dell’arrivo della tappa delle Tre Cime di Lavaredo. «Attaccheranno oggi – ci si chiedeva – rimanderanno tutto a domani». E soprattutto chi vincerà il Giro?

Garzelli in avanscoperta sulle rampe del Lussari
Garzelli in avanscoperta sulle rampe del Lussari

Lussari, un muro

Sono bastate queste due domande e “Garzo” è partito.

«Non ho mai visto qualcosa di simile, di più duro – ha detto il varesino – l’altro giorno siamo andati a provarla Contador ed io. Alberto per Eurosport e io per la Rai. Il tratto centrale è qualcosa d’incredibile. La pendenza non scende mai sotto il 17 per cento, il 15 in qualche tratto ma con punte superiori al 20 in altri. E’ un muro. Ed è così per 5 chilometri».

«Tutto si potrà decidere perché se si va in crisi è finita. E’ tanto, tanto particolare. Strada strettissima. Fondo in cemento. Gli hanno fatto questa lingua di cemento in mezzo al bosco». 

Due moto per i leader

Garzelli ci parla con fascino di questa scalata, ma anche con i dubbi che può portare con sé una prova tanto particolare come lui stesso l’ha definita. E le incertezze che di conseguenza genera negli atleti. 

Per esempio, i capitani avranno due moto al seguito ma gli altri no. E questo significa correre anche senza radio, in quanto sulla moto c’è solo il meccanico con in spalla la bici di scorta.

«Questi ragazzi – va avanti Garzelli – oggi senza radio sono spersi. Non sanno come regolarsi bene. Però mi hanno detto che i leader avranno una seconda moto per il direttore sportivo. So che Baldato, per esempio, sarà in contatto con Almeida».

«E poi c’è il cambio bici. Svolti a destra e passi dalla bici da crono a quella da strada in un attimo e subito su una rampa al 17 per cento. Non solo la muscolatura si deve abituare, ma anche la testa… E ancora: come affronti la parte in pianura? La fai a tutta? Non è facile».

C’è tanta incertezza dunque. E forse non sarà solo una questione di gambe. Chiaramente quelle conteranno, ma gli altri fattori che ha messo sul piatto Garzelli non vanno sottovalutati.

Roglic o Thomas

Chi vincerà dunque? Resta questo il quesito principale. Sulla bilancia anche in questo caso ci sono diversi elementi. Da una parte le pendenze estreme dovrebbero favorire Primoz Roglic, dall’altra lo stesso sloveno potrebbe rivivere i fantasmi del 2020 al Tour quando perse il Tour nella crono della Planche des Belles Filles. Però questa volta il leader non è lui. 

Un Ineos-Grenadiers, Geraint Thomas, che perde un grande Giro a crono noi non lo vediamo, sinceramente. E tutto sommato anche Garzelli fa la nostra stessa analisi. Il tutto poi dando per scontato che Joao Almeida non faccia il numero.

«Vero – dice Stefano – sappiamo quanto in Ineos lavorino su questa disciplina e suona strano che uno esperto come Thomas perda un Giro a crono. Però questa non è una crono normale. E le salite del Giro, specie queste salite, non sono quelle del Tour. Certe pendenze Thomas potrebbe soffrirle.

«E quella sua posizione poi… Tutto in avanti. Penso anche al discorso del cambio di bici, alla sua muscolatura e al discorso fatto prima dell’abituarsi al cambio in pochissimi secondi».

Su pendenze dure, Roglic in teoria è favorito, ma Thomas ha dimostrato di essere in palla
Su pendenze dure, Roglic in teoria è favorito, ma Thomas ha dimostrato di essere in palla

Fattori da valutare

Tanti sono i punti di domanda. Il discorso della pendenza è vero. Su carta il gallese soffre queste pendenze, anche in virtù della sua pedalata più dura e del suo fisico che non è da scalatore, ma sin qui ha dimostrato di andare forte sulle rampe più dure. Anche ieri sulle Tre Cime ha risposto bene a Roglic, salvo poi “impiccarsi” da solo quando ha voluto scattare. Ha capito che non può permettersi tali fuorigi su certe pendenze.

«E quelle del Lussari oltre che dure, ripeto, sono anche rampe lunghe. Per darvi un’idea, io salivo a 4-5 chilometri orari. Loro potranno fare gli 8-9».

Tanti aspetti che non fanno che alimentare la sfida e l’attesa della sfida. Non ultimo la scelta della monocorona da parte di Roglic fatta ieri. Scelta che oggi potrebbe replicare. Noi, per esempio, non sono siamo certi che la mono abbia avvantaggiato Primoz sulle rampe delle Tre Cime. E tutto sommato, tornandoci brevemente dopo la tappa, anche Garzelli nutre qualche dubbio.

Dalle immagini in tv si vede chiaramente come in certi frangenti lo sloveno sia super agile e in altri piuttosto duro. La scala posteriore (10-44) fa salti di 3-4 denti per ingranaggio, non è progressiva. Tutto è da scrivere. 

La Eolo-Kometa cerca sponsor: caro Basso, cosa c’è?

27.05.2023
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LONGARONE – Gli ultimi tre anni tra le professional e ieri la Eolo-Kometa ha diffuso un comunicato in cui si annuncia la ricerca di un primo nome che le permetta di crescere. La squadra avrebbe i mezzi per mantenere lo stesso livello, si legge, ma l’obiettivo è diventare più grandi. Sembra di leggere gli annunci attraverso cui negli ultimi anni Patrick Lefevere e Jonathan Vaughters hanno trovato gli attuali sponsor: una strategia di cui abbiamo parlato direttamente con Ivan Basso, che in questi giorni del Giro è in fermento proprio per dare alla sua squadra il futuro che ai suoi occhi merita.

Luca Spada con sua moglie Tiziana. Fra le attività di famiglia, anche Dinamo: azienda che produce integratori
Luca Spada con sua moglie Tiziana. Fra le attività di famiglia, anche Dinamo: azienda che produce integratori

Mercoledì sera al Giro è tornato Luca Spada. Nel luglio del 2021, il signor Eolo ha venduto il 75 per cento della sua azienda a Partners Group, il fondo che oggi è chiamato a rinnovare la sponsorizzazione del team. I dati in termini di ritorno di immagine sono entusiasmanti, ma ormai non si tratta più di una partita fra poche teste, quanto di un’operazione che dovrà necessariamente tenere conto di tutti gli azionisti. Se Eolo avrà voglia di crederci, la squadra sarà disposta a tenere le porte aperte. Altrimenti si seguiranno altre direzioni.

Come nasce questo comunicato?

In questi tre anni, che sono sei contando anche i tre come continental, questa squadra ha costantemente vissuto un processo di crescita, valutando e rivalutando alcuni corridori. Credo che le due vittorie di tappa al Giro (quella di Fortunato nel 2020 e quella di Bais quest’anno, ndr) siano le ciliegine sulla torta, ma non ci sono solo quelle. Bais nello specifico è un corridore che si è rivalutato molto. Albanese si è rigenerato e come lui anche Fortunato. In questo Giro d’Italia abbiano raggiunto 10 piazzamenti nei dieci, una presenza costante che nasce da un metodo di lavoro.

La Eolo-Kometa ha corso un ottimo Giro, vincendo una tappa e piazzandosi spesso: Basso ne è orgoglioso
La Eolo-Kometa ha corso un ottimo Giro: Basso ne è orgoglioso
Quale ragionamento ha fatto scattare tutto questo?

Abbiamo degli ottimi giovani, due sono attualmente fra i primi dieci alla Corsa della Pace. E allora ritengo che questa squadra debba avere un budget che la allinei alle migliori professional europee, per ambire a seguire il percorso di altre che ci hanno preceduto. La Bora, ad esempio: era una continental, è diventata professional e poi WorldTour. E’ un percorso fisiologico che secondo me, con costanza e determinazione, è alla nostra portata.

Perché quel comunicato?

I nostri sponsor continuano a darci fiducia. Con alcuni abbiamo contratti pluriennali, con altri stiamo cercando di rinnovare. Però è chiaro che ne cerchiamo di nuovi e il modo migliore è quello di dirlo. Grazie all’arrivo di nuovi investitori sappiamo di poter fare un ulteriore salto di qualità per il quale ci sentiamo pronti. Non sarò più io a pregarli, chi non vuole starci deve sapere che possiamo andare avanti ugualmente.

Alla partenza da Longarone, Basso ha salutato Ryder Hesjedal, re del Giro 2012
Alla partenza da Longarone, Basso ha salutato Ryder Hesjedal, re del Giro 2012
La struttura che c’è dietro era già nata per qualcosa di più grande?

Ogni anno abbiamo cercato di capire quali fossero le aree su cui investire. Avevamo un budget e di volta in volta abbiamo deciso come distribuirlo per crescere come struttura. Quest’anno ad esempio abbiamo speso decine di migliaia di euro nei ritiri in altura sul Teide, che per me sono stati per anni un cruccio. Non ero mai riuscito a farli e invece quest’anno ci siamo riusciti. Abbiamo ingaggiato Ellena ed è anche giusto che Zanatta, con cui lavoro da anni (i due sono insieme in apertura, ndr) e che ha in mano la responsabilità della direzione sportiva, possa guadagnare per quello che vale. 

Hai parlato della Bora, che è diventata WorldTour con l’arrivo di Sagan. Avere più budget permetterebbe di ingaggiare qualche corridore di nome?

Chiaro, questo è uno degli obiettivi, ma noi abbiamo anche atleti di valore che senza il budget necessario, saremmo costretti a cedere. “Juanpe Lopez”, che l’anno scorso è stato in maglia rosa, era nostro ed è andato alla Trek-Segafredo perché non potevamo tenerlo. Vogliamo continuare a investire sui giovani.

Durante questo Giro, Davide Bais ha conquistato la tappa di Campo Imperatore
Durante questo Giro, Davide Bais ha conquistato la tappa di Campo Imperatore
Può bastare per crescere a certi livelli?

Abbiamo due atleti, Piganzoli e Tercero, due corridori molto simili che sono costantemente tra i migliori d’Europa. Se abbiamo la bravura e la pazienza di tirar fuori il loro talento, in due o tre anni avremo sicuramente corridori di un certo valore. Fra due anni, Piganzoli potrebbe essere un novello Zana e magari potrebbe vincere una tappa al Giro.

Quindi dietro la ricerca dello sponsor c’è in realtà la volontà di raccontare bene quello che avete costruito?

Abbiamo questa ambizione e siamo convinti che se questo messaggio viene amplificato, si riesce a catturare l’attenzione di qualcuno cui possiamo spiegare che cosa stiamo facendo. Quello sarebbe già un interessante primo passo. E chissà che dai contatti che verranno fuori, non nasca qualcosa di importante…

Gambe e tattica, Buitrago succede a Nibali

26.05.2023
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TRE CIME DI LAVAREDO – La vittoria di Santiago Buitrago sotto le Tre Cime probabilmente è figlia della delusione di ieri. In Valle di Zoldo il colombiano della Bahrain-Victorious avrebbe voluto fare meglio. Molto meglio. Quella era una delle frazioni che aveva cerchiato in rosso.

Ma il Giro d’Italia è così. Un giorno stai bene e uno paghi. Succede agli uomini di classifica, figuriamoci ad un ragazzo di neanche 24 anni.

Questa mattina quando la fuga è andata, lui era sempre guardingo. Non si era mai mosso prima. Poi sono state la gambe e le prime pendenze dolomitiche a mettere in chiaro le cose. A quel punto la Ineos-Grenadiers ha lasciato fare e “Santi” si è potuto mettere comodo.

Spesso il colombiano è stato “messo in mezzo”: gli oneri di chi è il più forte. Usare una buona tattica è stato vitale
Spesso il colombiano è stato “messo in mezzo”: gli oneri di chi è il più forte. Usare una buona tattica è stato vitale

Una fuga difficile

Comodo per modo di dire. La sua esuberanza poteva essere il rivale numero uno. E anche i compagni di fuga, avversari insidiosi.

Per tutta la tappa il suo direttore Franco Pellizotti gli ha dovuto dire di non perdere mai di vista la testa della corsa, che poteva essere pericoloso, ma anche di non tirare sempre lui. Cosa non scontata, quasi un ruolo che ti casca addosso quando chi è in fuga con te sa che sei il più forte.

Gestire la fuga di oggi non è stato semplice dunque per Buitrago e anche per la sua squadra. Proprio perché era il più forte, molti facevano affidamento su di lui per l’impulso della fuga. E questa cosa in corsa i suoi compagni di attacco gliel’hanno fatta pesare.

«Tanti corridori – ha detto Buitrago – mi hanno detto che dovevo tirare io perché ero quello più vicino in classifica. Ma io volevo giocarmi diversamente le mie carte. E poi pensavo alla tappa. Volevano che chiudessi sempre io e per questo non volevo una gara aperta. Avrei dovuto fare tanti scatti».

«Ma in questo Pellizotti mi ha aiutato molto. Soprattutto nel finale, quando Gee ha attaccato prima della spianata, mi ha detto di stare tranquillo. Io però lo vedevo. Era lì a trenta metri. Franco mi ha detto di non scattare. Solo ai 1.500 metri mi ha detto di dare tutto. E così ho fatto». 

Nibali ha premiato Buitrago. Lo Squalo aveva vinto quassù 10 anni fa, quando Santi aveva appena 13 anni e sognava di diventare un pro’
Nibali ha premiato Buitrago. Lo Squalo aveva vinto quassù 10 anni fa, quando Santi aveva appena 13 anni e sognava di diventare un pro’

Nel ricordo di Nibali

«Vincere sulle Tre Cime, una delle salite più importanti di questo Giro, per di più da solo, è stata una vera emozione. Mi ricordavo quando aveva vinto Nibali quassù, con la neve. Io ero un bambino e oggi mi ha premiato lui. Alle sue spalle c’erano tanti colombiani: Betancur, Uran, Duarte».

In sala stampa, dalla mascherina che Rcs Sport ha imposto dopo i tanti casi di Covid, di Buitrago si scorgono solo gli occhi. E come spesso accade nei colombiani lo sguardo è sempre velato da un filo di nostalgia.

«Il sacrifico più grande per me è stare lontano dalla mia famiglia – spiega Santi – perché è vero che ad Andorra, dove vivo quando sono in Europa, ho molti amici, ma non è la stessa cosa che stare a casa. Sono qui da gennaio. Non è facile.

«Oggi però sono contento, perché il mio Giro sin qui era stato un po’ grigio». 

Pellizzotti sfinito

Franco Pellizzotti completa il giro attorno al Rifugio Auronzo e va a parcheggiare la sua ammiraglia, un anello obbligato che fa incolonnare le auto già per il ritorno a valle a fine tappa. E’ lui che ha seguito ogni metro di Buitrago. 

«Sono sfinito – racconta Pellizotti – in pratica mi sono diviso fra Buitrago in testa e Milan in coda al gruppo. Oggi per Jonathan era molto dura». Ma certo a dominare è il sorriso. 

«La vittoria di Santi? Alla grande. Si è preso la tappa più bella di questo Giro. Quando lo affiancavo gli dicevo di gestirsi, perché io conosco molto bene questa scalata e so che sono tre chilometri e mezzo terribili. Interminabili.

«Gli ho detto di prendere Gee come punto di riferimento, ma non di chiudere subito su di lui. Ed è stato bravissimo ad eseguire il tutto».

Buitrago (classe 1999) conquista la tappa delle Tre Cime. La dedica è per la famiglia. «E per tutti coloro che sanno dei miei sacrifici»
Buitrago (classe 1999) conquista la tappa delle Tre Cime. La dedica è per la famiglia. «E per tutti coloro che sanno dei miei sacrifici»

Classifica in futuro?

Ieri Buitrago è rimasto fuori dalla fuga ed era deluso. Oggi si è voluto rifare. «Ieri era più teso – confida Pellizzotti – oggi più tranquillo. Sapeva di avere una buona condizione. Dopo la vittoria dell’anno scorso a Lavarone ci aspettavamo, e soprattutto lui si aspettava, di ripetersi e oggi ha vinto una tappa splendida. Perché qua vincono in pochi».

«Mentre per la classifica abbiamo voluto testarci. Santiago è un ragazzo giovane, non dobbiamo guardare gli altri giovani che vanno già forte, lui deve crescere… e sta crescendo. Noi non gli mettiamo pressione. Lo aspettiamo… basta che ci creda lui».

«La classifica – replica Buitrago – arriverà quando imparerò a gestire le tre settimane, quando saprò andare forte a crono e in pianura… Ma un giorno arriverà qual momento».

Altro passo verso il quarto posto: le Tre Cime di Caruso

26.05.2023
5 min
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TRE CIME DI LAVAREDO – Prima la pioggia, poi il sole e il caldo, finché di colpo sul traguardo si è abbassata una nuova aria gelida e la temperatura è scesa a dieci gradi. Buitrago ha vinto la tappa, davanti a Gee e Cort Nielsen. Roglic ha trovato la grinta per saltare Thomas sulla riga. Dopo di loro Almeida e, insieme a lui, sul traguardo è passato anche Damiano Caruso, stanco ma non sfinito. Ha la faccia nerissima per il freddo e l’acqua presi in abbondanza sul Passo Tre Croci e così la prima cosa che fa è infilarsi nel giubbino felpato con l’asciugamano attorno al collo.

Alla partenza da Longarone, Caruso era di buon uomore: consapevole di stare bene
Alla partenza da Longarone, Caruso era di buon uomore: consapevole di stare bene

Obiettivo quarto posto

Dunbar si è staccato proprio nel finale, il siciliano ha retto bene e si è ripreso il quarto posto in classifica generale. Manca la crono di domani, poi potrà dire di essere il primo alle spalle del podio dei più forti.

«L’avevo detto – racconta – non mi arrendo. Sapevo che il discorso podio fosse pressoché chiuso, però il quarto posto non lo regalo (Damiano ha ora 42 secondi di vantaggio su Dunbar, ndr) perché, comunque sia, per me e anche per gli italiani è un buon risultato. Insomma, questa è stata una giornata più che soddisfacente per il mio team. Domani andiamo a fare l’ultima cronoscalata e sarà sicuramente un’altra bellissima gara, con un finale incerto tra i primi tre. Io spero di definire il mio piazzamento…».

De Plus e Arensman hanno fatto un ritmo che Caruso ha definito «bastardo» e ha impedito gli scatti
De Plus e Arensman hanno fatto un ritmo che Caruso ha definito «bastardo» e ha impedito gli scatti

Il ritmo bastardo

Mentre davanti gli uomini della Ineos Grenadiers scandivano il ritmo più adatto per Thomas, Caruso ha preso il suo passo e l’ha portato fino al leggendario traguardo del Giro.

«Onestamente il Giau non è stato affrontato con un grandissimo ritmo – ammette – ma quest’ultima salita sicuramente è stata sufficiente per portarci tutti al limite. Oltre alle pendenze, qui la quota fa il suo gioco e quindi alla fine è venuto uno spettacolo totale. Davanti per gli uomini in fuga e dietro per quelli di classifica.

«Uno vorrebbe provare ad attaccare, ma quando c’hai un Arensman e un De Plus che tirano a un ritmo così bastardo, dove vai? E se loro già tirano a 6,5 watt/chilo, cosa ti vuoi inventare? E’ impossibile fare la differenza, è già tanto se non ti staccano. Forse per questo viene penalizzato lo spettacolo, ma fa parte del gioco. Conosciamo questi squadroni…».

Al livello del 2021

E’ un Caruso più che buono, difficile dire se al livello di quello che nel 2021 arrivò secondo alle spalle di Bernal e riuscì a vincere una tappa. Di certo però il campo partenti di questo Giro parrebbe avere una superiore consistenza.

«Sull’ultima salita – ricorda – avevo buone sensazioni, poi hanno cominciato a forzare. Quando è partito Roglic, chiaramente non potevo seguirlo. Però mi sono detto: “Il mio passo è buono, continuo così e forse riesco a ritornare sotto”. Infatti dopo un po’ mi sono girato e ho visto che dietro si era fatto il vuoto. Quest’anno mi sembra che il parterre sia stato di primo’ordine. Davanti a me, ma anche alle spalle ci sono tutti ottimi corridori. Quindi vi dirò: se confermato, il quarto posto mi soddisferebbe molto».

Caruso ha tagliato il traguardo alle Tre Cime in 7ª posizione, assieme ad Almeida
Caruso ha tagliato il traguardo alle Tre Cime in 7ª posizione, assieme ad Almeida

Pronto per la… spiaggia

Infine, prima che riprenda la via di valle per raggiungere il pullman parcheggiato poco sopra il lago di Misurina, gli chiediamo qualcosa su come finirà il Giro d’Italia.

«Dipende come andrà domani – dice – perché qualcuno può ancora pagare lo sforzo di oggi. Però Thomas, mi sembra abbastanza in controllo. Oggi sono proprio contento per la nostra squadra e per tutto il Giro della Bahrain Victorious. Volevamo piazzare uno dei nostri in fuga e Buitrago è stato veramente bravo, perché non era facile. Alla fine questa era la tappa per lui. Da buon colombiano, a queste altitudini ci va a nozze, sono felicissimo per il ragazzo e per la squadra.

«Penso che per noi siano state tre settimane ampiamente positive. Anche le mie sensazioni sono andate in crescendo. Sono praticamente pronto per andarmene al mare. Non vedo l’ora di tornarmene a casa mia…».

Il viaggio di Montaguti, dal Giro alla sua Forlì inondata

26.05.2023
5 min
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Questa è la storia di Matteo, la storia di uno dei tanti che ha visto la sua vita sconvolta dall’alluvione. Sera del 17 maggio. Una sera come tante nella carovana del Giro d’Italia: i corridori vanno a riposare, gli staff preparano il necessario per il giorno dopo, chiunque faccia parte di quel grande carrozzone ha qualcosa da fare. Anche Matteo Montaguti, agente di commercio della Castelli, mette ordine fra le varie carte di lavoro pensando al mattino dopo. Ma il telefono comincia a squillare e sente che nelle stanze attigue avviene lo stesso.

Matteo è un ex professionista forlivese di 39 anni. Di giri da corridore ne ha fatti ben 9, è stato pro’ dal 2008 al 2019 togliendosi anche una soddisfazione personale al Tour of the Alps 2017. Nell’anno del Covid era in moto per la Rcs come ricognitore, poi ha trovato lavoro alla Castelli, restando nell’ambiente.

Matteo Montaguti ha 39 anni. Ha corso dal 2008 al 2019, per 8 stagioni è stato all’AG2R
Matteo Montaguti ha 39 anni. Ha corso dal 2008 al 2019, per 8 stagioni è stato all’AG2R

«Matteo, qui è una tragedia…»

Il telefono squilla, lui risponde. Bastano poche parole per fargli cadere il mondo addosso: «Forlì, la mia terra, era inondatata. Io abito nella zona nord – racconta a giorni di distanza – e per fortuna la mia casa non è stata invasa dall’acqua, siamo abbastanza in alto, ma tutta la parte sud era sommersa, le case di parenti, amici, conoscenti, chi ha perso tutto, chi ha rischiato la vita».

E’ una notte insonne quella che Matteo passa. La televisione racconta la catastrofe, già si discute se sia colpa del cambiamento climatico, delle mancate opere di prevenzione, ma dietro le polemiche ci sono vite in gioco. Si capisce subito che quell’ambiente così festante e indaffarato fino al giorno prima è diventato qualcosa di estraneo, Montaguti si sente un pesce fuor d’acqua.

«Non aveva senso restare – ricorda – ho chiesto che qualcuno in azienda mi sostituisse, dovevo tornare. La Castelli mi è stata vicino e l’ho apprezzato molto. Ho rimesso tutto in macchina alla meglio e sono partito».

La città è sommersa dall’acqua, dove ci si spostava in auto di colpo era necessario il gommone (foto Getty Images)
La città è sommersa dall’acqua, dove ci si spostava in auto di colpo era necessario il gommone (foto Getty Images)

Il miracolo dell’autostrada

Raggiungere Forlì non è cosa semplice: la pioggia continua incessante a cadere aggiungendo danno a danno. «Sapevo che non sarebbe stato semplice, ma dovevo tornare a casa – raccunta Montaguti – sono passato quando l’autostrada era stata appena riaperta, altrimenti non so come avrei fatto. Sono arrivato a casa di sera tardi, un viaggio lunghissimo partendo da Bra in Piemonte, dove pure stava piovendo e per ogni chilometro che passava sentivo un sussulto al cuore».

A casa danni non ce ne sono, il sollievo per vedere che in famiglia stanno tutti bene non porta però sorrisi. Basta guardarsi attorno, la Forlì che conosceva non c’è più. Neanche il tempo di riposare, un rapido cambio di abiti, si tirano fuori gli stivali di gomma e via, a dare una mano.

I capannoni quasi inondati. Un’immagine che dice tutto del dramma romagnolo (foto Getty Images)
I capannoni quasi inondati. Un’immagine che dice tutto del dramma romagnolo (foto Getty Images)

La forza della solidarietà

«Non ci sono parole per descrivere quello che ho visto. Amici che hanno perso tutto. Interi quartieri sotto l’acqua. Persone che per salvare quel poco che potevano rischiavano la vita in case pericolanti e anche chi non voleva lasciarle, nonostante tutto. Ma c’è anche qualcosa di buono in quello che ho visto.

«Ho visto gente arrivare da ogni parte d’Italia. Ragazzi che non si sono messi paura, che non hanno esitato a sporcarsi le mani. Dialetti di tutti i tipi intorno a me, come se fossimo diventati una sola, gigantesca famiglia. Italiana. E’ qualcosa che non dimenticherò».

Il lavoro procede giorno dopo giorno: «Qualche ora di sonno e si ritorna nell’acqua, ma la nostra sembra la fatica di Sisifo: svuotiamo una casa, la liberiamo dai fiumi d’acqua e il giorno dopo è di nuovo allagata. Le fogne hanno ceduto e finché questa valanga d’acqua e fango non defluisce verso il mare, ci troviamo sempre nella stessa situazione. La pioggia poi non aiuta, ma non molliamo».

La bici continua ad avere una sua funzione, anche in condizioni davvero estreme (foto Getty Images)
La bici continua ad avere una sua funzione, anche in condizioni davvero estreme (foto Getty Images)

Il Giro in Romagna

Il Giro sembra lontano anni luce, altro che qualche centinaio di chilometri. Ma tra una spalata e l’altra c’è tempo per riflettere: «Quando questa valanga d’acqua si è riversata eravamo a Camaiore, avevamo lasciato l’Emilia il giorno prima arrivando a Viareggio. Che cosa sarebbe successo se i tempi fossero coincisi? Non c’era possibilità di andare avanti. E’ vero che il Giro d’Italia ne ha affrontate tante nel corso della sua storia, ma qui? Magari saltava una tappa, due, ma come rimettevi insieme la carovana quando era praticamente impossibile anche solo uscire o entrare in Romagna?».

Quando si è saputo che Matteo aveva lasciato la corsa rosa per impugnare la pala, anche le telecamere di Rai 3 si sono mosse.

«Tutta questa notorietà non la volevo – si schermisce – si è parlato di me più adesso che nei lunghi anni di professionismo. Si dovrebbe parlare invece dei tantissimi che ogni giorno si aggiungono al nostro lavoro, ma non bastano mai, abbiamo ancora bisogno di gente. Ci sono garage ancora sommersi dall’acqua, scuole chiuse, aziende da rimettere in funzione. Noi però non ci arrendiamo, la razza romagnola è così, ci rimbocchiamo le maniche e lavoriamo, le polemiche le lasciamo ad altri. Anche se…».

I corridori per le strade di Scandiano. Era solo il giorno prima della grande alluvione
I corridori per le strade di Scandiano. Era solo il giorno prima della grande alluvione

Una conclusione amara

La voce di Montaguti si fa un po’ velata, perché queste giornate gli hanno lasciato anche un senso di amaro in bocca. E Matteo spiega il perché.

«Avrei voluto che il nostro ambiente – dice – fosse più pronto, sollecito, sensibile. Non dico che il Giro dovesse fermarsi, ma almeno un segnale… Tanti in quel mondo hanno legami con questa terra, diretti o meno. Capisco che sia un lavoro, ma ci sono valori che prescindono. Io comunque non smetterò mai di dire grazie alla Castelli per la sensibilità dimostrata e soprattutto a ogni persona che ha messo da parte la sua vita per venirci a dare una mano… Ma c’è ancora bisogno».