Cataldo, gli ultimi passi di una carriera da gigante

17.05.2024
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FRANCAVILLA – «Vengo da Miglianico – dice Cataldo – neanche dieci chilometri da qui. Se fossi stato al Giro, questa sarebbe stata la tappa di casa».

E’ appena finita la tappa di Francavilla. Milan ha vinto la seconda volata del Giro e sul palco del Processo si celebra la sua prepotenza agonistica. A un estremo del tavolo degli ospiti, Dario Cataldo assiste alla conversazione e dà il suo contributo quando c’è da parlare della condotta di Pogacar. E poi quando arriva il momento, prende la parola e annuncia quello che era nell’aria da qualche mese: questa sarà la sua ultima stagione. Ha fatto in tempo a metabolizzare la scelta, ma quando gli viene chiesto che cosa gli mancherà, il groppo in gola non tarda a tornare.

Dario Cataldo è passato professionista nel 2007 dopo aver vinto il Giro d’Italia U23 dell’anno precedente. Classe 1985, ha corso con Liquigas, Quick Step, Team Sky, Astana, Movistar Team, Trek-Segafredo e Lidl-Trek. Gregario di alto profilo per Wiggins, Nibali e Aru, ha vinto una tappa al Giro e una alla Vuelta, oltre alla maglia tricolore della crono.

Cataldo ha saltato anche il Giro del 2023 a causa della caduta in Spagna
Cataldo ha saltato anche il Giro del 2023 a causa della caduta in Spagna

Il giorno dopo

Abbiamo aspettato una giornata. Abbiamo visto Alaphilippe realizzare un’impresa magnifica verso Fano. E poi, sul far della sera, siamo tornati da Cataldo per farci raccontare quello che ci aveva già anticipato e avevamo preso come il tentativo di esorcizzare il momento: non ci avevamo creduto. Alla fine dello scorso anno, il suo impegno a rimettersi in sesto dalla caduta del 2023 al Catalunya era massimale. Invece proprio quella caduta è stata la prima pietra di una decisione ormai annunciata.

«Non credo che la squadra mi terrebbe – dice – anche se non ne abbiamo parlato. Ho 40 anni, nel ciclismo di adesso non ci sarebbero squadre WorldTour disposte a prendermi e non mi va di fare un anno in una squadra più piccola. So che un passo per volta potrei tornare ad andare bene, ma dovrei comunque dimostrarlo e adesso non sto andando come vorrei e sto correndo anche poco. La mia presenza al Giro non era prevista, perché è impegnativo e perché sarei dovuto andare forte nelle gare prima. Ma avendo l’idea di andare con una squadra per Milan, è stato giusto puntare su altri atleti».

Con Felline al Tour of the Alps: sia pure per motivi diversi, nessuno dei due è al Giro
Con Felline al Tour of the Alps: sia pure per motivi diversi, nessuno dei due è al Giro
E’ stata una decisione cui sei arrivato gradualmente o un giorno ti sei svegliato e l’hai capito?

Ci sono arrivato gradualmente. Ovviamente l’incidente mi ha dato un’ulteriore spinta e mi fa lasciare più a cuor leggero. Ormai fai fatica ad andare alle corse senza essere al 100 per cento, non è più come una volta. Non puoi andare per allenarti. Adesso se non sei pronto, vai a soffrire come un cane. Il fatto di dover recuperare da un incidente e andare alle corse consapevole di aver perso la mia capacità di performance rende tutto più complicato. La gamba sinistra, quella in cui ho rotto il femore, non ha recuperato ancora del tutto. Sento di non essere al 100 per cento neppure con la respirazione. Sia per il pneumotorace, sia per le fratture delle costole, ho perso tantissima capacità polmonare. Anche nei test fatti in ritiro a dicembre, avevo un valore nettamente inferiore agli altri anni.

L’infortunio giustifica la scelta di smettere, ma non è il modo in cui saresti voluto uscire di scena…

No, certo, questo è poco ma sicuro. Avrei voluto fare un altro Giro d’Italia, fare un altro calendario. Avrei ambito a fare altre cose chiaramente, ma un incidente così non lo scegli. Bisogna prendere quello che viene, per cui mi godo questa stagione al meglio che posso. Bisogna essere realisti e vivere quello che viene, alla fine gli incidenti fanno parte di questo sport. Se devo vederla in un altro modo, una caduta può toglierti la carriera dall’oggi al domani, senza poter fare questo processo. A me è andata bene, in qualche modo. Ne ho parlato anche con Bennati.

All’Astana dal 2015 al 2019, Cataldo è stato uno degli uomini più importanti per Aru
All’Astana dal 2015 al 2019, Cataldo è stato uno degli uomini più importanti per Aru
Cosa c’entra il cittì?

A lui sono molto legato, siamo stati compagni di squadra e compagni di camera al Giro d’Italia. L’anno scorso mi ha proposto di fare una corsa con la nazionale, perché sa che cosa significa indossare la maglia azzurra e sapeva quanto ci tenessi. Mi ha portato al Matteotti, mi ha fatto un regalo. Mi ha detto che del suo fine carriera rimpiange di non aver potuto decidere quale sarebbe stata la sua ultima gara. Ci siamo confrontati sui nostri incidenti, il recupero e il resto. Daniele è caduto, ha provato a rimettersi in sella e tornare competitivo, ma non c’è riuscito. Non è mai più tornato a correre. E’ partito per la sua ultima corsa, senza sapere che sarebbe stata l’ultima. Per me è diverso. Da qui a fine stagione possono succedere mille cose, però sto correndo consapevole che sarà la mia ultima stagione. Faccio il mio percorso, faccio le mie ultime cose…

Non farai il tuo ultimo Giro d’Italia.

Mi sarebbe piaciuto, però è andata così. Conservo un ricordo dell’ultima volta, era il 2022, si chiudeva a Verona. Quando ho finito la cronometro, mi sono preso un attimo per me. Guardavo lo spettacolo dell’Arena tutta rosa e mi sono detto: «Cavolo però, che spettacolo è il Giro d’Italia!». E dentro di me ho detto: «Tutto questo mi mancherà». Pensavo che avrei fatto un altro Giro d’Italia, non avrei mai immaginato che fosse l’ultimo. Per cui è come se con il Giro mi fossi lasciato con un arrivederci. Come un amico, cui dici «ciao» e invece non lo vedrai mai più. Gli addii non sono mai belli, sono sempre tristi. Per cui un arrivederci da un certo punto di vista è anche più facile da accettare, più amichevole. Ti lasci a cuor leggero, quello col Giro è stato un arrivederci.

Alaphilippe eroico. Maestri che cuore. Uno vince, l’altro emoziona

16.05.2024
6 min
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Undici chilometri e mezzo al traguardo di Fano. I destini di Mirco Maestri e Julian Alaphilippe si dividono. Il francese scappa. L’italiano si stacca. Il Giro d’Italia però vive un capitolo bellissimo. Intenso. Profondo. Un capitolo scritto da due corridori che seppur in modo diverso sanno arrivare alla gente, al suo cuore.

Julian Alaphilippe (classe 1992) ha da poco staccato Mirco Maestri e s’invola verso Fano
Julian Alaphilippe (classe 1992) ha da poco staccato Mirco Maestri e s’invola verso Fano

Istinto Alaphilippe

Undici chilometri e mezzo al traguardo di Fano. Julien Alaphilippe, sta per dare l’ennesima svolta alla sua carriera. E’ un grandissimo di questo ciclismo moderno, ma non vince da quasi un anno. Problemi, polemiche, sfortune, errori… Qualche errore di valutazione lo aveva commesso anche durante questo Giro. Come a Napoli, dove lui stesso ci aveva confessato che forse sarebbe stato meglio muoversi dopo.

In tanti hanno pensato che avesse sbagliato ancora una volta. Muoversi a quasi 130 chilometri dal termine con il solo Maestri poteva essere un azzardo.

Ma il campione è così, Alaphilippe almeno. Tutto istinto. E l’istinto spesso porta a sonore porte in faccia. Ma se le porte non si chiudono, allora c’è l’impresa. Nonostante il gruppo della maglia rosa si fosse riavvicinato prepotentemente.

La Bahrain di Tiberi prima ha chiuso sul gruppo Hirt e poi ha provato ad aprire dei ventagli. Alla fine nulla di fatto nella generale
La Bahrain di Tiberi prima ha chiuso sul gruppo Hirt e poi ha provato ad aprire dei ventagli. Alla fine nulla di fatto nella generale

Dicevamo dell’istinto. Sentite le parole del corridore della Soudal-Quick Step: «No, non l’avevo programmato di partire solo in due e da così lontano. Mi aspettavo che un gruppo più numeroso si unisse a noi. Ma a quel punto ho detto a Mirco: andiamo!

«Maestri è stato davvero bravo, forte e abbiamo lavorato bene insieme. Anche lui meritava di vincere oggi. Però dai piedi dell’ultima salita ho dato tutto. Sono rimasto da solo e da quel momento è stato un andare a tutto gas fino al traguardo. Anche perché sapevo che Narvaez era dietro di me».

A Fano esplode la gioia di “Loulou”. L’ex iridato ora vanta almeno una tappa in tutti e tre i grandi Giri
A Fano esplode la gioia di “Loulou”. L’ex iridato ora vanta almeno una tappa in tutti e tre i grandi Giri

Tour, Vuelta e… Giro

La Francia porta a casa la terza vittoria di tappa in questo Giro d’Italia. E la Soudal-Quick Step la seconda. Il Wolfpack può così festeggiare. Tim Merlier, arrivato 140° a 13’16”, sul traguardo festeggiava come dopo una delle sue volate.

«So che i miei compagni di squadra – ha detto Alaphilippe – dietro hanno vigilato bene. E li ringrazio. Per i primi sessanta chilometri hanno controllato sia il percorso che la corsa. Dopodiché mi sono ritrovato davanti e mi sono concentrato sulla fuga».

Con questa vittoria Julian Alaphilippe sigla un altro record. Va aggiungersi all’elite di coloro che hanno vinto tappe in tutti e tre i grandi Giri.

«Era un mio sogno vincere una tappa qui al Giro d’Italia. Ed ora che si è avverato è fantastico».

Mirco Maestri (classe 1991) è stato da poco staccato da Alaphilippe. Narvaez ed Hermans lo stanno riprendendo
Mirco Maestri (classe 1991) è stato da poco staccato da Alaphilippe. Fano per lui si allontana

Cuore Maestri

Undici chilometri e mezzo al traguardo di Fano. Altra faccia della medaglia. Mirco Maestri vede infrangersi il sogno di vincere una tappa al Giro. Tutto il giorno in fuga con Alaphilippe, ma il passo del collega francese è troppo alto. E non può che essere così. Dietro Narvaez e company mordono.

La catena diventa un macigno. La strada s’impenna. Alaphilippe sparisce.

«In fuga con Alaphilippe… uno dei miei idoli. Uno che quasi ti vergogni a chiedergli la foto e oggi ci ho fatto una cavalcata… di quanto? Centotrenta chilometri?». Mirco Maestri ti fa emozionare anche quando racconta. «Alla fine ho contribuito anche io al suo successo in qualche modo. Sapevo che quello strappo sarebbe stato critico. Già ero al limite per le mie caratteristiche, perché comunque c’era un tratto al 18 per cento, figuriamoci dopo tutta quella fatica».

Maestri racconta della sua gestione. Ha dato grande impulso alla fuga e si è tenuto giusto qualche briciola di energia per lo strappo finale. Il corridore della  Polti-Kometa racconta come gli ultimi 300 metri di Monte Giove siano stati tosti, tosti. Sperava che meno gente possibile lo riacciuffasse.

«Al 99 per cento – prosegue Maestri – sapevo che sarebbe andata così. Ma cos’altro potevo fare? Alla fine arrivare più avanti possibile era un vantaggio anche per me. Primo, perché non si sa mai cosa può succedere. E poi perché fare secondo al Giro, per di più dietro ad un campione come Julian, non sarebbe stato poco. Senza contare che ad inseguirci c’erano nove uomini importanti. Quella di oggi era una fuga di qualità».

Alaphilippe e Maestri in fuga: sono partiti quando mancavano 126 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Alaphilippe e Maestri in fuga: sono partiti quando mancavano 126 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico

In fuga

Una fuga simile Mestri e il team la covavano già da un po’. Con Stefano Zanatta, il direttore sportivo, erano tre giorni che parlavano di questa tappa. Il diesse gli diceva che potevano provarci, anche perché Mirco stava bene. «Tutto sommato ho pedalicchiato, dai! In altre occasioni in una tappa così avrei preso 20 minuti». 

E infatti ha ricevuto i complimenti da parte di tutti, anche di Ivan Basso che gli ha inviato subito un messaggio. Ma oltre allo spettacolo va sottolineata anche la prestazione di Maestri. La media oraria finale è stata di 46,7 all’ora in una tappa che misurava 193 chilometri e 2.160 metri di dislivello.

«Era meglio che non me la dicevate la media! Siamo andati forte – riprende Maestri – Julian tirava nelle salite, che quasi mi staccavo, e io ci davo sotto in pianura. Sul computerino avevo la schermata della strada per vedere le curve e i chilometri all’arrivo, ma immagino viaggiassimo sempre tra i 50 e 52 all’ora. Per i traguardi volanti o i Gpm, non ci siamo parlati. Alaphilippe mi dava il cambio poco prima e io passavo. Sembravamo due compagni di squadra di lungo corso». 

E infatti… «Dopo l’arrivo Alaphilippe mi ha aspettato. Mi ha abbracciato e mi ha detto: “Questa tappa me la ricorderò tutta la vita”. E’ stata bellissima tutta questa cosa. Come detto, anche se siamo colleghi io tifavo per lui ai mondiali o nelle grandi occasioni, ed ero dispiaciuto nel vedere i problemi che ha avuto ad inizio stagione. Anche io questa giornata me la ricorderò per tutta la vita.

«Se ci riproverò? Certo, ma con la speranza di fare un po’ meglio. Non come prestazione, ma come risultato». 

Lonardi, volata da mal di testa e un podio per sperare

16.05.2024
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Giovanni Lonardi è passato in meno di mezz’ora dal quarto al terzo posto di Francavilla. Il tempo che la giuria riesaminasse il video dello sprint e per Merlier è scattata la retrocessione, con il conseguente passo in avanti del veronese del Team Polti-Kometa. Non si può dire che Lonardi sia al settimo cielo, però certo un podio di tappa al Giro è un buon punto di partenza per iniziare la seconda settimana col passo giusto.

«Sicuramente era un obiettivo mio e della squadra – risponde – da prima di partire per il Giro. Chiaramente il sogno è sempre vincere una tappa, però fare un podio fa un certo effetto. Sono contento, non me l’aspettavo, è un’emozione».

Giovanni Lonardi ha 27 anno, è alto 1,80 per 70 chili. E’ pro’ dal 2019 ed è al terzo Giro d’Italia
Giovanni Lonardi ha 27 anno, è alto 1,80 per 70 chili. E’ pro’ dal 2019 ed è al terzo Giro d’Italia

Il buco giusto

I velocisti sono rinomati per la capacità di ricostruire e raccontare uno sprint in ogni minimo dettaglio, ma quello di ieri a Francavilla è stato così confuso che i dettagli si sovrappongono. Ha ragione Adriano Baffi quando dice che il lavoro dei treni in certi casi si ferma ai 400 metri e poi è una partita a scacchi tra i velocisti rimasti davanti.

«E’ stata una volata confusa – spiega Lonardi – perché abbiamo avuto vento da dietro per quasi tutto il finale, tranne all’arrivo in cui era contrario. Per cui abbiamo fatto l’inversione per tornare indietro ed essendo stati per tutto il giorno a ruota, avevamo tutti gambe fresche. Però nella confusione sono riuscito a trovare il buco giusto. Tante volte non lo trovi, invece questa mi è andata abbastanza bene, per una volta meglio che agli altri. Penso che alla fine i conti si pareggino».

Gruppetto verso Prati di Tivo: nonostante ciò, il velocista deve difendersi anche in salita
Gruppetto verso Prati di Tivo: nonostante ciò, il velocista deve difendersi anche in salita

Due volate in una

La bravura in questi casi, come è stato per Milan, è trovare la traiettoria e tenersi una via d’uscita qualora il gruppo si rimescoli. Lonardi sin da subito aveva scelto la ruota di Merlier e poi quella di Milan.

«Solo che non è facile – ammette il veronese – perché loro hanno due o tre uomini davanti. Poi passa uno, passa un altro e magari l’unico che non passa sei tu. C’era confusione, finché ho trovato un buco a destra. Mi sono detto di rimontare le posizioni che potevo, altrimenti non avrei più fatto la volata. Sono riuscito ad arrivare davanti, ma per farlo ho speso le energie che mi sarebbero servite per fare lo sprint. Però stavo ancora abbastanza bene e mi sono ributtato a fare la volata e sono riuscito a reggere».

Lonardi ha vinto una tappa al Turchia per il declassamento di Van Poppel
Lonardi ha vinto una tappa al Turchia per il declassamento di Van Poppel

La vittoria in Turchia

L’operazione, condotta con grande lucidità, ha funzionato. E di solito, quando si guadagnano punti sulla strada, il risvolto più importante è a livello psicologico: se sono riuscito a farlo, posso farlo ancora.

«L’anno scorso non è stato un buon anno – conferma Lonardi – è andata bene solo da metà in poi. Mi aiuta tanto quando inizio a fare risultati, anche in termini di fiducia. Poi credo che per un velocista questo discorso valga anche di più. Quest’anno sono partito forte, sto andando abbastanza bene dall’inizio. Ho vinto in Turchia prima di venire qua (quella volta per declassamento di Van Poppel, ndr), quindi il morale è buono, sempre alto e questo cambia tanto. Io non mi reputo proprio un velocista puro, però qua il livello è talmente alto che per arrivare a fare le volate devi difenderti anche in salita».

Ieri a Francavilla, Lonardi ha fatto un primo sprint per affiancare i primi
Ieri a Francavilla, Lonardi ha fatto un primo sprint per affiancare i primi

Il treno della Polti

In questo gruppo di altissimo livello, in cui i velocisti vengono portati avanti e indietro da scudieri fidati e forti, la vita per i corridori delle squadre più piccole è decisamente più impegnativa. E se già nelle normali fasi di corsa le WorldTour reclamano il loro spazio in testa al gruppo, nell’impostare la volata la regola è ancor più severa.

«Anche noi partiamo con i compagni tutti per me – spiega – però non è facile fare quel lavoro e non abbiamo la squadra attrezzata per farlo. Ieri nel finale prima è entrato in azione Pietrobon, più o meno fino ai meno 10. Poi è arrivato Mirko Maestri, che ha provato a pilotarmi come al solito, solo che in due non è facile. Non è facile neanche per le squadre attrezzate come la Lidl-Trek e la Soudal-Quick Step, perché ieri era davvero caotico. Era facile perdere la ruota. Stai a ruota del tuo compagno, ma se il tuo compagno perde la ruota, sei spacciato. Però ce la mettiamo tutta. Io dico sempre che vincere un tappa al Giro per un corridore italiano è la cosa più bella del mondo, però anche un podio ha la sua importanza. Ci risentiamo se riuscirò a vincere, almeno saprò dirvi la differenza».

Doppietta Milan e l’analisi di Baffi, ds velocista della Lidl-Trek

15.05.2024
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I corridori sopraggiungono alla spicciolata dopo l’arrivo. La vittoria di Milan è venuta a capo della tappa più veloce nella storia del Giro e, mentre parla, Adriano Baffi si guarda intorno aspettando che arrivino gli altri. L’evacuazione è nel pieno, la Lidl-Trek deve raggiungere Montesilvano, a circa 30 chilometri dal traguardo di Francavilla: i corridori andranno con le ammiraglie, più agili del pullman nel traffico dell’Adriatica.

Il direttore sportivo cremasco non è uno che parli molto, ma fra quelli della squadra americana sa meglio di tutti che cosa significhi vincere una tappa in volata al Giro oppure lottare contro i giganti. Il suo bottino parla infatti di cinque tappe al Giro e una maglia a punti. Ma è giusto indicare anche i dodici podi messi insieme in 17 anni di carriera. E più di una volta a batterlo fu Mario Cipollini, uno cui per fisicità è facilmente collegabile il gigante Milan.

«Le emozioni di quando si fa una volata – ammette Baffi sorridendo – sono le stesse di quando vincevo io. Mi sembra sempre di essere lì anche io, invece sono sulla macchina. Per fortuna abbiamo la televisione, così sono riuscito a vedere la vittoria di Jonathan».

Adriano Baffi, classe 1962, è entrato nel gruppo Trek sin dalla nascita nel 2011
Adriano Baffi, classe 1962, è entrato nel gruppo Trek sin dalla nascita nel 2011

Tributo ai compagni

Come dopo la vittoria di Andora, Milan ha appena finito di ringraziare la squadra, in un finale che è stato convulso e velocissimo. Merlier, già primo a Fossano, è stato retrocesso per aver chiuso Molano alle transenne, così al terzo posto è salito Lonardi.

«Non è solo questo sprint che mi fa felice – ha detto Milan in zona mista – ma anche tutto il lavoro che i miei compagni hanno fatto per me. Oggi mi hanno supportato, mi hanno portato in una posizione cruciale per la gara e questo mi ha fatto felice. Hanno creduto in me e devo dire grazie per questo dal fondo del mio cuore. Il finale è sempre difficile da immaginare, cerchiamo di gestirlo il più possibile. E’ stato difficile, ma ho trovato la mia posizione. Merlier è partito molto forte, io ho cercato di fare il mio ed è andata bene».

Baffi ascolta quello che gli riferiamo e annuisce: le cose stanno esattamente così. E per lui che è stato velocista e ne ha ancora lo sguardo, ogni tassello va al posto giusto.

Milan ha abbracciato tutti i compagni e lo staff dopo l’arrivo e li ha ringraziati
Milan ha abbracciato tutti i compagni e lo staff dopo l’arrivo e li ha ringraziati
Il finale è stato un po’ confuso, senza treni o grandi riferimenti…

Ormai diventa difficile parlare di treno, quando ci sono 7-8 velocisti che nel finale vogliono fare le stesse cose. Nessuno ha più il potenziale per fare 2 chilometri davanti, tenendo il gruppo dietro. Oggi sapevamo di dover portare Johnny davanti ai 400 metri. Era un rischio, perché col vento contro puoi piantarti, ma Stuyven ha fatto quello che doveva e poi si è trattato di gestire la volata con tutte le incognite che può avere. E Milan è stato bravo a non farsi chiudere.

Qual è stata la sua bravura?

Nel momento in cui è rimasto solo ai 400 metri, senza un uomo che gli tirasse la volata, si è fatto strada da solo. Ha saputo tenere la posizione, lasciandosi sempre una via d’uscita. E’ stato bravo ad attaccarsi alla ruota di Merlier, la scelta giusta. La squadra gli ha permesso di non prendere un filo d’aria fino agli ultimi 500 metri. Il fatto che li abbia ringraziati significa che si è reso conto che fino a quel punto non ha dovuto spendere nulla più del necessario.

A lungo in fuga Affini e Van Dijke della Visma (che ha perso Uitdebroeks) e Champion
A lungo in fuga Affini e Van Dijke della Visma (che ha perso Uitdebroeks) e Champion
Secondo te nel prendere posizione ha sfruttato l’esperienza della pista?

Chiaro che la pista gli abbia dato un bagaglio tecnico che altri non hanno. Anche se non fa spesso prove di gruppo, ha delle abilità non comuni. Ma sa anche lui che puoi avere tutto il bagaglio tecnico che vuoi, ma si vince o si perde per un solo secondo di esitazione. Tutti possono sbagliare, non tutti possono vincere.

Credi che a Napoli abbia sbagliato qualcosa?

Le volate non sono tutte uguali e il percorso di Napoli era più complicato rispetto a quello di oggi. E poi credo che aver avuto Narvaez davanti lo abbia distratto fino al momento di partire. Non sai mai sino in fondo se il gruppo potrà prenderlo e quando poi ha lanciato la volata, aveva a ruota Kooij che quel giorno è stato più forte. Puoi essere il migliore, ma trovi sempre uno che ti batte.

Da Baffi velocista a Milan velocista, lo guardi e cosa pensi?

Ha le carte in regola per continuare e crescere. Non si possono fare paragoni importanti, perché ancora deve dimostrare molto, però quando arriva ai 300 metri ha l’esplosività e la capacità di tenere che furono anche di Cipollini e Petacchi. Ha tenuta, questo fa la differenza rispetto ad altri velocisti.

Di certo, per essere uno che è appena arrivato in squadra, sembra aver trovato presto le misure…

Dare un giudizio dopo quattro mesi è difficile, ma di certo ha trovato un ambiente che gli dà fiducia e non è poco. In tutto il 2023 aveva vinto tre corse, quest’anno siamo già a quota cinque. Diciamo che sta ricambiando la fiducia che gli viene data.

Quanto è diverso il mondo della volata rispetto a quando le facevi tu?

La volata è sempre uno sforzo di esplosività e resistenza. Andavamo veloci anche noi, ma c’era meno nervosismo di adesso. Credo che nelle condizioni attuali, anche Petacchi e Cipollini farebbero fatica ad avere un treno che possa emergere sugli altri. Loro avevano i migliori nel ruolo ed erano gli unici a farlo. Oggi vediamo volate disordinate perché tutti hanno la capacità di fare quel che prima facevano in pochi.

Prossima volata a Cento?

L’appetito vien mangiando, ma soprattutto vincere fa crescere la fiducia. Sapere di poterlo fare aiuta a farlo ancora. Domani verso Fano è facile immaginare che arrivi la fuga, ma nel ciclismo di oggi, così scientifico, non è mai facile azzeccare le previsioni. Approfittiamo delle occasioni, non ci montiamo la testa più di tanto. Abbiamo un bel gruppo.

Accanto a Baffi è seduto Bagioli, domani potrebbe essere il suo giorno. Il valtellinese, che ieri è arrivato quarto a Cusano Mutri, sta ritrovando lo smalto e la tappa dei muri marchigiani (non quelli della Tirreno, ma pur sempre begli strappi) potrebbe fare al caso suo. Lui sorride con scaramanzia, ma dal bagliore in fondo allo sguardo si capisce che l’idea non gli spiacerebbe affatto.

Assalto francese. Paret-Peintre sogna. Bardet fa spallucce

14.05.2024
5 min
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CUSANO MUTRI – Succede che ad una dozzina o poco più di chilometri dall’arrivo Valentin Paret-Peintre e Romain Bardet si parlino. In francese ovviamente. Sono a ruota di Andrea Bagioli. Davanti c’è Jan Tratnik che continua a guadagnare.

Un segno. È il momento. I due scappano. E l’affondo è buono. Ora o mai più, altrimenti lo sloveno avrebbe guadagnato troppo.
Rapporto lungo per il corridore della Decathlon-AG2R La Mondiale, lunghissimo per quello della DSM-Firmenich. Sono due scalatori, se lo possono permettere.

Valentin Paret-Peintre (classe 2001) e Romain Bardet (1990) cercano di rintuzzare Tratnik
Valentin Paret-Peintre (classe 2001) e Romain Bardet (1990) cercano di rintuzzare Tratnik

Francesi all’attacco

Il più giovane dei francesi sembra più brillante. È pimpante sui pedali. L’altro giorno eravamo stati in fuga con lui verso Prato di Tivo. Nell’ammiraglia, il suo diesse Cyril Dessel approvava quell’attacco sul Gran Sasso.
«Bene, gli dà fiducia», diceva. Poi man mano che la UAE Emirates tirava, il gruppo dei big si assottigliava e lui era ancora lì, un po’ si stupiva. Forse neanche lui immaginava che il più piccolo dei Paret-Peintre stesse così bene.

«E’ stato stupendo – dice con un filo di emozione e occhi sinceri Valentin – è incredibile. La mia prima vittoria da professionista ed è una tappa in un grande Giro. Tra l’altro con un grande campione come Romain. Dall’ammiraglia mi dicevano di tenere d’occhio lui (come a Prati di Tivo, ndr)».

Ai -3 km dall’arrivo Valentin parte secco. Riprende e stacca Tratnik. Dopo quello di Thomas è il secondo successo francese in questo Giro
Ai -3 km dall’arrivo Valentin parte secco. Riprende e stacca Tratnik. Dopo quello di Thomas è il secondo successo francese in questo Giro

Dessel stratega

Oggi di nuovo in fuga, stavolta Valentin Paret-Peintre ha fatto centro. Gestito ancora magistralmente da Dessel, che gli spiegava il finale e gli immediati chilometri con precisione.

«Cyril – riprende Valentin – mi ripeteva di stare tranquillo, che la salita era lunga, che mi dovevo gestire. Però mi ha detto anche che gli ultimi tre chilometri erano i più duri. Ho capito che quello era il momento. Dovevo approfittare di quelle pendenze. E dopo che sono partito mi incitava. Mi diceva: “Vai, è il tuo momento”. “Ce la puoi fare”».

Campione in crescita

Valentin Paret-Peintre è il figlio di una nuova generazione di ciclisti cresciuti in casa. Non solo la Groupama-FDj in Francia lavora bene, anche la Decathlon-Ag2R La Mondiale, specie con gli juniores, vanta un bel vivaio. E Valentin, come suo fratello Aurelien, è un campioncino costruito in casa. E i suoi margini sono ampi.

«L’obiettivo era quello di andare in fuga – ha detto Paret-Peintre – sapevo che si poteva vincere, ma non era facile. Soprattutto nella prima parte con tutta quella pianura. E infatti mi hanno aiutato molto Touzé e Tronchon: mi hanno consentito di risparmiare molte energie. Ma tutta la squadra ha fatto un grande lavoro. La salita lunga, la fuga giusta, i compagni, le gambe buone… era questione di tante cose che si allineassero».

«Davvero sono felice. Ho preparato bene questo Giro d’Italia, ho fatto per la prima volta in carriera un ritiro in quota. Ho alzato il mio livello. Non so se in futuro vorrò puntare alla generale. Vedremo. Mi piace andare in fuga. So che ogni anno voglio puntare forte su uno dei tre grandi Giri: una volta il Giro, una il Tour, una Vuelta e poi ricominciare».

Romain Bardet all’arrivo di Bocca di Selva. Ha incassato 29″ da Valentin Paret-Peintre
Romain Bardet all’arrivo di Bocca di Selva. Ha incassato 29″ da Valentin Paret-Peintre

Ecco Bardet

Se Valentin Paret-Peintre è preso in carica dai ragazzi del podio, Romain Bardet può far scorrere la sua bici verso il massaggiatore, che lo attende con indumenti caldi ed asciutti e il bibitone per il recupero.

Magro, anzi magrissimo: le sue costole sembrano quasi corpi esterni, Bardet si cambia con calma

E’ dispiaciuto ma non deluso. «Ho cercato di anticipare – ha detto Bardet – perché non stavo benissimo. Anzi, non avevo belle sensazioni alle gambe. Ma questo succede dopo il giorno di riposo, specie quando l’età avanza».

Aurelien completa la festa di famiglia Paret-Peintre. Stacca il drappello dei big, arriva quinto e festeggia per la vittoria del fratello
Aurelien completa la festa di famiglia Paret-Peintre. Stacca il drappello dei big, arriva quinto e festeggia per la vittoria del fratello

Parole da saggio

Intanto sfila Aurelien Paret-Peintre, fratello maggiore di Valentin ed ex compagno di Romain. I due si abbracciano.

Un sorriso e Bardet riattacca: «Vero, ci siamo parlati con Valentin. Volevamo capire come stesse davvero Bagioli. Gli ho detto che dovevamo andare perché perché Tratink aveva un bel vantaggio. Bisognava fare un buon ritmo. Abbiamo collaborato bene. Sapevo che gli ultimi chilometri sarebbero stati difficili per me, come detto le sensazioni non erano positive. Complimenti a Valentin, ha giocato bene le sue tappe».

Infine prima di congedarci, a Bardet viene fatto notare che in classifica generale ha recuperato un bel po’ (ora è 7° a 4’57”). Ma lui fa spallucce. Glissa del tutto. Dice che non ne sa nulla. Scaramanzia? O dubbio eterno degli uomini da corse a tappe se mollare o tenere duro? E’ chiaro che se tiene duro i pretendenti al podio e alle posizioni di vertice non gli lasceranno spazio. Come si è visto oggi con l’inseguimento della Bahrain-Victorious.

EDITORIALE / Quanto pesa la maglia rosa?

13.05.2024
6 min
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NAPOLI – Primo giorno di riposo. Mentre i corridori ricaricano le batterie di un Giro che finora non ha fatto mancare fatica ed emozioni, noi facciamo un passo indietro e torniamo al giorno di Fossano. Riprendiamo un tema che si potrebbe a buon diritto ritenere superato e che invece continua ad agitare i nostri lettori con numeri sbalorditivi. Quel giorno riportammo su Facebook e su Instagram una considerazione di Paolo Bettini a proposito della condotta di Pogacar, già in maglia rosa, che seguendo l’attacco di Honoré, cercò di anticipare i velocisti.

Ebbene, sia nelle prime ore e ancora adesso, quel tema e quel post continuano a smuovere opinioni. Per chi ne mastica, i 3.205 “Mi piace”, le 149 condivisioni e 1.395 (per ora) commenti su Facebook sono il segno di un argomento che ancora interessa e divide. Su Instagram, dove raramente si avviano grandi discussioni, i numeri parlano di 1.198 “Mi piace” e 66 commenti. Dati ancora in evoluzione, se volete in modo sorprendente.

Bettini ha mosso un appunto più che logico alla maglia rosa, ma forse il ciclismo è ormai lontano da certe logiche
Bettini ha mosso un appunto logico alla maglia rosa, ma forse il ciclismo è ormai lontano da certe logiche

Le parole di Bettini

Bettini, per chi non lo sapesse, è stato campione olimpico, ha vinto due mondiali, due Liegi, due Lombardia e la Sanremo. Una carriera da 62 vittorie, cui si aggiungono quattro anni da tecnico della nazionale. E’ un personaggio credibile, competente e che merita rispetto. Davanti a lui però si è schierato con prepotenza il popolo dei sostenitori di Pogacar, il cui tono è diventato presto incandescente. Che cosa aveva detto Paolo?

«A mio parere sono azioni che non deve fare – disse dopo Fossano – a me non è piaciuto. Non per il gesto atletico, chapeau, lo sappiamo che è un fenomeno, ma attenzione perché il Giro è lungo. In una tappa come questa, doveva lasciar giocare gli avversari, starsene dietro e non esporsi perché le azioni come queste poi ti rendono antipatico. Già sei forte e già vinci tutto, vuoi anche una tappa per velocisti facendo un’azione come questa? Attenzione, perché se arriva il giorno che lo trovano in difficoltà e inizia a girare il gruppo, gliele fanno suonare alla grande e a volte è più difficile gestire una tappa veloce che non una tappa di montagna (…) Non sto parlando di fair play, qui si sta parlando di gara».

Finita la prima settimana di Giro: finora la UAE Emirates ha corso da padrona in difesa della maglia rosa e spesso all’attacco
Finita la prima settimana di Giro: finora la UAE Emirates ha corso da padrona in difesa della maglia rosa e spesso all’attacco

Lo stile del leader

Il discorso di Bettini non è di stampo mafioso, come ha tuonato qualcuno, ma richiama un codice non scritto del gruppo che evidentemente non è più così attuale. In qualche modo stamattina lo ha sottolineato anche Bugno, sia pure con toni diversi. Se Pogacar in maglia rosa fa incetta di tutto quello che c’è in palio, si è chiesto Gianni, come farà ad avere buoni rapporti in gruppo?

Il fatto che dopo Bettini abbia parlato anche Bugno, rende palese che il ricambio generazionale esploso nel 2020 coinvolge i tifosi e probabilmente anche le ammiraglie e le reazioni del gruppo.

Non si sono mai visti campioni come Indurain, Contador, Nibali, Bernal, Froome, Pantani, Dumoulin, Roglic, Vingegaard, Quintana e persino Armstrong, che quanto a ingordigia non scherzava, mettersi a sprintare per i traguardi volanti. Si è sempre pensato che se un leader fa così, vuol dire che non si sente tranquillo dei risultati che potrà ottenere. Negli ultimi due Tour, Pogacar ha corso in questo stesso modo, ma alla fine ha pagato nel testa a testa con Vingegaard. Qui al Giro finora non ha lasciato nulla a nessuno e questo, applicando i canoni della tradizione e in assenza di un avversario davvero temibile, suona insolito.

Dieci anni fa quel che ha detto Bettini sarebbe stato di un’ovvietà disarmante, in un ciclismo che aveva nella durezza e nel galateo non scritto i suoi punti chiave. Il leader più forte ha sempre diviso la torta con il resto del gruppo. E se pure alla fine, oltre alla rosa vinceva la maglia della montagna e quella a punti, lo faceva con i risultati delle tappe decisive. Nel mezzo, c’erano 10-12 giorni in cui il palco era anche per gli altri, per la gioia dei loro sponsor.

Giro 1998: Pantani non aveva ancora la maglia rosa, ma a Selva lasciò la vittoria a Guerini
Giro 1998: Pantani non aveva ancora la maglia rosa, ma a Selva lasciò la vittoria a Guerini

Il diritto di Pogacar

D’altra parte ha ragione Roberto Damiani, quando ne difende la libertà di vincere come e quando gli pare. Ravvisando anche l’incapacità di fare pace con le proprie aspirazioni di chi reclama sempre tutto e il contrario di tutto.

«Pogacar è un campione – dice – uno che quando sente il profumo di vittoria va a cercarla, bello che sia così. Abbiamo martellato per anni quei campioni calcolatori che facevano solo il Giro o solo il Tour e adesso ce la prendiamo con questo che vince le classiche e poi viene a vincere il Giro? Chapeau a lui. Sinceramente non lo conosco, probabilmente gli ho detto tre volte ciao, però tanto di cappello».

Fossano, terza tappa: Pogacar attacca e stana Thomas. Inizia tutto così
Fossano, terza tappa: Pogacar attacca e stana Thomas. Inizia tutto così

Il ciclismo che cambia

Interpellato nei giorni successivi per commentare le reazioni alle sue parole, Bettini ha aggiunto di aver ricevuto messaggi e audio da parte di alcuni direttori sportivi dall’ammiraglia, seccati dell’andazzo di questo Giro e disposti a fare lo sgambetto alla maglia rosa qualora se ne presentasse l’occasione.

Nei giorni scorsi avete letto di un Pogacar nervoso, qualcuno ha anche ironizzato. Fra le ammiraglie si sussurra e si cerca di capire, fra giornalisti si fa lo stesso. Si dice che ciò sarebbe dovuto al fatto che lo sloveno non si stia divertendo a dominare in lungo e in largo, ma che questo gli venga imposto dalla squadra. Sono voci: lasciano il tempo che trovano, ma potrebbero spiegare i sorrisi più rari e la minore disponibilità della maglia rosa con i tifosi e con la stampa. Non deve essere facile essere guardato con fastidio e portare avanti una posizione che si condivide a stento. Al contrario, quanto sarebbe fastidioso doversi giustificare e quasi scusarsi per l’esercizio del proprio diritto di vincere?

Ciò detto, sulle ammiraglie ci sono davvero tecnici con il “pelo” per attuare le tattiche minacciate? Il ciclismo non è più fatto così, valuteremo successivamente se aggiungere l’avverbio purtroppo o fortunatamente. Siamo di fronte a uno sport che si decifra attraverso numeri e formule ripetibili. Che ha fatto della scienza e sempre meno della tattica il suo punto di partenza. Però il mal di pancia è sempre lo stesso e ricorda quello che si respirava nell’ambiente al Giro del 1999, quando si pensò che Pantani stesse esagerando. Anche Marco si trovò in mezzo alle rimostranze dei colleghi e alla posizione forte contro di lui di alcuni team. Anche in quel caso fu la squadra a spingerlo?

Il genio napoletano! Pogacar ha radunato attorno a sé un popolo di tifosi accesissimi
Il genio napoletano! Pogacar ha radunato attorno a sé un popolo di tifosi accesissimi

Se fosse tricolore…

Peccato che sia fallito il piano del Giro di portare alla partenza anche Evenepoel. La presenza di un rivale molto forte avrebbe reso meno evidente il gap fra la maglia rosa e il resto del gruppo. Di certo, infilandosi in queste dinamiche e non avendo ancora affrontato le giornate davvero difficili del Giro, la corsa sembra tutto fuorché noiosa.

Tadej è di un altro pianeta. La tirata data ieri nell’ultimo chilometro dalla maglia rosa dimostra che ha forze traboccanti e forse anche per il miglior Vingegaard quest’anno sarebbe duro tenerlo a bada. E allo stesso modo in cui siamo certi di questo, un’altra consapevolezza si fa largo mentre si ragiona su questo Giro e il fatto che rischi di perdere interesse: se Pogacar fosse italiano, lamentele ce ne sarebbero certamente di meno.

Un Alaphilippe all’antica e la corsa esplode. Poi Kooij infila Milan

12.05.2024
6 min
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NAPOLI – Una giostra sfrenata, questo è stato il finale della tappa. Pogacar passa tirando su col naso, la gamba asciutta e lo sguardo che scruta sopra le teste davanti a lui. Se non avesse dato l’ultima tirata in favore dei velocisti, forse Narvaez sarebbe arrivato primo. In qualche modo lo sloveno s’è preso la rivincita dopo la tappa di Torino, quando l’ecuadoriano vinse e gli impedì di vestire la prima rosa. Ma queste forse sono deviazioni da giornalisti: certamente non sarà stato per questo, quanto piuttosto per lanciare Molano. Ha vinto Kooij, che ha bruciato Milan e appunto il colombiano del UAE Team Emirates. Simone Consonni è piegato sulla bici contro la transenna e fa giusto in tempo a riprendere fiato quando gli si avvicina Stuyven. Il bergamasco quasi si scusa, il belga gli risponde che va bene e che l’importante era che fosse nel posto giusto.

«La mia vita è un inseguimento – dice Simone con una punta di ironia – avevamo fatto tutto giusto, se Narvaez è arrivato così avanti è perché eravamo tutti al gancio».

In trepidante attesa

Al centro della strada, Julian Alaphilippe si guarda intorno. Forse a Napoli non c’è mai stato in vita sua e ora guarda il mare e in fondo fino a Castel dell’Ovo. La vista è incantata, il sudore sulla fronte brilla al sole del pomeriggio inoltrato. Il francese è vivo. Anche oggi ha attaccato e ha visto avvicinarsi il Golfo, il Vesuvio e gli ultimi chilometri dalla sua posizione di attaccante.

«Se vince oggi – mormorava il massaggiatore Yankee Germano quando il francese era ancora in testa alla corsa – si sblocca e nel resto del Giro farà uno show al giorno. Ma sarebbe importante soprattutto per il suo spirito».

Quasi 200 chilometri di fuga per Maestri e Pietrobon, un grande spot per il primo Giro del Team Polti-Kometa
Quasi 200 chilometri di fuga per Maestri e Pietrobon, un grande spot per il primo Giro del Team Polti-Kometa

Julian è vivo

Il francese è fermo, il mondo gli gira intorno. Due mondiali, sei tappe al Tour e tre volte la Freccia Vallone, ma dalla caduta della Liegi del 2022 nulla è stato più come prima. A giugno sarà passato un anno dalla sua ultima vittoria: la tappa di La Chaise-Dieu al Delfinato, era il 5 giugno. Eppure l’aria del Giro gli fa bene. Il secondo posto (beffardo) di Rapolano lo ha riproposto nella veste di attaccante sulle strade bianche. La fuga di ieri verso Prati di Tivo è un interrogativo che attende riposte. Gli attacchi di oggi verso Napoli sono stati forse troppi e privi di logica, ma confermano che Alaphilippe c’è.

«Sono vivo – sorride in inglese – sono felice di essere qui e mi godo la gara. Forse oggi era meglio aspettare l’ultima salita, ma ero in una buona posizione. Il percorso era molto nervoso e quando ho visto quello strappo più ripido, ho provato. La prima volta Costiou ha collaborato. Quando sono tornati sotto, inizialmente abbiamo avuto la voglia di mollare. Lui si è rialzato, io ho provato a rilanciare».

La fuga di ieri

Il clima in squadra sembra essersi rasserenato. La scena di Lefevere che gli passa le borracce mentre è in fuga fa capire che forse l’ostacolo di certe tensioni è stato rimosso. Pare che addirittura ora si tratti per un rinnovo del contratto, dopo che nei mesi scorsi certe cifre gli sono state rinfacciate senza grande eleganza. Ma adesso tutto questo non conta. Julian si sta riconnettendo con Alaphilippe e già ci si chiede dove potrà provarci ancora.

«Sono super felice delle mie gambe – ammette – mi manca ancora un po’ per la vittoria. Ma voglio anche godermi la gara e in questo momento sono felice di come mi sento. Spero di poter continuare a provare a vincere fino alla fine. L’attacco di ieri forse l’ho pagato oggi, ho sentito le gambe un po’ più pesanti, ma penso che tutti siano super felici che domani ci sarà un giorno di riposo. C’è stato un ritmo strano per tutto il giorno, quindi per le gambe non è stato facile, ma alla fine sia ieri sia oggi per me erano dei bei percorsi. Mi piace questo tipo di salite, anche se quando ho attaccato ero un po’ troppo lontano da Napoli. Ho capito che anche scollinando la salita davanti, la strada verso Napoli sarebbe stata troppo lunga. Quindi forse era meglio aspettare l’ultimo strappo».

Alaphilippe è rimasto all’attacco dal Monte di Procida fino all’ultimo strappo, ripreso poi da Narvaez
Alaphilippe è rimasto all’attacco dal Monte di Procida fino all’ultimo strappo, ripreso poi da Narvaez

Missile Narvaez

Si accorgono di lui anche altri e arrivano con un microfono di Sporza, perché la squadra è belga e i giornalisti fiamminghi sono curiosi di sapere. Alaphilippe adesso però ha voglia di tornare al pullman.

«Ho provato – ripete – ma purtroppo nella prima fuga c’era un corridore della Alpecin che ci impediva di trovare una buona intesa. Anche questo è normale, voglio dire, lavorava per Kaden Groves. E’ stato un peccato, ma alla fine ho attaccato da troppo lontano, quindi nessun rimpianto. Quando ho visto Narvaez che mi passava come un missile, ho capito l’errore di essere partito troppo lontano, ma oramai la frittata era fatta…».

Poi si allontana. La fila dei bus inizia pochi metri più avanti, Julian si avvia in cerca del suo. Le gambe rispondono, finalmente si può provare a fare la corsa. In questo Giro di grossi calibri che si contendono ogni traguardo, recuperare un attaccante come lui porterà del pepe nei piatti di ogni giorno. Torniamo verso la sala stampa in tempo per sentire Milan ammettere di aver sbagliato qualcosa nella traiettoria dello sprint, ma riconoscere di non aver avuto le gambe che sperava. Il riposo arriva tempestivo e desiderato. Le medie record e le giornate senza risparmiarsi un solo colpo hanno già scavato solchi profondi nelle gambe e sui loro volti.

Tiberi e il defaticamento sulla bici da crono. Perché?

12.05.2024
4 min
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NAPOLI – La sua Merida da crono lo attende. I meccanici l’hanno ben preparata al bus. Manca solo lui, il proprietario, Antonio Tiberi. In casa Bahrain-Victorious si è optato per il defaticamento sui rulli appunto con la bici da crono.

Al termine della tappa, dopo qualche minuto sul bus, Tiberi scende. Mette una maglia asciutta e leggermente più pesante (all’ombra l’aria è frizzantina e tira anche vento). Monta in sella, sposta la catena dal 58 al 44 e si spiana sulla sua bici da tempo.

Questa tipologia di defaticamento è una pratica non del tutto nuova, ma certamente curiosa. Avevamo visto anche Pogacar utilizzarla dopo la prima tappa e non solo. Ma il corridore laziale ha deciso di continuare, nonostante non ci sia nessuna crono a breve. A spiegarci qualcosa di più è proprio uno dei coach della Bahrain, Andrea Fusaz.

Tiberi e Fusaz durante il defaticamento. Sono stimolati diversamente soprattutto la parte della schiena, i glutei e il bicipite femorale (catena posteriore)
Tiberi e Fusaz durante il defaticamento. Sono stimolati diversamente soprattutto la parte della schiena, i glutei e il bicipite femorale (catena posteriore)
Andrea, dunque, il defaticamento sulla bici da crono, perché?

Per l’abitudine alla posizione e per reclutare meglio tutti i muscoli che si richiamano quando si fa un gesto particolarmente tecnico come quello della crono che, per quanto simile, a sua volta è molto  diverso dalla posizione che si ha su strada. E’ molto importante riuscire a dare alla muscolatura questo stimolo e a farlo ogni giorno durante il defaticamento. 

Doppia valenza quindi?

Abitudine alla posizione e “pulizia” della muscolatura e dell’organismo, dalle scorie della fatica appena fatta. 

Sulla bici da crono immaginiamo siano coinvolte altre catene cinetiche muscolari, muscoli che in teoria sono più freschi…

Più o meno è così. Se lasciamo i muscoli fermi dopo una competizione, dopo uno sforzo lungo, il muscolo stesso tende a rimanere intasato da queste scorie. Riuscire a mobilizzare più muscoli, oltre a quelli più stanchi, fa circolare più sangue nell’organismo. Far circolare più sangue vuol dire ripulire più velocemente e meglio l’organismo stesso dalle scorie.

Tiberi nella frazione contro il tempo di Perugia. Il classe 2001 ha sempre investito molto nella crono, tanto da laurearsi campione del mondo juniores nel 2019
Tiberi nella frazione contro il tempo di Perugia. Il classe 2001 ha sempre investito molto nella crono, tanto da laurearsi campione del mondo juniores nel 2019
Per un cronoman come Tiberi forse questo tipo di defaticamento è anche un “tarlino” di testa?

Sicuramente. La stimolazione non è solo muscolare, è anche mentale e psicologica. Riuscire a comunque mantenere l’abitudine del gesto gli torna utile anche mentalmente. Lo fa stare più tranquillo quando poi dovrà fare la crono in gara.

Oggi tutto è protocollato: quanto dura questo defaticamento?

Si tende a fare dai 10 ai 15 minuti ad un’intensità piuttosto blanda. Nelle tappe in cui magari si fa molta fatica nel finale si può aumentare un pelo l’intensità, al fine di aumentare, come dicevamo, lo smaltimento di queste scorie. Smaltimento che ad un’intensità un po’ più alta avviene in modo migliore e capillare.

Definiamo queste intensità

Direi Z1 e se c’è bisogno Z2 alta, quella che in gergo è chiamata “fat max” (la zona in cui si consumano più grassi, ndr). E’ quella con cui si smaltisce più acido lattico.

C’è una cadenza ottimale?

Direi sulle 90 rpm, ma non andiamo a stressare i ragazzi ulteriormente. Eseguono il defaticamento come gli viene, optando per una pedalata che gli è confortevole. Solitamente vediamo che oscillano tra le 90 e le 95 rpm, perché comunque vengono dalla corsa che gli fa girare le gambe velocemente.

Tiberi è abituato a stare in questa posizione. Per lui c’è anche un allungamento per la schiena. Chi non è cronoman invece starebbe meno a proprio agio
Tiberi è abituato a stare in questa posizione. Per lui c’è anche un allungamento per la schiena. Chi non è cronoman invece starebbe meno a proprio agio
Mentre faceva il defaticamento, Antonio ha chiesto un chinotto: è importante bere durante questi minuti?

Si comincia la fase di integrazione proprio in questi minuti. Una fase in cui l’assorbimento degli zuccheri è ancora molto elevato. Immagazzinare subito zuccheri è importante in vista del giorno successivo. Reintegrano subito le scorte.

Antonio esegue il defaticamento sulla bici da crono da tutto il Giro d’Italia?

Tendenzialmente sì. E più ci si avvicina alle crono e più lo si fa. Ma ci confrontiamo giornalmente con i ragazzi (in effetti anche Caruso doveva farlo ma poi ha preferito di no, ndr).

Andrea, se come hai detto, più muscoli diversi vengono coinvolti e meglio si recupera, vuol dire che vedremo Tiberi sulla bici da crono anche dopo la prova contro il tempo di Desenzano?

Può starci. Ma prima abbiamo anche detto che fare un certo defaticamento è anche uno stimolo mentale, pertanto potrebbe essere più concentrato sulla strada. A livello tecnico in teoria sarebbe meglio farlo sulla bici da strada, perché si è un po’ più rilassati muscolarmente, come posizione. Ma se i ragazzi sono abituati a stare nella posizione da crono, va benissimo lo stesso.

Massignan, quando le sconfitte valgono più delle vittorie

12.05.2024
5 min
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Probabilmente, se un giorno avessero chiesto a Imerio Massignan quando avesse voluto lasciare questo mondo, avrebbe detto “in coincidenza del Giro d’Italia”. Il destino lo avrebbe accontentato, perché il vicentino è scomparso a 87 anni proprio il giorno della partenza della corsa rosa. Quella corsa che gli era entrata nel sangue e che gli aveva sempre lasciato quel velo di amaro in bocca. Già, perché la storia di Massignan, che pure è ricca di risultati importanti (di quelli che oggi pagheremmo per avere con simile frequenza da un corridore nostrano) è contrassegnata più dalle sconfitte.

Per capirne la ragione basta ripercorrere la sua carriera che pure inizia in maniera squillante. Massignan è uno scalatore puro, di quelli che appena la strada si rizza sotto le ruote non riesce a star fermo. Il giorno che vince la Bologna-Raticosa, classica per dilettanti nel 1959, Tullio Campagnolo si avvicina a Eberardo Pavesi, grande corridore dell’anteguerra considerato il più esperto dei direttori sportivi: «Non farti sfuggire quel ragazzo, ti darà soddisfazioni». Pavesi non se lo fa dire due volte, lo mette sotto contratto e lo fa esordire subito. Non in una corsa qualunque, perché lo getta subito nella mischia del Giro d’Italia.

Massignan era nato il 2 gennaio 1937 ad Altavilla Vicentina. In carriera ha corso da pro’ per 11 anni con 2 vittorie
Massignan era nato il 2 gennaio 1937 ad Altavilla Vicentina. In carriera ha corso da pro’ per 11 anni con 2 vittorie

Le salite, il suo pane

Pensate una cosa del genere ai giorni nostri, quando ogni anno di carriera di un giovane viene misurato col bilancino. A quei tempi non si andava tanto per il sottile… Massignan però non si spaventa: in fin dei conti, al Giro di salite ce ne sono e quelle sono il suo pane. Il ragazzo veneto se la cava più che bene, anzi benissimo, tanto da finire quinto in classifica.

Le sue capacità di scalatore colpiscono la fantasia, ma c’è un episodio che lo eleva nell’olimpo del ciclismo. Quell’anno il Giro d’Italia affronta per la prima volta il Passo Gavia, inserito nella Trento-Bormio di 229 chilometri. Il veneto scalpita e già sul Tonale se ne va in solitaria. Mancano 80 chilometri, gli avversari non gli danno molto credito. «Quella montagna non l’avevo mai vista – racconterà in seguito – mi sono ritrovato a pedalare su una vera mulattiera, tra sassi, ghiaia, con un muro di neve alto sei metri da una parte e uno strapiombo dall’altra».

Il veneto è stato un grande scalatore: primo nella classifica dei GPM al Tour 1960 e 1961, è stato 4° ai Mondiali 1960
Il veneto è stato un grande scalatore: primo nella classifica dei GPM al Tour 1960 e 1961, è stato 4° ai Mondiali 1960

L’angelo del Gavia

Massignan non si spaventa, anzi spinge sempre più sui pedali. Dietro i grossi calibri si muovono, a cominciare da Charly Gaul, il lussemburghese, un altro che vive per tappe come questa. Il problema è che non guadagna: davanti quel diavolo non ha la minima intenzione di mollare anche se nelle gambe i chilometri di fuga si moltiplicano.

Il vicentino scollina con oltre 2 minuti di vantaggio. A chi pensa che sembra fatta dobbiamo però ricordare che Massignan è ricordato più per le sconfitte, per la sfortuna che l’ha contraddistinto. Infatti in discesa quei sassolini malefici gli presentano il conto. Fora per due volte, mentre rimette a posto la ruota vede Gaul sfrecciare. Eppure è capace ancora di riacciuffarlo, è pronto a giocarsi la tappa testa a testa, ma se il proverbio dice “non c’è 2 senza 3” c’è una ragione. Massignan fora a 300 metri dal traguardo e Gaul ha via libera. Quel rimpianto non lo lascerà mai, anzi il nomignolo “angelo del Gavia” che lo accompagnerà fino ai giorni nostri non ha fatto altro che rinfocolarlo: «Sul passo – ricorda un giorno – vendono ancora una cartolina con scritto “Passaggio di Massignan” e ogni volta è un tuffo al cuore».

Fino agli ultimi anni Massignan non ha mai mancato gli appuntamenti nel suo mondo (foto Sirotti)
Fino agli ultimi anni Massignan non ha mai mancato gli appuntamenti nel suo mondo (foto Sirotti)

Riciclatosi gregario prezioso

Massignan che di nome fa Imerio è davvero uno scalatore come ce ne sono pochi. Se ne accorgono anche oltralpe, dove realizza un’importante doppietta portandosi a casa la maglia a pois del Tour sia nel 1960 che nel 1961. Sempre nel ’61, dopo essere stato 4° al Giro ottiene lo stesso risultato alla Grande Boucle dove conquista di forza la tappa di Superbagneres, resa davvero terribile dalla nevicata intensa. Uno dei suoi dolori è che la stessa cosa non gli è mai riuscita al Giro, neanche nell’edizione del 1962 conclusa al secondo posto dietro Balmamion, molto meno capace in salita ma che fa della costanza la sua forza.

L’anno dopo fa capolino un problema, all’inizio sembra superabile, invece ha un peso decisivo sulla sua carriera: la nefrite. Salta metà stagione e tutto il 1964, quando torna a gareggiare si capisce che non è più il Massignan di prima. Il veneto ha però il buonsenso di riciclarsi e diventa un ottimo luogotenente, seguendo una trafila che nel corso degli anni altri faranno, un nome per tutti Rafal Majka. Diventa un gregario prezioso e questo gli consente di portare avanti la sua carriera (con conseguenti stipendi) fino al 1971.

Al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, davanti alla foto a lui dedicata
Al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, davanti alla foto a lui dedicata

Ahi, quello spagnolo…

Chiude con tanti sogni che gli tocca riporre in un cassetto. Come ad esempio vincere sulla sua montagna preferita, quella di casa, quella che porta al Santuario di Monte Berico. Un’occasione al Giro ci sarebbe, all’edizione del 1967, che finisce con una volata per scalatori: «La volevo tanto, ma Francisco Gabica me gà fregà» raccontava con suo tipico idioma vicentino per nulla intaccato, neanche negli ultimi anni da piemontese della sua residenza nell’Alessandrino, non lontano da quella Novi Ligure di Fausto Coppi che era stato la sua ispirazione.