L’età di un’azienda non rappresenta solo il tempo trascorso, ma anche le esperienze accumulate, le intuizioni sviluppate, i traguardi raggiunti e il percorso tracciato. In occasione dei suoi primi settant’anni anni, Enervit racconta la propria storia, ricordando chi è, i valori in cui crede e i sogni che continua a coltivare.
Dal 1954, quando l’azienda si chiamava Also, Enervit ha mantenuto saldo il suo obiettivo originario: “Aiutare tutte le persone a migliorare la qualità della propria vita“. Questo semplice ma potente concetto racchiude in sé tre parole chiave: persone, qualità e vita.
Enervit festeggia i suoi 70 anni con in libro edito da Mondadori, questa la copertinaEnervit festeggia i suoi 70 anni con in libro edito da Mondadori, questa la copertina
Una storia italiana
Per celebrare questa straordinaria eredità, Enervit ha realizzato un libro fotografico intitolato “The Enervit Story” che ripercorre il lungo impegno dell’azienda nella nutrizione positiva e nell’integrazione alimentare sportiva. Il libro, arricchito da numerose immagini, offre uno spaccato di una società in continuo movimento, contestualizzando il periodo storico e lasciando intravedere il futuro. È una monografia che emoziona e trasporta tra racconti, volti, nomi e imprese di chi ha fatto e continua a fare la storia dello sport: da Sara Simeoni a Alberto Tomba, da Reinhold Messner a Tadej Pogacar, da Francesco Moser a Jannik Sinner, e molti altri campioni.
Negli anni Cinquanta, una coppia di farmacisti innovativi, Franca Garavaglia e Paolo Sorbini, gestiva una farmacia a Milano, all’angolo tra via Settembrini e via Vitruvio. È in questo contesto che nasce la storia di Enervit, inizialmente chiamata Also, nel 1954. La passione per lo sport si manifesta negli anni settanta, quando l’azienda sviluppa il primo integratore a base di fruttosio, vitamine e sali minerali, destinato a fare la storia: Enervit. Questo prodotto introduce il concetto rivoluzionario del “bere giusto” durante l’attività sportiva, sfatando il mito che l’idratazione durante lo sforzo blocchi l’atleta.
Gli anni ottanta vedono Enervit protagonista di una grande innovazione: l’integrazione proteica come supporto fondamentale per gli allenamenti e le prestazioni ad altissimo livello. Sara Simeoni, altista d’oro alle Olimpiadi di Mosca del 1980, grazie a Enervit Protein e a consigli nutrizionali mirati, conquista un argento straordinario alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Nello stesso anno, Enervit realizza un altro sogno: organizzare a Città del Messico il Record dell’Ora di Francesco Moser. Grazie a importanti innovazioni nel ciclismo, Moser supera il record di Eddy Merckx, entrando nella storia con il suo 51.151 km.
Tadej Pogacar e i ragazzi del UAE Team Emirates usano prodotti Enervit (foto Fizza)Anche il campione di tennis e numero uno del ranking mondiale Jannik Sinner ha scelto Enervit (foto Giacomo Podetti)Tadej Pogacar e i ragazzi del UAE Team Emirates usano prodotti Enervit (foto Fizza)Anche il campione di tennis e numero uno del ranking mondiale Jannik Sinner ha scelto Enervit (foto Giacomo Podetti)
Con il cambio di millennio, Enervit amplia i suoi orizzonti grazie all’incontro con Barry Sears, biochimico e ideatore della dieta Zona. Nasce così EnerZona, una linea di prodotti basata sui principi della Zona, che apre a una nuova visione dell’alimentazione.
Enervit riconosce il ruolo chiave della nutrizione nelle prestazioni sportive, integrando la ricerca scientifica e l’innovazione nelle sue scelte. Questo impegno porta l’azienda a definirsi “The Positive Nutrition Company”, enfatizzando l’importanza della nutrizione positiva nel proprio DNA.
Alberto Sorbini Presidente EnervitAlberto Sorbini Presidente Enervit
Sguardo sempre al futuro
Nel corso degli anni, numerosi campioni e squadre hanno collaborato con Enervit, tra cui Reinhold Messner, Miguel Indurain, Stefano Baldini, Alex Zanardi, Sofia Goggia, Federico Pellegrino e tanti altri. Tra le squadre spiccano Virtus Segafredo Bologna, Valencia Basket Club, Lidl-Trek, UAE Team Emirates, con Tadej Pogacar, vincitore del Giro d’Italia, e la Federazione Ciclistica Italiana. Nel 2024, Enervit accoglie Jannik Sinner, il primo italiano a vincere gli Australian Open e a raggiungere la vetta del ranking ATP.
Enervit festeggia dunque oggi 70 anni di innovazione, di ricerca e di passione per lo sport. Dal piccolo laboratorio dietro una farmacia milanese, l’azienda è cresciuta diventando un punto di riferimento nella nutrizione sportiva. Con un impegno costante verso il miglioramento della qualità della vita, Enervit continua a sostenere atleti e appassionati, guardando al futuro con la stessa determinazione e visione che l’hanno guidata fin dall’inizio.
La prima parte di stagione per Filippo Fiorelli si è chiusa con il campionato italiano in Toscana e quell’attacco sullo strappo di Monte Morello per ricucire il gap sul gruppo di testa. Ora il siciliano è tornato a casa per riposare e ricaricare le batterie in vista della seconda metà di stagione. Un 2024 che lo ha visto mutare, cambiare obiettivi e diventare un corridore d’attacco.
«Ora sono a casa – racconta – a Palermo per godermi quattro giorni di stacco totale, magari andrò al mare visto che è praticamente fuori dalla porta. Il tempo fino ad ora non è stato bellissimo, spero migliori prima di giovedì, giorno in cui tornerò ad allenarmi. Riprenderò con bici e palestra come fatto a inizio anno. Le gare sulle quali ho messo il cerchietto rosso saranno a inizio agosto, si parte con l’Arctict Race of Norway. Avevo già corso da quelle parti, nel 2021 quando mi sono ritirato dal Giro d’Italia, ma era un’altra corsa: il Giro di Norvegia».
Fiorelli alle spalle di Aleotti in salita, una testimonianza dei progressi del sicilianoFiorelli alle spalle di Aleotti in salita, una testimonianza dei progressi del siciliano
«Mi sono accorto dei cambiamenti fatti durante tutta la prima parte di stagione – spiega Fiorelli – anche se nelle prime corse i risultati non erano stati come quelli degli anni scorsi. Poi però sono andato al Giro con ambizioni diverse, di attaccare da lontano. Se si guarda ai risultati il cambiamento non si vede, ma a livello di numeri la stagione è nettamente migliore rispetto agli anni precedenti. Ora mi muovo su percorsi nettamente più impegnativi, con salite che l’anno scorso mi avrebbero fatto male. Sono situazioni di corsa in cui anticipo i migliori e per questo a volte serve un briciolo di fortuna in più, però la stagione è andata bene. Ho avuto un piccolo intoppo nei primi mesi, nei quali ho sofferto di sinusite, ma abbiamo capito il problema e a fine anno mi opererò. Ci siamo accorti che ho il setto nasale leggermente deviato e questo provoca un’infiammazione alle vie respiratorie».
Fiorelli mantiene comunque uno spunto veloce, che può giocarsi nelle volate ristretteFiorelli mantiene comunque uno spunto veloce, che può giocarsi nelle volate ristrette
Volate? No grazie
Fiorelli non si lancia più negli sprint di gruppo, ora lo si vede in azione in tappe impegnative, come quella di Prati di Tivo al Giro d’Abruzzo. Oppure attacca da lontano, cercando la fuga, come accaduto al Giro d’Italia nelle prime tre tappe.
«Non aspetto più le volate – racconta – sono tornato a seguire le mie caratteristiche naturali. Non sono mai stato un velocista, ma aspettavo gli sprint perché in squadra non avevamo un velocista puro. Rimango un corridore con un buono spunto veloce, ma che sa andare forte su percorsi misti. All’ultimo Giro d’Italia abbiamo cambiato registro, nelle prime tre tappe sono entrato in altrettante fughe perché c’era l’occasione di prendere la maglia ciclamino. Alla fine ci sono riuscito ed è stato più gratificante che aspettare una volata per fare ottavo. Vero che nel 2023 a Roma ho fatto terzo, ma succede una volta ogni tanto e comunque non ho vinto. Tanto vale anticipare e provare a fregare i migliori».
Al Giro nuovi obiettivi per lui e la squadra, premiati con la maglia ciclamino Al Giro nuovi obiettivi per lui e la squadra, premiati con la maglia ciclamino
Nuovo metodo
Il merito di questi miglioramenti va anche ad Andrea Giorgi, preparatore del team che ha aiutato Fiorelli in questa sua trasformazione.
«Ho cambiato proprio metodo di lavoro, non allenamento – dice – perché quello che faccio in bici non cambia. Ora però mi concentro su salite da 12 minuti, cosa che mi permette di rimanere con i migliori anche in percorsi davvero impegnativi. Al campionato italiano di domenica sono arrivato nono rimanendo con i migliori, anzi nella salita finale ho anche attaccato per chiudere il gap sui primi. Ero lì a 20 secondi, la differenza era poca, quindi penso che la strada intrapresa sia giusta. E’ solamente il primo anno che lavoro in questo modo, ci sono ancora margini di miglioramento, per arrivare a tenere più minuti in salita e con maggiore intensità. Quello che mi manca ora è il risultato pieno, a questo proposito la seconda parte di stagione è ricca di occasioni. L’attimo giusto arriverà, dovrò coglierlo».
Tra le pieghe del Giro di Slovenia si annida anche la storia di un quarantunenne che a dispetto della sua età e di tanti piccoli/grandi problemi alla vigilia, come vedremo, è arrivato a sfiorare il podio finale. Ma d’altronde chi conosce Domenico Pozzovivo non si sorprende di certo, visto tutto quel che ha fatto in vent’anni di carriera.
Per lui ogni corsa, da quando ha annunciato a fine stagione il ritiro definitivo, è diventata una passerella, ma non è nel carattere del lucano affrontare le gare in maniera superficiale, anzi. E’ stato così anche in Slovenia, dove ci sono stati anche momenti che lo hanno profondamente toccato.
«Siamo passati anche per Skofja Loka, dove vinsi nel 2012 – racconta – e non nascondo che quando è successo mi sono venuti tanti pensieri. Non posso negare che queste settimane siano particolari, ogni corsa si vela di sensazioni malinconiche. Non è detto che sia una cosa negativa, è solo una carrellata di emozioni che mi investe».
Pozzovivo ha chiuso lo Slovenia al 4° posto, a pari tempo con Pellizzari, a 26″ dal vincitore AleottiPozzovivo ha chiuso lo Slovenia al 4° posto, a pari tempo con Pellizzari, a 26″ dal vincitore Aleotti
Da che cosa dipende?
Quando hai alle spalle vent’anni di carriera, affrontando tante corse più volte nella tua vita, è normale che sia così. Ci tengo a sottolineare che non è nausea da bici, voglia di finire, saturazione. Niente di tutto questo. E’ la consapevolezza che il tempo scorre e che è arrivato il momento di girare pagina, di chiudere una parentesi grandiosa e sofferta, piena di bene e di male, che ha contraddistinto la mia vita sin da quand’ero adolescente. Per un ultraquarantenne non è cosa da poco.
Come sei arrivato al Giro di Slovenia?
Con tanti dubbi, soprattutto perché già il finale del Giro d’Italia non era stato semplice. La particolarità è che l’ho finito con addosso il Covid, che per la terza volta mi ha colpito e sempre nello stesso periodo. Diciamo anzi che ho fatto appena in tempo a finire la corsa. Poi sono stati dieci giorni a soffrire per la tosse con addirittura un principio di polmonite. Pensavo a un certo punto di non esserci, ma mi sarebbe spiaciuto proprio perché non avrò un’altra occasione. Poi all’immediata vigilia con il mio team della VF Group Bardiani abbiamo deciso di partire nonostante tutto.
Il lucano davanti alla maglia gialla Aleotti. In Slovenia il corridore della Bardiani è stato protagonista nelle tappe finaliIl lucano davanti alla maglia gialla Aleotti. In Slovenia il corridore della Bardiani è stato protagonista nelle tappe finali
Non era certo lo spirito migliore…
Le prime due tappe per fortuna non avevano grandi influenze sulla classifica e ho potuto viaggiare di conserva, rimanendo nel gruppo. Quelle due tappe mi hanno restituito un po’ di brillantezza e nelle tappe successive ho potuto lottare con i migliori. Già dalla frazione di Nova Gorica ho visto che potevo fare qualcosa d’interessante.
Lo Slovenia è arrivato due settimane dopo il Giro. Dopo una grande corsa a tappe ci si divide sempre tra chi dice che fare un’altra corsa a tappe è controindicato e chi invece lo ritiene utile. Tu a quale schieramento appartieni?
Io sono sempre stato uno di quelli che usciva dalla corsa rosa con un’ottima gamba da sfruttare, ad esempio al Giro di Svizzera dove ho vinto una tappa nel 2017 e dove, quando ho corso, non sono mai uscito dai primi 10. La differenza secondo me dipende dal tempo dopo: il Delfinato arriva troppo a ridosso del Giro, è chiaro che lì non sei ancora riuscito a recuperare, fisicamente ma anche mentalmente. Ma la settimana successiva è già utile, la forma a quel punto emerge. Poi molto fa anche l’esperienza: nei primi anni avevo sensazioni altalenanti, poi sono andato sempre meglio.
Un giovane Pozzovivo vincitore sul podio in Slovenia. Era il 2012, in classifica perse per 6″ da BrajkovicIl successo a La Punt, Giro di Svizzera 2017. Alla fine fu 4° dopo il 6° posto al Giro (foto Keystone)Un giovane Pozzovivo vincitore sul podio in Slovenia. Era il 2012, in classifica perse per 6″ da BrajkovicIl successo a La Punt, Giro di Svizzera 2017. Alla fine fu 4° dopo il 6° posto al Giro (foto Keystone)
Sono concetti assoluti o dipende molto dall’individuo?
Le caratteristiche del singolo corridore pesano sempre, ma parlando nel tempo con i compagni delle varie squadre, ho riscontrato che il principio di base è quello, la prima settimana è difficile, ma dopo si emerge. Il discorso legato al Delfinato è subordinato alla sua lunghezza: non parliamo di una corsa a tappe breve, ma quando si tratta di prove di 7-8 giorni, è un impegno diverso dal punto di vista organico, quindi richiede qualche accortezza in più.
Che livello era la corsa slovena?
Molto buona, c’erano squadre WorldTour e altri corridori che venivano dal Giro. Si andava sempre molto forte, è una corsa che è molto cresciuta e che mette alla prova chi gareggia.
A Roma, il suo addio da corridore al Giro d’Italia chiuso nonostante tutto al 20° postoA Roma, il suo addio da corridore al Giro d’Italia chiuso nonostante tutto al 20° posto
Ti vedremo ai tricolori?
Sarà la mia ultima apparizione da corridore, voglio onorarli al meglio e gestirli bene, anche perché poi tirerò i remi in barca. Non avrebbe senso continuare senza impegni imprescindibili e proprio considerando quel che ho avuto alla fine del Giro. Gli altri anni non avevo mai tempo per recuperare, ora voglio staccare, riprendermi bene e cominciare a preparare la seconda parte di stagione.
Che cosa ti attendi?
Mi propongo di fare una bella chiusura, ritrovare la condizione che avevo due anni fa quando mi rammaricai molto di non aver potuto correre al Lombardia. Quest’anno non voglio mancare e prometto a tutti che sarà comunque una grande festa. Ci stiamo già pensando, soprattutto a qualcosa di gastronomico…
Guido Bontempi ha avuto una carriera di altissimo livello tra gli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, in cui ha vinto molto, anzi moltissimo. Sedici tappe al Giro d’Italia, sei al Tour, quattro alla Vuelta, due Gand-Wevelgem, una Parigi-Bruxelles e una E3 Harelbeke, oltre a due podi alla Milano-Sanremo.
Dopo una seconda parte di carriera come direttore sportivo terminata nel 2012, ha riunito le sue due passioni, la moto e il ciclismo. Ha lavorato prima come pilota regolatore e poi come motociclista al servizio dei fotografi in alcune delle più importanti corse del mondo. L’ultima delle quali è stata il Giro d’Italia appena concluso. Ci siamo fatti raccontare la sua esperienza.
Il Giro 2024 è stato per Bontempi, classe 1960, il primo con un fotografo sulla motoIl Giro 2024 è stato per Bontempi, classe 1960, il primo con un fotografo sulla moto
Guido, com’è nata questa passione per il motociclismo?
Sempre stato appassionato di moto, fin da ragazzo. La prima l’ho avuta già a 16 anni, una bellissima Vespa primavera ET3, poi sono passato ad una Cagiva 350 e poi una Yamaha. Durante gli anni da direttore sportivo ho messo tutto un po’ in stand-by, ma appena andato in pensione, nel 2012, quella passione è ripartita.
E ha fatto il grande passo: da stare in gruppo in bici a starci in moto…
Sì, mio fratello era già nel giro, mi ha un po’ motivato e quindi mi sono detto: perchè no? Nei due anni successivi ho fatto il corso di motostaffetta tramite la Federazione, poi quello di scorta tecnica ufficiale con la Polizia Stradale, che mi hanno abilitato a partecipare a tutti i tipi di corse. Poi Vito Mulazzani, che all’epoca era il responsabile delle moto di tutte le corse Rcs, mi ha introdotto in Rcs dove ho iniziato a lavorare come pilota regolatore con Longo Borghini. Da lì le mie conoscenze mi hanno permesso un po’ alla volta di spostarmi anche con i fotografi e gli operatori della televisione, un mondo che mi hanno aperte tutto un altro ventaglio di possibilità. Per esempio ora collaboro anche con le corse di Unipublic – del gruppo ASO – come la Vuelta, l’Itzulia e la Volta Catalunya, oltre che con l’agenzia Sprint Cycling di Roberto Bettini. Diciamo che poi, essendo in pensione, posso decidere liberamente come e dove spostarmi, il che mi dà grande libertà.
Adesso quindi può decidere lei a quali gare partecipare?
Diciamo di sì, poi naturalmente dipende anche molto dalle richieste che ho. Cerco di andare sempre alla Parigi-Nizza, al Delfinato e al Giro. Anche la Strade Bianche è molto bella, anche se l’ho fatta solo da regolatore perché coincide con la Parigi-Nizza e in genere, appunto, in quel periodo sono in Francia. Comunque sia le gare mi piacciono tutte, perchè mi permettono di stare in gruppo, vedere i corridori da vicino, le loro espressioni, le loro emozioni anche. Quello che si vede in televisione io ho la fortuna di vederlo dal vivo. L’anno scorso ho fatto circa 100 giorni di corsa, che non è poco, ora dopo il Giro ho un po’ di riposo, poi a metà agosto si riparte per la Vuelta.
Bontempi e Giovanni Lombardi alla Vuelta 2022: entrambi velocisti, entrambi ancora nell’ambienteBontempi e Giovanni Lombardi alla Vuelta 2022: entrambi velocisti, entrambi ancora nell’ambiente
Per uno che fa il suo mestiere è davvero così importante aver fatto il corridore?
Sì, assolutamente. E’ fondamentale perché occorre conoscere bene il modo in cui si muove il gruppo, le dinamiche che si creano. Saper capire quali sono i momenti di nervosismo ed è meglio stare distanti e quando invece c’è più tranquillità e ci si possono permettere certe manovre. Secondo me si vede eccome la differenza tra un pilota che è stato corridore e uno che invece non ha mai gareggiato in bici. Lo vedi non solo dal modo di guidare, ma anche dall’attenzione per i punti migliori in cui piazzarsi per scattare la foto giusta.
A proposito di scatti, com’è andata quest’esperienza al Giro d’Italia con Bettini?
Direi che è andato molto bene, un Giro fatto sempre in prima linea assieme a Luca (Bettini, ndr). Intanto non siamo mai stati richiamati dalla giuria, neanche una volta, che è già un’ottima cosa. Per il resto è stato un Giro tranquillo, abbiamo avuto solo due-tre giornate di brutto tempo. Il bello di stare in gruppo con un fotografo è che puoi stare in mezzo alla corsa fino all’ultimo, che vuol dire fino a circa a 1 km dall’arrivo nelle tappe in salita e fino a 5-6 km dalla fine in quelle in pianura. Dipende un po’ dalla tortuosità del percorso. Poi la Giuria ti fa spostare per questioni di sicurezza, ma fino a quel momento te la godi tutta.
E allora cosa ti è parso della gara?
Da una parte è vero che Pogacar l’ha uccisa già dall’inizio, dall’altra però ha dato spettacolo comunque attaccando a ripetizione. Ha fatto il campione, ecco. L’ho visto sempre tranquillo, sempre nella posizione giusta, poi aveva una squadra che l’ha scortato benissimo in ogni tappa. Per cui quando è così – squadra forte e grandi gambe – viene tutto molto più facile. Quello che è certo è che non mi è mai sembrato in affanno. Adesso aspettiamo di vederlo al Tour con gli altri avversari.
Le moto precedono e seguono il corridore (qui Pogacar sul Grappa). Secondo Bontempi i corridori non ne colgono l’utilitàLe moto precedono e seguono il corridore (qui Pogacar sul Grappa). Secondo Bontempi i corridori non ne colgono l’utilità
Come ha visto gli altri corridori da classifica?
Hanno fatto quello che potevano, che non era granché contro uno così. Thomas ha fatto il suo, ma è a fine carriera. Martinez ha pedalato abbastanza bene, ma non mi ricordo grandi azioni tranne quelle dello sloveno. Mi ha impressionato sul Grappa, la prima salita l’hanno fatta tranquilla, la seconda invece è stato un trionfo personale della Maglia Rosa. Una passerella spettacolare resa ancora più bella da tutta la gente che c’era.”
Molto pubblico?
Sul Grappa davvero tantissimo, una folla ovunque. Ma anche nelle altre tappe c’era moltissimo pubblico. Mi ricordo sul Mortirolo per esempio o anche su altre montagne, molto più che negli anni scorsi. Stessa cosa per le città, nella tappa di Napoli o anche a Roma, dove i turisti hanno approfittato per vedere da vicino i corridori. Credo sia merito dell’effetto Pogacar che ha attirato moltissima attenzione, dando una bella mano di freschezza al Giro.
Ha notato differenze tra il modo di correre attuale e quello che c’era ai suoi tempi?
Credo che adesso ci sia molto meno affiatamento tra le moto e gli atleti. Ai miei tempi, per esempio, capitava abbastanza spesso che si dessero dieci mila lire ai motociclisti per andare a prendere un ghiacciolo, ora queste cose non capitano più. Forse perché c’è la tv e il gruppo è sempre in diretta in ogni momento, oppure perché c’è un agonismo spinto all’eccesso, non lo so, però certo è cambiato molto. I corridori devono capire che le moto sono al loro servizio, invece a volte il gruppo non le lascia passare e posso assicurare che quando i corridori decidono che non si passa, non si passa e basta. Ma le moto sono lì per la loro sicurezza, senza quel lavoro i pericoli non possono essere segnalati e questo è un guaio. A volte basterebbe che si spostassero per 100 metri e passarebbero 10 moto. E poi c’è anche un’altra cosa diversa rispetto al passato.
Bontempi nella scia di Ghebreigzabhier: i fotografi percorrono la tappa in parallelo con gli atletiBontempi nella scia di Ghebreigzabhier: i fotografi percorrono la tappa in parallelo con gli atleti
Sarebbe?
Ora con i freni a disco i corridori vanno fortissimo, specialmente in discesa e non è semplice avvicinarsi il giusto per permettere al fotografo di fare lo scatto giusto. Occorre avvicinarsi e poi scappare via subito per non intralciare, e comunque molti corridori si lamentano. Invece quando correvo io, mi era molto utile avere una moto davanti. In base alle frenate del pilota infatti, mi regolavo sul tipo di curva che stavo per affrontare. Se vedevo una frenata leggera, sapevo che potevo buttarmi più deciso. Se invece lo vedevo pinzare due o tre volte, capivo che c’era una svolta secca e rallentavo di più. Quando sei capace di leggere la guida della moto che hai davanti, puoi andare molto più forte. Adesso invece la maggior parte dei corridori non lo fa più, anche se secondo me li aiuterebbe molto. Adesso la moto più che altro dà solo fastidio.
Ultima domanda Guido. Ha mai avuto giornate difficili in questi anni da pilota in gruppo?
Diciamo che quando piove bisogna sempre stare molto attenti, certo. Mi ricordo di una Strade Bianche in cui pioveva a dirotto e la moto in discesa sullo sterrato andava un po’ dove voleva lei, ma alla fine bastava farla scorrere, riprenderla alla fine e non abbiamo avuto problemi. Perché la verità è che se ti piace la moto e ti piace il ciclismo, di veri momenti difficili ne trovi gran pochi.
Dopo la vittoria del Lombardia, abbiamo chiesto a Pogacar con quale criterio scelga i freni della sua Colnago. Comanda il peso, non ci sono altre regole
Se non ce la fate a staccarvi dal rosa di Pogacar che fende folle di tifosi sul Monte Grappa, dal bianco di Tiberi, dallo sfrecciare ciclamino di Milan o dalla speranza azzurra indossata da Pellizzari (per gentile… concessione di Tadej), allora il catalogo Castelli è ciò di cui avete bisogno. Sono passate due settimane (16 giorni) dalla fine del Giro e ne mancano ancora due per il Tour, il modo migliore per caratterizzare l’estate in bicicletta è pescare nella collezione Castelli ispirata alla corsa rosa.
L’azienda di Fonzaso che ha vestito le maglie ufficiali ha inserito infatti nel proprio catalogo una serie di kit ispirati sì alle classifiche del Giro d’Italia 2024, ma anche alle località più iconiche che lo hanno caratterizzato. Per uomo e per donna. Per cui se oltre all’estetica del capo queste maglie risvegliano nell’appassionato il ricordo di quel giorno, averla indosso mentre si portano la bici, la fatica e i propri sogni in giro su altre strade può essere una bella cura contro la nostalgia.
La maglia rosa, per un giorno di Narvaez e poi sempre di PogacarLa parte posteriore della maglia, con l’elastico che sostiene le tasche e non la fa muovereLa maglia rosa, per un giorno di Narvaez e poi sempre di PogacarLa parte posteriore della maglia, con l’elastico che sostiene le tasche e non la fa muovere
Le maglie… vere
Allora proviamo a sfogliare insieme il catalogo, iniziando dalla #Giro 107 Race Jersey: quella vera. Viene proposta nei colori di classifica (rosa, ciclamino, bianca, azzurra), con l’aggiunta di un nero che ricorda il primato dell’ultimo di classifica. Un primato non ufficiale che quest’anno è spettato ad Alan Riou, francese di 27 anni della Arkea-B&B Hotels, che l’ha ottenuta con quasi sette minuti di svantaggio dal penultimo.
La maglia è confezionata con il tessuto Air_O Strecth per traspirabilità, comfort ed elasticità ed è progettata per ottenere la massima efficienza aerodinamica tra i 30 e i 55 km/h. Visto che si va incontro alla stagione calda, viene consigliato l’abbinamento con l’intimo Bolero SS. Il disegno delle spalle ha una costruzione ugualmente aerodinamica con il necessario orientamento del tessuto. Le maniche sono elasticizzate fino al gomito, con profili a taglio vivo. In vita una fascia elastica consente di mantenere la maglia in posizione e sostenere le tasche. La lampo proviene dalla gamma YKK® Vislon® e ha l’immancabile tiretto Amore Infinito. Il prezzo al pubblico è di 129,95 euro.
#Giro 107 Grande Torino: il Giro 2024 è partito da quiLo Stelvio, la maglia mancata, eppure una delle più belleSul Monte Grappa, Pogacar ha scritto una delle pagine più belle del Giro#Giro107 Napulè… Si sentono le note di PIno Daniele, si vede lo scintillare del Golfo…I colori della Mercatone Uno del 1999: la maglia dedicata a Oropa#Giro 107 Grande Torino: il Giro 2024 è partito da quiLo Stelvio, la maglia mancata, eppure una delle più belleSul Monte Grappa, Pogacar ha scritto una delle pagine più belle del Giro#Giro107 Napulè… Si sentono le note di PIno Daniele, si vede lo scintillare del Golfo…I colori della Mercatone Uno del 1999: la maglia dedicata a Oropa
Le maglie iconiche
Oltre le maglie di classifica, che hanno le caratteristiche tecniche e di conseguenza i costi necessari ai professionisti, si passa alle maglie evocative e qui la scelta è davvero spettacolare. Una maglia in particolare che attira per il suo disegno e il nome e che, al pari di un Gronchi Rosa, andrà collezionata e mostrata con orgoglio: la maglia Stelvio. Già, perché il valico più alto non s’è fatto e forse per questo rimarrà a lungo nell’immaginario per il mistero di quel giorno.
Le altre maglie dunque. Quelle ispirate ai traguardi: Roma, Monte Grappa, Napoli, Grande Toro, Stelvio, Oropa, con una grafica che ricorda quella di Pantani del 1999 (che però era in rosa), ma senza le scritte degli sponsor. Costano 89,95 e mantengono le proprietà di una maglia da gara, sia pure con standard meno estremi.
Quindi tessuto elasticizzato Strada micromesh su fronte, retro e maniche per ottimizzare la vestibilità e la gestione dell’umidità. Fondo manica a taglio vivo. Tessuto elasticizzato Tailwind su pannelli laterali e tasche per una vestibilità perfetta. Pannelli laterali anatomici che avvolgono la schiena. Lampo YKK® Vislon® a tutta lunghezza. L’elastico in silicone in vita per impedire alla maglia di salire
Colpi d’occhio
Altre maglie con la stessa tecnologia e lo stesso prezzo si ispirano ai colori di classifica, vengono proposte nelle taglie per bambino oppure con grafiche ispirate i colori del Giro, ma meno fedeli alle originali. Non tutti del resto amano pedalare vestiti come i campioni, ma apprezzano un dettaglio che ne richiami la grandezza. Non staremo a farvi l’elenco, ma vi invitiamo a curiosare nel sito Castelli per cercare quella che semmai vi si addice di più.
#Giro107 Trofeo Bibshort, è la salopette di qualità superiore#Giro107 Trofeo Bibshort, è la salopette di qualità superiore
Gli accessori
I vari kit si completano con due salopette. #Giro 107 Competizione Bibshort ha fondello KISS Air2t, essuto Affinity Pro Lycra® all’interno della gamba, tessuto testurizzato Vortex BLC sulla gamba, fondo gamba GIRO4 con striscie in silicone, cuciture piatte, dettagli riflettenti posteriori, bretelle in rete comode e traspiranti e costa 99,95 euro.
#Giro107 Trofeo Bibshort, di livello superiore, ha tessuto Espresso Doppio, fondo gamba a taglio vivo con antiscivolo in silicone, bretelle in rete elasticizzata, tasca sul retro, fondello Progetto X2 Air Seamless, linguette riflettenti. Prezzo di 149,85. Completano il quadro lo scaldacollo, due diversi modelli di calzini, cappellino, guanti e persino la maglia dedicata al Giro Virtual.
Abbiamo scritto anche troppo, certe cose più che sentirsele raccontare bisogna andare in negozio ad annusarle, sfiorarle, guardarle, finché il desiderio non dirà cosa scegliere. Sapete già in quali negozi andare? Nessun problema, nel sito Castelli c’è scritto anche quello.
Quasi certamente non avrebbe impensierito Pogacar, però di certo l’uscita di Uijtdebroeks dal Giro ha privato la quotidianità di un elemento di disturbo. Che fosse per la maglia bianca o per un piazzamento sul podio, il belga della Visma-Lease a Bike avrebbe attaccato di certo. E a quel punto qualche equilibrio alle spalle della maglia rosa sarebbe potuto cambiare.
In questi giorni lo abbiamo ritrovato in gara al Tour de Suisse, corsa che nel 2023 chiuse al nono posto con qualche bella azione in montagna. Il suo percorso nella squadra olandese è stato colpito da identica sfortuna. Intendiamoci, anche il 2023 non fu baciato dalla sorte migliore: ricordiamo bene i guai alla partenza del Giro e le sostituzioni in extremis. Quella Jumbo Visma però era talmente piena di campioni al top della forma, che non ebbe problemi a concludere l’anno in modo trionfale. Quest’anno, partito Roglic, la sfortuna ha colpito anche i pezzi grossi e le cose si stanno mettendo maluccio.
«Incredibile tanta sfortuna – ha detto Uijtdebroeks al belga Het Nieuwsblad al via dello Svizzera – e continua ad andare avanti. Kruijswijk e Van Baarle, entrambi concentrati specificatamente sul Tour, hanno avuto problemi seri. Fortunatamente abbiamo una squadra forte, con altri atleti che rientrano anche da malattie o infortuni. Troveremo una soluzione. Per me il Tour non è certamente un’opzione. Primo perché non era mai nei miei programmi e quindi non l’ho preparato. Secondo perché sono ancora molto giovane. A meno che tutti i corridori dell’intera squadra non si fermino di colpo. Ma per fortuna questa possibilità mi sembra inesistente».
Il Giro d’Italia di Uijtdebroeks era cominciato con il 14° posto nella tappa di TorinoIl Giro d’Italia di Uijtdebroeks era cominciato con il 14° posto nella tappa di Torino
La polmonite del Giro
Un senso dell’humor ad alto rischio quello del 21 enne belga della provincia vallone di Liegi, che al Tour de Suisse ha debuttato con una crono senza squilli (in apertura foto Instagram/Visma-Lease a Bike) e una prima tappa in gruppo, dato l’arrivo in volata. La sua ultima apparizione in corsa era stata appunto la decima tappa del Giro, vinta da Paret Peintre nello scenario stupendo di Bocca della Selva, sulle montagne beneventane.
«Avevo davvero la speranza di poter ripartire il giorno successivo – racconta – ma mi sono sentito male. Già la mattina, durante le interviste prima della corsa, mi veniva da tossire, avevo il fiato corto… Però continuavo a pensare a un raffreddore da fieno. Alla fine ho finito anche abbastanza bene, a 13 secondi da Pogacar. Per cui ho pensato che mi sarebbe bastata una notte di sonno per mettere tutto a posto. Invece sui rulli dopo la corsa ho iniziato a capire che qualcosa non andasse, quasi non riuscivo a respirare. Ci siamo accorti che avevo la febbre a 39: il medico ha capito subito che avevo la polmonitee il mio Giro è finito lì. E’ stato un duro colpo. Non avevo mai raggiunto un livello così alto. Soprattutto perché la prima parte del Giro non mi stava piacendo, ma avevo fiducia che andando verso le montagna il bello dovesse ancora venire».
Sul traguardo di Bocca della Selva, 9 secondi ceduti a Tiberi e un inspiegabile senso di affannoE’ stato pedalando sui rulli tornato ai bus dopo l’arrivo di Cusano Mutri che ha capito di non respirare beneSul traguardo di Bocca della Selva, 9 secondi ceduti a Tiberi e un inspiegabile senso di affannoE’ stato pedalando sui rulli tornato ai bus dopo l’arrivo di Cusano Mutri che ha capito di non respirare bene
La ripresa ad Andorra
Al momento del ritiro, Uijtdebroeks indossava la maglia bianca dei giovani, seguito a 12 secondi da Tiberi. Proprio quel giorno Antonio gli aveva guadagnato 9 secondi, magari anche per le sue condizioni.
«Era un Giro ancora tutto da correre – prosegue – difficile dire cosa sarebbe successo. Quello che ho visto fare a Pogacar non lo avevo mai visto in vita mia. Era bello corrergli accanto, nel giorno di Rapolano sugli sterrati mi sono divertito e per questo mi dispiace non aver potuto lottare per difendere o migliorare il mio piazzamento. La cosa peggiore è che i problemi ai polmoni sono andati avanti a lungo, più di quanto mi aspettassi. Una sensazione di bruciore e sempre mancanza di respiro, che a quanto pare sono sintomi tipici della polmonite. Alla fine sono rimasto fermo per una settimana, poi ho ripreso e a quel punto è entrato in ballo il Giro della Svizzera. Abbiamo iniziato a ricostruire passo dopo passo, con uno stage in quota ad Andorra. All’inizio con molta attenzione, per non fare più danni della stessa malattia. Ho trascorso lassù più di due settimane e adesso le condizioni sono di nuovo abbastanza buone. Certo non ho la forma del Giro, ho perso parecchio…».
Sono servite due settimane ad Andorra per ritrovare una buona condizione (foto @elcastelletproduccions)Sono servite due settimane ad Andorra per ritrovare una buona condizione (foto @elcastelletproduccions)
Mirino sulla Vuelta?
Resta ora da capire quale sia il suo vero livello in uno Svizzera che vede al via meno facce da Tour rispetto al Delfinato. Quale sarà il suo posto in gruppo, soprattutto dopo lo stop per la polmonite? Neppure Cian lo sa e quando ha aperto il libro di corsa, non ha avuto grosse sensazioni, salvo poi riprendersi con lo sfogliare le tappe.
«Quando ho visto che nel finale ci sono tante montagne, sono stato felice. Poi mi è preso un colpo vedendo che l’ultimo giorno c’è una cronometro, finché però ho visto che si tratta di una cronometro in salita. Sono motivato, dovrei riuscire di nuovo a raggiungere un buon picco di forma e spero di ottenere qualcosa di buono. Resta da vedere se ciò significhi un posto tra i primi dieci, tra i primi cinque o altro. Non voglio fare pronostici. E a quel punto valuteremo come proseguire la stagione. Non avendo finito il Giro, la Vuelta potrebbe diventare un’opzione, ma non ne abbiamo ancora parlato. Il finale di stagione ha tante possibilità, incluso il mondiale. Intanto il passo successivo saranno i campionati nazionali e poi sarò a disposizione della nazionale».
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Non si sono ancora spente del tutto le luci sul Giro d’Italia che ha visto il nostro Giulio Pellizzari fra i grandi protagonisti della corsa rosa. Il giovanissimo atleta della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè nelle tre settimane di gara, oltre a mettersi in mostra per se stesso, ha avuto modo di dare una grande visibilità ai partner tecnici del team. Fra questi figura Briko, che alla formazione guidata Bruno e Roberto Reverberi fornisce da alcune stagioni casco e occhiali.
A pochi giorni dalla conclusione del Giro d’Italia è stata però la stessa Briko a rendersi protagonista in prima persona ufficializzando una partnership di assoluto prestigio. Niki Terpstra è diventato il nuovo ambassador caschi e occhiali Briko.
I ragazzi della Vf Group-Bardiani hanno indossato caschi e occhiali Briko al Giro d’ItaliaI ragazzi della Vf Group-Bardiani hanno indossato caschi e occhiali Briko al Giro d’Italia
Dalla strada al gravel
Tutti gli appassionati di ciclismo conoscono bene Terpstra. L’ex professionista olandese ha vissuto una lunga carriera durata dal 2007 al 2022. Spesso al servizio dei propri capitani, ha saputo ricavarsi delle giornate di gloria individuale tanto da riuscire a conquistare una Parigi-Roubaix, un Giro delle Fiandre, tre titoli nazionali su strada, una E3 Harelbeke e un Eneco Tour.
Come tanti suoi ex compagni, terminata la carriera su strada, invece di appendere la bici al chiodo si è fatto prendere da una “malattia” chiamata gravel. Dal 2023, l’olandese originario di Beverwijk, ha intrapreso un nuovo percorso nel mondo del ciclismo off-road, che lo ha portato a debuttare all’UCI Gravel World Series e ai Campionati del Mondo Gravel.
Uno dei modelli più apprezzati è il casco Mach4I modello Aero Plus è dotato di 13 prese d’aria, per un ricambio costanteUno dei modelli più apprezzati è il casco Mach4I modello Aero Plus è dotato di 13 prese d’aria, per un ricambio costante
Passione Briko
Al momento di diventarne ambassador, Terpstra ha rivelato che il suo legame con Briko risale alla sua infanzia e al suo esordio sulle due ruote. In quel periodo i suoi idoli italiani indossavano infatti i Detector, un modello di occhiali divenuto iconico, tanto che Briko lo scorso anno ha deciso di ripresentare al grande pubblico. Ecco un curioso aneddoto dello stesso Terpstra, che abbiamo ripreso dai canali ufficiali Briko.
«I miei zii – ha raccontato – mi promisero di regalarmi un occhiale Briko nel caso in cui avessi vinto una gara regionale, e così avvenne… Ero felicissimo. Questo aneddoto mi è tornato in mente di recente, poco dopo aver intrapreso il mio percorso gravel. Ho visto che Briko stava presentando l’iconico modello Detector e così siamo entrati in contatto per sviluppare una partnership».
Taiga è uno degli occhiali più tecnici della collezione di BrikoTaiga è uno degli occhiali più tecnici della collezione di Briko
Prodotti top
Nella sua nuova avventura nel mondo gravel Terpstra potrà contare sul supporto dei seguenti prodotti firmati Briko: i caschi Mach 4 e Aero Plus, e gli occhiali Detector e Taiga.
Mach 4 è un casco che si distingue per le sue caratteristiche di aerodinamicità e ventilazione. La calotta del casco, quasi interamente chiusa, favorisce infatti l‘aerodinamica. Tuttavia, grazie ai fori frontali e al circuito di canali d’aria interni, mantiene e assicura un’ottima ventilazione.
Aero Plus è invece un casco progettato con doppia calotta e 12 prese d’aria per garantire un’ottima resistenza e ventilazione. Grazie alla sua struttura robusta, è adatto anche al mondo gravel.
Parlando di occhiali non poteva mancare il Detector nella dotazione in uso a Terpstra (occhiali indossati dallo stesso Terpstra nella foto di apertura). Il design aerodinamico della forma offre una vestibilità comoda e la massima protezione in tutte le condizioni.
Passando al Taiga, ci troviamo di fronte ad un occhiale altamente tecnico. Offre la possibilità di rimuovere il pannello lente con un semplice meccanismo magnetico, per favorire la ventilazione quando si pedala in salita, ma allo stesso tempo offrire la massima protezione da pioggia, vento e sporcizia. Realizzato in leggerissimo TR90, il frame presenta un design accattivante ed aggressivo. La lente cilindrica, con specchiatura Full Revo, offre un ottimo campo visivo, mentre il trattamento anti-fog assicura una nitidezza costante. Questo modello inoltre offre un grip estremo in qualsiasi condizione, grazie alle aste e al naso rivestito in gomma.
Lo ha detto Daniel Oss, parlando di Pogacar dopo il Giro d’Italia vissuto sulla moto di Eurosport. «Che cosa posso dire… è stato emozionante! Il mio parametro è sempre se piaci ai bambini, in quel caso hai fatto centro…».
Il Giro di Pogacar è stato anche il Giro dei bambini, che Tadej ha reso protagonisti con una serie di gesti strappa applauso. La borraccia presa dal massaggiatore e regalata a un ragazzino sul Grappa. Il cinque e poi il sorriso scambiati con un altro, che non lo dimenticherà mai (guardate la foto di apertura). Così come non lo dimenticherà un ragazzo di 13 anni, Simone Ponzani, che ha avuto la sorte di incontrare lo sloveno alla partenza dell’ultima tappa del Giro. Quello che ha fatto è stato provare a descrivere le sue emozioni e poi ce le ha inviate.
ROMA – Domenica del 26 maggio è stato il giorno più fortunato della mia vita. Alla partenza dell’ultima tappa del Giro d’Italia infatti, sono riuscito a vedere dal vivo Tadej Pogacar. E’ il corridore che tifo da quando seguo il ciclismo e sono riuscito anche a farmi regalare un cappellino autografato da lui. E’ stata un’esperienza unica, proprio non ci credevo.
Sono riuscito anche a fare molte foto, che sicuramente stamperò appena ne avrò l’occasione e le incornicerò insieme al cappellino. Penso che sono stato uno dei pochi ragazzi quel giorno ad aver vissuto questa esperienza e ad aver visto un campione del ciclismo e tutta la sua squadra da così vicino.
Simone era decisamente in ottima posizione: ecco la sua foto del team UAE EmiratesSimone era decisamente in ottima posizione: ecco la sua foto del team UAE Emirates
I calzini rosa
Io e mio padre quella mattina ci siamo svegliati presto per andare a vedere la partenza dell’ultima tappa del Giro, sperando di incontrare Pogacar all’uscita dal pullman della UAE Emirates. Era pieno di persone che aspettavano l’uscita di Tadej. Attraverso la porta del bus si vedevano appena i calzini, le scarpette e una parte dei pantaloncini tutti rosa e subito la folla lo chiamava per farlo scendere.
Ovviamente davanti a me c’erano molte persone, ma sono riuscito a infilarmi davanti a loro cosi che potessi vedere Pogacar. Però non mi sarei mai aspettato di vederlo da così vicino. Infatti io ero nella zona dei giornalisti, cioè davanti ai corridori.
Poi andando con mio padre verso la partenza siamo riusciti a farci due selfie. Uno con Joxean Fernàndez Matxin, lo sport manager del UAE Team Emirates, e uno con Matteo Trentin, corridore della squadra Tudor.
Il cappellino con l’autografo di Tadej Pogacar, prima del via di RomaIl cappellino con l’autografo di Tadej Pogacar, prima del via di Roma
Calciatore e ciclista
Mi chiamo Simone Ponzani, un ragazzo di 13 anni che pratica calcio. Nonostante ciò, sono un appassionato di molti sport ma soprattutto di ciclismo. Possiedo una bici da corsa con cui sia in inverno che in estate (molto più spesso) faccio insieme a mio padre dei giri abbastanza lunghi per me, circa 50 chilometri.
Ovviamente da italiano tifo i corridori italiani, ma se gareggia Tadej Pogacar tifo solo e soltanto per lui. Tifo per lui da quando si è dimostrato uno dei giovani più forti, quindi intorno al 2020, l’anno in cui vinse il suo primo Tour de France. Ma già da quando esordì come professionista, cioè nel 2019, avevo capito che da lì a pochi anni sarebbe diventato un fenomeno, oppure come dicono i telecronisti un “exaterrestre”.
Pogacar oltre ad essere un ciclista molto giovane (25 anni) in cui si rispecchiano molti ragazzi, è anche una persona che ha “molto cuore”. Lo ha dimostrato nella sedicesima tappa del Giro di Italia 2024 (21 maggio) quando, dopo aver recuperato un altro corridore, è andato a vincere la tappa. E a quello stesso ciclista, ha regalato maglia e occhiali. Dal quel momento appena penso a lui mi viene voglia di andare in bici e mi sento molto fortunato a vivere l’apice della sua carriera.
Tra qualche giorno Davide Piganzoli tornerà in corsa dopo il suo primo Giro d’Italia. Il giovanissimo corridore della Polti-Kometa sarà al Giro di Slovenia, in programma dal 12 al 16 giugno. Di lui parliamo con il suo direttore sportivo, Stefano Zanatta, che lo guiderà nell’ex Paese jugoslavo e lo ha guidato nella corsa rosa. I temi da toccare sono diversi: il Giro appena passato, ma soprattutto il futuro.
Stefano Zanatta (classe 1964) è oggi uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa (foto Borserini)Stefano Zanatta (classe 1964) è oggi uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa (foto Borserini)
Stefano, partiamo dal Giro di Piganzoli, tredicesimo al debutto a 22 anni (da compiere a luglio)…
Direi un buon Giro d’Italia per Davide. Era il primo Grande Giro e con esso c’erano entusiasmo, ma anche timori e aspettative. Lui arrivava dalle categorie giovanili, è cresciuto con noi, e già lì aveva fatto belle cose nelle corse a tappe, poi il Tour de l’Avenir dell’anno scorso (fu terzo, ndr) ha fatto alzare l’asticella.
Come eravate partiti, per la classifica o per le tappe?
Siamo partiti con l’idea di non curare troppo la classifica, ma puntare di più su una vittoria di tappa. Ma poi è successo che che giorno dopo giorno è cambiato l’obiettivo. In particolare dopo la crono di Perugia abbiamo visto che il ragazzo stava bene, la classifica era buona e buono era anche il suo recupero e così abbiamo deciso di tenere duro, che poi è nel suo Dna, nella sua indole.
Di fatto Piganzoli non aveva mai mollato…
Esatto, l’idea era comunque di provare a fare bene in qualche tappa. E infatti in un paio di montagne abbiamo provato ad anticipare, soprattutto verso Livigno. Ma non ci siamo riusciti. Resta però la sua buona gestione nell’arco delle tre settimane. E anche se gli ultimi due giorni ha sofferto, ha dimostrato di avere tenuta e tenacia.
Per Piganzoli difficoltà sul Sella e nella tappa del Grappa. Ma ha tenuto duro, come è nel Dna di un atleta da corse a tappePer Piganzoli difficoltà sul Sella e nella tappa del Grappa. Ma ha tenuto duro, come è nel Dna di un atleta da corse a tappe
Stefano, hai parlato d’indole per le corse a tappe…
Davide è così. Sin da giovane ha corso così, tenendo duro. A quel punto bisognava soprattutto aiutarlo a gestire le situazioni di stress nelle tappe intermedie, dove avrebbe potuto mollare se non avesse cercato di curare la classifica. Lì poteva non spendere e invece dovendo tenere duro non si è potuto risparmiare. E’ questo suo modo di correre però che lo ha portato anche in passato ad ottenere i suoi migliori risultati. Durante il Giro con Ivan (Basso, ndr) e Jesus (Hernández, ndr) ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di supportarlo in questa sua scelta di fare classifica. Ed è stato un bel punto di partenza penso.
Punto di partenza verso il futuro. In cosa deve migliorare di più? A crono?
Senza dubbio per chi punta alla classifica la crono ormai è fondamentale. Bisogna lavorarci con costanza e bisogna farlo anche sui materiali, sull’aerodinamica… Ma Piganzoli su questo aspetto non parte da zero. Nel 2022 è stato campione nazionale under 23 e si vede che ci ha sempre investito del tempo. Non è male. Poi è anche vero che dovendo affrontare il suo primo Giro a questa età abbiamo lavorato molto più su tenuta e resistenza che a crono in modo specifico. Ma in ottica futura è senza dubbio un lavoro che va fatto.
Chiaro…
Dopo lo Slovenia prenderà parte anche al campionato nazionale a crono e vogliamo possa esprimersi al meglio. Al meglio per quel che ha adesso. Come detto lui è predisposto per questo sforzo. A me per esempio è piaciuta molto la sua seconda crono del Giro.
Perché?
Perché pur non essendo adatta ad uno scalatore e pur avendo preso 3′ minuti da Pogacar, lui è partito senza averla provata. La mattina per fargli risparmiare energie non ha pedalato, ma ha fatto la ricognizione in macchina. E poi certamente va migliorato anche il discorso dei materiali.
Posizione e attitudine buoni: il punto di partenza a crono non è male per PiganzoliPosizione e attitudine buoni: il punto di partenza a crono non è male per Piganzoli
Però se si parla di futuro con lui ci si potrà lavorare, no? E’ anche bello che un giovane italiano parli di futuro in un team italiano…
Certo. Tra l’altro lavorare sui materiali è uno stimolo anche per noi se c’è un ragazzo che cresce nelle nostre giovanili. A noi potrà mancare una figura professionale in più, l’accessorio super, ma abbiamo le possibilità per metterlo nelle condizioni di esprimersi al meglio. Al Giro hanno vinto solo 8 team, noi abbiamo ottenuto due podi e portato a Roma 8 ragazzi su 8.
Stefano, Adesso Piganzoli andrà allo Slovenia, ma proprio in questi giorni abbiamo visto come sia stato duro per Tiberi andare al Delfinato, per esempio. E di come un giovane paghi di più il primo grande Giro, specie a questa età. Fanno bene questi blocchi così grandi?
Prima di tutto tra Giro e Slovenia c’è una settimana abbondante in più di recupero, in più “Piga” prima del Giro aveva corso poco. E poi questo potrebbe essere un buon viatico per arrivare al meglio agli italiani. Ho letto i vostri articoli in merito. Ma questo blocco era previsto ed è ben gestito. Se si è usciti bene dal Giro, perché non sfruttare questa occasione? Anche perché poi tra luglio e agosto non ci sono tante queste gare e potrà recuperare bene in vista del finale di stagione.
Farà ancora l’altura?
Per questa estate non è previsto lavoro in quota, anche se poi lui già vive in un luogo abbastanza fresco e ha la compagna a Bormio (1.200 metri, ndr). Questo inverno è stato al Teide per la prima volta e gli avevamo affiancato gente esperta. E lo scorso anno gliel’avevamo fatta fare prima dell’Avenir.
Affini sarà al fianco di Dumoulin. L'ex re del Giro per ora sta andando forte, ma quanto terrà in salita? Dubbi di cui sono consapevoli anche nella Jumbo-Visma