Tiberi, Svizzera sfortunato e la telecronaca della caduta

20.06.2021
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Anche se in fondo probabilmente lo sapeva già, Antonio Tiberi ha sperimentato sulla sua pelle che l’adattamento al livello WorldTour non è una passeggiata. E così se prima la Settimana Coppi e Bartali gli aveva dato la prima top 10 di tappa nel giorno di San Marino e il Giro di Ungheria a seguire il primo podio da professionista, con un terzo posto che sa di buono, il Giro di Svizzera ha preteso un rispetto superiore. Non che Antonio non ne avesse, il ragazzo ha la testa sulle spalle, ma era partito per fare la sua classifica e ha scoperto che non sempre a quel livello le ciambelle riescono col buco.

Caduta in diretta

Così quando è caduto nella sesta tappa, che da Fiesch portava il gruppo a Disentis Sedrun, se ne è fatto una ragione. E il suo racconto è l’emblema della capacità dei corridori di immedesimarsi nelle storie di cui sono protagonisti.

«Era finita la prima salita – dice – facevo parte di un gruppetto che rimontava. In realtà eravamo in un tratto che spianava e poi iniziava la discesa. Arrivavo in velocità e non mi aspettavo quella curva secca a destra. Ho pensato di frenare, ma mi sono reso conto che se avessi inchiodato sarei volato di sotto. Allora ho mollato i freni. Andavo forte e sono andato verso un guardrail. Sono caduto e ho pensato di abbracciarlo. L’ho stretto proprio fra braccio e fianco. Per questo ho battuto la scapola e mi sono procurato una lesione muscolare, che sta andando a posto solo adesso. Ma per fortuna l’ho fatto. Mi sa che se non lo prendevo, volavo di sotto. Sarà durato tutto 5 secondi, ma se ci penso lo rivivo al rallentatore…».

Nel giorno della caduta con Serrano, al Giro di Svizzera
Nel giorno della caduta con Serrano, al Giro di Svizzera

Settimo al tricolore

Come parziale risarcimento, è arrivato però il settimo posto nella crono tricolore di Faenza (foto di apertura). Il distacco di 3’47” sembrerebbe piuttosto quello di un tappone dolomitico, ma è pur vero che cronometro di quella distanza non se ne fanno più. Nemmeno ai mondiali, tanto che Ganna lo scorso anno vinse sulle stesse strade la prova iridata sulla distanza però di 31,3 chilometri. E soprattutto non faceva così caldo.

«E’ stata una bella combinazione di caldo e salite – racconta – grande caldo, parecchio afoso, e un percorso lungo e duro. Era la prima volta che facevo una crono così lunga e così impegnativa. Alla fine sono anche riuscito a spingere bene, ma ormai il finale era già scritto. Poi ho avuto l’inconveniente di perdere la borraccia dopo 15 chilometri. E’ saltata su una buca ed è stata veramente dura. Diciamo che ho fatto una bella esperienza».

Meglio a Faenza

In proporzione però è andato meglio a Faenza che nella crono inaugurale dello Svizzera a Frauenfeld, con un passivo di 1’12” sui 10,9 chilometri domati da Kung.

«Sinceramente mi trovo meglio nelle crono lunghe – ammette – e quella dello Svizzera era l’aspetto peggiore delle crono per me. Era bagnata, molto tecnica e breve. E nelle crono tecniche dove ci sono da fare tanti rilanci e brevi non mi trovo bene. Vado meglio col ritmo regolare nelle crono di resistenza. Ci lavoro tanto, anche quando sono a casa. La bici da crono la uso spesso, a volte anche quando faccio scarico, per tenere il fisico abituato alla posizione».

Tero sul podio del Giro di Ungheria dietro Howson e Hermans
Tero sul podio del Giro di Ungheria dietro Howson e Hermans

Svizzera sfortunato

Il suo Giro di Svizzera si è fermato invece in quel modo piuttosto brusco, anche se doveva essere la prima corsa a tappe in cui mettersi alla prova, approfittando delle due cronometro.

«Niente – sorride mestamente – è andato come volevo. In nulla. Sono stato parecchio sfortunato, con due cadute. Una purtroppo non per colpa mia, l’altra invece…. Però sulle salite è andata abbastanza bene. Il ritmo era parecchio alto. Per cui all’inizio le sensazioni erano di sofferenza. E’ una cosa mia, di genetica. All’inizio di uno sforzo mi servono 4-5 minuti per prendere il ritmo, poi mi scaldo e va bene. Forse però è arrivato il momento di fermarsi un pochino. Finisco questo campionato italiano e poi a luglio starò a casa a tirare il fiato, poi riprenderò con il Giro di Polonia e il Tour de l’Ain. E magari la seconda parte di stagione avrà un gusto migliore».

Domenico l’invincibile, ripartito ancora una volta…

13.06.2021
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Chiamatelo Highlander, ma Domenico Pozzovivo è davvero un invincibile. Ancora una volta il lucano ha vinto l’ennesima sfida con se stesso e con la sorte. Si è rialzato. Lo avevamo lasciato alla sesta tappa del Giro d’Italia. Se ne tornò a casa per una caduta rovinosa.

Il corridore della Qhubeka-Assos al Giro di Svizzera è stato il primo italiano, sesto, e ieri è stato autore di una cronometro stratosferica. E, come vedremo, poteva essere in lotta per il podio.

In salita, allo Svizzera, il lucano è sempre rimasto con i migliori
In salita, allo Svizzera, il lucano è sempre rimasto con i migliori
Domenico come è andata da quelle parti?

Bene dai. Certo, è stata una settimana di passione. Avevo un male terribile alle costole. Ma ci tenevo molto a venire qui. Anche se il gomito ancora non era a posto.

Al netto della caduta nella corsa rosa, il Giro di Svizzera era in programma?

Se proprio non era in programma era comunque un’ipotesi.

E quando hai deciso di esserci?

Eh è una storia lunga – e qui davvero ci sarebbe da mettersi a sedere con le mani sotto al mento ad ascoltare – Dopo la caduta del Giro avevo una prognosi di un mese. Impossibile poterci solo pensare. Avevo una sublussazione al muscolo della spalla. Qualche giorno dopo ho fatto un allenamento su strada con un braccio a mezzo servizio ed è stato anche un allenamento impegnativo, con dei lavori in salita. Ho sentito subito che la gamba era buona. Molto buona. La condizione del Giro non era sparita. La speranza era che potesse migliorare la condizione del gomito, come di fatto è andata. Quello che invece era anomalo era il dolore alle costole. 

Come mai?

Perché risentivano del grande incidente di quasi due anni fa: sono andato a toccare i punti dove c’era la frattura, avevo subito un trauma pneumotoracico e per questo il recupero era, anzi è, più lungo.

Come hai superato di fatto quella prognosi?

Dovevo stare a riposo totale, ma dopo due giorni ero già sui rulli. Tanto ormai ero esperto a pedalare sui rulli in quelle condizioni! – ci scherza persino su Pozzovivo – Dopo la prima visita, il medico mi disse che mi avrebbe rivisto dopo nove giorni. Era talmente gonfia, piena di acqua, che non ha potuto visitarmi. Nel week-end successivo, come detto, ho provato ad uscire su strada e mi sono accorto che la gamba era buona così ha iniziato a balenare in me l’idea di partire davvero per il Giro di Svizzera. Ne ho parlato con il diesse, ma senza dire nulla in giro. Il martedì successivo a quell’uscita il medico ha notato il miglioramento. Io nel frattempo avevo fatto del linfodrenaggio, in pratica vivevo in costante fisioterapia. E lui mi ha detto: allenati e vedrai che fra due settimane avrai meno dolore.

Complice la pioggia, nella frazione di Lachen il gruppo si è poi spezzato e Pozzovivo ha perso 2’15”
Complice la pioggia, nella frazione di Lachen il gruppo si è poi spezzato e Pozzovivo ha perso 2’15”
Mamma mia Pozzo, che dire: chapeau…

A quel punto ho deciso di andare sull’Etna, perché in Svizzera il tempo era brutto e soffrivo anche di più nelle mie condizioni, mentre laggiù era ottimo per allenarsi in vista dello Svizzera. Che poi anche in questo caso tutto è stato molto rocambolesco: sarei voluto andare sullo Stelvio, ma ancora era chiuso, in più avevo anche la prima dose del vaccino del Covid da fare. Lo avevo prenotato dopo il Giro convinto che tanto sarei stato libero. Quindi l’ho fatto al volo prima di andare sull’Etna.

Senti, ma tua moglie, la tua famiglia cosa ti dicono quando vedono che fai queste imprese al limite fra tenacia e “pazzia”?

Eh, sono talmente abituati che non mi dicono nulla. Sono contenti. Sanno quello che c’è dietro. Mia moglie con quel braccio inutilizzabile mi aiutava a fare tutto. Lei era sicura che avrei fatto lo Svizzera.

E sei anche andato forte…

A crono ero sicuro che non avrei avuto problemi: ero da solo. Semmai i problemi li ho avuti di più nella prima di cronometro. Quel giorno era bagnato e per non rischiare nulla nelle curve ho perso molto, mentre il resto dei numeri erano buoni. Peccato che nella seconda tappa in discesa c’è stata una frattura del gruppo e abbia perso 2’15”, ma anche in quel caso non ho voluto rischiare. Quello è il distacco che mi ha precluso il podio.

E ieri a crono, tra l’altro molto particolare con un passo da scalare e da riscendere, hai chiuso settimo…

Mah, un po’ me lo aspettavo di passare in cima coi primissimi e di perdere qualcosa discesa. Sì, sono andato bene. Immaginavo che andasse molto forte Uran: era tutta in quota e lui, colombiano, a quelle altezze va bene.

Che bici hai usato?

Quella da crono. Il 95% ha usato questa bici. Qualcuno ha fatto altre scelte. E’ stata particolare quella di Rui Costa: in salita ha usato quella da strada e in discesa quella da crono. Evidentemente si sentiva sicuro così.

E adesso che programmi hai?

Dopo lo Svizzera correrò al campionato italiano. Poi farò una pausa e proseguirò con il programma iniziale che non è cambiato e che prevedeva la Vuelta. A luglio andrò in altura. Lo Stelvio sarà la mia seconda casa e sono già pronti ad accogliermi! Poi cercherò di sistemare questi dolori e di ripristinare al meglio la mobilità del gomito. Prima dell’incidente al Giro andava abbastanza bene. Adesso in effetti sono un po’ troppo storto e mi fa male vedermi così.

Come è stato vedere il Giro dalla Tv?

Eh – sospira Pozzovivo – Stavolta è stata dura. Sapevo cosa valevo e il fatto di avere una buona forma ancora significa che avrei fatto bene. Le tappe del Giro le ho guardate tutte. Per fortuna che gli ultimi giorni del Giro sono coincisi con il ritiro sull’Etna e già avevo l’obiettivo dello Svizzera che è stato un buon diversivo. Mi è già successo altre volte di vivere una situazione così, ma questa volta ho un rimpianto in più. Ho subito altri due interventi durante l’inverno e dopo la Tirreno non mi ero mai espresso su livelli decenti, mentre al Giro stavo bene. Avevo lavorato tanto.

Nella crono di Andermatt Domenico ha chiuso al settimo posto a 1′ netto da Uran
Nella crono di Andermatt Domenico ha chiuso al settimo posto a 1′ netto da Uran
Cosa è successo di preciso al Giro?

Guarda è questo il rimpianto. Tutto è avvenuto in un momento di tranquillità. Sai, c’è una caduta perché c’è nervosismo in gruppo, okay… ma finire a terra per i fatti tuoi mentre risali il gruppo nei primi due chilometri di gara è difficile da accettare. Ero sulla destra, Caicedo si è toccato con un altro corridore e la sua bici mi è volata addosso. Una fatalità in una situazione di zero rischi.

Potevi salite sul podio?

Nei primi cinque sì, sul podio non penso. Anche se non mi piace fare calcoli a posteriori. Okay Bernal ha vinto, ma Damiano (Caruso, ndr) ha fatto una corsa incredibile e anche Yates. No, stare nella “top five” non era follia

Cosa salvi sin qui?

Che con la schiena va bene. Anche sotto sforzo quasi non ho avuto problemi, come invece mi era successo a marzo. Ho sempre fatto molti esercizi di postura. E poi salvo il feeling con le crono. Incrociamo le dita per la Vuelta!

Casagrande, ultimo italiano sul trono di Svizzera

10.06.2021
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In questi giorni si sta correndo il Giro di Svizzera, una breve corsa a tappe che anticipa il Tour de France, l’ultimo trionfo italiano nella corsa elvetica risale al 1999, fu Francesco Casagrande a vincere quell’edizione del Giro di Svizzera, sul podio con lui salirono Jalabert e Simoni.

Ci facciamo raccontare proprio da lui le sensazioni e come sia riuscito a vincere una corsa così dura e complicata.

«Quando l’ho vinto io – dice Casagrande – il Giro di Svizzera veniva affrontato maggiormente dai corridori che uscivano con una buona condizione dal Giro d’Italia. La gara, infatti, iniziava esattamente una settimana dopo la fine della Corsa Rosa. Chi voleva preparare il Tour de France faceva il Delfinato che partiva uno o due giorni dopo la fine del Giro».

Sul podio precedette Laurent Jalabert e Gilberto Simoni
Sul podio precedette Laurent Jalabert e Gilberto Simoni
E’ stata un’edizione combattuta quella del 1999, con Simoni e Jalabert che ti hanno dato del filo da torcere per tutte le 10 tappe.

Sì, come detto Simoni e Jalabert uscivano in ottima condizione dal Giro e puntavano a fare bene per dare un continuo alla loro stato di forma. Io invece arrivavo da un periodo di 6 mesi di inattività e avevo messo nel mirino quell’edizione visto che decretava il mio ritorno alle corse.

Un Giro di Svizzera di gestione dove tu e Simoni siete stati insidiati da Jalabert, il quale ha recuperato con la cronometro riuscendo a conquistare la maglia gialla alla quinta tappa.

La mia è stata una corsa sì di gestione, ma soprattutto di costanza. Sono stato sempre davanti e questo mi ha permesso di arrivare alla penultima tappa in ottima posizione. Jalabert era superiore a cronometro, io sono riuscito a difendermi bene, poi sull’arrivo ad Arosa, uno dei pochi in salita di quell’edizione, ho dato tutto e sono riuscito a distanziare i miei due rivali concretizzando il lavoro della squadra, la Vini Caldirola, che aveva tirato per tutto il giorno.

Una corsa che ti è sempre piaciuta particolarmente

Molto, io non ho mai fatto il Tour, quindi era proprio una gara sulla quale mettevo il cerchio sul calendario. Sono andato vicino a vincerlo nuovamente nel 2003 quando ero nella Lampre, ma quell’anno vinse Vinokourov.

Nel 1999 il toscano rientrò da una sospensione di 6 mesi e nel 2000 sfiorò il Giro: qui sull’Abetone
Nel 1999 il toscano rientrò da una sospensione di 6 mesi e nel 2000 sfiorò il Giro: qui sull’Abetone
E’ una corsa meno impegnativa dal punto di vista altimetrico rispetto al Delfinato e sicuramente più lunga viste le sue 10 tappe, ed anche per questo non è mai stata fatta per preparare il Tour?

Esattamente, per numero di tappe è paragonabile ad un altro mezzo Giro, chi prepara il Tour preferisce una corsa di meno giorni ma con più dislivello, così da poter affinare meglio la preparazione ed allo stesso tempo avere più giorni per recuperare.

Una caratteristica in controtendenza nell’ultimo decennio, dovuto anche all’anticipazione del Giro di Svizzera di qualche giorno

Ai miei tempi Ullrich era uno dei pochi a fare il Giro di Svizzera come preparazione per il Tour de France. Nell’ultimo decennio invece ci sono molti più corridori che affrontano questa corsa come rifinitura alla Grande Boucle. I motivi sono due. Il primo è semplicemente legato al cambio del calendario, il Giro di Svizzera è stato anticipato di alcuni giorni sul calendario ed è stato accorciato, non si corrono più 10 tappe bensì 8.

Il secondo?

E’ decisamente un motivo più importante. I corridori tendono a disputare meno gare nel corso della stagione, quando correvo io le gare erano parte della preparazione, ora si corre solamente se si è sicuri di competere per la vittoria.

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Francesco Casagrande ha 51 anni e vive a Ginestra Fiorentina. Qui con il trofeo di numero 1 al mondo del 2000
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Casagrande ha 51 anni e vive a Ginestra Fiorentina. Qui con il trofeo di numero 1 al mondo 2000
Ti ricordi qualche aneddoto particolare su quell’edizione del Giro di Svizzera?

Ricordi fatico a metterli a fuoco, sono passati 22 anni (ride, ndr), però ricordo molto bene l’ascesa finale ad Arosa, per l’arrivo dell’ottava tappa. Ricordo la fatica accompagnata dalla voglia di non mollare neanche un centimetro, volevo coronare il mio ritorno alle corse.

Quel Giro di Svizzera ti ha lanciato, il 1999 è stata una stagione importante

E’ stato un bel trampolino di lancio, i risultati nella seconda parte della stagione furono di rilievo, vinsi la Clasica San Sebastian, il Trofeo Matteotti, arrivai quinto al Giro dell’Emilia. Ovviamente io arrivavo con una motivazione diversa, essendo la mia prima gara fu preparata in modo impeccabile, ci tenevo ad iniziare bene.

Bastianelli torna a vincere e spiega il blackout di primavera

07.06.2021
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Marta Bastianelli, tornata ieri alla vittoria in Svizzera dopo la Valenciana del 2020, parla di digiuno spezzato. Di un blackout significativo in cui la gente giudicava senza sapere quali fossero i problemi. Di una rinascita nella quale quasi non sperava più. Dell’aver rispolverato la grinta e tirato fuori gli attributi. Ma soprattutto parla del modo in cui sua figlia Clarissa, 7 anni compiuti il 24 maggio, l’ha salutata alla partenza per il Giro di Svizzera: «Vai mamma, alza il culo!».

Nona alla Nokere Koerse, uno dei migliori piazzamenti di primavera
Nona alla Nokere Koerse, uno dei migliori piazzamenti di primavera

Doppio virus

La risata è finalmente quella giusta per una ragazza che nei piani sarebbe stata e potrebbe ancora essere la seconda punta azzurra per Tokyo e ha vissuto invece una primavera troppo strana per essere vera. Ci sta il calo di rendimento, ma come si spiega il passaggio dalle 11 vittorie del 2019 all’unica del 2020 e a quello zero che la fissava nello score del 2021?

«Sono contenta – dice – pur sapendo che si tratta solo di una tappa al Giro di Svizzera e io sono abituata a ben altre vittorie. Ho i piedi per terra e spero che il periodo storto sia alle spalle. Tanti corridori hanno vissuto una fase strana l’anno scorso e quando hanno vinto, li ho visti piangere. Ora c’è più grinta dopo una fase senza morale, in cui ho anche pensato di smettere di correre, poi qualcosa di più forte nella mia testa mi ha spinto a reagire. Il blackout è passato. Ma non è stato facile rialzarsi dal lockdown e poi dalla mononucleosi e dal citomegalovirus. E io ci ho messo del mio. Sono ripartita subito a bomba, allenandomi sempre nel solito modo e non capivo come mai le prestazioni fossero così scarse. Servivano solo tempo e gradualità, invece per bruciare le tappe mi sono divorata di dubbi».

All’Amstel per l’italiana un 35° posto a confermare la condizione precaria, siamo in pieno blackout
All’Amstel per l’italiana un 35° posto a confermare la condizione precaria, siamo in pieno blackout

Fuga e vittoria

La vittoria di ieri è figlia di una corsa nervosa, in cui la Alé BTC Ljubljana voleva difendere il terzo posto in classifica di Marlen Reusser, mentre la Trek-Segafredo voleva fare la corsa agli abbuoni per schiodare Lizzie Deignan dal secondo posto.

«Quando si è capito che la giornata sarebbe passata così – racconta Marta – mi sono infilata in una fuga di otto, che non ha mai guadagnato più di 20 secondi. Siamo andate veramente forte, abbiamo preso acqua per tutto il giorno. Sapevo che in volata dovevo guardarmi dalla Barnes, la ragazza della Canyon, e alla fine sono riuscita a vincere. Ero andata in Svizzera tranquilla, con le sensazioni che miglioravano, ma non credevo che sarei riuscita a vincere, anche perché c’erano cinque squadre WorldTour».

Troppa fretta

La diagnosi giusta è venuta fuori finalmente ad agosto, quando Marta si è fermata per capire una volta per tutte che cosa non andasse.

«Continuavo a dare la colpa al lockdown – racconta – che comunque ho subito, perché tutte quelle ore sui rulli mi hanno destabilizzato. Addirittura, la mononucleosi potrebbe essere dipesa anche da quel tipo di stress. Facendo tutti gli accertamenti, si è visto anche l’altro virus. Tanti stop e ripartenze non fanno bene a un fisico di 34 anni, in più non avevo mai avuto problemi del genere, per cui non sapevo come affrontarli. Ho vissuto l’ultima primavera cercando più corse possibili, convinta che mi servisse fare fatica per andare in condizione, invece sarebbe servito fermarsi. Una cosa non facile da accettare per chi ha sempre vinto tanto, ma necessaria. Ho fatto impazzire Pino Toni, ho fatto impazzire la squadra, chiedendo di andare a correre e poi magari cancellando il biglietto perché stavo male».

Sul podio finale del 1° Giro di Svizzera femminile, Deignan davanti a Chabbey e Reusser
Sul podio finale del 1° Giro di Svizzera femminile, Deignan davanti a Chabbey e Reusser

Sogno olimpico

La rincorsa ai Giochi di Tokyo si è ovviamente complicata. Salvoldi l’ha detto abbastanza chiaramente che si aspettava dei segnali ad aprile, ma è chiaro che stando così le cose sarebbe stato impossibile darli e, anzi, la necessità di farlo potrebbe aver accresciuto la pressione e tolto lucidità.

«Quello che posso fare – dice – è darci dentro ora che tutto sembra a posto. Il prossimo weekend correrò in Belgio, poi ci sarà il campionato italiano e a seguire le prime tappe del Giro. L’obiettivo c’è ancora, ma se anche sfumasse, vedrò a cos’altro puntare. Sono guarita, è il momento di riprendermi quello che ho lasciato indietro».

Dumoulin, pensieri e parole del primo giorno di scuola

07.06.2021
5 min
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Difficile capire se per Tom Dumoulin sia stato più difficile rimetterci la faccia o accettare la sfida della crono, il suo terreno, al Giro di Svizzera. E interessante sarebbe anche capire in che modo l’avvicinamento al debutto sia stato per lui fonte di stress oppure una sorta di ritorno a casa. Di fatto la sua prestazione è stata perfettamente in linea con quello che puoi fare se sei un fenomeno e non corri da 8 mesi: 16° a 52,181 di media.

«Ho provato a dare tutto – ha detto poco dopo l’arrivo – ed è andata abbastanza bene. Ho notato che nella seconda parte della cronometro non avevo più forze. Di conseguenza, il mio ritmo è leggermente diminuito. Nulla di strano, c’era da aspettarselo. C’è voluto un po’ per abituarsi, ma le sensazioni sono state decisamente buone. Voglio sempre il massimo e ho provato a farlo anche oggi. Sono soddisfatto, anche se c’è ancora tanto da lavorare».

Nel 2017 il Giro d’Italia vinto alla grande su Quintana e Nibali
Nel 2017 il Giro d’Italia vinto alla grande su Quintana e Nibali

Fuori dai radar

In breve, la storia narra che Tom si è ritirato in modo inatteso dalla Vuelta 2020 e che, arrivato regolarmente al raduno della Jumbo Visma di inizio anno, abbia fatto il giro di compagni e personale, annunciando il ritiro. Si è parlato di burnout. Poi si sono avanzate ipotesi più o meno pittoresche. Infine, si è detto che si fosse iscritto a medicina. Poi come accade per le cose della vita, il tempo ha fatto calare il silenzio.

Di tanto in tanto però Tom appariva nei discorsi. Quando è stato avvistato lungo l’Albert Kanaal sulla bici da crono, si è scoperto che il tecnico della nazionale olandese non avesse mai sostituito il suo nome negli elenchi per Tokyo. E’ riapparso sulle strade del ciclismo all’Amstel Gold Race e pare che la visione del gruppo abbia riacceso in lui la fiammella dello sport. Sta di fatto che di colpo le Olimpiadi sono diventate il suo obiettivo. E se quello che ci è stato raccontato è tutto vero, chissà se siano il frutto di un corteggiamento o della sua libera scelta.

A fine 2020, 7 tappe alla Vuelta e poi un ritiro durato 8 mesi
A fine 2020, 7 tappe alla Vuelta e poi un ritiro durato 8 mesi

Ciclismo e gioia

«La differenza fra adesso e prima – ha detto in un interessante video realizzato da L’Equipe – è che adesso qualunque cosa faccia, mi chiedo se sia importante per me e se mi dia gioia. E’ quello che avevo perso negli ultimi anni. Facevo qualcosa che non mi piaceva più. Avevo bisogno di questo tempo per rinfrescarmi le idee. Ho sempre amato andare in bici e correre, ma il problema degli ultimi tre anni è che avevo perso il piacere di farlo. E’ stato un periodo molto istruttivo, ora so di nuovo chi sia Tom Dumoulin e che tipo di corridore possa tornare».

Nella crono iridata di Imola 2020, 10° posto a 1’14” da Ganna
Nella crono iridata di Imola 2020, 10° posto a 1’14” da Ganna

Ipotesi overtaining

Cipollini fece lo stesso. Annunciò il ritiro proprio alla vigilia del 2002 in cui avrebbe vinto il mondiale, anche se i tempi, le persone e le attenzioni cui sono sottoposti i corridori sono troppo diversi perché il paragone regga.

«Ma non sono solo – ha detto Dumoulin – ci sono molti atleti di vertice e anche di altro livello che a volte lottano con se stessi, per cui non mi sento di diventare modello per un certo tipo di battaglia. Non ho consigli da dare, ognuno deve cercare la propria strada, ma sicuramente durante il ritiro a Livigno ho ritrovato l’amore per la bicicletta. Prima ero in un posto profondo, un buco in cui oltre alle difficoltà mentali ho pagato sicuramente anche una forma di overtraining. Appena mi sono ripreso il mio tempo e mi sono riposato, sono stato meglio. Quando sono salito nuovamente sulla bici, sembrava che non lo avessi mai fatto prima. Invece dopo due settimane ho fatto un test e mi sono stupito per il risultato. Il talento per fortuna non si è spento ed è questo il motivo per cui ho accettato la sfida olimpica».

Futuro incerto

Un mese di lavoro convinto per tornare. Altura a Livigno fuori dai radar e la poca voglia di sbilanciarsi oltre, quasi che programmi troppo ambiziosi possano di nuovo trasformarsi in boomerang.

«Non so ancora – dice – cosa ci sarà dopo Tokyo. Può darsi che mi rimetta a caccia di grandi Giri, può darsi che cerchi altri obiettivi o che non voglia più essere un corridore. Lo scopo adesso è essere forte alle Olimpiadi com’ero una volta. Ho accettato la sfida, perché credo che sia possibile. Ovviamente tutto dovrà andare nel modo giusto, ma il tempo c’è. Le crono qui in Svizzera servono per capire a che punto sono, per il resto mi sono fissato piccoli obiettivi giorno dopo giorno, di certo non pensando alla classifica. Non sono qui per farmi del male, ma per mettere nelle gambe una settimana di corse. Non dimentichiamo che ho solo un mese di allenamento».

Il lavoro di Dumoulin verso Tokyo passa anche dal trovare il feeling con la sua Cervélo
Il lavoro di Dumoulin verso Tokyo passa anche dal trovare il feeling con la sua Cervélo

Avvicinamento olimpico

La sua storia è ripartita ieri lungo i 10,9 chilometri intorno a Frauenfeld, nella crono vinta da Kung con Cattaneo in terza posizione. La prova olimpica si correrà il 28 luglio sulla distanza di 44,2 chilometri, su un percorso tutt’altro che pianeggiante. Resta da capire quali saranno ora i suoi programmi. Se sarà al Tour per due settimane accanto a Roglic per mettere chilometri nelle gambe, come ha ipotizzato Diego Bragato parlando di una gara secca. Se alla fine ci troveremo a raccontare una toccante storia olimpica da cui trarre un libro e magari un film. O se il… risveglio non sia avvenuto troppo tardi. In ogni caso, bentornato vecchio Tom.

Tiberi Ungheria 2021

Tiberi, un terzo posto per cominciare…

26.05.2021
3 min
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Un po’ nascosto nel calendario, oscurato dal can can mediatico del Giro d’Italia, è arrivato un risultato importante per il ciclismo italiano, soprattutto in prospettiva. Certo, il Giro d’Ungheria non è tra le prove più ambite, ma molte squadre del WorldTour si sono presentate al via della gara a tappe divisa in 5 giorni e vedere alla fine Antonio Tiberi al terzo posto della classifica generale (sul podio nella foto d’apertura) un certo effetto lo fa.

Al suo primo anno effettivo alla Trek Segafredo, l’ex campione del mondo juniores a cronometro sta facendo le sue esperienze, ma già in questi primi mesi non è passato inosservato e bastano pochi minuti di chiacchierata per comprendere la sua determinazione, sin da quando sottolinea, a proposito della corsa magiara, che «l’esperienza è stata positiva, il terzo posto finale vale molto proprio perché l’ho conquistato nella tappa principale, con le salite, ma se ci fosse stata una cronometro magari potevo fare anche di più».

Tiberi 2021
Tiberi, terzo in Ungheria dietro Howson (Bike Exchange) e Hermans (Israel Start-Up)
Tiberi 2021
Tiberi, terzo in Ungheria dietro Howson (Bike Exchange) e Hermans (Israel Start-Up)
Che corsa è stata?

Sicuramente un bel Giro, allestito molto bene, in maniera professionale. In Ungheria non puoi certamente trovare le grandi salite, ma la penultima tappa era dura, con un’ascesa di 10 chilometri dei quali gli ultimi 3 con pendenze pronunciate.

Nel team sono rimasti sorpresi dalla tua prestazione?

Non direi sorpresi, sapevano che potevo fare classifica, ma io ho lavorato anche per la squadra, per le volate di Theuns che infatti ha vinto l’ultima tappa. Nella penultima tutti si sono messi a mia disposizione e questo per me ha rappresentato tanto.

Tiberi 2019
Il frusinate Tiberi è stato iridato junior a cronometro nel 2019 nello Yorkshire
Tiberi 2019
Il frusinate Tiberi è stato iridato junior a cronometro nel 2019 nello Yorkshire
Considerando la tua età, gare medio-brevi come questa sono al momento la giusta proiezione per farti crescere: come ti trovi?

Sono la mia dimensione ideale in questo momento, ma attendo con molta curiosità il Giro di Svizzera perché è una prova di 8 giorni, dove già la mia resistenza sarà messa alla prova. E’ chiaro che i grandi Giri sono ancora qualcosa di off limits, spero in un paio d’anni di acquisire la necessaria esperienza per affrontarli. Io sono al primo anno, gare come quella magiara sono importanti per crescere e fare esperienza, sicuramente sono il format che in questo momento gradisco di più.

In Svizzera che cosa ti aspetti?

Non lo so, è una competizione molto diversa, la qualità dei corridori presenti sarà molto più alta che in Ungheria. Ci sono due cronometro e lì cercherò di dire la mia, per il resto vedremo a che livello sono arrivato, anche perché su quelle salite ci sarà da soffrire.

Tiberi Alps 2021
E’ raro che un italiano emerga in una breve prova a tappe. Per Tiberi è un primo passo…
Tiberi Alps 2021
E’ raro che un italiano emerga in una breve prova a tappe. Per Tiberi è un primo passo…
Stai seguendo il Giro d’Italia?

Sì, se non sono fuori per allenarmi. Guardo i miei compagni e la mente sogna, non lo nascondo, spero di essere lì un giorno a competere per la vittoria. Non voglio peccare di presunzione, ma quando guardo in Tv le sfide rosa, cerco di studiare tutti i campioni e imparare da loro, ma anche di capire se hanno punti deboli. Magari un giorno saranno gli altri a guardare e studiare me…