De Gasperi a Lucca e Simoni applaude Rebellin

03.06.2021
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«Bravo Riccardo Lucca – scrive Gilberto Simoni su Facebook – spero che questo Trofeo De Gasperi porti fortuna come l’ha portata a me!! E bravo anche Davide Rebellin, mio coscritto, che 29 anni fa mi ha fregato la doppietta a Bassano e oggi è ancora in corsa con la stessa determinazione di allora! Difficile giudicare, certamente se i ragazzi in gruppo vogliono imparare qualcosa da qualcuno… be’ quel qualcuno è proprio lui!!».

Simoni su Facebook

Il De Gasperi (dedicato ad Alcide De Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana, per 8 volte Presidente del Consiglio, nato a Pieve Tesino e morto nel 1954 a Borgo Valsugana), si corre dal 1955 fra Bassano del Grappa e il Trentino, un anno in un verso e un anno nell’altro lungo la strada della Valsugana. Una volta si arrivava o si partiva da Trento, poi ci si è spostati a Borgo, questa volta a Pergine. Simoni lo vinse nel 1991, con l’arrivo a Trento, mentre l’anno dopo fu terzo dietro Davide Rebellin. Sono passati trent’anni. E mentre Gilberto, vinti due Giri d’Italia e varie altre corse, si è ritirato a Palù di Giovo dove si diverte a fare il muratore, Rebellin è ancora in gruppo e ha chiuso la corsa nel gruppo principale. Trentesimo, in mezzo a ragazzi che hanno la metà dei suoi anni.

Gilberto Simoni con il vincitore Riccardo Lucca, anche lui trentino
Gilberto Simoni con il vincitore Riccardo Lucca, anche lui trentino

Anche Rebellin su Facebook

Davide, ugualmente su Facebook, aveva dedicato alla corsa un post alla vigilia, pubblicando anche la foto del podio che lo vedeva davanti a Mirko Gualdi e Gilberto Simoni.

«Son passati quasi 30 anni dalla mia vittoria al Teofeo Alcide Degasperi (1992) – aveva scritto – e con il solito entusiasmo di correre ci sarò anche domani».

Per i corridori trentini, vincere il De Gasperi è motivo di vanto. Come accade per la Coppa d’Oro quando sono allievi, il Trofeo è la corsa per la quale hanno iniziato a correre. Il primo fu Zampredi, che vinse la seconda edizione nel 1956, poi fu la volta di Enzo Moser nel 1961 e venendo a tempi più recenti, dopo il Simoni del 1991, nel 2011 fu la volta di Matteo Trentin, che precedette Moreno Moser. Giusto dieci anni dopo, ecco un altro trentino: Riccardo Lucca.

Questa la foto postata da Davide Rebellin, riferita al De Gasperi del 1992
Questa la foto postata da Davide Rebellin, riferita al De Gasperi del 1992

La salita di Tenna

Il corridore della General Store, nato e cresciuto a Rovereto, aveva già vinto il Memorial Mantovani battendo il compagno Rocchetta, mentre stavolta alle sue spalle è finito Verza in maglia Zalf.

«Sono soddisfattissimo – ha commentato Lucca – il Trofeo De Gasperi è una corsa importante e, soprattutto, è la corsa di casa. Sapevo che in tanti avrebbero fatto il tifo per me e questo mi ha dato una motivazione in più per fare bene. La salita di Tenna, poi, mi è sempre piaciuta. Diciamo che ce l’ho nel cuore. Faceva parte del percorso di una corsa per allievi che avevo affrontato da ragazzino e ritrovarla in una corsa internazionale è stato emozionante».

Venti in fuga

La corsa ha avuto subito la svolta grazie a una fuga di venti corridori. Poi un po’ la fatica e un po’ il caldo, nell’ultimo dei quattro giri finali il gruppo ha iniziato a farsi sotto. E a quel punto, proprio sull’ultima salita di Tenna, Lucca ha cambiato passo, piazzando l’affondo che gli ha permesso di arrivare davanti al gruppetto che si è giocato il resto del podio.

«Quella corsa di allievi – continua a ricordare – era organizzata da Silvano Dusevich, che era anche il presidente della mia squadra. Purtroppo Silvano se ne è andato nel 2019 per cui un pensiero va sicuramente a lui. Avevamo un rapporto bellissimo e prima di partire ho pensato che sarebbe stato bello potergli dedicare qualcosa. Adesso mi dedicherò a un periodo di allenamento in altura per prepararmi alle prossime corse. Il Giro del Piave, l’Adriatica Ionica Race con i professionisti, il campionato Italiano e il Giro del Veneto, dove spero di fare altrettanto bene».

Sul podio di Pergine, oltre a Lucca, ecco Verza e il tedesco Knolle
Sul podio di Pergine, oltre a Lucca, ecco Verza e il tedesco Knolle

Billy sull’ammiraglia

Fra le curiosità di questo insolito viaggio nel tempo c’è che sull’ammiraglia della General Store viaggiava anche Billy Ceresoli, che di Rebellin fu il direttore sportivo in tutto il suo cammino fra gli allora dilettanti. Da oggi la General Store è impegnata nel Giro d’Italia U24. Lucca, che è del 1997 ed è fuori dall’età prevista, seguirà il cammino di cui ha raccontato.

Simoni, le alte vette e l’immenso amore per la bici

24.05.2021
3 min
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Gilberto Simoni è stato uno scalatore fortissimo, due volte vincitore del Giro, altri tre anni sul podio. Ha vinto gare e tappe di montagna faticosissime, in Italia, Spagna, Svizzera, Francia, persino in Giappone. Chi meglio di lui poteva raccontare le Dolomiti e le altre vette, protagoniste, come sempre, del Giro d’Italia? 

«Il mio rapporto con la montagna è venuto un po’ naturale, facile, per certi aspetti», esordisce Gibo. «Quando ti svegli la mattina o quando torni la sera e ne sei circondato, le cime diventano punti di riferimento. Ci sono, le vedi e sai che sei a casa». Molti le vogliono salire: a piedi sui sentieri e sulle ferrate, con gli sci sulla neve, in cordata sulle vie di roccia. «Ognuno lo fa nel proprio modo, io ho trovato la soddisfazione di farlo in bicicletta e mi è andata bene. Avevo grinta e tenacia e la montagna mi ha regalato il successo», riconosce Simoni. 

Sul Sampeyre nel 2003, con la neve sulla strada: il fascino e la durezza delle vette
Sul Sampeyre nel 2003, con la neve sulla strada: il fascino e la durezza delle vette

Il Giro sul Pordoi

Sul Pordoi ha ipotecato la vittoria del suo primo Giro, nel 2001. «E’ una bella salita, anche se non è tra le più dure, però quel giorno lì era spettacolare –ricorda – lo salivamo due volte, c’era una folla incredibile». I tifosi lo aspettavano, ma lui non sentiva molta pressione addosso: «Sapevo che potevo farcela, ho avuto sangue freddo e, nonostante la presenza di avversari molto agguerriti, ho giocato bene le mie carte». Gibo quella tappa non l’ha vinta: «Ma è stato comunque il giorno più bello della mia carriera», ammette.

Gioia effimera

Anche la seconda vittoria alla corsa rosa, nel 2003, la deve a salite di tutto rispetto come Zoncolan e l’Alpe di Pampeago. «Sono due belle sfide, chi vince sullo Zoncolan deve metterci oltre alla testa, la volontà, le gambe e il cuore», confessa a bici.PRO. «Anche l’Alpe di Pampeago non è facile, non ti dà respiro. Bei momenti, ma la soddisfazione dura poco perché sai che il giorno dopo sei ancora in gara e non è finita».

La strada si allarga

La montagna in corsa e negli allenamenti: l’habitat di Simoni era più o meno quello dei camosci o dei cervi che popolano valli e versanti alpini. Afferma di avere «la fortuna o la sfortuna (dipende dai momenti) di dover affrontare una salita di sei chilometri per tornare a casa. Alcuni giorni mi piaceva, come fosse un finale di corsa, altri, quando ero stanco, diventava un calvario, una penitenza». Anche in gara non dev’essere stato facile, «ma nel Giro e in altre corse le salite coincidevano con i momenti più tranquilli, sapevo che avrei trovato il mio posto. Non parlo di vittorie o di secondi posti. Se in pianura devi mischiarti, combattere per cercare la vittoria, in salita ognuno trova il suo posto e la strada si allarga». A Gibo piacevano soprattutto le frazioni nelle quali poteva metterci del suo. «Non c’entravo niente con le tappe per velocisti e odiavo le cronometro. Non vedevo l’ora di fare una tappa di 250 chilometri tutta in salita, con vette importanti, piuttosto che farne 10 in pianura».

In salita trovava il suo posto: «La strada si allargava»
In salita trovava il suo posto: «La strada si allargava»

Amore per la bici

Il brutto tempo sulle alte terre, a volte, è una difficoltà aggiuntiva per i corridori, «ma il meteo è stato sempre dalla mia parte. Ricordo gare con tanta, tanta acqua come il Giro dell’Emilia e la Japan Cup. O come la prima tappa vinta al Giro d’Italia, che arrivava a Bormio: un tappone vero, 250 chilometri, il Gavia in discesa con la neve in alto e sotto un temporale primaverile». Non si è mai inchinato alle intemperie, Simoni, che chiude la chiacchierata con la frase più bella: «In bicicletta facevo cose che non avrei mai fatto senza, non mi piaceva la gara in sé, mi piaceva solo andare in bici».

Simoni Dorelan 2003

Simoni: «Oggi lo Zoncolan fa meno paura»

22.05.2021
2 min
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Una volta il Monte Zoncolan, arrivo della tappa con partenza da Cittadella, avrebbe fatto davvero paura, come la facevano le salite con punte di pendenza superiori al 20%. Le cose però sono un po’ cambiate, vuoi per l’evoluzione della tecnica (ossia i rapporti da utilizzare), vuoi anche per il diverso modo di interpretare i grandi Giri, vuoi soprattutto per il semplice trascorrere del tempo, come spiega Gilberto Simoni, due volte vincitore del Giro d’Italia

Il trentino è testimone di questo profondo cambiamento in atto: «Il fatto è che le pendenze più aspre non fanno più paura come ai miei tempi…».

Perché?

L’evoluzione tecnica è pesata molto: già quando correvo io iniziò a diffondersi la tripla, ma non era molto amata dai corridori. Il cambio vero c’è stato con l’avvento delle Compact e delle 12 velocità. Fino al 2005 si saliva sullo Zoncolan con 9 rapporti, mettevi davanti il 39 e dietro dal 25 in su. Ogni dente poteva risultare determinante, oggi sicuramente è un po’ più facile il lavoro dei corridori.

Pantani Zoncolan 2003
Un’immagine storica della grande tappa del 2003, con Pantani davanti a Simoni
Pantani Zoncolan 2003
Un’immagine storica della grande tappa del 2003, con Pantani davanti a Simoni
Questo influisce psicologicamente nell’affrontare una salita simile al Giro d’Italia?

Sicuramente, puoi scegliere dal 32 al 39 davanti e anche dietro le possibilità sono molte, soprattutto per prendere il tuo passo e faticare di meno. Ricordo che quando salivamo e la benzina finiva, non riuscivi più a procedere di agilità e iniziavi a zigzagare. Erano però momenti di grande fascino, cercavi di supplire con lo stato d’animo alle forze che mancavano, mettevi tutto te stesso.

Oggi non è così?

La fatica è sempre fatica, questo è chiaro, è uguale per tutti, solo che salite del genere influiscono meno. All’arrivo penso che vedremo una decina di corridori con distacchi inferiori al minuto, questo fa capire che non siamo più di fronte a salite decisive come prima. Una salita così dura farebbe più male in mezzo alla tappa, se qualcuno decide di attaccare e di rendere la frazione selettiva ancor prima della salita finale. Si rischia di andare fuori soglia e quando avviene a grande distanza dal traguardo accumuli minuti.

In una tappa simile è questione solo di gambe o anche di strategia?

La strategia conta tantissimo, diciamo anzi che ormai corse del genere sono affrontate ragionandoci sopra con ampio anticipo, non si agisce più d’istinto. Di una cosa però sono sicuro: lo spettacolo non mancherà, una tappa simile è sempre incerta e affascinante, dal difficilissimo pronostico.

Archetti, il Giro da casa e il ruolo del meccanico

12.05.2021
6 min
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«Simoni mi faceva impazzire – racconta Giuseppe Archetti, meccanico tra i più esperti del gruppo – “Quello lì” quando si metteva in mente una cosa… ciao! E la dovevi fare…

«La sua bici sulla quale feci più interventi fu quella per lo Zoncolan nel 2003. Certe cose ormai non le ricordo più con precisione, ma di sicuro montò il 38 davanti e mi sembra il 30 al posteriore. Aveva un telaio particolarmente leggero, solo per le salite. Credo che la sua sia stata la prima bici in assoluto dei pro’ a raggiungere il famoso limite dei 6,8 chili, 6,810 per la precisione. E sapete cosa mi disse? Ma quei 10 grammi li possiamo togliere?».

Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera
Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera

Meno “magie”

Archetti dopo molti anni non è al Giro d’Italia. Il motivo? Scelte tra lui, la Fci e la Uae, la sua squadra, che lo vogliono anche tra gli “azzurri” in partenza per Tokyo. Mastro Archetti infatti è anche il meccanico della nazionale. Quello è l’obiettivo principale e per il quale si sta preparando. Anche lui deve essere in forma per la trasferta a Cinque Cerchi. Con lui cerchiamo di capire se il suo lavoro cambia in vista delle tappe più dure, come ci ha raccontato per Simoni sullo Zoncolan.

Una volta, ma non un secolo fa, 10-15 anni fa, specialmente prima delle tappe più dure e a cronometro, il meccanico poteva essere l’arma in più per il corridore. Era quasi un inventore, forse un artista, di certo un vero artigiano.

«Oggi la figura del meccanico è molto cambiata – spiega Archetti con filo di nostalgia – C’è una tale quantità di materiali e di direttive, di regole da rispettare, che siamo molto più vincolati». Sono finiti i tempi in cui si limavano le viti, si tagliavano i reggisella, si foravano le pieghe manubrio. «Oggi tutto questo è impossibile. Almeno per noi in Uae è così, ma sono certo che vale anche per altri team. Ci sono norme sulla sicurezza e assicurative che certe cose non le puoi fare. 

«Anche per le tappe di montagna il lavoro è lo stesso di una qualsiasi altra tappa, soprattutto se si ha l’uomo di classifica. Si prepara tutto prima di partire. Il giorno che precede il tappone si decidono giusto i rapporti ed eventualmente le ruote da utilizzare. Ormai si fanno i sopralluoghi, si sa tutto prima di partire. A volte è capitato che ci sia andato anche il meccanico a farli, ma ormai lui è più un esecutore di ciò che gli dicono il preparatore e il corridore. Non dico che siamo dei manovali, ma quasi. Una volta per avere una particolare cassetta posteriore per Ivan Basso impazzimmo con Campagnolo, ma riuscimmo a dargliela. Adesso dobbiamo montare ciò che ci danno».

Il peso conta sempre

Movimenti limitati, dunque. Strettamente legati anche alle imposizioni del marketing, però il lavoro del meccanico conta ancora. Specie quando si parla di peso che con i freni a disco è tornato leggermente a salire.

«I 6,8 chili sono la normalità per tutti. O almeno così era prima dei freni a disco. A noi della Uae, Colnago dà la possibilità di utilizzare i freni tradizionali per le tappe di salita proprio per limare quei pochi etti di differenza. Le bici le carichiamo sul camion già prima di partire per il Giro e alla vigilia di quella tappa le tiriamo fuori. Sono già tutte a misura».

Una volta si alzava leggermente la sella, per favorire il riporto della gamba in salita, questione di millimetri che servivano quasi più per la testa che per i muscoli, però si faceva.

«No, nessuno cambia più nulla. Oggi il 99% dei corridori parte con delle misure e le mantiene, anche perché avendo molte bici hanno meno “fisse mentali”. Una volta ne avevano una sola. Pensate che venivano alle corse con la bici con cui si allenavano! Poi ne hanno avute due, una a casa e una alle corse. Adesso ne hanno molte e quindi passano da una specialissima ad un’altra senza troppi problemi. Non utilizzando sempre la stessa avvertono meno eventuali differenze. Differenze che poi con i moderni strumenti per la misurazione praticamente non esistono. L’unica cosa a cui sono ancora sensibili è la sella nuova. Essendo più “dura”, flette meno e può capitare di abbassare il reggisella, ma di un millimetro».

rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33
Rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33

Ruote e rapporti

Ma se non ci si può più inventare nulla e si deve utilizzare il materiale originale che viene fornito, si può scegliere cosa utilizzare. E quando ci sono tappe molto dure o salite estreme il primo intervento chiaramente riguarda i rapporti.

«Oggi in tanti usano il 34 e il 36, la tendenza è quella. Aumenta l’utilizzo del 32 al posteriore. Vedo che però a volte me lo riportano pulito, segno che poi non lo usano. Vale il discorso che più la catena lavora dritta e più si riducono gli attriti. Dicono…

«Mentre sulle ruote noi in Uae abbiamo una regola semplicissima: alto profilo per le tappe di pianura e medio profilo per quelle di montagna. Quindi 45-60 millimetri per chi utilizza i tubeless e 50 i tubolari. Mentre diventano 33 millimetri per i tubeless e 35 per i tubolari. Il set con i tubolari è un po’ più leggero ma la scelta è totalmente soggettiva, spetta al corridore».

La regola di Archetti in questo caso è vera per quel che riguarda la soggettività delle scelte, ma neanche così netta. Come abbiamo visto nelle foto in precedenza solo ieri, verso Sestola, in Uae c’erano almeno quattro setup diversi. E pur essendo salita qualcuno ha usato i freni a disco e l’alto profilo.

«Anche per lo sterrato ormai non si cambia più molto – conclude il meccanico – La bici è quella. Cambiano le coperture. Noi in Uae usiamo orami sempre il 25 o 26 millimetri, magari qualcuno monterà il 28 salendo verso Campo Felice».

Soprattutto quando si parla di tecnica bisogna essere realisti e bisogna prendere atto che nel mondo del ciclismo che si evolve a velocità mai viste prima, anche il ruolo del meccanico sta cambiando. Le “invenzioni” particolari sono sempre meno. Ma come abbiamo visto con i corridori della Uae, per esempio, sono le scelte del tanto materiale a disposizione a fare la differenza e a rendere in qualche modo ancora “naif” l’intervento del meccanico.

Zoncolan 2003: dietro Simoni, un duello infinito

18.02.2021
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Non solo le Tre Cime di Lavaredo. Pare che il Giro d’Italia torni anche lassù, sullo Zoncolan che nel 2003 salutò l’ultimo grande Pantani e si concesse alla furia rosa di Gilberto Simoni. I ricordi sono come vetri rotti. Hanno forme diverse, alcuni sono taglienti, altri sono abbastanza grandi da riflettere le immagini di quel giorno di maggio di quasi vent’anni fa. Non provate a ricomporle, il quadro sarebbe troppo frammentato.

A 1,5 chilometri dalla vetta, Simoni è già da solo
A 1,5 chilometri dalla vetta, Simoni è già da solo

Come l’Angliru

Il Giro sullo Zoncolan, 22 maggio 2003. Con quel nome la salita fa già paura, anche se nessuno c’è mai stato. Si sale da Sutrio e si sussurra che ci sia un versante ancora più duro, che parte da Ovaro, che però non è stato ancora asfaltato.

«Si tratta di un arrivo molto duro – racconta Francesco Casagrande che è andato a vederlo a fine aprile – mi hanno impressionato gli ultimi 3 chilometri impegnativi con tratti al 22 per cento, pari all’arrivo dell’Angliru. Non oso pensare a cosa potrebbe succedere se quel giorno dovesse piovere. I corridori rischierebbero di scivolare indietro, respinti dalla montagna».

Volano caschi

Ma quel giorno non piove. La pioggia è venuta tutta giù il giorno prima a San Donà di Piave, procurando la caduta di Cipollini, che per lo Zoncolan stava già pensando di mettere su strada una mountain bike biammortizzata che allo sponsor avrebbe procurato parecchio piacere e avrebbe permesso a Mario di stigmatizzare certi percorsi troppo duri. E’ l’anno dell’assurda regola per cui il casco puoi toglierlo all’inizio della salita. Così quando il gruppo prende a salire, si assiste a un lancio di caschi anche pericoloso a destra e sinistra della strada.

Mai visto al Giro un finale così ripido come lo Zoncolan
Mai visto al Giro un finale così ripido come lo Zoncolan

«Anche io ero andata a vederla una settimana prima del Giro – ricorda Garzelli – e non si era mai fatta una salita con quelle pendenze. Prima 15 chilometri costanti, poi svolta a sinistra e iniziavano quei 2-3 chilometri durissimi, in un periodo in cui il rapporto più agile che avevamo era il 39×28».

Gibo all’attacco

Simoni ha la faccia da duro, bruciata dal sole. Alla partenza, il suo vantaggio su Garzelli è di appena due secondi. La maglia è ancora appesa a un filo e Gibo è più che mai deciso a difenderla fino alla morte, dopo quello che è successo l’anno prima con la storia delle caramelle colombiane. Sono anni di ciclismo insolito e questa volta il trentino non vuole correre rischi. Per cui all’inizio di quella salita così dura, prende il largo lasciando gli altri dietro a litigarsi l’osso.

Vigilia bagnata

La sera prima, sotto ai pini di San Donà con il profumo di bagnato, i meccanici della Mercatone Uno preparavano le bici Carrera della squadra. Passandoci davanti con Ilario Biondi ci eravamo trovati a pensare quanto fosse strano non fermarsi dal Panta alla vigilia di una tappa così dura. Ma la classifica lo vedeva 14° a quasi cinque minuti e in quella sera così buia c’erano altre voci da sentire. Era tardi, in ogni caso, e Marco era di certo già in camera con la sua bici gialla.

Simoni conquista lo Zoncolan e consolida la rosa
Simoni conquista lo Zoncolan e consolida la rosa

Invece l’indomani, appena il gruppo imbocca il primo tratto della salita, sulla testa assieme agli uomini della Saeco e della Caldirola arrivano quelli della Mercatone Uno.

Gomito a gomito

«Dopo un chilometro e mezzo – ricorda Garzelli – parte Gibo e Marco è lì che rientra su di me. Mi prende e restiamo in due. Di quella tappa ho parlato anche con sua mamma, la foto di noi due insieme sullo Zoncolan è la più bella della mia carriera. Le immagini del duello dall’elicottero non me le scordo più. Ero a tutta, ma il fatto di avere accanto Marco Pantani, mi permise di arrivare secondo. Volete sapere che cosa spingeva entrambi? Ce lo dicemmo il giorno dopo e ci venne da ridere. Per tutto il tempo non feci che pensare: “Col cazzo che mi stacchi!”. E lui lo stesso. Ho la pelle d’oca pensando al pubblico».

Hai visto chi era?

Simoni sale seduto. Si alza solo a tratti, ma tiene l’andatura costante. Dietro Garzelli e Pantani danno di gomito e ancora più indietro ci sono Casagrande e Popovych. Vanno così piano che l’ultimo chilometro sembra lungo un’ora. Il tornante più ripido prende la strada e la solleva brutalmente di una ventina di metri. C’è folla da curva nel derby e quando lo speaker grida che nel gruppo della maglia rosa c’è anche Marco Pantani, l’attesa esplode con un fragore possente che scuote la montagna. I tifosi lo vedono passare, lo incitano stupiti e poi si guardano come a dire: «Hai visto chi era?».

La gente quel giorno rivide l’ultimo, grande Marco Pantani
La gente quel giorno rivide l’ultimo, grande Marco Pantani

Non mi stacchi

Nell’ammiraglia della Saeco che sta per vincere la tappa e il Giro con Simoni, Martinelli fa il tifo per Marco. Ci sono moto ferme con la frizione bruciata, Pantani che scatta e Garzelli che risponde. «Col cazzo che mi stacchi!» E così vanno avanti insieme.

«Non lo avrei mai lasciato andare – ricorda ancora Stefano – era Marco Pantani in una delle sue più belle imprese sportive, forse l’ultima. Quel giorno siamo stati rivali, forse l’unica volta in una vita. La classe di Marco non si è vista quando ha vinto il Giro e il Tour, ma secondo me è stato un gigante al Tour del 2000 quando ha vinto due tappe e poi proprio in quel Giro del 2003».

Troppo ripido

Simoni vince la tappa e guadagna 34″ su Garzelli, che sulla cima dello Zoncolan è ancora secondo in classifica ma a 44″.

«Non mi piacciono queste salite – dice Simoni – troppa pendenza non permette di fare differenze».

Dopo. l’arrivo Marco è sfinito, ma rivede la luce
Dopo. l’arrivo Marco è sfinito, ma rivede la luce

Pantani, invitato al Processo alla Tappa, risponde che se uno è scalatore, in giornate come queste ha il terreno perfetto per fare la differenza. Troppo diversi per essere amici.

«Credo che il miglior Marco – commenta Garzelli – avrebbe fatto la differenza. Gibo non è uno che facesse tanti cambi di ritmo, andava fortissimo ma in modo regolare. Marco era uno che si alzava e aumentava di due chilometri e lo faceva in continuazione. Con quei rapporti, se avevi la forza di girarli, facevi per forza velocità. Ma dovevi anche stare attento, perché una volta il rischio di piantarsi c’era molto più di adesso, che con la compact gestiscono bene lo sforzo».

La bici gialla

Entriamo nell’hotel di Maniago. La Mercatone Uno Scanavino è una piccola squadra, la guida Amadori e non c’è più lo sbarramento della Ronchi, che Boifava non ha voluto al seguito. Marco è passato per andare a cena e alla battuta che ci è parso di averlo riconosciuto, ha fatto un cenno con la mano come a dire: «Manca poco». Quando torna gli chiediamo il favore di fotografare la bici gialla, che ormai tiene sempre in camera. E mentre siamo insieme in ascensore commentando il lancio dei caschi, il Pirata fa un ghigno amaro. «Quando ero famoso e tutti mi volevano – dice – non avete idea di quanti soldi mi offrivano perché mettessi il casco. Invece adesso che non sono nessuno, mi tocca metterlo e pure gratis».

La bici era là, tutta gialla, ai piedi del letto. E c’era ancora Marco…

Enrico Pengo

Enrico Pengo, un meccanico da 20 Tour de France

29.12.2020
4 min
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Non è facile trovare nel mondo del ciclismo dei meccanici che hanno affrontato 20 Tour de France. E’ il caso di Enrico Pengo, il meccanico vicentino è una vera istituzione nel gruppo, anche se adesso è fermo per una scelta personale legata alla salute di suo padre. Abbiamo parlato con lui per farci raccontare come sono cambiate le biciclette e di conseguenza il lavoro dei meccanici.

Una volta era come una famiglia

L’esperienza di Enrico Pengo inizia nei primi anni 90 con la Zg Mobili, per continuare con la Gewiss nel 96, la Batik nel 97, la Ballan nel 98-99, la Lampre dal 2000 al 2016 fino alla Bahrain-Merida con Vincenzo Nibali.
«Ogni epoca ha i suoi corridori e campioni – inizia così Enrico Pengo – e anche le squadre erano strutturate in maniera diversa. Negli anni 90 le squadre erano più a gestione famigliare, mentre oggi sono come delle aziende. Una volta c’era più rapporto umano con il corridore e con il direttore sportivo e si facevano le scelte tecniche insieme. Questo approccio ti faceva sentire più partecipe del risultato che il corridore otteneva».

Enrico Pengo nazionale italiana
Da sinistra vediamo Enrico Pengo con Fausto Oppici e Giuseppe Archetti
Enrico Pengo nazionale italiana
Da sinistra vediamo Enrico Pengo con Fausto Oppici, Giuseppe Archetti, Franco Vita e Andrea Nieri

Biciclette diverse

Oltre all’aspetto più famigliare delle squadre, a cambiare è stato anche il materiale tecnico. Le biciclette degli anni 90 fino ai primi 2000 erano diverse da oggi e si poteva intervenire in vari modi.

«Una volta si facevano delle operazioni per limare grammi da ogni parte – ci spiega Pengo – con Simoni puntavamo alla massima leggerezza, tanto che montavamo il nastro manubrio con il phone per tirarlo al massimo, così ne risparmiavamo un bel pezzo ed era tutto materiale che Gilberto non doveva portarsi in salita. Un’altra operazione che facevamo era quella di cambiare il perno quadro del movimento centrale, che una volta era in acciaio. Noi lo mettevamo in titanio e la differenza era tanta».

Enrico Pengo Lampre
Enrico Pengo in azione negli anni della Lampre
Enrico Pengo Lampre
Enrico Pengo mentre prepara le biciclette negli anni in cui era il meccanico della Lampre

Si modificavano i pezzi

Il lavoro del meccanico era molto importante e poteva cambiare la configurazione di una bicicletta e far perdere o vincere una tappa o addirittura un grande giro.
«Simoni per essere più leggero aveva deciso di montare il manettino del cambio sul telaio – continua Pengo – allora io per non fargli cambiare l’appoggio lo presi e lo svuotai, era il primo 10 velocità. In quel modo avevamo dato a Simoni due leve con due appoggi per le mani uguali».

Ma oggi la tecnica è andata avanti e molte lavorazioni sulle biciclette non vengono più fatte.

«Oggi tante cose sono di serie e per un meccanico è difficile fare dei cambiamenti. E’ difficile apportare delle migliorie. I materiali sono gli stessi che si trovano in commercio e il livello è diventato altissimo». Anche i budget delle squadre sono cambiati e come ci ha detto Pengo c’è una grande quantità di materiali con una scelta molto ampia.

Pengo premiazione Tour de France
La premiazione per aver raggiunto la partecipazione a 20 Tour de France
Pengo Premiazione tour de France
La premiazione per aver raggiunto la partecipazione a 20 Tour de France da meccanico

Nibali il più preparato

Abbiamo chiesto a Pengo quali sono stati i corridori che erano più puntigliosi nella messa a punto meccanica della bicicletta.

«Simoni era un ingegnere, ogni cosa che diceva aveva una logica e spesso mi è toccato dargli ragione. Nibali è il numero uno sulla meccanica e devi stare attento perché a volte lui ne sa più di te. Con uno come lui sono cresciuto tantissimo, è difficile starci dietro ma ti dà tante soddisfazioni. E poi mi piace ricordare lo stile in bicicletta di Berzin. Con lui ho avuto anche la soddisfazione di vedere un corridore che seguivo in maglia gialla al Tour de France».
A proposito di Tour de France Enrico Pengo è stato premiato dall’organizzazione per aver raggiunto il traguardo delle 20 partecipazioni. «E’ stato un momento bellissimo – racconta Pengo – per festeggiare questo traguardo l’organizzazione del Tour de France ti fa scegliere una tappa in cui sali sul podio e ti consegnano un premio. Io avevo chiesto nell’edizione del 2018 di salire sul podio nella tappa del pavé il 14 luglio, festa nazionale francese. E’ stato il coronamento di un sogno»

Gilberto Simoni, Giro d'Italia 2001

Facciamo con Simoni il gioco delle parti

27.12.2020
5 min
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Prendi Simoni, mettilo seduto, assicurati che sia concentrato e chiedigli che cosa farebbe nei panni di qualcun altro. E’ un vecchio giochino giornalistico, che funziona soltanto se hai davanti l’interlocutore giusto. E Gibì è sicuramente uno dei migliori. Anche perché pur essendosi tirato fuori dal frullatore del ciclismo, dedicandosi spesso ad altro, il trentino osserva tutto. Al Giro d’Italia ha corso fra quelli delle bici elettriche, anche se a un certo punto hanno dovuto rimandarli a casa per la positività dei 17 poliziotti in moto. E così, alla vigilia dei vent’anni del suo primo Giro d’Italia (foto di apertura), gli abbiamo chiesto di giocare con noi.

Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Vincenzo Nibali, qui sull’Etna: per lui un Giro d’Italia pesante da mandare giù
Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Per Nibali, un Giro difficile da digerire

Se fossi Nibali

Che cosa faresti se fossi Nibali, a 36 anni, nella stagione in cui si ritroverà fra i piedi i ragazzini che l’hanno… schiaffeggiato al Giro?

«Difficile da dire – comincia Simoni – ma la prima cosa è che a quell’età non devi preoccuparti degli altri e puntare su te stesso. Così starei tranquillo e mi giocherei sapendo che non sarò io l’uomo faro della corsa. Tornerei a puntare sull’effetto sorpresa come quando ero giovane. Anche sul fronte della preparazione forse farei una riflessione, perché quello che andava bene a 30 anni magari adesso non vale più. Voglia di vincere ne avrei ancora tanta, ma se lo facessi vedere mi passerebbero sopra. Meglio stare accorti. Sarei sempre un riferimento, consapevole del fatto che quei ragazzini magari hanno cominciato sognando di diventare come me. Non correrei mai contro qualcuno, se non contro me stesso per superare qualche limite».

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Se fossi Pogacar

Hai vinto il Tour a 21 anni e adesso che ne hai 22 sono tutti lì ad aspettarti. Cosa fai, ci credi o te la fai sotto?

«E’ un problema essere giovani adesso – dice – perché hanno cominciato ad andare forte troppo presto. Belle le soddisfazioni, belli i soldi, ma non è tutto rose e fiori. Da dilettante può anche essere divertente essere sotto i riflettori, ma ora cominci a renderti conto che non hai contro solo degli avversari, ma intere squadre, direttori sportivi che vogliono farti perdere. Nel professionismo ci sono tante invidie, meglio capirlo presto. Fra un po’ si accorgerà che qualche amico diventerà avversario. Allora se fossi in lui, mi troverei due corridori tutti miei. Compagni di squadra, di stanza, di allenamento, compagni di avventura. Gente trattata bene, che mi tenga al riparo. Finché sei ragazzo, tutti ti aiutano. Poi devi saperti gestire, perché altra gente vuole partecipare alle tue vittorie».

Chris Froome, Vuelta 2020
Froome, vita nuova alla Israel Start-Up Nation o buco nell’acqua?
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Se fossi Froome

Ti sei appena ripreso da un infortunio e scopri che la tua squadra ti preferisce le forze più fresche, cosa fai?

«Bel dilemma – dice Simoni – perché Froome si è sempre chiuso in se stesso, senza lasciare capire molto di sé e sfinendosi in allenamento. Se fossi vissuto tanti anni in quella squadra, avrei addosso l’ansia dei miei compagni che sono anche i miei avversari. Saprei di aver sempre vinto essendo capitano a metà, perché al primo intoppo ne saltava fuori un altro. Secondo me tutto questo gli ha tolto tranquillità. Io non ci credo che ancora abbia tanti strascichi dell’infortunio, secondo me come tanti della sua età ha sbagliato la preparazione durante e dopo il lockdown. Comunque bisognerà vedere quali conclusioni ha tratto dalle esperienze precedenti. Se insiste a voler correre come ha fatto finora, temo che alla Israel Sart-Up Nation farà un buco nell’acqua. Se invece prova a cambiare, allora magari tira fuori qualcosa».

Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020
La Federazione si occupa solo delle medaglie o sta costruendo il futuro?
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La Fci pensa alle medaglie o anche al futuro?

Se fossi il Presidente

Se fossi uno di quelli che si candida alla Presidenza della Federazione, che cosa faresti?

Questa volta, la prima dall’inizio del gioco, la risposta non arriva subito. Ci pensa. Il silenzio dura qualche secondo.

«Mi auguro che cambi qualcosa – parte dritto Simoni – ma qua tutti vogliono i numeri, le vittorie, le medaglie che sono il gran segreto della Federazione. Anche Cassani si preoccupa troppo delle medaglie. Ne abbiamo di forti, che andrebbero forte anche senza la Federazione. Ma dietro non c’è niente. La Fci dovrebbe eliminare la burocrazia e riscrivere certe regole, che sono più vecchie di me. Siamo allineati con gli altri sport. Nel calcio e nello sci si parla di talenti di 10 anni che quando arrivano a 15 non li ricorda più nessuno. Bisognerebbe che il Coni ci mettesse mano, lasciando che fino alle medie lo sport lo gestissero le scuole. E poi l’Uci, cui basta che paghi e puoi correre anche nelle gare WorldTour. Hanno tolto il gusto del successo per molti sponsor. Come se una squadra di prima categoria nel calcio si svegliasse un giorno e potesse giocare in serie A solo perché ha trovato lo sponsor. Tanto ormai si paga per passare e per correre, si paga per tutto. E poi basta con queste categorie. Via i dilettanti, gli under 23, le continental. Facciamo gli juniores fino alla scuola e poi tutti professionisti. Che senso ha il mondiale under 23 cui partecipano i professionisti? Se fosse ancora vivo Dante Alighieri, farebbe il girone del ciclismo, non dei ciclisti. Una bolgia in cui c’è il peggio del peggio di questo sport bellissimo. Cosa farei se fossi il presidente della federazione? Anche Roma ha dovuto bruciare perché la ricostruissero».

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Ganna, come Boardman, potrebbe conquistare con i prologhi le maglia di tutti i Giri
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Ganna per Simoni punti su crono, prologhi e Ora

Se fossi Ganna

Hai vinto tutte le crono e un arrivo in salita e adesso sono tutti a tirarti per la manica perché punti al Giro. Sei d’accordo?

«Se fossi Ganna – dice Simoni – andrei a leggermi la storia di Boardman e quella di Olano. Anche se Olano ha vinto una Vuelta, che poi magari… vabbè! Se fossi Ganna andrei a leggermi la storia di Chris Boardman che ha la collezione delle maglie di leader di tutte le corse a tappe. Forse gli manca quella del Giro e avrebbe dovuto provarci. Come Boardman, mi porterei a casa tutte quelle cronometro, magari come lui punterei al record dell’Ora e vedrai che prima o poi salta fuori pure un mondiale su strada adatto alle sue caratteristiche. Puntare alla classifica di un Giro? Secondo me è presto. E’ vero che ha vinto a Camigliatello, ma con una fuga da lontano. La stessa salita con il peso di una maglia addosso sarebbe un’altra cosa».