De Marchi e le fatiche della prima salita di stagione

11.02.2023
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Le corse sono iniziate e le prime fatiche sono già alle spalle, dopo mesi di allenamenti bisogna capire in che modo i corridori si riabituano alla fatica. Non è un passaggio semplice, nei vari ritiri si fanno tanti chilometri, ma nulla è come la gara, soprattutto quando la strada sale. Come si ritrova il feeling un corridore con la salita? Alessandro De Marchi ci racconta il suo punto di vista. 

De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech
De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech

Prima fatica

Il “Rosso di Buja” ha esordito alla Vuelta a la Comunitat Valenciana, si è trattato di un doppio inizio visto il suo passaggio al Team Jayco AlUla. La corsa a tappe spagnola è stata la prima affrontata con tante salite praticamente ogni giorno, un test iniziale e un modo per togliere la polvere dalla bici

«La prima salita – racconta De Marchi – è stata alla tappa inaugurale. E come spesso accade, per me è stata un trauma. E’ un momento di verifica, ma è difficile trovare i riferimenti, la mancanza di ritmo gara influisce molto. Poi il fatto di affrontarla in gruppo non aiuta, perché diventa tutto più impegnativo: praticamente un calvario. Le salite vengono affrontate a ritmi non costanti, che è una cosa che in allenamento non si riesce a simulare. Solitamente si fanno lavori di 15 o 20 minuti, ma nelle fasi prima e dopo sei più tranquillo. In corsa arrivi all’attacco della salita che sei già a tutta ed il primo chilometro lo fai davvero, ma davvero forte. In più io sono un corridore che soffre le condizioni di troppa… freschezza».

Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo
Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo

Valori diversi

Cosa intende dire De Marchi con “troppa “freschezza”? Come dicevamo prima le gare di inizio stagione sono una grande incognita. Lo stesso corridore ci ha confermato che non tutti i numeri sono da prendere con certezza.

«Il cuore – dice il friulano – è costantemente cinque o sei battiti sopra ai valori soliti, in questo influiscono diversi fattori: il gruppo, l’adrenalina, la lotta per le posizioni… E poi influisce molto anche il ritmo gara: a inizio stagione non si è abituati a farlo per ore e ore, durante i ritiri simuli queste condizioni ma fino ad un certo punto. A questo va aggiunto il fatto che in allenamento non sono sono uno che esagera con l’intensità, in questo interviene anche una parte psicologica. Se non sei in corsa, ti viene da mollare prima, quando sei in gara invece devi rimanere agganciato. I numeri devono essere presi con le pinze, solitamente in gara sono un pochino più bassi rispetto agli allenamenti. Questo perché il ritmo gara porta fatica nelle gambe, non si è abituati a smaltire l’acido lattico e si ha un maggiore accumulo di fatica».

Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana
Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana

La risposta del corpo

Quando si è da soli in allenamento o nel ritiro con la squadra, è più facile regolarsi seguendo i propri parametri. Ma una volta in gara, il gruppo va e devi rimanere lì, altrimenti la fatica diventa doppia.

«Difficilmente in gara riesci a regolarti – conferma De Marchi – non puoi decidere il ritmo a cui andare. A me capita di reggere il fuori giri e poi di pagare lo sforzo nel finale di corsa. Mi sono ritrovato con Salvatore Puccio ed abbiamo commentato allo stesso modo: dopo il fuori giri, è come se il nostro corpo avesse bisogno di minuti per ritrovare il ritmo che ci avrebbe permesso di stare con i migliori. Anche i watt sono un valore che all’inizio lascia il tempo che trova, diventano più stabili con il passare dei giorni di corsa. Già al secondo giorno della Valenciana, il cuore ed i watt erano più vicini ai valori dell’inverno. Un’altra cosa da non sottovalutare è l’alimentazione. Ovviamente un professionista con anni di esperienza sa come si gestisce, ma bisogna riabituarsi a farlo in corsa: trovare i momenti giusti in cui mangiare e calibrare le dosi».

Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante
Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante

Il “rimedio” alla fatica

Nella corsa a tappe al sud della Spagna, De Marchi si è fatto vedere anche in due fughe, nella seconda e nella quarta tappa. Lui è un uomo abituato ad “anticipare il gruppo” e questo può essere anche una soluzione alla fatica.

«Non è da nascondere che le corse a tappe aiutino a migliorare la condizione – spiega – con il passare dei giorni ti senti sempre meglio. Andare in fuga, tuttavia, può essere un buon esercizio per mettere chilometri nelle gambe con ritmi alti, ma più costanti rispetto all’andare in gruppo. Non c’è lo stress o la battaglia ai piedi delle salite, ma tanti chilometri ed altrettanta intensità. Si corre sempre a valori medio-alti, ma ne vale la pena. In fuga si costringe il corpo a stare nella zona della soglia o fuori soglia. Anche il wattaggio medio a fine corsa è più alto. Questo perché prima delle salite non hai la solita bagarre ma un andamento costante, così anche quando la strada sale. In più andare in fuga stimola il corpo e si brucia qualche caloria in più, cosa che non fa male ad inizio anno».

Battistella-Conci, la miglior difesa è l’attacco

26.09.2022
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A Conci e Battistella era stato affidato il compito di entrare nelle fughe. E se il primo non è riuscito a entrare in quella partita sul Monte Keira, Battistella ha preso il largo di buon mattino ed è rimasto allo scoperto per tutto il giorno.

«Personalmente dovevo stare attento già sul Monte Keira – ha spiegato Conci dopo l’arrivo – però in partenza ho fatto veramente fatica. Un po’ il viaggio, un po’ gli ultimi giorni che abbiamo fatto poco, poi non nascondo che l’agitazione un pochino c’era e secondo me anche quella può aver inciso. Quindi ho mancato quella fuga grossa sul Monte Keira, però sapevo che a 6-7 giri dall’arrivo, sarebbe successo qualcosa e così è stato. Poi ci sono stati tanti tatticismi, io non è che avessi grandi gambe, però nel finale sono arrivati gli altri e abbiamo raccolto un buon risultato».

Conci è entrato nella fuga portata via dai francesi, in cui viaggiava anche Rota
Conci è entrato nella fuga portata via dai francesi, in cuo viaggiava anche Rota

La squadra al coperto

Uscito prima dalla Vuelta per qualche acciacco, Battistella ha trascorso i giorni di vigilia del mondiale cercando di recuperare. Ha corso in Toscana per fare il punto poi ha continuato a crescere nei giorni australiani. E quando ieri si è ritrovato in fuga tanto a lungo, ha avuto finalmente la sensazione di essere tornato.

«Il lavoro che dovevo fare era questo – ha spiegato – stare davanti, entrare nelle fughe importanti e fare in modo che la squadra dietro riposasse. Quindi questo è stato il mio lavoro fin dall’inizio e penso di averlo svolto bene. Avevo una buona gamba, infatti quando il gruppo è arrivato a un minuto, un minuto e mezzo da noi, Daniele mi ha detto di attaccare comunque per smuovere un po’ la situazione e ho visto che le sensazioni erano buone, la gamba c’era ancora. Sennò 230 chilometri di fuga non li facevo».

La condizione di Battistella, qui con Bennati, è andata migliorando con il passare dei giorni
La condizione di Battistella, qui con Bennati, è andata migliorando con il passare dei giorni

L’azione dei francesi

La sua presenza là davanti ha permesso davvero al resto della squadra di gestire le prime ore con relativa calma. Poi, quando il girare nel circuito si è fatto pesante anche per gli uomini di testa, la Francia ha fatto esplodere la corsa.

«Dovevo coprire le fughe dove c’erano le nazionali importanti – ha detto ancora Battistella dopo l’arrivo – e poi, quando la Francia ha attaccato in salita sono entrato subito e siamo riusciti ad andar via. Lì sinceramente, non essendoci le radio, ero convintissimo che ci fossero anche Trentin, Bettiol e Bagioli. Non so come sia stata la dinamica dietro, perché non avendo la radio appunto non ho capito, però fortunatamente poi siamo riusciti a rientrare e fare una top 5 con Trentin».

Casco Limar personalizzato per “Samu Batti”, corridore dell’Astana
Casco Limar personalizzato per “Samu Batti”, corridore dell’Astana

Radio e lavagne

E qui il discorso passa al tema delle comunicazioni in corsa, perché l’assenza delle radio per 2-3 giorni all’anno sembra davvero un grande controsenso. Al punto che Rota davanti non sapeva dell’arrivo di Trentin e Trentin dietro non sapeva di avviarsi allo sprint per l’argento e il bronzo.

«Noi avevamo punti di informazione ai due box – ha spiegato Battistella – poi c’erano Zana e Sobrero sul ponticello ai 4 chilometri, con lavagne su cui scrivevano cosa dovessimo fare. Ma senza radioline è un casino. Quando dopo 250 chilometri provi a leggere una lavagna, di sicuro non è facile. Però sono soddisfatto di me e della squadra. Molti avevano detto che non eravamo all’altezza, però penso che abbiamo dimostrato di esserlo stati. Magari è mancato il podio, però abbiamo lavorato bene tutti insieme».

Bais primo per i chilometri in fuga. Ma ora vuole di più

31.05.2022
4 min
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Se l’obiettivo delle squadre di Savio – quest’anno Drone Hopper-Androni Giocattoli – è da sempre quello di salire sull’ultimo podio del Giro d’Italia, la missione si è compiuta anche quest’anno. Filippo Tagliani si è portato a casa la classifica dei traguardi volanti, Mattia Bais quella dei chilometri in fuga. Sembrano lontani anni luce i giorni in cui Mauro Vegni disse che al Giro non importa dei corridori che vanno in fuga. La pace ritrovata ha visto i corridori guidati da Ellena e Spezialetti buttarsi in tutte le fughe possibili, a cominciare dai giorni ungheresi, quando la coppia Bais-Tagliani si guadagnò l’onore delle cronache e il nostro articolo sul tema.

«Sembra passato tantissimo tempo da quei giorni – ha detto Bais a fine Giro – adesso si sente la fatica. Gli ultimi giorni ero stanco, però ho provato a dare tutto nelle due tappe di montagna prima di arrivare a Verona. E’ stato un Giro in cui ci ho provato parecchie volte, ma non sono mai riuscito a prendere un’occasione buona per arrivare al traguardo. E’ stato un po’ chiuso, perché tante fughe sono arrivate, ma si trattava dei big. E un po’ mi dispiace. Però va bene che ho tenuto la classifica dei chilometri in fuga, Mentre Pippo ha preso quella dei traguardi volanti…».

Gianni Savio ci teneva: «Voglio la prima fuga del Giro». Bais e Tagliani lo hanno accontentato
Gianni Savio ci teneva: «Voglio la prima fuga del Giro». Bais e Tagliani lo hanno accontentato

Costruendo il futuro

Seguendo le parole di Jacopo Mosca su giovani, attaccanti e gregari, Bais risponde appieno ai requisiti di corridore che ha imparato il modo per mettersi in luce e nel frattempo misurare le sue capacità e sarebbe anche pronto per un primo salto di qualità. Il suo contratto con la Drone Hopper scade alla fine di quest’anno e, tra conferma o nuove sfide, probabilmente questo Giro d’attacco si trasformerà in un solido biglietto da visita.

«Bisogna provare e riprovare – dice – perché poi il giorno che arriva il risultato la gente si ricorda. Oppure vanno a vedere anche che cosa hai fatto prima. Quindi esserci sempre è già un buon segno. Dopo ci vuole anche fortuna e sperare che vada tutto bene. Io ho sempre corso così, non mi viene difficile. E’ sempre stata mia caratteristica correre all’attacco, tutti i miei risultati li ho ottenuti così. Perciò per ora continuo a questo modo e in futuro si vedrà. Comunque mettere sempre la faccia al vento aiuta anche a crescere».

La metamorfosi

Ellena si è fatto un’idea chiara del ragazzo e sorridendo lo definisce nel pieno di una metamorfosi tecnica che potrebbe portarlo proprio a trovare una nuova dimensione.

«L’anno scorso – spiega il tecnico piemontese, che rientrerà in corsa al Giro dell’Appennino – Mattia era l’uomo sempre in fuga. Quando anche questa volta ci siamo resi conto che quella classifica delle fughe fosse al sicuro, perché aveva un grande margine, gli ho detto di ragionare sul 2023 e di provare a pensare a qualche fuga che potesse arrivare. Poi per mille motivi non c’è riuscito, per gambe e per naso. Certe cose ti riescono al primo colpo se sei un fuoriclasse, altrimenti le impari sulla tua pelle. Chiaro che certe fughe non fossero alla sua portata, per altre ha sbagliato i tempi. A Genova avevamo detto in radio che la fuga sarebbe partita dopo il traguardo volante. Zardini è riuscito a entrare per il rotto della cuffia. Mattia aveva già fatto due scatti prima e si è fatto trovare in coda al gruppo».

A Verona, Bais è stato premiato per la classifica dei chilometri in fuga, vinta su Tagliani e Rosa
A Verona, Bais è stato premiato per la classifica dei chilometri in fuga, vinta su Tagliani e Rosa

«Però va detto che in tutto questo Giro – continua Ellena – ci sono mancati Grosu e Restrepo, anche oltre la possibilità di fare risultato. Sarebbero stati i registi in corsa, quelli capaci di spiegare più di quanto possiamo noi dall’ammiraglia. Con i corridori mi piace ragionare a lungo termine, cercando di insegnargli qualcosa, sia che rimangano sia che vadano, non mi occupo io dei contratti. Ma la mia mentalità è sempre stata questa. E Bais è un ragazzo con cui si può lavorare ancora tanto e bene».

Un terzo posto che vale oro: il gran giorno di Tonelli

28.05.2022
5 min
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Alla fine sempre di uomini si tratta, anche se certe volte osservando il gap fra atleti WorldTour e quelli professional ti viene da pensare che facciano sport diversi. Tappe come quella di ieri al Santuario di Castelmonte rimettono parzialmente in pari la bilancia. Alessandro Tonelli infatti si è giocato la corsa con Bouwman, Schmid, Attila e Vendrame, cogliendo un terzo posto che parla più di tanti altri piazzamenti di questo Giro d’Italia. Proprio lui, arrivato a tre tappe dalla fine, con una sorta di maledizione sulle spalle. Entrava sempre nella prima fuga e quella immancabilmente veniva ripresa.

«E’ stata una volata un po’ strana – ha detto a caldo – non pensavamo che l’ultima curva fosse così ad angolo retto. Due sono usciti fuori dritti, io ce l’ho fatta a curvare senza cadere e ho ottenuto questo terzo posto. Ci ho sempre provato e non mi andava mai bene. Anche oggi… La prima mezz’ora andavamo a 60 di media, andavamo da far paura. Sul Kolovrat hanno accelerato e io mi sono gestito perché sapevo di non avere quel ritmo. Ho preso il mio wattaggio, i miei valori. Sono rientrato in discesa e me la sono giocata fino all’ultimo. Ho anche provato ad attaccare, essendo il meno veloce. Avevo una buona gamba. Speriamo di averla anche domani (oggi, ndr)».

Terzo al traguardo, miglior risultato al Giro per Tonelli, bresciano di 29 anni
Terzo al traguardo, miglior risultato al Giro per Tonelli, bresciano di 29 anni

Caldo e fatica

Tappa dura, lo abbiamo già detto, da aspettarsi che fra quelli di classifica venisse giù il mondo. Invece la fuga ha preso margine e se ne è andata, grazie anche alle tirate di Affini, che la sua crono l’aveva iniziata il giorno prima verso Treviso, l’ha prolungata in questo angolo di Friuli e la concluderà finalmente a Verona con la bici più adatta.

Nel Giro in punta dei piedi della Bardiani-CSF-Faizanè, dopo i buoni piazzamenti di Gabburo si attendevano segnali dagli uomini delle montagne. E se Zana ha pagato un avvicinamento forse non ottimale alla corsa rosa, per Tonelli si trattava di infilarsi nel tentativo giusto. Le gambe c’erano, la preparazione ha dato buoni frutti, ma nessuno continuando così, se ne sarebbe accorto.

«Avevo corso tanto, prima del Giro avevo già 31-32 giorni gara. L’ultima è stato il Giro in Sicilia, quando mi hanno dato la conferma che avrei fatto il Giro. Così sono andato in altura per 12-13 giorni, ma vicino casa, in Maniva: un po’ per recuperare e un po’ anche per fare dislivello. Di sicuro non mi sarei mai aspettato tanto caldo. In Sicilia si stava bene, era ancora sopportabile. Ma già nella tappa di Potenza arrivavo in cima alle salite come se mi fossi tuffato in piscina. Ero fradicio e la stessa cosa è successa per tutta la seconda settimana. E’ stato così fino alla tappa di Cogne, a metà gara eravamo bagnatissimi e poi invece si vede che questa settimana è cambiato il tempo oppure ci siamo abituati. Era caldo anche a Torino, in realtà, ma è stata la tappa più battagliata e non c’è stato davvero il tempo di accorgersi se facesse caldo».

La fuga giusta

Ieri la fuga è andata sin da subito, ma per parecchi chilometri ha stentato a decollare. Poi, complici il gran lavoro in testa e il disinteresse del gruppo, il vantaggio è finalmente esploso fino a raggiungere i dieci minuti.

«Entravo nelle prime fughe che andavano – racconta Tonelli – ma venivano sempre chiuse e poi partiva quella buona. A Cogne la stessa cosa, nel senso che siamo partiti in 5-6 sempre con Vendrame e poi ci hanno preso dopo 50 chilometri. Ci vuole fortuna ovviamente, però capitava anche che entrassero corridori fra il decimo e il ventesimo, quindi gente forte, e il gruppo chiudeva. E poi ha continuato a entrare in fuga gente che in altre occasioni avrebbe fatto classifica, come martedì nella tappa di Salò. Quindi se non sei in ottima condizione, entrare in certe fughe non è facile».

Tonelli è arrivato al Giro con oltre 30 giorni di corsa. Lo ricordate in fuga con Rivi alla Sanremo?
Tonelli è arrivato al Giro con oltre 30 giorni di corsa. Lo ricordate in fuga con Rivi alla Sanremo?

Un fatto di fiducia

Dalla tappa di ieri, Tonelli è uscito con il terzo posto e un bel carico di fiducia che in un certo senso potrebbe dare la svolta alla sua carriera. Se come ha detto Mosca, l’imperativo per prendere il volo è farsi vedere, ieri i suoi attacchi sull’ultima salita non possono essere passati inosservati.

«Questo terzo posto conta tanto – sorride – come contava nel 2020 la tappa di San Daniele. Anche quel giorno ero l’unico “professional” in fuga e ho fatto decimo. Anche dal mio punto di vista c’è il gap fra noi e e le WorldTour, però se i corridori sono buoni, i risultati arrivano lo stesso. Una tappa così dà fiducia, certo ma se non hai fiducia dal mio punto di vista non vai avanti a fare questo sport».

Affini e De Bondt, ispirazione e rispetto sul traguardo di Treviso

26.05.2022
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L’ultima volta che Affini s’era ritrovato a fare uno sprint fu nel 2019 in Norvegia e gli andò bene, poiché vinse. Il mantovano correva ancora con la Mitchelton-Scott. La tappa aveva l’arrivo a Sandefjord. Ancora una fuga, ma di cinque. E volata vincente su Anders Skaarseth.

«E’ passato tanto tempo – riesce a scherzare Edoardo – penso però che la volata l’ho fatta bene. Io non sono molto esplosivo quindi avevo bisogno di lanciarla lunga. Penso di essere partito intorno ai 230-250 metri, sperando che gli altri fossero più stanchi. Sapevo che Dries De Bondt e Magnus Cort erano più veloci di me, ma in qualche maniera me la sono dovuta giocare e penso di averlo fatto bene».

Dopo la linea di arrivo, Affini si è preso due minuti per smaltire la delusione e poi si è raccontato
Dopo la linea di arrivo, Affini si è preso due minuti per smaltire la delusione e poi si è raccontato

Un Giro molto duro

E’ stato per un po’ piegato sulla bici, riprendendo fiato a stento. Quando poi si è sollevato e si è messo in piedi, ci ha costretto al passo indietro per guardarlo in faccia, tanto ci è parso alto. Gli occhi chiari passano da lampi di orgoglio ad accessi di delusione.

«L’idea stamattina – conferma – era quella di andare in fuga. D’altronde io non posso fare altro. Questo Giro è stato molto duro per uno della mia stazza (Affini è alto 1,92 e pesa 80 chili, ma la sensazione è che questo Giro lo abbia sfinato molto, ndr), peccato! Un’occasione mancata. Sono ancora lì e cercherò di fare meglio la prossima volta. Ancora una volta secondo. Sicuramente brucia, però continuiamo a provarci e prima o poi riuscirò a portarla a casa. Evidentemente c’è da lavorare».

Il gatto nel sacco

Questa fuga, a ben vedere è stata una figata. I ragazzi davanti hanno giocato col gruppo. Preso vantaggio, hanno capito che le squadre dei velocisti non si sarebbero dannate per riprenderli, perché altrimenti sarebbe partita un’altra fuga e sarebbe toccata a loro gestire la situazione

«Nella prima parte – spiega Affini – siamo andati full gas per prendere vantaggio. Poi abbiamo deciso di mollare un po’ fino alla salita di Refrontolo. Là in cima abbiamo deciso di accelerare e guadagnare tempo. Il piano ha funzionato molto bene. Siamo andati d’accordo sino alla fine e abbiamo mantenuto la tattica che ci eravamo dati in fuga. Alla fine nell’ultimo chilometro è iniziato un po’ il gioco. Dries è stato più veloce, ma lui è stato molto forte anche in fuga, complimenti al vincitore».

I quattro in fuga non hanno saltato un solo cambio: la loro azione è stata eccezionale
I quattro in fuga non hanno saltato un solo cambio: la loro azione è stata eccezionale

Ispirazione De Bondt

Dries De Bondt è un ragazzo sveglio, che dalla vita non ha avuto solo carezze. Per questo quando racconta la vittoria, a tratti si commuove e in ogni caso dalle sue parole traspare l’orgoglio.

«Io non sono un grande vincitore – dice – sono uno del gruppo che lavora a volte per Mathieu, a volte per Merlier oppure per Philipsen e sono felice di farlo. Vivo un sogno e ne sono consapevole. Prima di essere un pro’ ho avuto un incidente nel 2014 che mi ha fatto capire che bel lavoro sia questo. E quando poi ho vinto la prima corsa nel 2016 ho ricevuto messaggi da gente che conosceva la mia storia. Ero diventato un’ispirazione e sono orgoglioso di essere d’esempio per qualcuno».

Dries De Bondt ha 30 anni ed è professionista dal 2017
Dries De Bondt ha 30 anni ed è professionista dal 2017

«Quando finalmente sono riuscito a passare Affini – prosegue – ho lasciato che tutte le emozioni venissero dentro di me. Ci sono così poche occasioni di fare cose come queste, che è incredibile riuscirci. Anche io ho avuto degli esempi. Di certo Tom Boonen. Vederlo vincere i Monumenti e il modo in cui lo ha fatto mi ha fatto innamorare del ciclismo. Devi combattere per i tuoi sogni. Amo questo lavoro, fa vedere belle persone e bei posti. Per questo do sempre tutto per inseguire i miei obiettivi».

La crono? Forse no…

Dopo la riga e prima di fermarsi, Affini gli ha fatto i complimenti. E mentre raccontava la sua giornata in fuga e l’aver giocato con il gruppo come il gatto col topo, lo sguardo è andato alla crono di Verona. Il ritiro di Almeida e l’assenza di Ganna potrebbero spalancare la porta al gigante mantovano.

«Ma non penso che la crono sia un obiettivo realistico – ammette Affinila farò a blocco, sperando di avere la gamba giusta, ma è un percorso che non mi si addice molto. C’è un po’ di piana e molte curve, non dà molta velocità. E poi le Torricelle sono 5 chilometri al 5 per cento di media, posso cercare di non perdere troppo, ma al confronto di altri corridori più quotati, sarà molto difficile».

Poi Affini si concede a un’intervista in olandese e strappa l’ammirazione dell’inviato di Eurosport. L’abbiamo già detto, l’Olanda è la seconda casa, visto che lassù vive la sua compagna. E mentre lo ascoltiamo ripetere parole incomprensibili, il rimpianto invade anche noi. Di una cosa siamo certi: prima o poi verrà. Ha ragione De Bondt: si deve combattere per i propri sogni. Allenarsi e provare, allenarsi e provare. Affini lo sa, è solo questione di tempo.

De Gendt, la vita è un colossale cubo di Rubik

05.11.2021
4 min
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Vincere una tappa con una fuga è un po’ come risolvere il cubo di Rubik: difficile, ogni tassello deve essere al suo posto, servono applicazione, scaltrezza, studio, capacità. Il perché di questo paragone ce lo suggerisce l’estro di Thomas De Gendt, belga (pardon, fiammingo) che domani compirà 34 anni. Corridore amatissimo dal pubblico proprio per la sua filosofia di corsa (attaccare, attaccare sempre, che poi si è scoperto essere una necessità quasi fisiologica), ha parlato della sua carriera al Bikefellas Cafè di Bergamo dove ha presentato la versione italiana del suo libro: “Solo” (AlVento edizioni, originale scritto da Jonas Heyerick).

Un titolo emblematico, scelto da una casa editrice che ha così inaugurato una collana di libri in cui celebrerà gli eroi non sempre vincenti al traguardo, ma primi nel cuore del pubblico, oltre che i campioni (prossima uscita: la bio di Julian Alaphilippe).

Il cubo di Rubik

Dunque, il cubo di Rubik come una fuga per la vittoria, due delle quattro passioni di Thomas che ama anche la birra e la PlayStation. Del suo feeling con le fughe, sapevamo, della sua abilità col cubo, meno, ma proprio al Bikefellas ne ha dato prova risolvendo l’enigma con una progressione delle sue: non si capiva cosa stesse facendo, ma all’improvviso, ecco la vittoria. «Il mio record è di 29 secondi – dice – ma su c’è gente che ce ne mette 3-4».

La presentazione del libro si è svolta ieri al Bikefellas Cafè di Bergamo
La presentazione del libro si è svolta ieri al Bikefellas Cafè di Bergamo

Pro’ a 18 anni

Il cubo però può avere più di quattro facce e diventare quasi irrisolvibile. Quasi irrisolvibile, come la lettura di questa sua annata, dove ha fatto registrare i migliori livelli nonostante l’età, eppure si staccava da 70 corridori.

«Il motivo? Ormai i giovani diventano professionisti a 18 anni – spiega – non più a 22-23. Vengono seguiti con app che controllano come e quando si allenano, i valori che esprimono, che gli dicono quando e cosa mangiare. Sono tenuti sotto pressione e questa richiesta assillante di prestazioni, insieme alla loro esuberanza, rende le corse durissime. Ecco perché ho deciso di evolvermi e dedicarmi a Caleb Ewan per fargli da gregario e non pensare più alle fughe».

Con Froome nelle retrovie all’ultimo Tour, facendo i conti con il nuovo che avanza
Con Froome nelle retrovie all’ultimo Tour, facendo i conti con il nuovo che avanza

Cacciatore di fughe

Il re delle fughe che le fughe dovrà riassorbirle, giunto al crepuscolo della sua carriera si rassegna al fatto che ad un certo punto fermarsi è questione di sopravvivenza. Lui, che uno stop mentale ha già dovuto affrontarlo vivendo un periodo di depressione, che è ripartito e ha vinto ancora: cosa che altri colleghi non sono riusciti a fare. Fanno riflettere le sue parole.

«E’ facile che la carriera dei corridori di oggi e di domani si accorci – ha detto – perché se iniziano con questo spirito, non possono reggere a lungo. Penso ad Aru, a Pinot, a Dumoulin, ognuno per un motivo proprio ha dovuto alzare bandiera bianca, ritirarsi o accettare di non poter più essere protagonista».

Da sinistra, l’interprete, l’editor del libro Filippo Cauz, De Gendt e a seguire l’editore Davide Marta
Da sinistra, l’editor del libro Filippo Cauz, De Gendt e a seguire l’editore Davide Marta

Piede a terra sul Koppenberg

I valori entusiasmanti di Pogacar, Roglic, Van der Poel, Van Aert impressionano tutti e danno vita ad un ciclismo esaltante, spettacolare, dove le fughe sono anche per vincere un Tour, non solo per far vedere lo sponsor in mondovisione. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere alto.

Dire che bisognerebbe darsi una calmata rischierebbe di essere il solito discorso nostalgico, ma il messaggio per direttori sportivi, team manager, sponsor, procuratori è forte e chiaro. E poi pensare che un corridore come De Gendt riesca ad ammettere che «la mia salita test è il Koppenberg, ma mi capita di dover mettere il piede a terra» non accende quella scintilla nel cuore degli appassionati di ciclismo, che vivono più di sofferenze e di sconfitte che di trionfi e palmarès?

Il saluto a Bergamo lo fa ricordando un compagno bergamasco alla Vacansoleil, Matteo Carrara, che al Giro del 2012 lo pilotò nell’ultimo tappone fino ai piedi dello Stelvio, sede d’arrivo dopo aver scalato l’inedito Mortirolo da Tovo di Sant’Agata. L’impresa riuscì a metà: De Gendt vinse la tappa, ma dovette accontentarsi del terzo posto finale, dietro a Hesjedal e Rodriguez.

Carbonari, dalla fuga più folle del Giro è nata la fiducia

09.07.2021
5 min
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Dopo l’arrivo di Mortegliano ribolle tutto. Ribolle la strada, ribollono le panchine e ribollono gli sguardi delle velociste che dopo la riga hanno un diavolo per capello. La volata dell’ottava tappa del Giro d’Italia Donne è stata ben più confusa del solito, a capo di una tappa corsa a ritmi davvero frenetici sul filo dei 42 all’ora. E mentre nei vari capannelli le ragazze si dissetano, si spiegano e sbolliscono l’adrenalina, sul traguardo passa Anastasia Carbonari. La marchigiana ha attaccato dopo una cinquantina di chilometri e ha scelto il giorno più piatto e torrido per andare in fuga. Dopo una quindicina di chilometri l’hanno raggiunta altre due ragazze. Poteva essere un azzardo e per certi versi lo è stato. Ma alla fine per prenderle il gruppo ha dovuto tirare faticosamente fino ai 6,5 chilometri dall’arrivo. Lei ha l’aspetto sfinito e in quei 42 secondi di distacco c’è tutta la portata della resa. Quando non ce la fai nemmeno a restare a ruota, più che le gambe ha mollato la testa.

Alla partenza, due parole in tranquillità fra Lucinda Brand ed Elisa Longo Borghini
Alla partenza, due parole in tranquillità fra Lucinda Brand ed Elisa Longo Borghini

Un fatto di orgoglio

«I direttori sportivi ci avevano detto di provare – racconta – e nonostante fossimo stanche morte lo abbiamo fatto. Già essere qui è una grande cosa, sono contenta. La differenza fra le WorldTour e noi è ancora superiore a quello che succede fra gli uomini, perché qui manca anche una categoria under 23 che ci permetta di correre fra noi, senza subire la corsa delle più grandi e di conseguenza rischiare di bruciarci. Ma essere al Giro e aver preso la fuga di giornata per me è motivo di orgoglio. Una rivincita personale. Due anni fa fui investita da un’auto vicino casa. Sono rimasta a letto e poi per tre mesi col busto. Sono orgogliosa di me stessa».

Nel bar del grande hotel alle porte di Udine c’è silenzio. Anastasia racconta e la mascherina fa sì che i suoi occhi chiari sparino come fari. Il discorso va avanti, mentre fuori la luce parla ancora di caldo a non finire.

Le tre in fuga nel circuito di Mortegliano: il Veneto ha accolto bene il Giro
Le tre in fuga nel circuito di Mortegliano: il Veneto ha accolto bene il Giro

Somma di esperienze

Il primo Giro non si scorda mai e forse alla fine sarà davvero così. La differenza di livello è tangibile: inizia dai mezzi e si arresta brutalmente sul livello atletico delle ragazze.

«Venire qui al Giro per me è una grande esperienza – dice – non avevo mai fatto una corsa a tappe così dura. Di solito corriamo in Italia, fra le élite abbiamo fatto Cittiglio e Strade Bianche, è un altro mondo. Io dico che le prime fanno un altro sport. Venire qui significa soprattutto confrontarmi con la realtà che sognavo da bambina. Vedere come si muovono le big è un’esperienza. Per questo stamattina ero molto motivata, lo dovevo a me stessa. Mi sono detta che dovevo farcela, perché non sono inferiore a nessuna».

Le moto intorno

Così se ne è andata dopo il traguardo volante e in quei 15 chilometri da sola a un certo punto ha pensato di averne fatta un’altra delle sue.

«Mi capita spesso di fare attacchi da matta – sorride – ma quando ho visto che avevo davanti le moto e accanto la telecamera, davvero è il sogno di una bambina che stava avverando. Sapevo che ci avrebbero riprese, anche perché le energie erano al lumicino. Però a un certo punto ci ho sperato. La prima cosa che ho detto quando sono arrivata, è che non so se domani avrò la forza per ripartire, ma lo finirò questo Giro. E poi non so se mi mancherà, ma di certo un po’ mi riposerò e poi andrò a Livigno con le mie compagne».

Sul palco con Anna Van der Breggen c’è Yanira, mamma di Silvia Piccini
Sul palco con Anna Van der Breggen c’è Yanira, mamma di Silvia Piccini

E ora si cresce

Miracolo di una fuga ben fatta. Nello sguardo ha tanta fiducia quanta forse non ne avremmo visto neppure stamattina alla partenza. E adesso il suo calendario prevede il Tour de l’Ardeche, poi il Giro di Toscana e quello delle Marche organizzato dalla sua squadra, la Born to Win. Il presidente Baldoni oggi è arrivato in corsa e avrà trovato qualche buon motivo per essere a sua volta soddisfatto. La tappa a Mortegliano l’ha vinta Lorena Wiebes. Ma forse stasera abbiamo incontrato una ragazza più contenta di lei. Chissà se gli osservatori delle squadre più grandi avranno preso nota di quel numero 71 in fuga…

intermarche

Il giorno di Taco, signore solitario di Canale

10.05.2021
3 min
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«Taco non significa un bel niente – dice ridendo Van der Hoorn parlando del suo nome – credo abbia a che fare con la sfera del cibo, ma più semplicemente credo che i miei genitori mi abbiano chiamato così per un giocatore di hockey di cui erano tifosi».

Pellaud è stato l’ultimo a resistergli e anche un ottimo compagno di fuga
Pellaud è stato l’ultimo a resistergli e anche un ottimo compagno di fuga

Pescato il jolly

Quando è passato sul traguardo, l’olandese aveva lo sguardo incredulo. Si è voltato due o tre volte, poi si è portato le mani sul volto. Un metro e 87 per 72 chili, nato a Rotterdam, la sua non è una storia di campione. Non vinceva dalla Primus Classic del 2018. Era il 15 settembre e nella corsa che si svolgeva in Belgio, a Brakel, si lasciò indietro Duijn e Frison: avversari rispettabili, ma non certo irresistibili. La vittoria di Canale è la quarta di una carriera iniziata nel 2017 alla Rompoot. Il ragazzo dai capelli biondi e le gambe come stecchi ha 27 anni, occasioni ne avrà certo altre, ma stamattina alla partenza si potevano fare tutti i nomi, ma pochi avrebbero fatto il suo. Però quando si è trovato lì, non ha fatto scappare neanche le mosche. E quando staccando Pellaud si è reso conto di essere il più forte, ha aspettato il momento giusto ed è andato a prendersi il suo sogno.

Sul palco per Taco una gioia ancora al limite dell’incredulità
Sul palco per Taco una gioia ancora al limite dell’incredulità
Vieni da due anni alla Jumbo Visma e appena ti lasciano libero, vinci una tappa al Giro. La nuova vita è meglio della precedente?

E’ tutto diverso, in realtà. Ho imparato a stare vicino ai miei leader ed era bello lavorare per un campione come Van Aert. Ma andare in fuga è quello che mi è sempre piaciuto di più. E’ bello riuscire a prendere la fuga e ragionare per tutti quei chilometri su me stesso e sugli avversari.

Hai vinto con 4 secondi, si potrebbe dire che tu sia stato fortunato…

In realtà quando me l’hanno detto, ho avuto un sussulto. Strano perché nell’ultimo chilometro mi sono voltato spesso e non c’era nessuno. Li ho visti soltanto alla fine, ma erano abbastanza lontani perché io potessi fare un po’ di festa. Forse per questo alla fine il vantaggio è sceso così tanto.

Quattro vittorie finora, questa la più importante…

Per un come me è difficile vincere. Sono lento per battere i velocisti, peso troppo per battere gli scalatori e di certo non batterò mai Ganna in una crono. Le corse ormai sono super controllate, per cui pescare l’occasione giusta non è affatto semplice.

Quando infine ha deciso di andare da solo, Taco ha aperto il gas e via…
Quando infine ha deciso di andare da solo, Taco ha aperto il gas e via…
La Intermache-Wanty-Gobert è al primo anno WorldTour, la vittoria ci sta davvero bene, no?

Stiamo correndo nel modo giusto, abbiamo fatto un bello step tecnico. Eravamo andati vicini a vincere in un paio di occasioni, finalmente ci siamo riusciti.

Immaginavi una fuga come questa stamattina?

Il mio grande obiettivo era azzeccarne una, ma se dicessi ce avevo previsto tutto questo, sarei bugiardo. Di certo volevo andarmene e sono stato tra i primi ad attaccare. Poi non mi aspettavo che finisse così

Lo sai che dietro non tutti sapevano che tu fossi ancora davanti?

Meglio così, no? Io lo sapevo (ride, ndr), questo mi basta. E credo che adesso lo sappiano anche gli altri.

Tonelli

Tonelli, il passista sempre più scalatore

27.10.2020
3 min
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Alessandro Tonelli, fughe e buona volontà. Il corridore della Bardiani-CSF Faizané lo abbiamo spesso visto nella mischia. In particolare, verso Monselice sugli strappi dei Colli Euganei è stato l’ultimo ad essere stato ripreso dal gruppo, portato su anche dal caloroso tifo che ha da quelle parti.

Alessandro, bresciano, 28 anni, ci parla della sua corsa rosa.

Che Giro è stato?

E’ stato un bel Giro ma difficile, molto duro. Il pubblico, nonostante fosse presente, era poco rispetto al mio primo Giro nel 2018. Ogni giorno una marea di gente. Un vero spettacolo. La cosa bella è che alla mattina, prima del via, con gli altri corridori ci ritrovavamo nelle aree hospitality e chiacchieravamo, scherzavamo. Quest’anno invece bus, presentazione, partenza. Quasi sempre a tutta. Senza contare che qualche contatto in più con l’esterno ce lo avevamo. Comunque siamo riusciti a portarlo a casa e va bene così.

Eri preparato perciò a questa terza settimana così impegnativa?

Nel 2018 mi fermai proprio prima dell’ultima settimana per una forte gastroenterite. Questa volta non sapevo come avrebbe reagito il mio corpo, ma a conti fatti dico che è andata bene. Mi sentivo meglio nell’ultima settimana piuttosto che all’inizio.

Perché: “poco” allenamento? Correre per più giorni con le WorldTour ti dà un altro passo?

No, non credo dipenda dal fatto che ci si alleni poco o che si acquisisca il ritmo WorldTour, ma perché sono riuscito a mantenere i miei valori costanti. E’ un po’ il discorso che si fa con Nibali, fatte le dovute proporzioni. Magari ho meno picchi, ma anche meno down.

La Bardiani era la squadra più giovane. Per loro 1.700 chilometri di fuga
Al Giro la Bardiani ha percorso 1.700 chilometri in fuga
A proposito dello Squalo. Ha ragione lui a dire che sono le nuove leve ad andare forte o è Nibali che è andato piano?

Sono le nuove leve che vanno forte. Basta guardare i tempi di scalata delle salite e i ritmi imposti. Non c’è stato un giorno in cui si è andato piano. Forse nella tappa di Vasto, ma nella prima ora abbiamo fatto 51 e passa di media. E venivamo dalla frazione più veloce della storia del Giro a Brindisi. Per me questi nuovi ragazzi sono più freschi e recepiscono meglio i nuovi programmi di allenamento. Riescono ad esprimerli meglio.

Eri in gruppo e li ha visti pedalare anche in momenti di fatica: chi ti ha colpito?

Jai Hindley, un po’ lo conoscevo e non mi aspettavo un salto di qualità del genere. Ha fatto 3-4 giorni incredibili. E poi, anche se non è giovane, Rohan Dennis. Nelle prime due settimane era dietro a fare gruppetto e poi ha fatto vincere il Giro a Geoghegan Hart.

E tu cosa puoi fare per vincere? Una tappa o una corsa, s’intende…

La mia caratteristica è quella di attaccare e di arrivare massimo in due o tre, perché non sono veloce. E non ho neanche quel cambio di ritmo devastante, però ho una buona tenuta e una buona costanza di rendimento. Se guardo indietro sono soddisfatto del mio Giro. Sono entrato in quattro fughe, ho fatto una top ten e in salita riuscivo a tenere quando restavano una ventina o poco più di corridori.

E questo ti dà fiducia nel prossimo anno?

Sì, è un bello stimolo. Soprattutto per lavorare bene in salita. Essendo un po’ calato di peso durante il Giro sento di averne guadagnato in resistenza quando la strada sale, ma anche di aver perso qualcosa in pianura. Devo trovare il giusto compromesso. Se prima si parlava delle mie caratteristiche posso dire che se a metà anno ero più passista che scalatore adesso è il contrario.

Quanto peso hai perso durante il Giro?

Un chilo e mezzo: sono passato da 67,5 a 66 chili.

Tappa di Monselice: eri davanti a giocartela…

Sia lì che a San Daniele sono stai dei bellissimi momenti. A Monselice mi hanno ripreso a 15 chilometri dall’arrivo. Conoscevo bene quelle strade in quanto ho corso per tre anni alla Zalf e salire per quelle rampe con tutta quella gente che mi incitava sono sensazioni che porto ancora con me. A San Daniele discorso simile: ho fatto decimo, ma nel finale proprio non avevo più le gambe. Sono contento di questa terza settimana, come ripeto, per come ha reagito il mio corpo. Mi dispiace di non essere riuscito ad azzeccare altre fughe.

I prossimi obiettivi?

Il sogno è quello del WorldTour: lo so bene io, lo sa la mia squadra. Prima però devo dimostrare quanto valgo e trovare una certa continuità di rendimento e di piazzamenti. Per l’anno prossimo sarò ancora alla Bardiani.