LECCO – Il ciclismo come lo viviamo oggi è sempre più veloce, ma è bello ed emoziona. Ci vuole equilibrio nel fare le cose e capire cosa ti chiede il tuo fisico. Abbiamo incontrato Simon Pellaud nella giornata che ha anticipato Il Lombardia, di ritorno dalla Malesia e pronto gettarsi nella mischia dell’ultima classica di stagione.
Con lui abbiamo affrontato il tema di questo ciclismo moderno, che è cambiato tanto e che evolve senza soluzione di continuità. Ritagliarsi un ruolo e capire cosa fare al momento opportuno, aspetti importanti per stare bene ed avere una carriera longeva.
In questi anni il ciclismo è cambiato?
Tantissimo. Il ciclismo è cambiato parecchio, nei materiali per via di una ricerca estrema, spesso anche noi atleti siamo coinvolti nello sviluppo delle nuove bici, ma anche da parte degli stessi corridori, soprattutto quelli più giovani. Ma sono cambiate anche le tattiche di gara, soprattutto nelle corse di un giorno. Prima era difficile trovare un corridore in fuga con la maglia di un team top level, ora invece è la normalità.
Sono i motivi principali delle medie orarie sempre più elevate?
Sicuro, perché tutte le squadre vogliono piazzare un uomo nel gruppo di testa ed il contachilometri va sempre più su. Ma al tempo stesso ogni gara è diventata come una lavatrice che gira fortissimo ed inevitabilmente, ad un certo punto ti sbatte fuori.
Un modo di evitare lo scontro direttO con i grandi protagonisti?
Penso che è un modo per farsi vedere e far vedere la maglia, come è sempre accaduto, ma si, è un modo che permette di azzardare qualcosa, aggirando lo scontro diretto. Avere a che fare con Roglic, Pogacar e altri di questo calibro, non è facile.
Hai 31 anni, ti senti vecchio?
Non mi sento vecchio, perché mi sento ancora capace e ho voglia di fare fatica. In alcuni momenti capisco il valore aggiunto dell’esperienza degli anni vissuti ed è un boost importante che mi aiuta ad andare avanti con serenità.
Questione di equilibrio?
Si, in un certo senso è così, è anche una questione di equilibri e capire fino a dove posso arrivare. Mi sono reso conto che non ho i numeri da extraterrestre di alcuni fenomeni di oggi, ma riesco a fare delle buone performance protratte nel tempo. Sono uno di quei corridori che vanno bene un po’ ovunque. Per la tipologia di atleta che sono le opportunità di vittoria, oggi come oggi, si riducono, ma è ancora possibile mettersi in mostra.
Capire quando è il momento giusto per la fuga?
Il momento giusto per la fuga e farsi vedere, il momento giusto per dare una tirata in testa al gruppo e lavorare per i compagni, o magari allungare in discesa. Il momento giusto per stare al coperto e vedere cosa succede davanti.
Ti piacerebbe tornare a fare le tue cavalcate al Giro, davanti a tutti?
Di sicuro se il prossimo anno farò il Giro d’Italia, mi vedrete la davanti. Sono cosciente che non potrò fare gli stessi numeri di quando ero alla Androni, come dicevo il ciclismo è cambiato e cambierà molto, ma andare all’attacco è qualcosa che mi appartiene.
Quanti giorni di gara hai nelle gambe?
Considera che noi come Tudor non abbiamo fatto i grandi Giri. Io sono il corridore che ha corso di più e chiuderò il 2023 con più di 70 giorni di gara, che è molto. Mi piace allenarmi, ma sono un corridore e mi piace di più competere. Io dico sempre ai miei direttori sportivi, se sto bene voglio correre e posso aiutare gli altri.
Come gestirai il riposo in vista del prossimo anno?
Di solito faccio un mese, ma non mi piace staccare completamente, preferisco rimanere attivo. Se faccio tre giorni consecutivi di spiaggia e senza fare nulla, divento matto. Esco in bici molto tranquillamente, senza watt e magari solo per prendere un caffè, qualche volta con la mtb in mezzo alla natura. Vado a camminare, l’importante è rimanere con la testa libera. Con tutta probabilità questo inverno rimarrò in Europa con mia moglie, negli ultimi anni ci spostavamo in Colombia.
Dopo il Giro in cui ha vinto la classifica dei chilometri in fuga, Mattia Bais prova a cambiare modo di correre. Ora cercherà fughe che possano arrivare
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MORZINE – Lo aveva detto al via, raccontandoci in un video quello che avrebbe voluto fare. Per questo, quando abbiamo visto Giulio Ciccone portare via la fuga, abbiamo pensato che forse da italiani avremmo vissuto una bella giornata. Ne avremmo tanto bisogno, ma dovremo accontentarci del trofeo del più combattivo (foto di apertura). Infatti gli uomini di classifica hanno deciso che oggi si sarebbero giocati la tappa e la fuga non è mai andata davvero. Anche se dentro non c’erano soggetti pericolosi.
E’ andata storta, insomma?
Era una tappa importante. Pensavamo che si potesse entrare nella fuga con le gambe e che si andasse all’arrivo. Le gambe c’erano, abbiamo provato, però non era la giornata buona. Abbiamo toppato, però alla fine questo è il ciclismo e non ci possiamo fare niente. Proveremo ancora nei prossimi giorni.
Mai arrendersi, no?
Ho provato a prendere qualche punto per la maglia a pois (al momento Ciccone è quarto, ndr) e abbiamo ancora una missione, quindi riproveremo. E’ un Tour veramente particolare. Ci sono delle giornate dove la fuga sembra non andare mai. Si va fortissimo e magari poi va di colpo. Ho tentato mille volte e non ci sono riuscito e oggi che invece è andata via di gambe, è mancata la fortuna. Le squadre dietro hanno deciso che non fosse il giorno.
E domani?
Voglio riprovarci, vincere una tappa è il mio obiettivo principale e non voglio arrivare a Parigi con un rimpianto.
Quanto andavano forte quando ti hanno ripreso?
Fanno un ritmo diverso. Quando sei in fuga prendi l’aria e tiri continuamente, mentre gli uomini di classifica fanno un ritmo forte e costante, ma stanno a ruota. Sono due modi di correre completamente diversi. Quando mi hanno preso, erano rimasti in pochi, quindi il ritmo che si stava facendo era già alto.
Perché si può parlare di una tappa anomala?
Pochissime volte avevo visto una situazione così. Nella fuga non c’era nessuno di troppo pericoloso, il primo era Pinot, che però ha parecchi minuti. Però hanno deciso…
Quando ti hanno ripreso, sei riuscito a gestirti?
Non essendo in classifica, dovevo essere anche intelligente a salvarmi per i giorni successivi. E domani è un altro giorno, siamo qui per riprovarci…
ROMA – Nell’ammiraglia della Cofidis, affianco a Roberto Damiani, c’era Noemi, la fidanza di Thomas Champion. Il diesse lombardo lo ha definito un attaccante vecchio stile. Un coraggioso. Un corridore che in questo ciclismo super ponderato ci sta bene. «Ne servirebbero di più come lui», ha detto il tecnico.
Abbiamo imparato a conoscere questo ragazzo filiforme nel corso delle 21 tappe che da Fossacesia ci hanno portato a Roma e lo abbiamo fatto soprattutto per le sue fughe, i suoi attacchi, grazie ai quali è salito sul podio dei Fori Imperiali. A Thomas infatti è andato il premio “La Fuga”: con i suoi 650 punti ha preceduto Derek Gee, altra novità di questo Giro.
Thomas Champion (classe 1999) era al suo secondo grande GiroRoberto Damiani in ammiraglia a Roma ha concesso un viaggio privilegiato a Noemi, compagna di ThomasChampion con la sua famiglia, che lo ha raggiunto a Roma
Sì, davvero un bel Giro. Mi sono divertito molto sulle strade italiane. Il Giro è il grande tour che volevo assolutamente fare e penso di averlo fatto bene. Con la squadra, non avevamo nessuno per la classifica generale, quindi avevamo la libertà di poter attaccare, di prenderci dei giorni di “pausa” o di provare a resistere in montagna, se volevamo provare a ottenere un risultato ed è stato davvero piacevole correre con questi presupposti.
E tu li hai sfruttati.
Ero in testa alle classifiche della Fuga e degli sprint intermedi… Ho lottato per entrambi. Alla fine questo era il mio secondo grande Giro. Ho 23 anni, sono abbastanza giovane ed è buono in prospettiva.
Cosa sapevi del Giro d’Italia prima di venirci?
Era il grand tour che volevo assolutamente fare, anche più del Tour de France… e non so perché, ma l’Italia è bella. E’ il Paese delle Dolomiti. Volevo andarci, scoprirle…
Il francese della Cofidis è entrato nella prima fuga del Giro verso San Salvo. Poi altre quattro fughe buone e altri tentativiIl francese della Cofidis è entrato nella prima fuga del Giro verso San Salvo. Poi altre quattro fughe buone e altri tentativi
Beh, le hai scoperte. Come le hai trovate?
Molto dure! Ma in generale i vostri paesaggi, il cibo, la gente per le strade, gli spettatori, i paesini (come nella foto di apertura, ndr)… È stato pazzesco. Alla gente piace andare in bicicletta qui e capiscono quando sei un corridore. Quindi cosa dire: amo l’Italia, ha delle corse molto belle.
I senatori cosa ti avevano detto del Giro?
In realtà non troppo. Io sono arrivato abbastanza tardi alla bici da strada. Prima andavo in mountain bike e non seguivo molto la strada. Ho iniziato a seguire il ciclismo dai tempi di Froome, Quintana…
Thomas, hai detto che volevi vedere le Dolomiti, ma c’è stato un paesaggio che ti è piaciuto particolarmente?
L’arrivo di Campo Imperatore mi è piaciuto molto. Ma anche Crans Montana, non era l’Italia ma non importa, era sempre montagna e io adoro questi paesaggi. Il passo prima di Crans, non ricordo il nome (Croix de Coeur, ndr) era pazzesco, con la neve a lato, il pubblico. Ma in generale è stato bello, spesso abbiamo visto anche il mare.
A proposito di mare. A Napoli l’hai mangiata la pizza?
No, ma Giorgio, il nostro cuoco, è italiano, quindi ci ha preparato la pizza nel giorno di riposo.
Thomas è rimasto affascinato dalle montagne, soprattutto dalle DolomitiThomas è rimasto affascinato dalle montagne, soprattutto dalle Dolomiti
Scherzi a parte, che tipo corridore è Thomas Champion?
Direi scalatore. O almeno, da dilettante ero uno scalatore. Tra i professionisti è diverso. Almeno per ora, anche se sono al 100% delle mie possibilità, non mi è possibile vincere in montagna, a meno che non sia in una fuga. Contro i leader non è possibile. Quindi penso di essere un passista-scalatore o qualcosa del genere perché comunque mi piace fare lunghi sforzi, andare in fuga, lavorare con la squadra… Spesso mi fanno tirare in testa al gruppo nelle gare di livello inferiore, ma faccio molto e mi piace questo tipo di sforzo, quindi diremo corridore, scalatore abbastanza tenace.
Hai mostrato un’ottima condizione: come ti sei preparato per questo Giro? Avevi fatto anche un po’ di altura prima di venire in Italia?
In realtà per niente. Io, sono stato chiamato tre giorni prima…
Veramente?
Sì, si… mi è stato detto all’inizio della stagione che dovevo fare il Giro d’Italia ma poi mi hanno detto che non ci sarei più venuto. Abbiamo cambiato i piani con la squadra. Quindi ho fatto i Paesi Baschi, il Romandia… e sono arrivato al Giro già un po’ stanco.
E’ chiaro… Quando hai saputo dunque che avresti fatto il Giro?
La sera della tappa più dura del Romandia. Mi chiamano e mi dicono: “Cosa fai il mese prossimo?”. Perché vai al Giro…”.
Thomas ha accumulato 650 punti, 167 in più di GeeThomas ha accumulato 650 punti, 167 in più di Gee
E tu?
Ho detto: accidenti! Se lo avessi saputo prima avrei cambiato il mio avvicinamento. Alla fine mi sono ritrovato al Giro all’improvviso, mal preparato. Per fortuna la forma è stata buona fino alla fine, dispiace solo che poteva essere migliore.
Visti i tuoi tanti attacchi con una condizione migliore, magari una tappa la portavi a casa…
Non possiamo saperlo…
Da quale parte della Francia vieni?
Dalle Alpi, Aix les Bains, Chambery non sono lontano dalla Svizzera..
Zone del Delfinato…
Sì del Delfinato, del Tour…
C’è qualche corridore che hai ammirato in questo Giro?
Direi Geraint Thomas. Lui è un leader perfetto, con carisma, esperto e la sua Ineos Grenadierscorre veramente bene. Non lo conosco, ma mi è sembrato gentile quelle volte che ci sono capitato vicino.
Se il ciclismo fosse una partita di poker, Samuele Zoccarato sarebbe sempre all-in. Da inizio anno il classe ’98 della Green Project Bardiani-CSF Faizanèha già collezionato ben 1.022 chilometri in fuga (primo nel ranking). Un dato curioso che dice tanto sull’interpretazione che il campione italiano gravel dà alle corse. Un’indole da attaccante che non abbraccia la sfrontatezza, bensì una pragmatica visione del ciclismo in cui si trova.
Secondo Samuele infatti il divario tra WorldTour e professional è così ampio che l’ultima spiaggia è quella del fuggitivo. Un aspetto che non si allontana così tanto da quella che è la trama narrata dalla sua squadra. Non a caso i “verdi” sono i primi anche come team in questa statistica con ben 3.218 chilometri in avanscoperta.
Zoccarato in fuga ha sempre trovato i suoi risultati miglioriZoccarato in fuga ha sempre trovato i suoi risultati migliori
Samuele, partiamo con il chiederti se sei soddisfatto di questo inizio di stagione…
Bella domanda. Non posso ritenermi così soddisfatto, ma neanche da buttare via. In alcuni casi è mancata un po’ di fortuna e in altri non ero al top io. In ogni corsa ho cercato di dare il massimo.
Quali sono i tuoi obiettivi prossimi?
Il primo blocco si sta per chiudere con il Giro di Sicilia in programma dall’11 al 14 aprile. Poi, in teoria, dovrei andare al Giro quindi due settimane piene di preparazione. Dobbiamo decidere se allenarci per bene a casa oppure andare in altura.
Come mai questo dubbio?
La questione dell’altura non è così semplice perché è vero si hanno dei benefici a livello fisico, ma è anche vero che serve qualche giorno per ambientarsi prima di allenarsi al top. Poi c’è l’incognita meteo, ad aprile non si dà per scontato che a quelle altitudini ci sia sempre il bel tempo. Sono ancora in fase di valutazione, se dovessi decidermi per il sì, andrei al Passo Pordoi o a Livigno.
Samuele Zoccarato è nato a Camposampiero (Padova) il 9 gennaio 1998. E’ pro’ dal 2021. E’ alto 1,83 per 74 chiliSamuele Zoccarato è nato a Camposampiero (Padova) il 9 gennaio 1998. E’ pro’ dal 2021. E’ alto 1,83 per 74 chili
Veniamo alla statistica che ti riguarda. Spiegaci questi 1.022 chilometri in fuga da inizio anno (23 giorni di corsa)…
Ci son vari tipi di fughe. A partire dalla classica fuga televisiva che serve per fare vedere la maglia o anche per allenarsi, come può essere per la Sanremo o al UAE Tour. Sono quelle fughe che al 95 per cento non vanno all’arrivo. Poi ci sono lefughe che hanno il risultato ancora da scrivere. Ad esempio alla Tirreno non stavo benissimo, ma comunque a San Benedetto del Tronto ci hanno ripreso ai meno 3 dall’arrivo, quindi con un finale molto incerto che poteva in qualsiasi momento andare a favore di noi fuggitivi. In qualsiasi caso è chiaro quando si è in fuga si pensa sempre di andare all’arrivo.
Pensi che la tua sia un’indole o un’esigenza per dire la tua?
Con le caratteristiche che ho, è una delle carte migliori che mi posso giocare. Con un arrivo in salita, magari su uno strappo, posso anche vincere se mi avvantaggio con un attacco anticipato. Il mio modo di correre comunque si sposa con l’indole della mia squadra. La Green Project-Bardiani ha sempre corso così, all’attacco.
Un anno fa ci confidasti che Reverberi ti aveva chiesto di provare a fare qualche classifica generale. E’ ancora un tuo obiettivo?
Per la classifica generale bisogna andare forte sempre su tutte le salite. Su un ipotetico gruppo di 180, non so se riesco a rimanere con gli ultimi dieci corridori più forti del gruppo. Magari può essere un ottimo modo per racimolare qualche punto UCI, con la lotta sempre più presente all’ordine del giorno. Però pensare solo alle classifiche generali la vedo dura. A meno che in una corsa a tappe con una fuga, non riesca ad avvantaggiarmi e a guadagnare minuti preziosi in classifica.
Zoccarato sarà presente al prossimo Giro di Sicilia: qui con la maglia della montagna della ValencianaZoccarato sarà presente al prossimo Giro di Sicilia
Parlando con Tarozzi, lui ci ha raccontato che va in fuga perché in gruppo ci si annoia. E’ così anche per te?
Di sicuro rende più entusiasmante tutta la corsa. Alla Sanremo mi sono annoiato i primi chilometri anche in fuga, ma dopo il Turchino e la discesa verso Genova è stato tutto molto veloce e divertente. In gruppo si corre molto di più sulle ruote e, ad essere sinceri, è anche più difficile gestirsi. C’è più nervosismo che poi porta anche a dimenticarsi di mangiare.
Che obiettivi hai per il Giro?
Vivo alla giornata. L’unica nostra possibilità è quella di andare in fuga e si torna al discorso di prima. Se ci si deve giocare una tappa in gruppo, ci sono sempre i 180 pretendenti, mentre se trovi quelle tappe che la fuga ha il via libera, ci si ritrova faccia a faccia in 15. Il gioco delle probabilità è indubbiamente più vantaggioso.
La ricerca del risultato è quindi vincolata all’attaccare?
Nelle corse di alto livello è oggettivamente impossibile per noi fare risultato. Mentre nelle corse dove magari c’è un livello meno esasperato dalle WorldTour, abbiamo più possibilità di fare il risultato. Possiamo quindi provare a non subire la corsa, ma farla.
Samuele Zoccarato vincitore della classifica degli scalatori alla Volta Valenciana (foto Green Project-Bardiani-CSF Faizanè & Sprint Cycling)Samuele Zoccarato (a destra) vincitore della classifica degli scalatori alla Volta Valenciana (foto Green Project-Bardiani-CSF Faizanè & Sprint Cycling)
Hai una visione razionale rispetto alle corse insieme alle WorldTour?
C’è un gap assurdo tra WorldTour e professional. Quando vedi gli squadroni con la miglior formazione schierata, sai che non lasceranno scampo a nessuno e a vincere saranno sempre gli stessi. Ne parlavo proprio ieri in allenamento con Oss, anche lui ha notato questa cosa. Nelle gare di alto livello le squadre a vincere e a fare la corsa sono sempre le stesse. Non c’è tattica che regga. Si può partire per fare quinti, ma non per vincere.
Raccontaci questa maglia degli scalatori conquistata alla Volta a la Comunitat Valenciana…
Era la prima volta che provavo a fare la classifica dei GPM. E’ venuta un po’ per caso. Ero andato in fuga alla seconda tappa che strizzava l’occhio a noi attaccanti perché era molto nervosa e presentava diversi strappi duri. Il problema è che siamo riusciti ad andare in fuga solo in cinque e quindi sapevamo fin da subito che sarebbe stata dura arrivare. A quel punto ho deciso di provare a fare la classifica degli scalatori. In pratica ho battagliato solo quel giorno per la maglia, perché poi alla quarta tappa avevo talmente tanti punti che nessuno provava a fare la volata sui gran premi della montagna.
Samuele Zoccarato è campione italiano gravel: ha conquistato il tricolore nel 2022 ad ArgentaSamuele Zoccarato è campione italiano gravel: ha conquistato il tricolore nel 2022 ad Argenta
Non parti mai con questi obiettivi di maglia quindi…
Sono dinamiche che si capiscono durante la corsa. Al UAE Tour ho provato a fare la classifica dei traguardi volanti. Quando ho visto che il mio avversario era dieci volte più veloce di me, mi sono accontentato del secondo posto.
E alla maglia blu del Giro, ci hai mai pensato?
Direi che al Giro d’Italia è impossibile. Ci sono talmente tanti arrivi in salita o GPM nel finale di tappa, quando davanti ci sono i contendenti della classifica generale, per uno come me risulta impensabile. Nelle prime tappe sarebbe sicuramente un piccolo obiettivo che mi piacerebbe raggiungere.
Domanda obbligatoria per il campione italiano gravel. Ti stai preparando per la stagione offroad?
Adesso la testa è al Giro e quello ha la priorità. Dopo avrò modo di valutare un avvicinamento mirato. Intanto esco ancora con la gravel, magari nei giorni di scarico per divertirmi e staccare un po’ la testa.
Taco Van der Hoorn è il vincitore semisconosciuto della tappa di Canale. Due anni da gregario di Van Aert e ora cacciatore di tappe. Il suo giorno di gloria
Nella fuga della Milano Sanremo si sono ritrovati gomito a gomito due atleti che di esperienza, nell’anticipare il gruppo, e non solo, ne hanno tanta. Si tratta di Mirco Maestri e di Alessandro Tonelli, due corridori che di chilometri in testa alla corsa ne hanno messi tanti nelle gambe. I due ora si trovano rispettivamente alla Eolo-Kometa ed alla Green Project-Bardiani, ma in precedenza hanno condiviso la stessa maglia della formazione di Reverberi.
Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019
Maglie diverse, stessa situazione
Maestri e Tonelli, insieme agli altri sette corridori, si sono sciroppati 259 chilometri di fuga alla Sanremo. Una giornata in avanscoperta ma con le ore contate, una specie di “bomba ad orologeria” pronta ad esplodere. Insieme a loro scopriamo come si gestiscono e cosa si fa in una fuga così particolare come quella della Classicissima di Primavera.
«L’avevo fatta in fuga dal 2016 al 2019 – attacca Maestri – poi per motivi diversi negli ultimi anni prima non ho partecipato e poi, l’anno scorso, ho corso in gruppo a sostegno di un mio compagno. Devo dire che una Sanremo dove la fuga prende solamente tre minuti non me la ricordo, eppure siamo andati forte, ma da dietro non ci hanno lasciato spazio. Nel 2016, per esempio, eravamo in undici e siamo arrivati a più di dieci minuti di vantaggio. Rispetto alle edizioni precedenti quest’anno abbiamo anche fatto fatica a portare via il gruppetto degli attaccanti. Infatti, io e Alessandro (Tonelli, ndr) ci siamo avvantaggiati subito ed abbiamo aspettato l’arrivo degli altri.
«Si è trattata di una mossa di esperienza – gli fa eco l’amico Tonelli – abbiamo preso quei quindici secondi sul gruppo che ci hanno fatto comodo. Una volta che il gruppo ha rallentato noi ci siamo fermati, letteralmente, ad aspettare i contrattaccanti. Quest’anno, rispetto alle edizioni precedenti, la fuga è andata via con tanta difficoltà anche a causa del cambio di percorso. Con la partenza da Abbiategrasso i primi 30 chilometri erano completamente differenti e c’era un po’ di timore».
Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fugaNella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga
La gestione
Quella della Sanremo sembra una fuga scontata, dove il gruppo ti tiene nel mirino e con due pedalate, nel momento clou, ti riprende. Ma dal racconto di Maestri e Tonelli non pare proprio così, anzi.
«La Sanremo – spiega Paperino Maestri – è una corsa nella quale non si sa mai. In gruppo diventa molto più stressante rispetto al correrla in avanscoperta, devi sempre limare e anche a tanti chilometri dall’arrivo sale lo stress. Alla fine vengono fuori due corse completamente differenti. Vi faccio un esempio: sul Turchino noi davanti andiamo forte ma non a tutta, mentre in gruppo si apre di più il gas. Questo perché la discesa che porta a Genova è insidiosa e in mezzo al gruppo si rischia e non poco (anche quest’anno, infatti sia in salita che in discesa ci sono state due cadute, nella prima è stato coinvolto Alaphilippe, ndr).
«Poi una volta arrivati sul mare inizia un’altra corsa, in fuga si va a tutta e cerchi di prendere più vantaggio possibile. La speranza è quella di arrivare sul mare con 5 minuti di vantaggio, così sei abbastanza sicuro che vieni ripreso a metà Cipressa, per cercare di rimanere agganciato ed arrivare nel finale davanti. A me non è mai successo, a Tonelli, fortunato lui – dice ridendo – sì, anzi lui è stato ripreso sul Poggio l’anno scorso!».
«Non è così semplice – replica il corridore della Green Project – siamo consapevoli del fatto che verremo ripresi, ma per motivi diversi conviene andare avanti. Io preferisco anticipare perché sono consapevole che riesco a gestire meglio lo sforzo se lo affronto con più costanza. Nel 2018, l’ultimo anno che l’ho fatta in gruppo, sono arrivato dopo la Cipressa che ero finito. In questi anni sono riuscito a gestirmi bene, tant’è che sono arrivato fin sul Poggio lo scorso anno. A Mirco devo una fuga fino a lì, ci ha provato, ma non è mai riuscito».
Quest’anno i fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggioI fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio
Anticipare e “sperare”
Quella della Sanremo non sarà una fuga di anticipo come quella della Roubaix, in cui dal gruppo in avanscoperta può uscire il vincitore della corsa. Tuttavia anticipare il gruppo può portare i suoi frutti.
«Ormai – dice il corridore della Eolo – anticipare e fregare il gruppo è diventato difficilissimo. Qualche anno fa non c’era tutta questa conoscenza anticipata delle condizioni di gara, il vento era la più grande incognita e tu andavi in fuga sperando giocasse a tuo favore. Perché, se lo hai alle spalle, è tutto un altro programma. Sai che il gruppo non può guadagnare troppo tempo nel breve periodo. Negli ultimi anni, ormai, si sa tutto prima, anche la direzione del vento quando si arriva sul mare. Io quando vado in avanscoperta non penso mai al fatto che sia un’operazione “suicida”, ma credo sempre di poter fregare il gruppo. Altrimenti, se non parti convinto di testa, è meglio che stai indietro».
La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del TurchinoLa Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino
L’avviso di Mosca
La Trek Segafredo è una delle squadre che si è incaricata in primis di gestire l’inseguimento. Uno dei volti che appariva sempre nelle prime posizioni del gruppo era quello di Mosca, mai fuori dai primi dieci fino ai Capi. Insomma, per il corridore piemontese più di 200 chilometri ad inseguire.
«Parlavo con lui prima del via – spiega Tonelli – e mantenere la fuga sotto controllo era parte del programma. L’anno scorso sono andato così tanto avanti, perché abbiamo giocato bene le nostre carte e sfruttato il vento a favore una volta arrivati sul mare. Quest’anno c’era ancora una volta il vento a favore, ma dietro hanno tirato costantemente in quattro e non siamo riusciti a prendere vantaggio. In fuga devi giocare sull’esperienza, è un braccio di ferro psicologico, non di forza bruta.
«Se vedi che il gruppo fin da subito ti tiene a tre minuti tu stai lì e gestisci lo sforzo. Poi nelle zone favorevoli, come il passaggio da Genova dove il gruppo si ferma, dai gas e provi a guadagnare tempo. Nel ciclismo moderno non ci sono più grandi occasioni per i fuggitivi della prima ora. Anche alla Tirreno negli ultimi anni sarà arrivata una sola volta la fuga al traguardo. Ma due corridori esperti come noi due non si fanno demoralizzare e ci proveranno sempre».
Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibileMosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile
I pitstop
Una cosa che si nota in una gara da quasi 300 chilometri sono i continui pitstop, soprattutto nella prima parte di corsa. I corridori del gruppo si fermano spesso per i propri bisogni e hanno più tempo per gestirsi. In fuga, invece, il tempo e lo spazio sono contati. Sabato, alla Classicissima, il giovane francese della Tudor: Aloi Charrin, ha fatto un piccolo scatto per avvantaggiarsi e fermarsi.
«E’ un’abilità anche quella – dice Maestri- io nel 2019, alla Tirreno, quando ho vinto la maglia della classifica a punti, ho imparato a fare i bisogni mentre sono in bici. Non è semplice, però ti lanci, fai e perdi molto meno tempo che a fermarti. Alla Sanremo, però, il ragazzo della Tudor non era capace e la situazione stava diventando un’agonia. Così gli abbiamo detto di fermarsi e che lo avremmo aspettato. Diciamo che fermarsi sul Turchino non è stata la mossa migliore, ma alla fine cambia poco scendere da 3 minuti a 2’30”. Tanto il gruppo non aveva intenzione di riprenderci a 150 chilometri dall’arrivo».
Le corse sono iniziate e le prime fatiche sono già alle spalle, dopo mesi di allenamenti bisogna capire in che modo i corridori si riabituano alla fatica. Non è un passaggio semplice, nei vari ritiri si fanno tanti chilometri, ma nulla è come la gara, soprattutto quando la strada sale. Come si ritrova il feeling un corridore con la salita? Alessandro De Marchi ci racconta il suo punto di vista.
De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier TechDe Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech
Prima fatica
Il “Rosso di Buja” ha esordito alla Vuelta a la Comunitat Valenciana, si è trattato di un doppio inizio visto il suo passaggio al Team Jayco AlUla. La corsa a tappe spagnola è stata la prima affrontata con tante salite praticamente ogni giorno, un test iniziale e un modo per togliere la polvere dalla bici.
«La prima salita – racconta De Marchi – è stata alla tappa inaugurale. E come spesso accade, per me è stata un trauma. E’ un momento di verifica, ma è difficile trovare i riferimenti, la mancanza di ritmo gara influisce molto. Poi il fatto di affrontarla in gruppo non aiuta, perché diventa tutto più impegnativo: praticamente un calvario. Le salite vengono affrontate a ritmi non costanti, che è una cosa che in allenamento non si riesce a simulare. Solitamente si fanno lavori di 15 o 20 minuti, ma nelle fasi prima e dopo sei più tranquillo. In corsa arrivi all’attacco della salita che sei già a tutta ed il primo chilometro lo fai davvero, ma davvero forte. In più io sono un corridore che soffre le condizioni di troppa… freschezza».
Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppoTenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo
Valori diversi
Cosa intende dire De Marchi con “troppa “freschezza”? Come dicevamo prima le gare di inizio stagione sono una grande incognita. Lo stesso corridore ci ha confermato che non tutti i numeri sono da prendere con certezza.
«Il cuore – dice il friulano – è costantemente cinque o sei battiti sopra ai valori soliti, in questo influiscono diversi fattori: il gruppo, l’adrenalina, la lotta per le posizioni… E poi influisce molto anche il ritmo gara: a inizio stagione non si è abituati a farlo per ore e ore, durante i ritiri simuli queste condizioni ma fino ad un certo punto. A questo va aggiunto il fatto che in allenamento non sono sono uno che esagera con l’intensità, in questo interviene anche una parte psicologica. Se non sei in corsa, ti viene da mollare prima, quando sei in gara invece devi rimanere agganciato. I numeri devono essere presi con le pinze, solitamente in gara sono un pochino più bassi rispetto agli allenamenti. Questo perché il ritmo gara porta fatica nelle gambe, non si è abituati a smaltire l’acido lattico e si ha un maggiore accumulo di fatica».
Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla ValencianaIl “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana
La risposta del corpo
Quando si è da soli in allenamento o nel ritiro con la squadra, è più facile regolarsi seguendo i propri parametri. Ma una volta in gara, il gruppo va e devi rimanere lì, altrimenti la fatica diventa doppia.
«Difficilmente in gara riesci a regolarti – conferma De Marchi – non puoi decidere il ritmo a cui andare. A me capita di reggere il fuori giri e poi di pagare lo sforzo nel finale di corsa. Mi sono ritrovato con Salvatore Puccio ed abbiamo commentato allo stesso modo: dopo il fuori giri, è come se il nostro corpo avesse bisogno di minuti per ritrovare il ritmo che ci avrebbe permesso di stare con i migliori. Anche i watt sono un valore che all’inizio lascia il tempo che trova, diventano più stabili con il passare dei giorni di corsa. Già al secondo giorno della Valenciana, il cuore ed i watt erano più vicini ai valori dell’inverno. Un’altra cosa da non sottovalutare è l’alimentazione. Ovviamente un professionista con anni di esperienza sa come si gestisce, ma bisogna riabituarsi a farlo in corsa: trovare i momenti giusti in cui mangiare e calibrare le dosi».
Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costanteNella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante
Il “rimedio” alla fatica
Nella corsa a tappe al sud della Spagna, De Marchi si è fatto vedere anche in due fughe, nella seconda e nella quarta tappa. Lui è un uomo abituato ad “anticipare il gruppo” e questo può essere anche una soluzione alla fatica.
«Non è da nascondere che le corse a tappe aiutino a migliorare la condizione – spiega – con il passare dei giorni ti senti sempre meglio. Andare in fuga, tuttavia, può essere un buon esercizio per mettere chilometri nelle gambe con ritmi alti, ma più costanti rispetto all’andare in gruppo. Non c’è lo stress o la battaglia ai piedi delle salite, ma tanti chilometri ed altrettanta intensità. Si corre sempre a valori medio-alti, ma ne vale la pena. In fuga si costringe il corpo a stare nella zona della soglia o fuori soglia. Anche il wattaggio medio a fine corsa è più alto. Questo perché prima delle salite non hai la solita bagarre ma un andamento costante, così anche quando la strada sale. In più andare in fuga stimola il corpo e si brucia qualche caloria in più, cosa che non fa male ad inizio anno».
A Conci e Battistella era stato affidato il compito di entrare nelle fughe. E se il primo non è riuscito a entrare in quella partita sul Monte Keira, Battistella ha preso il largo di buon mattino ed è rimasto allo scoperto per tutto il giorno.
«Personalmente dovevo stare attento già sul Monte Keira – ha spiegato Conci dopo l’arrivo – però in partenza ho fatto veramente fatica. Un po’ il viaggio, un po’ gli ultimi giorni che abbiamo fatto poco, poi non nascondo che l’agitazione un pochino c’era e secondo me anche quella può aver inciso. Quindi ho mancato quella fuga grossa sul Monte Keira, però sapevo che a 6-7 giri dall’arrivo, sarebbe successo qualcosa e così è stato. Poi ci sono stati tanti tatticismi, io non è che avessi grandi gambe, però nel finale sono arrivati gli altri e abbiamo raccolto un buon risultato».
Conci è entrato nella fuga portata via dai francesi, in cui viaggiava anche RotaConci è entrato nella fuga portata via dai francesi, in cuo viaggiava anche Rota
La squadra al coperto
Uscito prima dalla Vuelta per qualche acciacco, Battistella ha trascorso i giorni di vigilia del mondiale cercando di recuperare. Ha corso in Toscana per fare il punto poi ha continuato a crescere nei giorni australiani. E quando ieri si è ritrovato in fuga tanto a lungo, ha avuto finalmente la sensazione di essere tornato.
«Il lavoro che dovevo fare era questo – ha spiegato – stare davanti, entrare nelle fughe importanti e fare in modo che la squadra dietro riposasse. Quindi questo è stato il mio lavoro fin dall’inizio e penso di averlo svolto bene. Avevo una buona gamba, infatti quando il gruppo è arrivato a un minuto, un minuto e mezzo da noi, Daniele mi ha detto di attaccare comunque per smuovere un po’ la situazione e ho visto che le sensazioni erano buone, la gamba c’era ancora. Sennò 230 chilometri di fuga non li facevo».
La condizione di Battistella, qui con Bennati, è andata migliorando con il passare dei giorniLa condizione di Battistella, qui con Bennati, è andata migliorando con il passare dei giorni
L’azione dei francesi
La sua presenza là davanti ha permesso davvero al resto della squadra di gestire le prime ore con relativa calma. Poi, quando il girare nel circuito si è fatto pesante anche per gli uomini di testa, la Francia ha fatto esplodere la corsa.
«Dovevo coprire le fughe dove c’erano le nazionali importanti – ha detto ancora Battistella dopo l’arrivo – e poi, quando la Francia ha attaccato in salita sono entrato subito e siamo riusciti ad andar via. Lì sinceramente, non essendoci le radio, ero convintissimo che ci fossero anche Trentin, Bettiol e Bagioli. Non so come sia stata la dinamica dietro, perché non avendo la radio appunto non ho capito, però fortunatamente poi siamo riusciti a rientrare e fare una top 5 con Trentin».
Casco Limar personalizzato per “Samu Batti”, corridore dell’AstanaCasco Limar personalizzato per “Samu Batti”, corridore dell’Astana
Radio e lavagne
E qui il discorso passa al tema delle comunicazioni in corsa, perché l’assenza delle radio per 2-3 giorni all’anno sembra davvero un grande controsenso. Al punto che Rota davanti non sapeva dell’arrivo di Trentin e Trentin dietro non sapeva di avviarsi allo sprint per l’argento e il bronzo.
«Noi avevamo punti di informazione ai due box – ha spiegato Battistella – poi c’erano Zana e Sobrero sul ponticello ai 4 chilometri, con lavagne su cui scrivevano cosa dovessimo fare. Ma senza radioline è un casino. Quando dopo 250 chilometri provi a leggere una lavagna, di sicuro non è facile. Però sono soddisfatto di me e della squadra. Molti avevano detto che non eravamo all’altezza, però penso che abbiamo dimostrato di esserlo stati. Magari è mancato il podio, però abbiamo lavorato bene tutti insieme».
Due cadute, la seconda ci costa caro. Ganna e Trentin spaccano il gruppo, ma restano fuori dall'azione decisiva. Amarezza di Bennati. Ma l'Italia c'era
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Se l’obiettivo delle squadre di Savio – quest’anno Drone Hopper-Androni Giocattoli – è da sempre quello di salire sull’ultimo podio del Giro d’Italia, la missione si è compiuta anche quest’anno. Filippo Tagliani si è portato a casa la classifica dei traguardi volanti, Mattia Bais quella dei chilometri in fuga. Sembrano lontani anni luce i giorni in cui Mauro Vegni disse che al Giro non importa dei corridori che vanno in fuga. La pace ritrovata ha visto i corridori guidati da Ellena e Spezialetti buttarsi in tutte le fughe possibili, a cominciare dai giorni ungheresi, quando la coppia Bais-Tagliani si guadagnò l’onore delle cronache e il nostro articolo sul tema.
«Sembra passato tantissimo tempo da quei giorni – ha detto Bais a fine Giro – adesso si sente la fatica. Gli ultimi giorni ero stanco, però ho provato a dare tutto nelle due tappe di montagna prima di arrivare a Verona. E’ stato un Giro in cui ci ho provato parecchie volte, ma non sono mai riuscito a prendere un’occasione buona per arrivare al traguardo. E’ stato un po’ chiuso, perché tante fughe sono arrivate, ma si trattava dei big. E un po’ mi dispiace. Però va bene che ho tenuto la classifica dei chilometri in fuga, Mentre Pippo ha preso quella dei traguardi volanti…».
Gianni Savio ci teneva: «Voglio la prima fuga del Giro». Bais e Tagliani lo hanno accontentatoGianni Savio ci teneva: «Voglio la prima fuga del Giro». Bais e Tagliani lo hanno accontentato
Costruendo il futuro
Seguendo le parole di Jacopo Mosca su giovani, attaccanti e gregari, Bais risponde appieno ai requisiti di corridore che ha imparato il modo per mettersi in luce e nel frattempo misurare le sue capacità e sarebbe anche pronto per un primo salto di qualità. Il suo contratto con la Drone Hopper scade alla fine di quest’anno e, tra conferma o nuove sfide, probabilmente questo Giro d’attacco si trasformerà in un solido biglietto da visita.
«Bisogna provare e riprovare – dice – perché poi il giorno che arriva il risultato la gente si ricorda. Oppure vanno a vedere anche che cosa hai fatto prima. Quindi esserci sempre è già un buon segno. Dopo ci vuole anche fortuna e sperare che vada tutto bene. Io ho sempre corso così, non mi viene difficile. E’ sempre stata mia caratteristica correre all’attacco, tutti i miei risultati li ho ottenuti così. Perciò per ora continuo a questo modo e in futuro si vedrà. Comunque mettere sempre la faccia al vento aiuta anche a crescere».
Tra il colore e il calore della gente, Bais nella tappa di Jesi
La Drone Hopper ha corso il Giro con le bici Bottecchia, montate Campagnolo e con ruote Miche
Tra il colore e il calore della gente, Bais nella tappa di Jesi
La Drone Hopper ha corso il Giro con le bici Bottecchia, montate Campagnolo e con ruote Miche
La metamorfosi
Ellena si è fatto un’idea chiara del ragazzo e sorridendo lo definisce nel pieno di una metamorfosi tecnica che potrebbe portarlo proprio a trovare una nuova dimensione.
«L’anno scorso – spiega il tecnico piemontese, che rientrerà in corsa al Giro dell’Appennino – Mattia era l’uomo sempre in fuga. Quando anche questa volta ci siamo resi conto che quella classifica delle fughe fosse al sicuro, perché aveva un grande margine, gli ho detto di ragionare sul 2023 e di provare a pensare a qualche fuga che potesse arrivare. Poi per mille motivi non c’è riuscito, per gambe e per naso. Certe cose ti riescono al primo colpo se sei un fuoriclasse, altrimenti le impari sulla tua pelle. Chiaro che certe fughe non fossero alla sua portata, per altre ha sbagliato i tempi. A Genova avevamo detto in radio che la fuga sarebbe partita dopo il traguardo volante. Zardini è riuscito a entrare per il rotto della cuffia. Mattia aveva già fatto due scatti prima e si è fatto trovare in coda al gruppo».
A Verona, Bais è stato premiato per la classifica dei chilometri in fuga, vinta su Tagliani e RosaA Verona, Bais è stato premiato per la classifica dei chilometri in fuga, vinta su Tagliani e Rosa
«Però va detto che in tutto questo Giro – continua Ellena – ci sono mancati Grosu e Restrepo, anche oltre la possibilità di fare risultato. Sarebbero stati i registi in corsa, quelli capaci di spiegare più di quanto possiamo noi dall’ammiraglia. Con i corridori mi piace ragionare a lungo termine, cercando di insegnargli qualcosa, sia che rimangano sia che vadano, non mi occupo io dei contratti. Ma la mia mentalità è sempre stata questa. E Bais è un ragazzo con cui si può lavorare ancora tanto e bene».
Alla fine sempre di uomini si tratta, anche se certe volte osservando il gap fra atleti WorldTour e quelli professional ti viene da pensare che facciano sport diversi. Tappe come quella di ieri al Santuario di Castelmonte rimettono parzialmente in pari la bilancia. Alessandro Tonelli infatti si è giocato la corsa con Bouwman, Schmid, Attila e Vendrame, cogliendo un terzo posto che parla più di tanti altri piazzamenti di questo Giro d’Italia. Proprio lui, arrivato a tre tappe dalla fine, con una sorta di maledizione sulle spalle. Entrava sempre nella prima fuga e quella immancabilmente veniva ripresa.
«E’ stata una volata un po’ strana – ha detto a caldo – non pensavamo che l’ultima curva fosse così ad angolo retto. Due sono usciti fuori dritti, io ce l’ho fatta a curvare senza cadere e ho ottenuto questo terzo posto. Ci ho sempre provato e non mi andava mai bene. Anche oggi… La prima mezz’ora andavamo a 60 di media, andavamo da far paura. Sul Kolovrat hanno accelerato e io mi sono gestito perché sapevo di non avere quel ritmo. Ho preso il mio wattaggio, i miei valori. Sono rientrato in discesa e me la sono giocata fino all’ultimo. Ho anche provato ad attaccare, essendo il meno veloce. Avevo una buona gamba. Speriamo di averla anche domani (oggi, ndr)».
Terzo al traguardo, miglior risultato al Giro per Tonelli, bresciano di 29 anniTerzo al traguardo, miglior risultato al Giro per Tonelli, bresciano di 29 anni
Caldo e fatica
Tappa dura, lo abbiamo già detto, da aspettarsi che fra quelli di classifica venisse giù il mondo. Invece la fuga ha preso margine e se ne è andata, grazie anche alle tirate di Affini, che la sua crono l’aveva iniziata il giorno prima verso Treviso, l’ha prolungata in questo angolo di Friuli e la concluderà finalmente a Verona con la bici più adatta.
Nel Giro in punta dei piedi della Bardiani-CSF-Faizanè, dopo i buoni piazzamenti di Gabburo si attendevano segnali dagli uomini delle montagne. E se Zana ha pagato un avvicinamento forse non ottimale alla corsa rosa, per Tonelli si trattava di infilarsi nel tentativo giusto. Le gambe c’erano, la preparazione ha dato buoni frutti, ma nessuno continuando così, se ne sarebbe accorto.
«Avevo corso tanto, prima del Giro avevo già 31-32 giorni gara. L’ultima è stato il Giro in Sicilia, quando mi hanno dato la conferma che avrei fatto il Giro. Così sono andato in altura per 12-13 giorni, ma vicino casa, in Maniva: un po’ per recuperare e un po’ anche per fare dislivello. Di sicuro non mi sarei mai aspettato tanto caldo. In Sicilia si stava bene, era ancora sopportabile. Ma già nella tappa di Potenza arrivavo in cima alle salite come se mi fossi tuffato in piscina. Ero fradicio e la stessa cosa è successa per tutta la seconda settimana. E’ stato così fino alla tappa di Cogne, a metà gara eravamo bagnatissimi e poi invece si vede che questa settimana è cambiato il tempo oppure ci siamo abituati. Era caldo anche a Torino, in realtà, ma è stata la tappa più battagliata e non c’è stato davvero il tempo di accorgersi se facesse caldo».
Tonelli si è gestito sul Kolovrat e sulla salita finale ja provato anche ad attaccare
Torino è stata una telle tappe più calde, ma è stata anche così battagliata da non pensare al calore
Tonelli si è gestito sul Kolovrat e sulla salita finale ja provato anche ad attaccare
Torino è stata una telle tappe più calde, ma è stata anche così battagliata da non pensare al calore
La fuga giusta
Ieri la fuga è andata sin da subito, ma per parecchi chilometri ha stentato a decollare. Poi, complici il gran lavoro in testa e il disinteresse del gruppo, il vantaggio è finalmente esploso fino a raggiungere i dieci minuti.
«Entravo nelle prime fughe che andavano – racconta Tonelli – ma venivano sempre chiuse e poi partiva quella buona. A Cogne la stessa cosa, nel senso che siamo partiti in 5-6 sempre con Vendrame e poi ci hanno preso dopo 50 chilometri. Ci vuole fortuna ovviamente, però capitava anche che entrassero corridori fra il decimo e il ventesimo, quindi gente forte, e il gruppo chiudeva. E poi ha continuato a entrare in fuga gente che in altre occasioni avrebbe fatto classifica, come martedì nella tappa di Salò. Quindi se non sei in ottima condizione, entrare in certe fughe non è facile».
Tonelli è arrivato al Giro con oltre 30 giorni di corsa. Lo ricordate in fuga con Rivi alla Sanremo?Tonelli è arrivato al Giro con oltre 30 giorni di corsa. Lo ricordate in fuga con Rivi alla Sanremo?
Un fatto di fiducia
Dalla tappa di ieri, Tonelli è uscito con il terzo posto e un bel carico di fiducia che in un certo senso potrebbe dare la svolta alla sua carriera. Se come ha detto Mosca, l’imperativo per prendere il volo è farsi vedere, ieri i suoi attacchi sull’ultima salita non possono essere passati inosservati.
«Questo terzo posto conta tanto – sorride – come contava nel 2020 la tappa di San Daniele. Anche quel giorno ero l’unico “professional” in fuga e ho fatto decimo. Anche dal mio punto di vista c’è il gap fra noi e e le WorldTour, però se i corridori sono buoni, i risultati arrivano lo stesso. Una tappa così dà fiducia, certo ma se non hai fiducia dal mio punto di vista non vai avanti a fare questo sport».