Si pensa tanto al modo per limitare la velocità delle biciclette, ma nessuno si è reso conto che la velocità da limitare è anche quella dei processi di formazione dei corridori. Gli allievi hanno già un agente che li segue. Gli juniores sono l’anticamera del professionismo. I devo team sono l’anticamera del WorldTour. E i numeri si restringono drammaticamente (almeno in Italia) perché il numero delle squadre si va erodendo progressivamente ogni anno (in apertura, immagine photors.it della Coppa Città di San Daniele).
I devo team, a ben vedere, rischiano di essere fumo negli occhi. Se non sfondi, smetti. Se ti va bene, ti prende qualche altra continental. Ma se nel frattempo sei anche diventato elite, il destino è segnato. Si potrebbe obiettare che se non sfondi dopo quattro anni da U23, forse non sei nato per fare il corridore. Ma se nel mezzo ci sono stati problemi fisici che ti hanno tenuto fuori dalle gare, ecco che la logica si inceppa.
Bryan Olivo non fa più parte del devo team Bahrain, perché è diventato elite. Come lui, Marco Andreaus (photors.it)Bryan Olivo non fa più parte del devo team Bahrain, perché è diventato elite. Come lui, Marco Andreaus (photors.it)
Dentro o fuori
Sarebbe utile che queste poche righe le leggessero i genitori dei ragazzi che corrono in bici. Sia quelli che vedono nei giovani corridori l’occasione per veder aumentare le risorse, sia quelli che ne hanno a cuore il futuro e si chiedono come gestirli.
A 17 anni sei nel meccanismo, forse anche a 16. A 18 ti consigliano di mollare la scuola e iscriverti a un corso online, così riesci a gestire meglio l’allenamento e la maturità. Poi magari diventi professionista che ne hai 19 e siccome non hai paura di niente, molli i freni e porti in gruppo la tua quota di disordine. Infine a 23 anni risiedi probabilmente in un posto dove si pagano meno tasse.
Se volete divertirvi a incrociare i nomi dei corridori, le loro scelte e gli agenti che li rappresentano, noterete che lo schema è abbastanza ripetibile. Ciascuno, giustamente, ha individuato la sua ricetta e la offre ai propri assistiti. Sulla ricetta c’è scritta anche la percentuale di riuscita?
La Repubblica di San Marino è diventata un approdo privilegiato grazie alla tassazione favorevole (depositphotos.com)La Repubblica di San Marino è diventata un approdo privilegiato grazie alla tassazione favorevole (depositphotos.com)
Le regioni fantasma
Sarebbe utile disporre di un’informazione in più rispetto a quella offerta sul sito dell’UCI, che riporta l’elenco degli agenti abilitati. Sarebbe interessante infatti avere accanto a ciascun agente il numero dei corridori seguiti. E’ vero che se guadagni sulla percentuale, è fisiologico cercare di aumentare il numero dei… contributori. Forse però non è nemmeno salutare per il movimento che si creino alte concentrazioni sotto lo stesso ombrello, escludendo di fatto chi a 17 anni non ha un agente, ha dello sport una concezione ancora relativa e pensa prima a finire la scuola e poi a buttarsi a capofitto sui pedali.
In tutto questo, avete fatto caso che sono ormai spariti i corridori calabresi, sono pochissimi i pugliesi e i laziali, mentre non ci sono quasi più siciliani, che pure negli ultimi anni hanno vinto fior di corse? Questo perché al Sud non ci sono squadre né corse e le società del Nord e i talent scout non si prendono neppure la briga di andare a vedere il poco che c’è. Tanto ci pensano i procuratori a passargli i corridori, che importa da dove vengono? Loro fanno il proprio interesse e il proprio lavoro, poco da aggiungere. Ma così si rinuncia a una fetta importantissima di popolazione e ad atleti potenzialmente fortissimi. A chi tocca fare sì che il meccanismo non sia occasionale o predatorio?
Van Empel iridata fra le U23 a Ostenda, ma il 5° posto di Francesca Baroni è uno squarcio di futuro eccezionale. Gran prova della toscana che passa elite
KIGALI (Rwanda) – Campione del mondo, adesso il viaggio ha finalmente un senso. Cadono le tensioni, ci poggiamo alla transenna. Dicono sia bene vivere così le gare, si scrivono articoli migliori. Sarà vero, ma che fatica! Altre corse verranno, ma la vittoria di Lorenzo Finn pareggia i conti con i quarti posti e le disfatte. Uno così te lo leghi al cuore e lasci che ti porti via con i suoi scatti. Quando l’azzurro ha attaccato a 37 chilometri dall’arrivo selezionando il gruppetto dei cinque che si è giocato il mondiale, la sua sicurezza ha subito fatto capire che grazie a lui stavamo per vivere un’altra giornata speciale.
Anche Lorenzo riconosce che l’azione decisiva è stata il forcing a 37 chilometri dall’arrivo, nel gruppetto dei cinqueAnche Lorenzo riconosce che l’azione decisiva è stata il forcing a 37 chilometri dall’arrivo, nel gruppetto dei cinque
La corsa del Belgio
Gajdulewicz, Schrettl, Alvarez, Huber e Finn. A 32 chilometri dall’arrivo, l’azzurro guadagna ancora un piccolo margine e il solo capace di stargli dietro è Huber, svizzero ancora ignaro di essere sul tram per l’argento. Da quel momento l’azione di Finn è un inno di sicurezza e gestione. La memoria è andata subito ai discorsi del mattino, quando parlava con Pietro Mattio della distribuzione dei carboidrati in corsa. Un gel per giro e così ha fatto. La gamba gira, è quasi sempre lui a fare il passo: dietro iniziano a sparire. Mentre Finn attacca dal gruppo di testa, Widar prova da quello degli inseguitori. Ma per il belga non è giornata. A un giro dalla fine lo vediamo passare mestamente sul traguardo, staccato di cinque minuti.
Eppure il Belgio ha lavorato più che duramente. Sono stati per cinque giri tutti in fila, con i nostri nascosti nella loro scia. Un lavoro meccanico e perfetto che ha permesso agli azzurri di risparmiarsi. Così che quando Mattio ha mostrato le sue doti di gigantesco uomo squadra, la corsa ha preso la piega voluta dagli azzurri. E Lorenzo Finn ha potuto sferrare il suo attacco nel momento che ha ritenuto più propizio.
Finn accelera, Huber è stremato: inizia la cavalcata solitaria di Lorenzo verso il secondo iride in due anniFinn accelera, Huber è stremato: inizia la cavalcata solitaria di Lorenzo verso il secondo iride in due anni
Un podio tutto azzurro
Sotto al podio la festa degli azzurri è un pandemonio di urla e pacche. Gli chiedono di firmare la maglia, certi ricordi resteranno anche per loro. Nel mezzo s’è buttato anche il presidente Dagnoni, celebrando il corridore più giovane del mondiale con cui il futuro del ciclismo italiano entra in una coniugazione di grande concretezza. Poi arriva il momento in cui Finn e la sua faccia pulita iniziano il racconto. E la sua calma è ancora una volta sbalorditiva.
«E’ una sensazione davvero speciale – dice Lorenzo Finn, ligure di 18 anni – ho vinto il secondo mondiale in due anni, è davvero stupendo. C’erano anche i miei genitori. Non si sono persi una gara, mi hanno seguito e per me è molto speciale. Voglio ringraziarli per quello che hanno fatto per me, per il fatto di essere venuti sin qui. Credo che anche loro avranno pianto…».
Lorenzo Finn è campione del mondo: la sua freccia ha colto nel segnoCosì lo scorso anno da junior, incredulo sul traguardo di ZurigoLorenzo Finn è campione del mondo: la sua freccia ha colto nel segnoCosì lo scorso anno da junior, incredulo sul traguardo di Zurigo
L’anno scorso eri sembrato incredulo, questa volta è stato diverso?
L’anno scorso è stato uno shock, misi le mani sul casco e non ci credevo. Oggi sapevo di avere il potenziale per vincere, forse mi sono sentito più sicuro, ma c’erano anche più variabili. E’ stata la giornata perfetta. Sin dalla partenza abbiamo corso seguendo il Belgio. Hanno dettato loro la corsa e poi da metà gara in poi ci sono stati svariati attacchi. Il punto chiave è stato quando ci siamo avvantaggiati in cinque e ho visto che Jarno Widar non c’era. Per la prima volta ho pensato che avrei potuto vincere.
Ti ha stupito che Widar sia sparito nel nulla?
Widar era il netto favorito. E’ andato veramente forte tutto l’anno, quindi non credo che possano avere troppo rammarico. E comunque su questo percorso, quest’altitudine e il caldo si rischiava di pagarla molto cara.
Eri arrivato sapendo di avere questa ottima forma?
Dopo il Tour de l’Avenir stavo davvero bene. Le sensazioni dopo la crono invece non sono state fantastiche (Finn ha chiuso al 4° posto, a 5 secondi dall’argento, ndr). Dipendeva dall’altura, per cui l’ho considerato un buon risultato. Ma dopo una settimana, oggi le sensazioni sono state molto migliori. Era molto caldo, ma mi sono sentito bene.
La bici al cielo, così Lorenzo Finn celebra la vittoria dopo la lineaLa bici al cielo, così Lorenzo Finn celebra la vittoria dopo la linea
Il progetto Red Bull sta dando i suoi frutti?
Sono davvero felice della scelta che ho fatto. In Red Bull hanno una visione a lungo termine per me e per tutti i corridori del gruppo. E’ un lavoro difficile che paga e tutti lavorano nella stessa direzione. Ho vinto con la nazionale, ma voglio ringraziare anche il mio team. Il mio allenatore, John Wakefield, a volte lo odio, ma è un buon ragazzo (sorride, ndr).
Amadori ha lodato la tua scelta di non passare professionista subito, ma di fare esperienza per un altro anno.
Confermo che sarà così. Magari non mi capiterà mai più di portare la maglia di campione del mondo, anche se ci spero, però è sempre una cosa speciale. Poi ho 18 anni, quindi non ho fretta di passare. So che accadrà, ma voglio costruire il futuro con calma, con la squadra e con la nazionale.
Hai tenuto con te lo svizzero fino all’ultima salita: ti ha aiutato in qualche modo?
Eravamo a due giri dal termine, 30 chilometri su questo percorso che non era affatto facile. Ho provato a fare il ritmo sulle salite, però ho visto che era forte, quindi ho deciso di dare il tutto per tutto sullo strappo in cui sono partito. Era poco lontano dall’arrivo e avevo le gambe per farlo, quindi è andata benissimo.
Per la federazione di Dagnoni, quella di Finn è la prima medaglia d’oro del mondialePer la federazione di Dagnoni, quella di Finn è la prima medaglia d’oro del mondiale
Cosa c’era nella testa di Lorenzo Finn quando ha staccato lo svizzero ed eri solo puntando verso il traguardo?
Ero un po’ contento e un po’ stravolto. E’ stata una gara veramente dura e sull’ultimo pavé le gambe hanno iniziato a cedere. Però quando sei a così poco dall’arrivo e vedi il distacco che aumenta e il pubblico che ti incita, diventa tutto più facile. Il gesto dell’arco? Qualche giorno fa abbiamo fatto la ricognizione con Borgo. E abbiamo deciso che se uno di noi avesse vinto, avrebbe fatto quell’esultanza. Eccolo spiegato
Come festeggerai stasera?
Non lo so, speriamo di mangiare un bell’hamburger e di goderci il momento. Meno male che abbiamo il volo tra due giorni, quindi possiamo goderci domani e dopodomani. A quel punto la testa sarà sull’europeo, poi la Coppa Agostoni con la squadra, la Coppa San Daniele in Friulie poi chiuderò al Gran Piemonte.
Adesso c’è solo da scrivere. Di lui e di Amadori. E’ una serata che ricorderemo a lungo, ma occorre muoversi. Abbiamo da correre nell’hotel degli azzurri. Ci sarà di certo il brindisi, la torta non si sa. E poi vogliamo vedere in che modo lo accoglieranno i professionisti. Da quando sono nati i devo team, le distanze si sono ridotte. E forse dalla gara di Finn anche loro avranno tratto qualche utile spunto.
KIGALI (Rwanda) – Eleonora Ciabocco arriva nella zona mista e non toglie gli occhiali. Ha pianto e avrebbe voglia di farlo ancora. Non come si piange quando hai perso un giocattolo, ma per la rabbia di aver visto sfumare una medaglia che era alla sua portata. Da sola contro le altre. Messa in mezzo dalle due francesi. Eppure fredda al punto di aspettare e giocarsi la medaglia nel finale. La frase più bella la dirà quando avrà raggiunto Marco Velo sotto al box vuoto dell’Italia.
«Pensavo di aver vinto la volata – ha detto la marchigiana, grande protagonista al Tour de l’Avenir – un metro dopo l’altro e invece l’ho vista spuntare. Sarei una bugiarda se dicessi che non mi girano le scatole. Se non mi muovevo io, il podio era bello che andato. Invece mi sono mossa, ho rischiato ed è andata male. Cavoli se mi girano le scatole…».
Non sono le scatole, ma non sta bene scrivere sempre tutto. Soprattutto a capo di una corsa che ha visto la sola azzurra in gara scaltra e protagonista. E’ anche riuscita a rientrare dopo un passaggio a vuoto e ha fatto quello che si era detta con Marco Velo prima della partenza: «Oggi per fare bene, bisogna rischiare. Oppure ce la giochiamo in volata».
Vittoria a una francese: Celia Gery ha approfittato del lavoro di Bunel nel finale. Sul podio Blasi e KladonovaPaula Blasi invece ha approfittato dello scatto di Ciabocco e l’ha saltata, prendendo il bronzoVittoria a una francese: Celia Gery ha approfittato del lavoro di Bunel nel finale. Sul podio Blasi e KladonovaPaula Blasi invece ha approfittato dello scatto di Ciabocco e l’ha saltata, prendendo il bronzo
Bunel nel mirino
Parla Eleonora e racconta. L’avevamo intercettata al mattino, piena di ottimismo e voglia di menare le mani. Per andare a scaldarsi, era uscita dall’area recintata e un militare non voleva farla rientrare. Nonostante avesse il numero e il chip sulla bici, non aveva preso il pass. Glielo ha dovuto mandare Velo con whatsapp, altrimenti la corsa sarebbe partita e lei sarebbe ancora là cercando di spiegare il suo diritto di passare.
«Ho pianto perché mi dispiace – spiega l’atleta del Team PicNic PostNL – perché si stava mettendo nel modo giusto. All’inizio non mi sentivo benissimo, poi quando la gara è diventata più dura, ho iniziato a stare meglio. Ho visto la Ferguson saltare abbastanza presto, nonostante pensassi che fosse imbattibile. Penso che un podio me lo sarei meritato. Negli ultimi metri sono andata a tutta, sapevo che era un rischio, ma l’ho voluto prendere perché ho visto il podio vicino. Se ci avessi pensato, non avremmo ripreso la Bunel. Ci siamo riuscite solo alla fine. Mi rompe perché ogni volta sembra che la ruota giri solo per le altre e non per me. Tutti dicono che ci saranno altre occasioni, ma a me questa cosa inizia a dare sui nervi».
Lacrime di delusione e profonda rabbia per Ciabocco dopo la volataIl cittì Velo e la sua sola atleta U23 a Kigali: una medaglia ci stava tuttaLacrime di delusione e profonda rabbia per Ciabocco dopo la volataIl cittì Velo e la sua sola atleta U23 a Kigali: una medaglia ci stava tutta
Il quarto posto brucia
Uno scricciolo di nervi e muscoli, con lo stesso accento di quel Pellizzari che alla fine ha dovuto fare forfait, sostituito però da Garofoli da cui lo divide il confine provinciale: uno di Macerata, l’altro di Ancona. La presenza di una donna U23 al mondiale suona come uno sforzo economico della Federazione e insieme (forse) come una beffa. Magari nessuna sarebbe arrivata in finale con Ciabocco, ma ne siamo sicuri?
«Se sai correre – dice – riesci a muoverti anche da sola. Anzi, proprio per questo, quando c’erano degli attacchi, dicevo che non potevo tirare un metro. Ieri ho chiesto a tutte le elite quello che avrei potuto fare e come. Però mi dispiace, perché prima ho fatto un grande sforzo per rientrare quando avevo perso qualche metro sullo strappo. E poi perdere così è proprio brutto. Perché ho fatto la volata da seduta e Paula Blasi in piedi? Non è che non avessi le gambe. Lei mi è rimasta a ruota e io invece sono andata semplicemente a tutta. Lei ha fatto bene, ma nessuno ha voluto muoversi. E mi sono detta: meglio che proviamo a prendere la Bunel, piuttosto che non fare nulla. Sono andata benissimo, non posso lamentarmi, ho fatto una bella stagione. Però penso che il quarto posto sia il peggior piazzamento che uno possa fare».
Sembrerà una frase fatta, ma la sostanza è tanta e la grande occasione arriverà. Ciabocco si asciuga, infila una maglietta pulita e all’albergo ci torna in bicicletta. Avrà tutto il tempo di rivedere la volata e sbollire la rabbia e la delusione. Nonostante qualcuno dica che gli italiani perdono le corse ma non il sorriso, oggi abbiamo visto un’atleta nata per lasciare il segno. La ruota gira ed è bello che lei per prima sia stufa di sentirselo dire.
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KIGALI (Rwanda) – Il mondiale di Federica Venturelli è finito ieri sera con il quarto posto nel mixed relay vinto nuovamente dall’Australia con 5” sulla Francia e 10” sulla Svizzera. Gli azzurri si sono piazzati subito dietro, ma con un passivo ben più pesante di 1’24”. Dalla parte della lombarda resta il podio nella cronometro under 23 centrato lunedì a 2’11” dalla vincitrice Zoe Backstedte 21″ dall’argento. Considerato che il percorso era tutto fuorché adatto a lei, quel bronzo vale anche qualcosa di più. Ma siccome con Federica ci piace scherzare e ci piace la sua dedizione allo studio, le tendiamo un tranello banale. Che forse lo è un po’ meno dato lo sforzo appena sostenuto: «Da quali elementi si ottiene il bronzo?».
Guarda e strabuzza gli occhi, perché non se l’aspettava. Ride e intanto pensa. «Il rame – risponde – e lo stagno?». Non è sicura, ma la risposta è esatta. «Davvero? Allora questo lo scrivi». Ecco qua, tutto scritto: promessa mantenuta.
Il bronzo nella crono delle U23 è un premio che vale, vista la difficoltà del percorsoIl bronzo nella crono delle U23 è un premio che vale, vista la difficoltà del percorso
Possiamo dire che questo non era il percorso per te?
Assolutamente, non era proprio il mio percorso ideale. Tanto dislivello. La prima salita è un po’ più pedalabile, però comunque abbastanza lunga e impegnativa: 2,5 chilometri che si sono fatti sentire. Ma soprattutto lo strappo finale era devastante. Il pavé sembrava non finire mai. Però alla fine, quando si arriva a quel punto, si cerca di dare tutto fino alla fine. Non si guarda neanche più quanti metri mancano e si pensa solo ad andare più forte possibile per finire prima la sofferenza (ride come per esorcizzare il mal di gambe, ndr).
Provando a fare un confronto, senti di essere andata meglio nella crono individuale o nel mixed relay?
E’ difficile comparare una crono individuale con il mixed relay, però in realtà penso di essere andata più forte oggi. Probabilmente perché ho avuto un paio di giorni in più per abituarmi alle condizioni del clima e un po’ all’altura. E anche per vedere meglio il percorso e imparare a gestirlo meglio. Però sono soddisfatta comunque di tutte e due le prove.
Diamo un peso a quel bronzo?
E’ sicuramente un bronzo importante, perché arriva dopo una stagione molto complicata. E poi, come dicevamo, su un percorso che non era per me. Sicuramente sapevamo tutti che Zoe Backstedt sarebbe stata su un altro pianeta, però dal secondo posto in poi eravamo tutti lì a giocarci il podio per poche decine di secondi. E’ stato difficile salire su quel podio. Ho dovuto soffrire fino alla fine, però ne è valsa la pena.
Frigo, Cattaneo e a ruota Sobrero, che non ha vissuto la sua giornata miglioreIl percorso di Kigali si è confermato molto duro per Venturelli, qui con Trinca Colonel: non certo l’ideale per leiFrigo, Cattaneo e a ruota Sobrero, che non ha vissuto la sua giornata miglioreIl percorso di Kigali si è confermato molto duro per Venturelli, qui con Trinca Colonel: non certo l’ideale per lei
Che il percorso fosse così duro l’hai scoperto qua o un sentore ce l’avevi già da casa?
Sapevo che sarebbe stato mosso, perché ho avuto occasione di vedere planimetria e altimetria. Però sicuramente non immaginavo che gli ultimi due o tre chilometri fossero così duri. Alla fine si possono vedere le pendenze delle strade, ma il tratto finale in pavé, che sembrava spianare dopo lo strappo, era quasi più duro dello strappo in sé. Era infinito e si faceva fatica a rilanciare la velocità, quindi forse quello è il pezzo che non mi aspettavo così duro. E l’ho scoperto solo una volta che abbiamo visionato il percorso.
Cambiamo discorso. Marta Cavalli, la tua illustre compaesana, ha smesso dopo i tanti infortuni. Anche tu non ti sei fatta mancare qualche contrattempo. Quanto è duro tornare ogni volta?
Sinceramente fino all’anno scorso mi è andata abbastanza bene. Invece dalla seconda parte della stagione è stato difficile. Un infortunio dopo l’altro, un problema fisico dopo l’altro. All’inizio mi sono detta: «Beh, sono cose che capitano a tutte, ero solo stata fortunata a non averne fino ad adesso». Però quando sono capitati il secondo e il terzo infortunio di fila, è iniziato a essere sicuramente più pesante.
Si può essere colpiti da sconforto quando va così?
Ho avuto un momento duro, quest’anno verso maggio. Venivo da quattro mesi a non correre e poi una volta rientrata alle gare, mentalmente è stato ancora più difficile. Non avevo la forma che mi aspettavo e sentivo di non riuscire a esprimermi come l’anno precedente prima della serie di infortuni. Però grazie al supporto di tante persone, sono riuscita a non mollare e riprendermi.E ora sono qui e forse significa che alla fine sono riuscita a superare tutte le difficoltà e spero di riuscire a farlo sempre.
Venturelli, Trinca Colonel, Paladin: le tre azzurre che hanno chiuso il mixed relay con il 4° postoVenturelli, Trinca Colonel, Paladin: le tre azzurre che hanno chiuso il mixed relay con il 4° posto
C’è mai stata la sensazione di essere rientrata e che gli altri nel frattempo fossero cresciuti in modo inatteso?
Sì, l’ho sperimentato quest’anno per la prima volta. Forse perché fino alle categorie giovanili, anche se si stava fermi un mese, due mesi, era più facile rientrare perché il livello non era tanto più alto. Invece rientrare subito full gas nelle gare professionistiche, è sicuramente diverso e più difficile. Però penso che siano tantissimi gli atleti che hanno dimostrato che questo si può fare e che si può sempre ritornare al livello più alto anche dopo tanto tempo di stop.
Hai portato i libri per preparare qualche esame?
No, in realtà. Mi sono preso una piccola pausa, perché ho sostenuto chimica organica la settimana prima di venire qui. Probabilmente sull’aereo per ritornare a casa ricomincerò a studiare per il prossimo che sarà a dicembre.
Facciamo un test allora: il bronzo da quale lega deriva?
Ma questo ve l’abbiamo già raccontato, volevamo vedere se foste attenti. La lasciamo raggiungere il resto del sestetto azzurro e poi insieme torneranno in hotel. La serata di Kigali si è ripopolata di moto e traffico. A parte l’allegria del caos, la città appare ordinata. Le auto si fermano sulle strisce per far attraversare i pedoni. E’ pieno di biciclette dalle forme e dai carichi più insoliti. E’ l’Africa, viene voglia di restare e scoprirla. Da domani (oggi) si corre su strada. Tocca subito a Eleonora Ciabocco, unica azzurra nel gruppo delle U23. Il mondiale del Rwanda entra nel vivo.
Il pubblico impazzisce per Pogacar e Sinner, senza capire che il record di Milan ha un valore altrettanto immenso. Forse qualcosa manca nella comunicazione?
KIGALI (Rwanda) – L’atterraggio sul suolo africano accanto a Giulio Ciccone ci ha strappato più di un sorriso. L’abruzzese non riesce a fare pace con gli aerei e se vi raccontassimo quello che fa prima di ogni viaggio, probabilmente sorridereste anche voi. Sta di fatto comunque che alle dieci del mattino di oggi, 24 settembre, Giulio è arrivato in Rwanda e domenica sarà il capitano della squadra azzurra ai mondiali.
Ha trascorso gli ultimi giorni in Abruzzo. Dopo la Vuelta ha salutato sua nonna Lucia, malata da tempo. Ha fatto qualche allenamento giusto, ma soprattutto ha pensato a recuperare dopo una Vuelta a due velocità. Quella supersonica fino al giorno dell’Estacion de Esqui de Valdezcaray e quella degli antibiotici per riprendersi dall’infiammazione al soprasella e il malanno che ha afflitto quasi tutti i corridori in terra di Spagna.
«Quando scendo dall’aereo – ha detto poco prima di imbarcarsi sull’ultima tratta da Addis Abeba a Kigali – vado a letto e dormo fino all’ora di pranzo, stanotte non ho chiuso occhio. Poi faccio tre orette in bici nel pomeriggio e sono a posto. Sarei dovuto partire domani, ma ho sentito di colleghi che hanno avuto problemi ad adattarsi al caldo e con l’altura, che a quanto pare si fa sentire. E così ho anticipato di un giorno».
Addis Abeba, Ciccone si imbarca sul secondo volo che lo porterà a KigaliAddis Abeba, Ciccone si imbarca sul secondo volo che lo porterà a Kigali
Eri capitano anche l’anno scorso a Zurigo, ma quest’anno sembra tutto diverso…
Sto meglio. L’anno scorso non avevo corso tutta la Vuelta, ne avevo fatto solo una parte, poi ero stato male. E soprattutto avevo fatto il Tour, quindi era tutta un’altra preparazione. Invece quest’anno ho fatto l’altura, poi ho fatto tutte le classiche, San Sebastian, Burgos, la Vuelta, quindi comunque la condizione era proprio più alta. Poi c’è stato l’intoppo degli antibiotici. Li ho presi per una settimana, però durante la Vuelta, quindi c’è stato il tempo per recuperare. Negli ultimi giorni a casa le sensazioni erano molto buone, i numeri convincenti.
Allenarsi in Abruzzo ha un altro sapore?
Mi piace sempre molto, sono abruzzese e fiero di esserlo. Però mi tocca dire che d’estate mi alleno molto bene anche a Monaco, ci sono più salite e climi diversi. Però è bello anche fare le strade su cui sono cresciuto.
Dicevi che dopo la Vuelta non c’è da allenarsi tanto.
Esatto, c’è stato più da recuperare e poi fare qualche allenamento giusto, però i primi giorni sono stati tutti concentrati sul recupero. Diciamo che la cosa più difficile è che di solito dopo un Grande Giro si è abituati a staccare soprattutto mentalmente, invece con il mondiale così vicino non stacchi niente. Quindi diciamo che forse è più lo stress mentale di quello fisico.
Nona tappa della Vuelta, si arriva a Estacion de Esquí de Valdezcaray. Questo fuori giri, apre il momento difficile di CicconeNona tappa della Vuelta, si arriva a Estacion de Esquí de Valdezcaray. Questo fuori giri, apre il momento difficile di Ciccone
Villa ci ha detto che dopo i mondiali non farai gli europei, perché il calendario prevede Giro dell’Emilia e Lombardia.
Il calendario è quello, però vediamo: voglio pensare a domenica, voglio svuotare tutto domenica e dopo vediamo quello che resta. Stavo ragionando anche sull’Emilia. Se davvero vanno tutti all’europeo, finisce che se lo vinci, ti dicono che non c’erano avversari. Non sarebbe tanto bello.
Come ti sei trovato finora con il cittì Villa?
Molto bene. Devo dire la verità: c’è stata subito intesa. Mi è piaciuto il suo modo di lavorare, soprattutto il lato umano. La parte per me più importante è stato il fatto di voler creare un gruppo. Un gruppo unito, forte, fatto di persone che si conoscono, che sono amici. Secondo me questa è la chiave più importante. E’ un dato di fatto che non abbiamo in squadra un Pogacar, però quello che può fare la differenza nel nostro caso è creare un gruppo come si faceva nelle nazionali di una volta. Secondo me questo mancava e Marco ha fatto un lavoro ottimo.
La prima nazionale di Villa sarebbe stata incentrata su Ciccone e Pellizzari, almeno finché un virus non ha appiedato il Giulio più giovaneLa prima nazionale di Villa sarebbe stata incentrata su Ciccone e Pellizzari, almeno finché un virus non ha appiedato il Giulio più giovane
E’ vero che vi siete parlati e avete inquadrato insieme gli uomini?
Mi hanno raccontato che anche Ballerini si muovesse così. Mi ha detto di voler puntare su di me e che avrebbe portato Pellizzari (purtroppo l’altro Giulio è stato appiedato da un virus intestinale e al suo posto domani arriverà Garofoli, ndr). Poi ha tirato fuori l’elenco degli uomini che si era appuntato e ne abbiamo ragionato insieme. Per me è un peso, ma mi motiva molto.
La convocazione di Masnada fa pensare alla tua voglia di avere un vero amico al tuo fianco.
Parlando di uomini di fiducia, sono venuti fuori diversi nomi. E chi ha visto bene Fausto, come me che sono stato spesso accanto a lui, ha visto che ha un buon livello. Si vedeva che pedalasse bene, che era tornato ai suoi livelli. E siccome lo conosco molto bene, so che è un uomo squadra e tutti conoscono bene, l’abbiamo voluto con noi perché può essere una pedina fondamentale in gara.
Masnada, che stamattina ha provato il percorso, ha parlato di una grande durezzaMasnada, che stamattina ha provato il percorso, ha parlato di una grande durezza
Aver vinto San Sebastian quanta fiducia ti ha dato?
Tanta, soprattutto per le gare di un giorno. Comunque nelle gare a tappe di tre settimane è un dato di fatto che per questioni fisiche non riesco a concludere. Non è un fatto di condizione o di crederci, anche se Michele (Bartoli, il suo allenatore, ndr) ci crede. Dopo 8-9 giorni il mio corpo cede, è sempre successo. Quindi penso che devo sfruttare meglio le mie caratteristiche. E oggi, dati alla mano, mi trovo meglio nelle gare più brevi e nelle classiche. Uso quella motivazione per iniziare a fare bene.
Pensi che Pogacar vorrà vendicare il sorpasso di Evenepoel?
Remco avrà tanta fiducia, ma a volte la fiducia può ritorcersi contro. E quando ho visto quella scena, mi sono quasi venuti i nervi e ho immaginato quello che possa aver provato Tadej. Sento che la gara si accenderà presto e noi dovremo essere presenti con il nostro gruppo.
La prima prova del percorso è prevista per domani. Oggi gli ultimi arrivati hanno pedalato per due ore, seguiti con l’ammiraglia da Marino Amadori. Il programma è stato rispettato. Intanto Masnada, che è arrivato già da due giorni, conferma che il circuito sia davvero durissimo. E che soprattutto il tratto in pavé alla fine farà dei veri sfracelli.
SOLBIATE OLONA – Il primo gruppo di atleti è atterrato in Rwanda da un paio di giorni, il 18 settembre, ed ha preso confidenza con la città e i percorsi del mondiale di Kigali. I corridori stanno provando i percorsi e testando l’asfalto che li accompagnerà per i prossimi dieci giorni. Domani, domenica 21 settembre, gli uomini e le donne della categoria elite apriranno le danze con le cronometro individuali.
Matteo Sobrero e Mattia Cattaneo sfideranno Remco Evenepoel, Jay Vine, Paul Seixas, Isaac del Toro e tutti gli altri. Proprio il messicano ha condiviso una storia sui social mentre, sulla sua bici da crono, era alle prese con il traffico di Kigali, intento a fare una delle ultime sgambate prima della prova di domenica.
Tra le donne le nostre azzurre, Monica Trinca Colonel e Soraya Paladin, sfideranno Demi Vollering, Kasia Niewiadoma (coinvolta in un incidente che le ha danneggiato la bici) e un’agguerrita Marlen Reusser.
Almeida, Vingegaard e Ciccone, tre uomini della Vuelta attesi dal mondialePer l’Italia ci sarà anche Pellizzari, atteso al primo mondiale da professionistaLongo Borghini sarà leader fra le donne elite, nel primo mondiale con Velo come ctAlmeida, Vingegaard e Ciccone, tre uomini della Vuelta attesi dal mondialePer l’Italia ci sarà anche Pellizzari, atteso al primo mondiale da professionistaLongo Borghini sarà leader fra le donne elite, nel primo mondiale con Velo come ct
Uno sforzo per gli atleti
Ai margini della conferenza stampa di presentazione che ha svelato i nomi degli atleti azzurri impegnati a Kigali abbiamo scambiato qualche parola con il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni. La Federazione ha dovuto fare i conti con costi elevati, tanto che fino all’inizio di settembre non si era ancora deciso con quanti atleti saremmo andati a correre. Alla fine la decisione presa è stata quella di andare a pieno regime con le nazionali elite, mentre le altre categorie hanno visto un ridimensionamento. Va detto che la nostra sarà una delle nazionali più rappresentate, con 27 atleti al via.
«L’organizzazione di questo mondiale – ci racconta Dagnoni qualche minuto prima della conferenza stampa – è partita due anni fa, quando Mario Scirea ed io siamo andati alle ultime tappe del Tour of Rwanda. Lì abbiamo compreso come organizzare la logistica in modo da mettere i nostri atleti nelle migliori condizioni. Successivamente ci siamo mossi anche con delle persone locali che ci hanno dato una mano (lo ha confermato anche Roberto Amadio, team manager della nazionale, ndr).
«Una volta capiti i costi di viaggio – prosegue il presidente della Federciclismo – ci siamo mossi per ottimizzare il trasporto e gli alloggi. Rispetto a Zurigo, dove ci eravamo spostati con 85 persone tra corridori e staff quest’anno a Kigali saremo 45. Sarà presente molto meno personale, stressando al massimo chi sarà presente».
Cordiano Dagnoni ha negato le voci che dicevano di un sostegno economico da parte della Lega Ciclismo Professionistico per i mondiali in RwandaDal mondiale in Rwanda gli azzurri correranno con due nuovi sponsor sulla maglia: MP Filtri e Caffè Bocca della VeritàCordiano Dagnoni ha negato le voci che dicevano di un sostegno economico da parte della Lega Ciclismo Professionistico per i mondiali in RwandaDal mondiale in Rwanda gli azzurri correranno con due nuovi sponsor sulla maglia: MP Filtri e Caffè Bocca della Verità
Nuovi sponsor
La conferenza stampa di presentazione degli atleti è stato anche il momento per svelare due novità importanti, che hanno dato un contributo importante per la spedizione a Kigali.
«Lo sforzo della Federazione – dice ancora Dagnoni – è stato reso possibile grazie all’intervento di due sponsor che ci hanno sostenuto: MP Filtri e Caffè Bocca della Verità. Il primo era già presente sul nostro pullman e a partire da questo evento ha voluto essere presente anche sulla maglia. Due sostegni importanti arrivati all’ultimo, quando si sono accorti che una trasferta del genere era un peccato non poterla onorare con una presenza corposa. Il secondo motivo che ci ha spinti a rivedere le decisioni iniziali (che prevedevano una partecipazione a ranghi ridotti su tutti i fronti, ndr) è la consapevolezza di avere un livello alto. I nostri atleti hanno dimostrato di poter essere competitivi, Ciccone e Pellizzari in primis.
«Per la categoria donne elite – precisa – eravamo già abbastanza determinati nel voler partecipare al massimo del nostro potenziale. Sappiamo che Elisa Longo Borghini rappresenta per noi una garanzia, lo ha dimostrato anche negli anni passati. Andiamo in Rwanda fiduciosi di aver fatto il massimo in ogni categoria, i risultati dei nostri team giovanili lo dimostrano. Abbiamo voluto fare questo sforzo per garantire ai nostri atleti il massimo supporto».
Giulio Ciccone è atterrato stamattina a Kigali. Il leader degli azzurri parla della squadra e del suo avvicinamento. E della bella intesa con il ct Villa
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Il primo mondiale africano della storia del ciclismo, un evento che da diverso tempo tiene banco e che ha fatto parlare molto. Sono state tante le incognite legate al mondiale in Rwanda, che inizierà ufficialmente il 21 settembre, ma che occupa la mente delle varie federazioni da mesi. L’Italia ci andrà con le formazioni elite, quindi donne e uomini, al gran completo. Una scelta arrivata nell’ultimo periodo figlia di alcune scelte federali volte a garantire agli atleti la miglior esperienza possibile.
Questo è l’hotel Kigali Delight Hotels & Apart dove alloggerà l’Italia durante i mondiali in RwandaKigali si sta attrezzando per accogliere gli atleti e le federazioniPer il primo mondiale africano è tutto prontoQuesto è l’hotel Kigali Delight Hotels & Apart dove alloggerà l’Italia durante i mondiali in RwandaKigali si sta attrezzando per accogliere gli atleti e le federazioniPer il primo mondiale africano è tutto pronto
Staff contato
Si è parlato tanto di costi, sicuramente quello verso Kiigali è un viaggio lungo che mette i vari manager federali davanti a scelte logistiche importanti. L’Italia partirà questa sera con un primo gruppo tra personale e corridori, altri sono già in Africa e hanno sistemato gli ultimi dettagli (tra loro c’è Italo Mambro della FCI, in Rwanda già da ieri con i suoi colleghi per organizzare la logistica, che ci ha fornito le foto di Kigali). Chi si è occupato dei trasporti e della logistica di questo mondiale in Rwanda è Roberto Amadio, team manager della Federciclismo.
«E’ tutto pronto e prima o poi partono tutti – ci racconta Amadio – purtroppo io non sarò parte della spedizione iridata. Sarà un peccato saltare il primo mondiale africano, ma per una questione di costi è stato scelto di gestire alcune cose da casa. Alla fine conta che ci siano i corridori, quindi oltre a me resterà in Europa anche tutto il gruppo della comunicazione».
La prima parte della spedizione iridata, in partenza oggi, comprende anche i mezzi per le cronometroLa prima parte della spedizione iridata, in partenza oggi, comprende anche i mezzi per le cronometro
Una trasferta a ranghi ridotti…
Rispetto al mondiale in Svizzera ci saranno una quarantina di persone in meno e i costi saranno gli stessi. Zurigo aveva prezzi elevati essendo una delle città più care al mondo, mentre per il Rwanda hanno pesato molto gli extra e i voli.
Cosa ha influito maggiormente sulla logistica?
Le bici ovviamente, avremo una novantina di biciclette da far arrivare. In più ci sono altri materiali di ricambio come le ruote e tutta la parte dei prodotti come gel e barrette. Abbiamo suddiviso le partenze in quattro blocchi: oggi in 34 persone tra staff e atleti delle cronometro. Domani (il 18 settembre, ndr) partono altre 18 persone. Il resto del gruppo con gli atleti per le prove su strada arriverà la settimana successiva.
I costi del viaggio sono elevati, tanto hanno influito le spese extra per spedire materiali e prodotti tecniciI costi del viaggio sono elevati, tanto hanno influito le spese extra per spedire materiali e prodotti tecnici
Andando in aereo non si può spedire tutto.
Abbiamo trovato il giusto equilibrio tra cosa era necessario trasportare e cosa si poteva anche prendere in loco. Ad esempio i lettini per i massaggi li compreremo a Kigali. Ovviamente le bici devono essere spedite e questo è stato un bel grattacapo perché ci siamo dovuti accordare con la compagnia aerea e dividere tutto il materiale su due voli. Per i soli costi extra bagaglio siamo arrivati a spendere 50.000 euro.
Sì, perché voliamo con Ethiopian Airlines. Lo scalo era obbligatorio ed era meglio averlo in Africa piuttosto che in Europa. Ci sono dei voli diretti verso Kigali che partono da Bruxelles e Amsterdam, ma la logistica sarebbe stata molto più complicata.
Gli azzurri dovranno fare a meno di certi comfort, ad esempio il classico pullman non ci saràGli azzurri dovranno fare a meno di certi comfort, ad esempio il classico pullman non ci sarà
Per l’hotel?
C’era stata data una lista di disponibilità, la cosa evidente è che hanno alzato i prezzi. Noi abbiamo scelto autonomamente affidandoci alla nostra referente lì, una ragazza rwandese che ci ha dato una mano. Abbiamo trovato una via di mezzo tra comodità, logistica e servizi, siamo vicini alle partenze delle prove a cronometro e su strada. Ci siamo dovuti arrangiare per quanto riguarda il cibo.
Come mai?
Perché in Rwanda ci sono molte restrizioni doganali sulla merce che può entrare o meno nel Paese. Il nostro cuoco, che è già a Kigali da un paio di giorni, ha già parlato con l’hotel per avere tutto a disposizione, ma ci siamo arrangiati con quello che si può reperire.
L’UCI fornirà alle federazioni le ammiraglie ufficialiL’UCI fornirà alle federazioni le ammiraglie ufficiali
Ultima cosa, i mezzi?
Le ammiraglie ufficiali con tanto di portabici le fornisce l’UCI. Noi come federazione abbiamo noleggiato una decina di mezzi per gestire al meglio gli spostamenti. Niente pullman, ovviamente. Ci siamo informati per provare a noleggiare un camper visto che il clima in questi giorni era freddo, ma non ce ne sono. I ragazzi si cambieranno nelle auto o nei furgoni, come quando erano under 23 o juniores. Un po’ di spirito di adattamento non fa mai male.
Roberto Amadio in questi giorni si sta alternando tra il lavoro per la Federazione, i risultati ottenuti e le gare che si stanno correndo. In pista la campagna di Apeldoorn e Anadia ha regalato tanti successi, mentre alla Vuelta i nostri atleti si stanno facendo vedere con insistenza. Poi c’è il Tour de l’Avenir, che da ieri è entrato nelle due giornate più dure con le tappe di montagna (in apertura foto Instagram/Tour de l’Avenir).
«I nomi ci sono – ci anticipa il team manager della Federazione – basta guardare i risultati ottenuti alla Vuelta e prima. La pista si è confermato uno dei fiori all’occhiello del nostro movimento, e anche tra gli under 23 e gli juniores siamo messi bene. Sento parlare di crisi del ciclismo giovanile italiano, dipende da quale punto di vista si guarda il tutto».
I recenti mondiali juniores di Apeldoorn hanno dimostrato che il settore pista è sempre più forte (foto FCI)I recenti mondiali juniores di Apeldoorn hanno dimostrato che il settore pista è sempre più forte (foto FCI)
Devo team
La riflessione di Amadio anticipa le nostre domande, così ci troviamo subito la strada aperta per instaurare un discorso partito nei giorni del Giro Next Gen e che fa seguito all’editoriale uscito lunedì 25 agosto. Lo spunto per iniziare a parlare di tutto questo arrivò con le parole di Roberto Bressan nel pomeriggio in cui Jakob Omrzel, sloveno del team Bahrain Victorious Development (ex CFT Friuli), ha vinto il Giro Next Gen. «Per noi del CTF – ci disse – diventare devo team era ormai un passo necessario per non scomparire».
«E’ una rivoluzione – commenta Amadio – nata dall’UCI, organo che sta al di sopra delle varie Federazioni nazionali. L’avvento dei team WorldTour e dei devo team è stato un passaggio fondamentale nell’evoluzione del ciclismo. Il fatto che le squadre di vertice possano avere la loro formazione continental (di fatto questo è un devo team, ndr) e che si possano scambiare i corridori ha reso difficile la vita ai nostri team continental che non hanno questa possibilità di sbocco».
La vittoria di Ciccone a San Sebastian, un successo in una corsa di primo livello che mancava da tempoLa vittoria di Ciccone a San Sebastian, un successo in una corsa di primo livello che mancava da tempo
Un ragazzo è attratto dall’idea di correre nei devo team…
E’ normale sia così, per ambizioni e per occasioni. Ma questo è un discorso che ha investito tutte le Federazioni. L’Italia è stata maggiormente colpita da tale processo perché ha un sistema basato su formazioni nazionali e regionali. In qualche modo anche Francia e Spagna avevano un sistema simile al nostro.
Con l’eccezione di avere team WorldTour?
Questo fa un’enorme differenza. La Francia ha cinque squadre al massimo livello tra i professionisti, e ognuna di loro ha un devo team. Praticamente hanno più posti che corridori. Quello che è mancato a noi è avere una formazione WorldTour capace di costruire un sistema di sviluppo appetibile. I nostri ragazzi vanno all’estero, non li perdiamo ma sicuramente diventa difficile seguirli. La Federazione però ha fatto tanto.
Il movimento U23 vede i giovani preferire i devo team, qui Davide Donati e Lorenzo Finn, entrambi militano nella Red Bull RookiesUno dei primi a migrare all’estero è stato Mattio, che dopo tre anni nel team di sviluppo della Visma nel 2026 passerà nel WTIl movimento U23 vede i giovani preferire i devo team qui Davide Donati e Lorenzo Finn, entrambi militano nella Red Bull RookiesUno dei primi a migrare all’estero è stato Mattio, che dopo tre anni nel team di sviluppo della Visma nel 2026 passerà nel WT
In che modo?
A livello juniores e under 23 proponiamo un calendario internazionale importante nel quale corriamo gran parte delle prove di Nations Cup. Oltre a fare attività è anche un modo per permettere ai nostri atleti di correre gare di primo livello. Non è facile riuscire a coordinare il lavoro insieme agli altri team.
Anche perché ci si trova a parlare con squadre di altri Paesi che non hanno a cuore l’interesse della nostra Federazione.
Certamente con loro (i devo team, ndr) il dialogo diventa difficile. Ci troviamo a parlare con tante teste diverse e organizzare gli impegni in modo da avere i corridori è sempre più complicato, in particolare con gli under 23. Per quanto riguarda gli juniores il dialogo è più facile.
La Federazione ha lavorato duramente per permettere agli atleti di tutte le squadre (continental e club) di fare esperienza internazionale (foto Tomasz Smietana)La Federazione ha lavorato duramente per permettere agli atleti di tutte le squadre (continental e club) di fare esperienza internazionale (foto Tomasz Smietana)
Il rischio è che il prossimo salto porti all’indebolimento delle Federazioni, si dice che dal 2026 il Tour de l’Avenir diventerà una gara per team.
Noi ci auguriamo di no, questo potrebbe portare a un minor numero di atleti italiani al via. Magari rimarrà lo stesso ma non avranno modo di correre da protagonisti. Servirebbe rafforzare le nostre squadre, ad esempio la scelta di Bevilacqua (MBH Bank-Ballan-CSB, ndr) di diventare professional è lodevole. Non essendo un devo team e non riuscendo ad attrarre corridori di primo livello hanno deciso di fare un salto importante.
MBH Bank, Biesse-Carrera, CTF, sono squadre che hanno fatto un salto grazie a investimenti stranieri. Da fuori vedono le nostre qualità e investono, da dentro questa cosa non arriva.
Manca la volontà di investire, deve muoversi qualcosa anche a livello politico. Anzi, soprattutto a livello politico. E’ un problema che attanaglia tutto il sistema sport in Italia, serve una politica di defiscalizzazione. Senza questa, e con la crisi economica che viviamo, è difficile pensare a un progetto a lungo termine.
La MBH Bank ha trovato risorse in Ungheria: dal prossimo anno sarà una professional (foto Vanik Zoltan)Allo stesso modo il CTF è entrato nell’orbita della Bahrain, diventandone il devo team (foto La Presse)La MBH Bank ha trovato risorse in Ungheria: dal prossimo anno sarà una professional (foto Vanik Zoltan)Allo stesso modo il CTF è entrato nell’orbita della Bahrain, diventandone il devo team (foto La Presse)
Stiamo vivendo la stessa cosa di qualche decennio fa: gli sponsor scappano.
Negli anni 2000 avevamo undici formazioni di alto livello e bastavano budget da 5 o 6 milioni di euro. Quando la spesa si è alzata sono spariti gli investimenti. La stessa cosa la vivono ora le formazioni continental. Qualche anno fa serviva 1 milione di euro per fare una squadra, ora il prezzo è raddoppiato.
Serve chi riesca a mettere tutti sotto lo stesso tetto?
Serve che le varie Federazioni e il CONI trovino un modo per aumentare gli investimenti e le sponsorizzazioni. Inoltre la nuova legge sulle ASD ha sì regolarizzato tutto ma ha peggiorato la qualità della vita alle piccole realtà che vivevano di volontariato. Il tema centrale è questo, attrarre risorse.
Marco Velo sta seguendo il Tour de l’Avenir delle ragazze. Il conto alla rovescia dei mondiali è scattato da un pezzo. La recente apertura a un organico completo per le elite e (ad ora) la presenza di una under 23 nella gara a loro dedicata, rende l’osservazione del cittì molto dettagliata. Gli europei molto duri appena una settimana dopo impone una suddivisione attenta dei nomi, in base alle attitudini. Ma se Marco Villa può prevedere due gruppi distinti, per le ragazze la scelta è più obbligata e passa per un solo nome: quello di Elisa Longo Borghini.
«Beato lui che ha questa abbondanza – sorride Velo – io dovrò confermare l’80 per cento del blocco. Non ho tante ragazze per percorsi simili, per cui chi fa il mondiale sa che poi potrebbe fare anche l’europeo. Si rientra il lunedì mattina all’alba e chi fa la strada il mercoledì deve partire, perché il sabato si corre».
Velo è il cittì delle donne. Fino allo scorso anno era il tecnico delle crono: qui con Affini agli europei vinti ad HasseltVelo è il cittì delle donne. Fino allo scorso anno era il tecnico delle crono: qui con Affini agli europei vinti ad Hasselt
Si è detto che Elisa Longo Borghini sarà il nome di riferimento…
Le ragazze che fanno il mondiale sono state informate, però adesso è prematuro fare i nomi. Longo Borghini sarà il faro della nazionale, detto questo l’europeo e il mondiale hanno due percorsi che le piacciono tantissimo e che sono alla sua portata. Lei sa benissimo di avere questa responsabilità, ma è un’atleta che sa reggere queste pressioni. Lo ha dimostrato in tutti gli anni della sua carriera (in apertura l’arrivo della campionessa italiana nella Kreiz Breizh Elites Féminin vinta ieri a Callac, in Francia, ndr).
Chi corre la strada dovrà fare anche le crono? Longo Borghini non sembra intenzionata a farla.
Le cronometro da quest’anno sono una faccenda di Villa. Lei ad oggi non dovrebbe fare la crono, ma non so se Marco riuscirà a convincerla. Io non ho alcuna preclusione, perché arrivo dal settore crono. Con Marco ci siamo parlati e si arriverà alla decisione più giusta per tutti.
Che cosa sai del percorso della strada?
L’Europeo siamo andati a vederlo dopo la tappa di Valence al Tour, la seconda vinta da Milan. Per il mondiale invece non siamo andati, però sono riuscito ad avere dettagli precisi della salita. Non dico metro per metro, ma almeno cento metri per cento metri. Con Stefano Di Santo, l’ingegnere che fa le mappe del Giro d’Italia, abbiamo incrociato tutti i profili Strava della gara che hanno fatto sul percorso a inizio stagione e sono usciti dettagli delle salite del circuito finale. Le donne e gli under 23 lo faranno per undici volte. E’ un percorso duro, sono salite non durissime e non lunghe. Parliamo di 5-6 minuti, però una dietro l’altra, con un dislivello vicino ai 3.000 metri. Forse un po’ meno dei 3.200 che dichiara l’UCI.
Dopo aver annunciato di non voler correre il mondiale, Pauline Ferrand Prevot è tornata sui suoi passiDopo aver annunciato di non voler correre il mondiale, Pauline Ferrand Prevot è tornata sui suoi passi
E’ tanto più duro di Zurigo?
E’ disposto diversamente. Zurigo aveva salite più lunghe, queste sono più corte: sono 11 giri e quindi il dislivello è superiore. In più a Zurigo c’erano dei tempi di recupero maggiori. Quando arrivavi al lungolago, c’erano 4 chilometri di pianura. A Kigali è diverso, è molto più tecnico, più nervoso, oltre ad essere un mondiale lungo. Sono circa 165 chilometri.
La presenza di Pauline Ferrand Prevot è una brutta notizia oppure si poteva pensare che sarebbe venuta?
Forse non è il suo percorso, ma ho visto che nella prima tappa del Tour, ha accelerato ed è rimasta da sola. Se ci sarà una corsa dura, sarà una brutta cliente. Ci sarà da vedere se avrà recuperato dopo un Tour che secondo me per lei è stato estenuante. Il tempo per recuperare c’è tutto, però guardando gli uomini, non sempre chi è uscito dalla Vuelta al mondiale ha fatto la differenza. Il Grande Giro ti dà resistenza, ma ti toglie un po’ di potenza.
Per mondiali ed europei l’idea è di avere un solo leader o ci sarà un piano B?
Andremo con ragazze che hanno fatto bene altrove, ma è anche vero che al massimo livello non abbiamo grosse alternative al piano A. Sicuramente, come ho detto prima, la mia idea è quella di far correre tutte per una.
Silvia Persico, decisiva per il Giro di Longo Borghini, ha al suo attivo il bronzo ai mondiali 2022Silvia Persico, decisiva per il Giro di Longo Borghini, ha al suo attivo il bronzo ai mondiali 2022
Più duro l’europeo oppure il mondiale?
Il mondiale non l’ho visto, se non su carta. Invece l’europeo è veramente duro. Sono due percorsi impegnativi, anche troppo, mentre secondo me bastava parlarsi e trovare un punto di incontro. Sapendo che ci sarebbe stato un mondiale tanto duro, si poteva immaginare un europeo che premiasse un altro tipo di corridore. Senza contare che se Pogacar li vincesse entrambi, nessuno vedrebbe la maglia di campione europeo. Forse non si sono resi bene conto della durezza dell’europeo. Quando siamo stati intervistati dopo il sopralluogo di luglio e abbiamo detto che ci è sembrato durissimo, ci hanno telefonato per dirci che avevamo esagerato.
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