Con l’ennesima spallata allo sport contemporaneo, Tadej Pogacar si è portato a casa anche la Liegi, mettendo insieme un filotto che ha del prodigioso. Terzo a Sanremo. Primo al Fiandre. Secondo alla Roubaix. Primo alla Liegi. In mezzo il secondo posto all’Amstel, che forse ha scoperto un suo piccolo limite, e la vittoria alla Freccia Vallone.
La settimana scorsa parlammo di abuso del talento e restiamo convinti che l’Amstel sia stata di troppo, nel nome della stessa cautela per cui lo scorso anno la UAE Emirates decise di non schierare Tadej alla Vuelta. Tuttavia, come detto più volte in passato, il fenomeno è lui e al netto delle cautele necessarie per la sua longevità atletica, bisogna ammettere che con il campione del mondo alcune regole andranno riscritte. Mentre in Italia non si riesce a riscrivere la Legge 91.
La Liegi degli italiani
La Liegi di Pogacar ha visto un bel segnale dagli italiani, con il secondo posto di Ciccone e la presenza di Velasco e Bagioli fra i primi dieci. Dopo anni di vacche molto magre, un risultato che piace parecchio. Al punto che dalla Lega Ciclismo sono arrivate le congratulazioni del presidente Pella.
«Siamo orgogliosi dei nostri corridori – ha dichiarato l’onorevole piemontese – la prova odierna conferma il valore e il lavoro che tutto il movimento italiano sta portando avanti con impegno e passione. Questa generazione ha talento e coraggio: qualità che sapranno emozionarci sulle strade del Giro e nelle più importanti competizioni internazionali».
Una comunicazione che in altri tempi sarebbe arrivata dalla Federazione ciclistica italiana, come dopo il Trofeo Binda e la Tirreno-Adriatico, quando il presidente Dagnoni si congratulò per i bei risultati degli atleti italiani.
Abbiamo la sensazione che fra i due massimi organi del ciclismo italiano ci siano scarsa comunicazione e una competizione non dichiarata. Come quando Dagnoni era stato da poco eletto per il primo mandato e doveva fare quotidianamente i conti con Renato Di Rocco, che non perdeva occasione per presenziare a partenze e premiazioni. Entrambi hanno pieno diritto di fare quel che fanno, ma la situazione da fuori appare insolita.
Le donne ignorate
In questo scenario ancora da capire, la nota stonata è che siano state ignorate le donne. Nessuna congratulazione, da entrambe le parti. Neppure quando Letizia Borghesi ha conquistato il secondo posto della Parigi-Roubaix e ieri Trinca Colonel un rispettabilissimo posto fra le prime 10 della Liegi.
Le donne non fanno parte della Lega del ciclismo professionistico, eppure (fatti salvi gli importi) all’UCI il contratto di Elisa Longo Borghini è identico a quello di Ganna. Siamo ancora fermi alla Legge 91 sul professionismo: una legge di 34 anni fa! E siccome nessuna Federazione all’epoca consentiva alle donne di accedere all’attività professionistica, le atlete italiane sono considerate dilettanti, sebbene abbiano in tasca dei contratti da professioniste.
Negli anni due decreti hanno ridefinito il concetto di “lavoratore sportivo”, estendendo alcune tutele anche al settore dilettantistico. E successivamente sono stati apportati ulteriori correttivi, adeguando la normativa alle esigenze attuali del mondo sportivo. Ma la disparità resta ed è frustrante. Lo è per noi che ne scriviamo, figurarsi per chi la vive sulla propria pelle.
Lo sforzo condiviso
Allora forse, mentre le foto della vittoria di Pogacar popoleranno gli sfondi per questa settimana e lasceranno poi il posto alle prime immagini del Giro, il ciclismo italiano fa bene a rallegrarsi per i tre azzurri nei 10 della Liegi. Poi però dovrebbe scrollarsi di dosso l’ennesima disparità a scapito delle ragazze.
Chiunque arrivi prima a sanare l’irregolarità meriterà una stretta di mano. Fermo restando che si potrebbe arrivarci assieme: la Federazione e la Lega che ne è diretta emanazione. La concorrenza serve quando porta frutti e fa crescere il movimento, in caso contrario rischierebbe di rivelarsi semplicemente uno sterile esercizio.