Riunione tecnica Castiglione delle Stiviere 2025, direttori sportivi (photors.it)

Terzo livello, si cambia. Sparisce il ds, arriva il tecnico allenatore

01.11.2025
6 min
Salva

Paolo Rosola è al Mugello con suo figlio Patrick e il camper per il Trofeo Città di Firenze di ciclocross. Il tecnico della General Store fa fatica a stare fermo e in fondo è questa la vita che ha sempre fatto. Prima da corridore, poi da compagno di Paola Pezzo quando ancora correva, quindi da diesse nei professionisti e poi in continental, sulla moto al Giro d’Italia, quindi come padre di due corridori. Quello che si è aggiunto da poco alla sua agenda è un corso per direttori sportivi di terzo livello, organizzato in collaborazione con la Federazione. E proprio aver potuto vedere da vicino la struttura dei corsi ha stimolato la curiosità del bresciano verso la nuova concezione del “tecnico allenatore”, come si chiamerà d’ora in avanti il vecchio direttore sportivo del ciclismo (in apertura, immagine photor.it della riunione tecnica prima del Trofeo Edil Group Costruzioni).

Paolo Rosola, 65 anni, è approdato quest'anno alla General Store Essegibi
Paolo Rosola, 65 anni, è tecnico alla General Store Essegibi dal 2022 dopo gli anni alla Gazprom
Paolo Rosola, 65 anni, è tecnico alla General Store Essegibi dal 2022 dopo gli anni alla Gazprom

Il liceo Sacra Famiglia

E’ nato tutto dalla sua collaborazione con il Liceo Scientifico Sportivo “Sacra Famiglia” di Castelletto di Brenzone sul Garda, in provincia di Verona. Ce ne aveva parlato già nel 2022, quando la sua preoccupazione principale era la ricerca (vana) di uno sponsor per evitare che il gruppo della Gazprom si disperdesse.

«E’ un liceo scientifico sportivo – ripete Rosola – in cui circa 250 ragazzi arrivano a prendere il T1 (primo livello come direttori sportivi, ndr) e in quinta escono con il diploma di Guida Cicloturistica. Praticamente fanno tutto l’iter di circa 60 ore e io collaboro con loro da quando al Centro Studi della Federazione c’era Daniela Isetti. Nella scuola ci sono una pista di downhill e un pump track e quando i nuovi responsabili della Scuola Tecnici sono venuti a vederla, è nata la proposta di organizzare un corso per il terzo livello e la scuola ha aderito. In più l’istituto ha una foresteria gestita dalle suore, che permette agli allievi di pernottare nei weekend in cui si svolge il corso».

All'interno del liceo di Brenzone, ci sono una pump track e un percorso da downhill
All’interno del liceo di Brenzone, ci sono una pump track e un percorso da downhill
All'interno del liceo di Brenzone, ci sono una pump track e un percorso da downhill
All’interno del liceo di Brenzone, ci sono una pump track e un percorso da downhill
Ed è stato così che ti sei reso conto di quanto sia cambiato il terzo livello rispetto agli anni scorsi?

Esatto. Rispetto a un tempo sono stati inseriti più elementi di allenamento, di alimentazione e di psicologia. Anche la parola direttore sportivo, per come era ai vecchi tempi, piano piano andrà a sparire. Oggi quella figura prenderà il nome di tecnico allenatore. E’ colui che gestisce lo staff, perché oggi anche nelle continental abbiamo tutto: il nutrizionista, il preparatore, il dottore, il massaggiatore, il meccanico. Una volta che il direttore sportivo, quello che prima avremmo chiamato team manager, ci affida tutte queste persone, il tecnico allenatore deve gestirle. Io nella General Store sono tecnico allenatore e così d’ora in avanti sarà indicato nel tesserino, con la qualifica TA3.

Come tecnico allenatore devi sapere di preparazione, nutrizione e psicologia perché avrai a che fare con l’allenatore, il nutrizionista e lo psicologo?

Esatto. Parlo con il mio preparatore, il mio nutrizionista e con il dottore, poi posso fare la tattica di corsa. Quella viene gestita sempre dal tecnico allenatore, come nel calcio. E la Federazione ha cominciato a inserire questa figura, verso cui tutti dovranno tendere. Perché è lampante che questi corsi servano anche per fare una selezione.

La Federazione aveva già un accordo con il liceo per il primo livello e il titolo fi guida cicloturistca
La Federazione aveva già un accordo con il liceo per il primo livello e il titolo di guida cicloturistca (immagine FCI)
La Federazione aveva già un accordo con il liceo per il primo livello e il titolo fi guida cicloturistca
La Federazione aveva già un accordo con il liceo per il primo livello e il titolo di guida cicloturistca (immagine FCI)
Pensi che i tuoi colleghi faranno fatica ad accogliere questo cambiamento?

A livello continental e anche nei team elite/U23 siamo lontani, perché veniamo dalla cultura delle vecchie generazioni, che invece devono cambiare. Se il WorldTour è la serie A e le professional sono la serie B, le continental sono la serie C del ciclismo. E anche nella serie C ci sono dei meccanismi uguali a quelli della serie A. Se tu parli con i professionisti, non sono i direttori che gestiscono gli allenamenti. Per cui nei corsi si cerca di qualificare questa figura del tecnico allenatore, ma è abbastanza chiaro che ci sarà da aspettare ancora perché tutti siano pronti. Bisognerà che tutti capiscano o che arrivino i giovani, come D’Aiuto, Pozza e Palomba che lo scorso anno erano con noi e si sono iscritti al corso. Chi non ci sta, può tornare a fare il direttore sportivo come prima, ma negli allievi e al massimo gli juniores.

Il problema di equiparare la serie C con la serie A è che nelle continental non siete professionisti e non fate parte della Lega Ciclismo. Pare che ci siano delle riunioni in corso per agevolare questo passaggio, ma ad ora siete dilettanti…

Verissimo e neanche so se la Federazione e le stesse squadre dei professionisti sarebbero contente di vedere le continental nella Lega, potrebbero vederci una contrapposizione.

Mentre in Italia dui lavora al terzo livello, a Aigle i diesse italiani puntano alla qualifica internazionale
Mentre in Italia si lavora al terzo livello, a Aigle i diesse italiani ieri hanno concluso il corso per tecnico di livello internazionale
Mentre in Italia dui lavora al terzo livello, a Aigle i diesse italiani puntano alla qualifica internazionale
Mentre in Italia si lavora al terzo livello, a Aigle i diesse italiani ieri hanno concluso il corso per tecnico di livello internazionale
Quanto dura il corso?

E’ cominciato il weekend scorso e dura per tre fine settimana. Poi ci saranno il tirocinio, che va fatto in una squadra continental, e l’esame finale. Cosa posso dire? Io sono arrivato nelle continental tre anni fa, però vedo che ci sono ancora dei direttori sportivi alla vecchia maniera che devono gestire ragazzi, che spesso ne sanno più di loro. Bisogna essere al passo, oppure avere in squadra delle figure all’altezza. Se mi parli di nutrizione, che cosa vuoi che ne sappia? Però ho il nutrizionista, ho visto come lavora, gli ho dato i consigli perché crei un bel rapporto con i giovani e ora lo lascio lavorare. Ad esempio in ritiro, quando vedevo che i ragazzi facevano i furbi, glielo segnalavo. Perché i corridori sono giovani e devono imparare a non esagerare.

Anche questo fa parte della loro formazione.

Bisogna stare attenti a queste cose, stargli dietro, perché non sono ancora dei professionisti. Ma è un tipo di educazione che va insegnata parlando e non urlando come facevano Locatelli e gli altri delle generazioni precedenti. Bisogna spiegargli il perché delle cose che fanno. Alcuni ti rispondono che preferiscono partire con la pancia piena e devi dirgli perché sia sbagliato. Io magari gli do la spiegazione semplice: se parti a pancia piena, ti staccano subito. Però il nutrizionista può inquadrarla bene, in modo che quando passerà professionista non commetterà errori elementari. Se uno come me non avesse creduto nei giovani, ora sarebbe fermo al ciclismo degli anni Novanta. Invece è importante dare spazio ai giovani preparatori e vigilare perché riescano nel loro lavoro.

Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte

EDITORIALE / Il tecnico azzurro, i ragazzi dell’89 e la politica

13.10.2025
6 min
Salva

La vittoria di Trentin alla Parigi-Tours è un magnifico lampo azzurro sul finale di stagione. La classica francese, che chiudeva la Coppa del mondo ed è stata estromessa dal WorldTour forse perché la Francia (ASO) ne aveva troppe o perché non si poteva all’indomani del Lombardia, vedeva alla partenza tutti i non scalatori. I corridori da classiche che una volta si dividevano il calendario con gli uomini delle salite, offrendo il loro spettacolo. Ugualmente, sul percorso francese hanno dovuto sciropparsi cotés e tratti sterrati, perché una corsa solo in asfalto non basta più per gli standard attuali.

La vittoria di Trentin vale tanto perché è la terza a dieci anni dalla prima (non vale come il secondo Tour di Bartali, ma vista la velocità del ciclismo attuale poco ci manca) e perché ci permette di raccontare una storia archiviata troppo in fretta. L’ispirazione ce l’ha data qualche giorno fa Diego Ulissi, anch’egli classe 1989, quando gli abbiamo chiesto di parlare dei commissari tecnici con cui ha lavorato e fra i quattro disse parole limpide su Cassani.

Parigi-Tours 2015, Matteo Trentin vince la prima a 26 anni
La prima Parigi-Tours di Trentin a 26 anni nel 2015. In questo ciclismo che brucia in fretta, Van der Poel rivincerà il Fiandre nel 2030?
Parigi-Tours 2015, Matteo Trentin vince la prima a 26 anni
La prima Parigi-Tours di Trentin a 26 anni nel 2015. In questo ciclismo che brucia in fretta, Van der Poel rivincerà il Fiandre nel 2030?

Quattro europei e un argento iridato

Nel 2018 Trentin è stato il primo dei quattro campioni europei della gestione di Davide in nazionale. Sul traguardo di Glasgow batté in volata Van der Poel e Van Aert (al quinto posto si piazzò Cimolai, pure del 1989). L’anno prima, nel 2017 a Herning, Kristoff aveva piegato Viviani in volata, ma nel 2019 Elia si prese la rivincita. Si correva ad Alkmaar, in Olanda, e il veronese arrivò con un secondo di vantaggio su Lampaert (settimo Trentin). Il 2020 del Covid fu quindi l’anno di Nizzolo, che pochi giorni dopo aver vinto il campionato italiano di Stradella, a Plouay in azzurro batté Demare e Ackerman (sesto Ballerini). Infine nel 2001 il trionfo spettò a Colbrelli, che a Trento riuscì a non farsi staccare in salita da Evenepoel e lo batté nella volata a due.

In quegli stessi anni, l’Italia di Cassani arrivò seconda ai mondiali di Harrogate con lo stesso Trentin, probabilmente per aver sottovalutato il ventiquattrenne Pedersen. Stava anche per vincere le Olimpiadi di Rio con Nibali, dopo una tattica perfetta e l’attacco giusto, a causa di quella maledetta caduta. E se non fosse stato per la caduta di Colbrelli a Leuven, forse anche il mondiale del 2021 sarebbe stato alla portata. Quell’anno Sonny volava. Aveva vinto l’europeo e la settimana dopo il mondiale (chiuso al 10° posto) vinse la Roubaix: il tutto nell’arco di due settimane.

Il progetto di Cassani

Anni in cui avevamo corridori e percorsi adatti. E se il mondiale era troppo duro, di certo l’europeo veniva tracciato con un occhio per gli altri. Ecco allora spiegato il link, anzi l’aggancio fra la vittoria di Trentin e la nazionale di Cassani. Tutti quei campioni europei erano ragazzi del 1989 (tranne Colbrelli che è del 1990) e tutti, ad eccezione di Trentin, hanno annunciato il ritiro.

Il primo è stato Nizzolo, già nel cuore dell’estate. Poi è stata la volta di Viviani, che nonostante alla Vuelta abbia dimostrato di essere ancora fior di corridore, si fermerà dopo i mondiali su pista. Mentre Colbrelli ha dovuto arrendersi al suo cuore e si è fermato pochi mesi dopo quelle vittorie.

Il progetto azzurro di Cassani, ereditato da Ballerini e Bettini e sviluppato fino a ottenere l’attuale gestione, è stato interrotto alla fine del quadriennio di Tokyo. La nuova gestione federale vedeva in lui un fedelissimo del presidente precedente e quindi il romagnolo non venne confermato. A poco valgono le parole pronunciate a caldo dall’attuale gestione sulle sue (presunte) scarse capacità: quando si guida la nazionale, contano i risultati. E’ innegabile tuttavia che Davide, mettendo probabilmente troppa carne al fuoco, avesse lavorato a stretto contatto con il presidente Di Rocco, dando man forte a Villa per il rilancio della pista, salvando l’attività giovanile nei mesi del lockdown, rimettendo in piedi il Giro U23 abbandonato da tempo, risultando decisivo nell’organizzazione dei mondiali di Imola, che furono un fiore all’occhiello per tutto il ciclismo azzurro e non per una sola parte.

Il mondiali del 2019 sono sfuggiti all’Italia per un soffio. Trentin perse la volata da Pedersen, corridore di 24 anni che nessuno conosceva
Il mondiali del 2019 sono sfuggiti all’Italia per un soffio. Trentin perse la volata da Pedersen, corridore di 24 anni che nessuno conosceva

Tecnici alla larga dalla politica

L’insegnamento che se ne trae è duplice. Il primo, quasi banale: se non si hanno corridori adatti ai percorsi, è inutile aspettarsi i risultati (semmai ti aspetti il carattere, ma questa è un’altra storia). Il secondo, altrettanto banale ma non sempre scontato: i tecnici fanno sempre bene a stare alla larga dalla politica, pensando solo all’aspetto sportivo e non a quello della propaganda. Altrimenti quello che oggi è toccato a uno, domani toccherà tranquillamente all’altro. E sbaglia la politica, se lo fa, a cercarli per ottenere il consenso. Ad esempio si temette per Ballerini, messo al suo posto da Giancarlo Ceruti, acerrimo avversario per Di Rocco. Ma Di Rocco si guardò bene dal rimpiazzarlo, forse perché il cittì della nazionale trascende gli interessi di parte o così almeno era sempre stato.

Gli ultimi anni invece hanno confermato un cambiamento di rotta. Dopo la mancata riconferma di Cassani, oltre all’assenza di risultati a Bennati è stato rimproverato di non essere stato sempre allineato alle richieste federali. Tutto legittimo, intendiamoci, nessuno impone contratti a vita e ciascuno – anche il cittì – è responsabile delle sue scelte. Semplicemente non si era mai visto prima, se non nel caso di Antonio Fusi, messo con scelta simile nel 1998 a fare il tecnico dei pro’ al posto di Martini (bruciandolo), dopo gli anni vittoriosi fra gli U23 e rimosso a fine 2001 per lasciare spazio a Ballerini.

Marco Villa, cui di tutto cuore auguriamo buon lavoro, è uno dei pochi che in questi anni sia rimasto al suo posto, pensando alla pista e adesso alla strada senza una parola di troppo. Un tecnico che fa il tecnico, che vuole l’ultima parola nel suo ambito e preferisce lavorare giorno e notte nel velodromo, piuttosto che apparire a eventi e comizi. Uno capace di dire più volte che avrebbe preferito restare nella pista, ma pronto ad accettare la volontà federale che lo ha voluto su strada. Uno che ha anteposto l’azzurro alle sue velleità. Forse grazie a questo sopravviverebbe a un cambio di gestione efferato come quello del 2021. Ma Alfredo Martini sarebbe stato cittì azzurro dal 1975 al 1997 se la politica sportiva avesse avuto già allora i toni di oggi?

Campionati del mondo Kigali 2025, Marino Amadori, Lorenzo Finn, Cordiano Dagnoni, taglio della torta

EDITORIALE / La vittoria di Finn sia una spinta e non un freno

29.09.2025
6 min
Salva

KIGALI (Rwanda) – Lorenzo Finn e lo strepitoso manipolo degli under 23 hanno portato un oro così abbagliante da spingere anche la Gazzetta dello Sport a dedicargli uno spazio in prima pagina e ben quattro pagine a seguire. L’oro è prezioso, ma se lo fissi troppo a lungo tende a sfocare lo scenario intorno. Finn ha davvero quello che serve per arrivare alla mensa dei grandi. Siamo certi tuttavia che il nostro ciclismo sia in grado di intercettare tutti i potenziali campioni che produce? Ecco perché è necessario che la vittoria di Lorenzo si trasformi in una spinta e non in un freno, come quando ci si siede convinti di avere quanto basta.

Campionati del mondo Kigali 2025, U23, Alessandro Borgo, PSimone Gualdi, Pietro Mattio, gesto dell'arco come Lorenzo Finn
Anche Borgo, Mattio e Gualdi, tagliando il traguardo, hanno scoccato la freccia come Finn
Campionati del mondo Kigali 2025, U23, Alessandro Borgo, PSimone Gualdi, Pietro Mattio, gesto dell'arco come Lorenzo Finn
Anche Borgo, Mattio e Gualdi, tagliando il traguardo, hanno scoccato la freccia come Finn

Tre amici al box

Vi raccontiamo al riguardo un interessante scambio di opinioni fra Johnny Carera, Dino Salvoldi e il sottoscritto, avvenuto davanti al box dell’Italia. La teoria dell’agente di Pogacar (e svariati altri corridori) suggerisce che ormai è impossibile che un atleta sfugga agli osservatori. Persino un cicloturista che vince le gran fondo viene “pesato” e indirizzato verso i devo team o le squadre WorldTour. Ci sono così tanti dati a disposizione, che tutto il meglio viene a galla e gli altri probabilmente farebbero meglio a smettere, non avendo i mezzi per andare avanti. Un tema che con lui avevamo già affrontato in precedenza, scrivendone un primo editoriale.

A nulla in un primo momento sono valse le nostre obiezioni, secondo cui non tutti i dati di tutti i corridori sono realmente disponibili. Ci sono infatti parecchie società giovanili incapaci di seguire i loro ragazzi come meriterebbero. Di conseguenza, l’Italia perde una percentuale significativa di atleti senza averli neppure valutati.

Niente da fare: secondo Carera non si sfugge. Chiaramente il suo è il punto di vista di chi intercetta i più giovani non per mecenatismo, ma per ricavarne un utile in prospettiva futura. Se i numeri sono alti e il parco atleti è pieno, l’agente può dirsi soddisfatto. La percentuale di quelli che vengono portati al professionismo in tenera età e poi smettono è un dato su cui ci soffermeremo in altra occasione.

I talenti poco seguiti

Salvoldi, che da tre anni ha preso in mano la categoria juniores, ha ascoltato e poi ha detto la sua. In tante squadre più piccole ci sarebbero pure dei tecnici capaci, ma devono arrestare il loro slancio davanti a presidenti avanti con gli anni. Imprenditori che usano la squadra per raccontare il lavoro delle aziende e per vantarsi con i loro concorrenti. Oppure presidenti che ingaggiano corridori con tanti punti, senza guardare quelli del loro paese che magari avrebbero margini inesplorati. Loro non hanno interesse a sposare le metodologie del ciclismo moderno e forse non ne vedono la necessità.

Questo fa sì che il talento ci sia – ha fatto notare il cittì degli juniores – ma non venga seguito come richiederebbe. In questo ciclismo così spinto ormai anche fra gli allievi, è realmente possibile che dei ragazzi non riescano ad emergere? I test fatti in pista lo confermano: in Italia tanti atleti si perdono lungo il percorso. Perché non tutti hanno alle spalle società all’altezza e non tutti finiscono nei radar degli agenti. E poi è normale che siano quasi unicamente gli agenti a gestire il futuro del ciclismo italiano? A quel punto Carera ci ha pensato un istante e ha ammesso che la posizione di Salvoldi (che è anche la nostra) sia effettivamente centrata.

Campionati del mondo Kigali 2025, donne junior, Chantal Pegolo
Chantal Pegolo argento fra le donne junior: fra le ragazze le problematiche non sono da meno
Campionati del mondo Kigali 2025, donne junior, Chantal Pegolo
Chantal Pegolo argento fra le donne junior: fra le ragazze le problematiche non sono da meno

Il modello britannico

Ma Salvoldi è andato oltre e ha spiegato che in Gran Bretagna, il giovane che voglia iniziare a praticare ciclismo si rivolge ai centri locali di British Cycling, la loro federazione. Viene inserito in un processo di valutazione e indirizzato dove meglio il suo talento sarà valorizzato. In questo modo, prima ancora che si capisca se il ragazzino sarà un campione oppure un brocco, il suo profilo sarà stato valutato da chi governa il ciclismo del Paese.

In Italia, il bambino che voglia iniziare deve necessariamente iscriversi a una società. La scelta magari avviene per vicinanza, senza sapere più di tanto quale contesto troverà. Senza sapere se sarà guidato in un cammino di crescita che saprà valorizzarlo. Arriverà all’attenzione della Federazione e degli agenti soltanto se sarà in grado di fare dei risultati. Ma questi non sono scontati se la crescita si svolgerà lungo un percorso inadeguato.

Le scuole calcio sono un’altra cosa. Intanto sono una presenza più ramificata sul territorio e poi anche le più piccole hanno l’occhio di una grande squadra che periodicamente analizza le schede dei bambini. E’ interesse delle società farli crescere, anche per il valore economico dell’atleta, che nel ciclismo per le società di base è davvero poca cosa. La qualità del lavoro di Salvoldi di questi anni si basa sui test che il tecnico azzurro ha iniziato a svolgere sui territori, attirando i corridori che avrebbero difficoltà a raggiungerlo a Montichiari e facendone una prima valutazione. «Il ciclismo non è per tutti – ha detto giustamente Carera – poiché richiede mentalità e dedizione fuori dal comune». Ma se il ciclismo si ferma in Toscana e scendendo verso il Sud e le Isole ha grosse difficoltà per l’assenza di squadre e calendario, quanti sono i giovani corridori che avrebbero delle potenzialità e al ciclismo neppure ci pensano?

Campionati del mondo Kigali 2025, U23, Lorenzo Finn con i genitori
I genitori di Lorenzo Finn hanno seguito i figlio in Rwanda. Hanno raccontato di avergli sempre lasciato grande libertà
Campionati del mondo Kigali 2025, U23, Lorenzo Finn con i genitori
I genitori di Lorenzo Finn hanno seguito i figlio in Rwanda. Hanno raccontato di avergli sempre lasciato grande libertà

Un sistema superato

La nazionale non può fare tutto, soprattutto in questi anni di spese ridotte. Su pista allena i suoi ragazzi e i risultati si vedono, ma non può sostituirsi alle società. Può offrire ai ragazzi un calendario di crescita senza la pressione del risultato che magari è tipica delle squadre, ha spiegato Salvoldi, con la finalità di crescere con la giusta consapevolezza. Quello che invece potrebbe fare la Federazione (in apertura con il ct Amadori e Finn, c’è il presidente Dagnoni) è cercare di avvicinarsi al modello britannico diventando con i suoi Comitati Regionali un hub per l’accesso allo sport.

La famiglia si rivolge al settore tecnico regionale: saranno loro a fare una prima valutazione del bambino e ad indirizzarlo verso le società che lavorano meglio. Per le altre (ad esempio quelle che fermano il ragazzino che per l’anno successivo ha comunicato di voler cambiare maglia) non deve esserci posto, a meno che non cambino registro. A monte, una fase di formazione e screening per chi gestisce le società di base permetterà di avere il vero polso della situazione. Va sradicato un sistema che ormai non va più bene, creando un meccanismo più esatto e in linea con le esigenze attuali. La Federazione ha tutte le armi per riprendere in mano lo sviluppo dei corridori, facendo in modo che gli agenti siano figure necessarie, ma non gli arbitri dello sviluppo. Servono voglia e capacità, il resto c’è tutto.

Una piccola voce, ma parole sacrosante sulla sicurezza

04.08.2025
5 min
Salva

Questa non è un’intervista a Pogacar e tantomeno a Jonathan Milan, Ganna o Ciccone. Si parla di sicurezza, che dopo i fatti di Terlizzi non è mai abbastanza, e Lucio Dognini, che ne è il protagonista, starebbe volentieri dietro le quinte, preferendo che ad esporsi siano nomi più importanti di lui. In linea di principio potrebbe avere ragione, ma non sono stati i grandi nomi che dopo la morte di Samuele Privitera e il nostro editoriale del 21 luglio hanno scritto una mail: lo ha fatto lui. E dalla mail abbiamo preso spunto per ricontattarlo (in apertura, Monica e Luigi, in camicia bianca e polo nera: i genitori di Privitera alla ripartenza del Giro della Valle d’Aosta).

Dognini, bergamasco di 60 anni, è il titolare di Travel&Service, l’azienda che per anni è stata secondo nome sulla maglia della Valcar fra le donne, nel ciclocross con la Fas Airport Services-Guerciotti-Premac e sponsor minore della Biesse-Carrera-Premac. E’ presidente del team juniores Travel & Service Cycling Team-3B Academy ed è fra gli organizzatori della Due Giorni di Brescia e Bergamo, ugualmente per juniores. Nella sua mail si dice totalmente d’accordo con ogni articolo che parli di sicurezza e del fatto che le strade siano piene di trappole per ciclisti e che le auto siano troppo grandi e veloci.

«Ma personalmente – scrive Dognini – penso sia anche un modo per non prenderci le nostre responsabilità. Sì, non prenderci le nostre responsabilità: noi che siamo gli attori principali di questo sport!!». 

Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Lucio Dognini, secondo da destra, in una visita alla Biesse-Carrera che sponsorizza
Partiamo da qui: che cosa può fare il ciclismo?

Le squadre pagano ingaggi di milioni di euro, però non pensano che se uno di questi corridori si fa male, buttano via i soldi. Questo è il mio pensiero. Esattamente come il concetto del prevenire gli incidenti da parte di questi professionisti mega pagati quando sono in giro a fare l’allenamento. Quanti post avete visto, di squadre o di professionisti, che vanno in giro con le luci accese? Piuttosto vedi quello che mangia la pizza o si fa il selfie e per me è una cosa sbagliatissima.

Che cosa potrebbero fare invece?

Se facessero dei post in cui fanno vedere che vanno a fare gli allenamenti con le luci accese anche di giorno, con i lampeggianti davanti, darebbero l’idea che l’uso di certi strumenti li può aiutare a tornare a casa sani e salvi. Avremmo meno tragedie come quella di Sara Piffer e come lei Matteo Lorenzi. Meno ragazzi morti, meno ciclisti morti sulle strade. Invece fanno le loro esibizioni divertenti e non pensano che i ragazzi giovani li guardano. E le squadre non dicono niente. Glielo fanno mettere nel contratto che sono obbligati a rispettare il codice della strada?

I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
I professionisti più in luce e i loro social sono un’ispirazione fissa per i giovani corridori (immagine Instagram)
Cosa succede nelle categorie minori?

Pensiamo solo a farli correre, a farli andare sempre più veloci, ma non facciamo niente per la loro sicurezza. Durante le gare, dove mi dicono ci sia una commissione federale al lavoro, ma soprattutto durante gli allenamenti. I miei hanno 16-18 anni, si allenano 20 ore a settimana sulle strade di oggi, essere visibili è una necessità. Eppure se vai in bici, ti accorgi che neanche il 10 per cento dei ciclisti usa la luce davanti.

Come quando non si usava il casco…

Poi i professionisti sono stati costretti a usarlo e adesso ce l’hanno tutti, anche se la normativa italiana non lo impone. Se i professionisti lavorano per loro sicurezza, automaticamente diventerà una buona pratica e magari l’amatore spenderà il necessario per comprarsi il completino in cui magari hanno inserito un airbag superleggero.

Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Anche perché testimonial di Garmin Varia, Nibali si è spesso mostrato con la luce anteriore (immagine Instagram)
Difficili da portare in una salita alpina del Tour se non trovano il modo di renderli leggeri, ma il discorso non fa una grinza. Anche perché le strade sono davvero fatte solo a misura di auto.

Vorrei portare un punto di vista diverso. Sicuramente ci sono anche troppi dossi, creati per rallentare gli automobilisti che vanno sempre più veloci. Questo è palese. Siamo certi però che Privitera, come il ragazzo che è morto alla Gran Fondo qua a Bergamo un mese e mezzo fa, non avesse le mani sopra che gli sono scivolate? Io li vedo i ragazzini. Hanno sempre le mani sulle leve dei freni, che sono di gomma e diventano scivolose. Alcuni nemmeno usano i guanti. Chi glielo ha insegnato?

Anche qui si va per emulazione?

Di sicuro nelle scuole di ciclismo non tutti insegnano ai ragazzi che in discesa si deve andare con le mani basse. Non tutti insegnano questo piccolo dettaglio tecnico, grazie al quale difficilmente perdi la presa del manubrio. Sono punti di vista, ma dico che il sistema deve fare qualcosa. La Federazione, l’associazione dei ciclisti, voi giornalisti come punto di incontro.

Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Le discese con le mani sopra rendono la bici meno guidabile e la presa insicura. Lui è Lipowitz al Tour
Sarà interessante sentire su questo qualche professionista.

Prendiamo la caduta di Pogacar alla Strade Bianche. Poteva tranquillamente lasciarci l’osso del collo, finire su una sedia a rotelle. Invece come ne è uscito? Un super eroe, è uscito come un super eroe. Sapete che cosa è successo qualche settimana dopo? C’è stata la Strade Bianche Juniores e mio figlio, che corre in un’altra squadra, nell’allenamento del giorno prima è andato con i compagni a vedere quella curva. Perché quando sei in bici ti sembra di poter fare tutto e che nulla possa succederti, mentre non è così. Io questi ragionamenti li ho fatti con Davide Martinelli il sabato dopo la morte di Samuele.

Di cosa avete parlato?

Mi ha chiamato lui, perché io ho mandato un messaggio al gruppo dei miei atleti. Gli avevo scritto di non aver paura di tirare il freno in gara. E Davide Martinelli, che è un ragazzo sensibile, mi ha chiamato per condividere con me il pensiero. Sono questi i personaggi che dovrebbero parlare di certi argomenti, non io. La mia è una piccola voce che non fa rumore, ma se serve per avviare il dibattito, allora sono a disposizione.

EDITORIALE / Un insolito dualismo sotto il cielo d’Italia

28.07.2025
5 min
Salva

Alle 19,40, circa 23 minuti dopo la vittoria di Wout Van Aert a Parigi e 15 dopo l’arrivo di Jonathan Milan in maglia verde, il comunicato della Lega Ciclismo è approdato via whatsapp nella disponibilità dei giornalisti.

«Jonathan Milan, orgoglio dell’Italia, vince la maglia a punti al Tour de France. Vincere 2 tappe e conquistare la maglia verde lasciandosi alle spalle campioni come Tadej Pogačar, Biniam Girmay e Jonas Vingegaard – scrive il presidente Pella (qui il testo integrale) – è un risultato straordinario. Come Lega del Ciclismo Professionistico ci faremo promotori e organizzatori di un evento di alto profilo istituzionale alla Camera dei Deputati per premiare Jonathan Milan». 

L’Onorevole Pella, terzo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana
L’Onorevole Pella, secondo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana

Dopo la Lega, la FCI

Alle 19,56, sedici minuti dopo, tramite l’account Telegram della Federazione sono arrivate invece le parole del presidente Dagnoni.

«Le due vittorie di tappa – scrive (qui il testo integrale) – la conquista della maglia verde da parte da Jonathan Milan, il grande lavoro fatto nelle rispettive squadre da corridori come Simone Consonni, Matteo Trentin ed Edoardo Affini, che è anche salito sul podio nella tappa a cronometro, il secondo posto di Davide Ballerini oggi in una tappa prestigiosa, dura e spettacolare, i piazzamenti di Velasco, Dainese, Albanese, ci regalano un Tour da tempo mai così felice per il ciclismo italiano».

Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo
Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo

Italia, un modello da rivedere

Va avanti così ad ogni vittoria, in una competizione interna fra due organi che dovrebbero lavorare in comune accordo, invece non si risparmiano reciproche spallate. Presenziando a premiazioni e podi come a voler delimitare il territorio. Intanto il ciclismo italiano, di cui parlano con prevedibile enfasi, continua la sua marcia (in apertura, un’immagine depositphotos.com). Le squadre professional non hanno il livello minimo necessario per competere e vanno a fare punti nelle corse di classe 2, quelle dei dilettanti. Gli organizzatori si sono visti richiedere di aggiungere la prova femminile, ma il loro budget è rimasto sostanzialmente invariato. Soffrono e a volte chiudono squadre juniores, che negli anni hanno costruito la propria fama prendendo ragazzi forti in ogni angolo d’Italia, trascurando i corridori di casa, perché dotati di meno punti.

Si dà la colpa di tutto alle WorldTour e ai loro devo team, senza rendersi conto che il modello italiano andrebbe adeguato a ciò che accade nel resto del mondo oppure andrebbero individuate nuove regole. Il presidente Dagnoni fa parte del Professional Cycling Council, quali proposte ha portato per regolamentare il passaggio al professionismo degli juniores o quantomeno provarci? 

Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano
Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano

La WorldTour che manca

E’ vero che abbiamo dirigenti quotati e tecnici di grande nome, oltre a personale super qualificato. Ma lavorano tutti in squadre dal budget straniero: basta che chi mette i soldi decida di imporre staff della propria nazionalità e tutto può cambiare. Lidl, sponsor tedesco, ha scalato la squadra, prendendo il sopravvento sull’americana Trek: in quel gruppo, che assieme alla Astana più di altri tutela i corridori italiani, tutto potrebbe cambiare.

Se è vero che il Tour è la vetrina dei corridori più forti, la presenza minima degli italiani deve produrre una riflessione. La WorldTour italiana serve, eccome. Non ci nascondiamo dietro alla presenza italiana nelle squadre mondiali. L’indimenticata Liquigas di Roberto Amadio schierava anche campioni internazionali come Sagan, Szmyd e Bodnar, ma permise a Nibali, Basso, Viviani, Oss, Moser, Cimolai, Caruso, Guarnieri, Bennati, Pellizotti, Sabatini, Vanotti e Capecchi (fra gli altri) di diventare solidi e spiccare il volo verso altre realtà. Quale squadra mondiale di 31 elementi sarebbe disposta a inserire ben 21 italiani?

La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso
La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso

I soldi della Lega

La nazionale si accinge a varare la spedizione per i mondiali in Rwanda e partirà con un contingente ridotto di atleti, meccanici e massaggiatori, dati gli alti costi della spedizione. Non saremo gli unici: il viaggio è oneroso. Si vocifera anche di ulteriori tagli che potrebbero riguardare figure di riferimento e della sempre crescente influenza del Segretario Tolu nelle scelte federali.

Visti il momento e la capacità del presidente Pella nell’aver intercettato alcuni milioni di euro nell’ultima Finanziaria per le attività della Lega del Ciclismo Professionistico, perché non immaginare che la stessa integri le spese di viaggio e soggiorno dei professionisti in Rwanda, lasciando che a occuparsi delle altre categorie sia la FCI? Allo stesso modo, dato che nel suo Consiglio sono presenti anche le squadre e gli organizzatori che stanno vivendo momenti particolarmente duri, si è già pensato di intervenire in loro favore?

La parità dei premi fra uomini e donne è un grande risultato, ma ancora migliore sarebbe approvare il professionismo per le ragazze. Il calcio lo ha fatto due anni fa, concedendo alle sue atlete la prospettiva di una pensione e di tutele che non tutte le squadre sono ora obbligate a garantire.

E così se il duello fra Pogacar e Vingegaard ha fatto il bene del ciclismo, non si può dire lo stesso di quello fra Lega e Federazione. Può essere di stimolo reciproco come Tadej ha detto di sé e di Jonas? E’ auspicabile. Se invece sarà così fino alle prossime elezioni, ci attende davvero un lungo quadriennio.

EDITORIALE / Nel far west del ciclismo italiano

07.07.2025
5 min
Salva

Undici italiani (meno Ganna) al Tour de France. Il piemontese è caduto il primo giorno ed è tornato subito a casa senza aver fatto in tempo a entrare nel clima della corsa. Incontrato ieri a Corvara, Miguel Indurain si è detto incredulo della situazione del ciclismo italiano.

«Non so se all’Italia manchino corridori – ha detto – oppure il fatto di avere una squadra di spessore o forse entrambe le cose. Non so quale sia il fattore scatenante di questa crisi, ma è davvero doloroso non vedere l’Italia protagonista. Nei miei anni aveva tanta abbondanza di grandi corridori sia per le classiche sia per i Grandi Giri. E’ un momento difficile perché poi si lotta contro superpotenze che hanno budget enormi, come la Uae Emirates».

Vincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolarità
Vincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolarità

Il silenzio dopo Aru

Da Bugno e Chiappucci siamo passati a Gotti e poi Pantani. Quindi a Simoni, Cunego e Garzelli. Ci sono stati gli anni di Savoldelli e Di Luca e Basso. Abbiamo creduto di aver trovato la risposta con Riccò, ma non è andata come si sperava. Abbiamo ringraziato Nibali, che ha portato orgogliosamente per anni la bandiera del ciclismo italiano. E quando di colpo il suo erede Fabio Aru è crollato sotto un peso imprecisato e per lui troppo grande, ci siamo guardati intorno e abbiamo visto che non c’era più niente. Non c’erano nemmeno più le squadre. Gli americani si sono mangiati la Liquigas, l’hanno trasformata in Cannondale e poi l’hanno lasciata morire. La rossa Saeco è diventata Lampre e la Lampre è diventata la UAE degli Emirati Arabi.

Senza il controllo da parte di manager nostrani, come in un moderno far west i settori giovanili sono diventati terreno di caccia per gruppi di agenti e squadre straniere, certamente ben strutturate ma senza grande slancio nel proporre un percorso di crescita coerente con la formazione dei nostri atleti. Siamo abbastanza certi che tanti di loro, inseriti in un team italiano di livello, avrebbero seguito un percorso di crescita diverso e più redditizio.

Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?
Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?

Il parafulmine Conca

E’ innegabile che ci siano dei problemi e che ci fossero anche in passato, tuttavia le vittorie hanno permesso di ignorarli. Si sono tutti attaccati alla vittoria tricolore di Conca, facendone una sorta di parafulmine. In realtà il campionato italiano è stato altre volte teatro di clamorose sorprese, come quando lo vinse Filippo Simeoni, lasciandosi dietro la crema del ciclismo italiano. Nessuno la prese troppo bene, ma furono costretti a fare buon viso e si rimisero a pedalare. Eravamo pieni di corridori forti a livello internazionale, per cui smisero presto di farsene un problema.

La vittoria di Conca, come da lui giustamente fatto notare e come sottolineato da Visconti, è arrivata in un giorno caldissimo e al termine di una fase ancor più torrida della stagione in cui a tutti i corridori delle professional è stato chiesto di fare punti su punti. In ogni corsa, anche le più piccole. Ogni giorno. La loro superiorità numerica nel giorno del campionato italiano è stata solo nominale: squadre composte da tanti corridori sfiniti, come è normale che sia quando l’obiettivo smette di essere fare buon ciclismo. Salta all’occhio in questo senso il terzo posto di Valerio Conti, 32 anni, nel Giro del Medio Brenta vinto ieri da Turconi. Non ci sarebbe da ragionare anche sulla presenza delle squadre professionistiche nelle internazionali che un tempo furono dei dilettanti?

Il Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentano
Il Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentano

Gli affari di Cairo

In tutto questo, la Federazione e la Lega (che ne è emanazione diretta) hanno smesso di parlare, rimbalzandosi responsabilità sempre troppo vaghe. Un atteggiamento che conduce in acque scure e non aiuta nel venirne a capo. E’ difficile dire se prevalga l’egoismo o se ci troviamo di fronte a dirigenti non all’altezza. Nella Francia del Tour che attira risorse come miele, è noto che gli stessi organizzatori abbiano più volte agevolato l’ingresso di nuovi sponsor per le squadre francesi. E’ utopia immaginare che Urbano Cairo, il presidente di RCS, possa svolgere un ruolo analogo? Probabilmente sì. O almeno la storia finora ha mostrato altre realtà. Il lavoro che viene svolto dai suoi uomini è quello di reperire capillarmente risorse sul territorio, senza (in apparenza) troppa attenzione per coloro cui le stesse vengono sottratte. L’obiettivo è fare utile: scopo legittimo, con il senso tuttavia di una mietitura che non tiene conto della necessità di arricchire il terreno prima che diventi arido.

Che cosa dovrebbero fare la Federazione e la Lega? Organizzare alla svelta un tavolo che detti nuove regole per il ciclismo italiano: dalla base ai vertici. Non significa consegnare a RCS ogni corsa che desideri, ma farlo in un quadro che gli imponga anche degli obblighi promozionali. Si sta addirittura valutando di costringere i super team a dividere parte delle loro risorse con le squadre più piccole: perché nessuno tocca le tasche degli organizzatori?

Le possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al Delfinato
Le possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al Delfinato

Gli italiani del Tour

Se non può essere il presidente Dagnoni a far sentire la sua voce, forse può farlo Roberto Pella, che ha un suo disegno e il suo passo, cui non sembra voler rinunciare? Il problema non è Conca, lui è stato semplicemente il più motivato nella corsa che assegnava la maglia tricolore. Il problema è il meccanismo che gli ha permesso di farlo e che sta svuotando il nostro ciclismo di ogni programmazione. Dalle squadre juniores, che vengono regolarmente depredate e poi chiudono, alle U23 che stanno lentamente sparendo, fino alle professional alle prese con il sistema dei punti. Era così anche prima, solo che ormai davanti non ci sono più campioni in grado di mettere tutto sotto il tappeto. Undici italiani (meno uno) al Tour sono un punto forse più basso di quanto è accaduto al campionato italiano.

Cinque uomini e quattro donne: pochi italiani ai mondiali. Perché?

13.06.2025
5 min
Salva

Cinque professionisti uomini e quattro donne. Quattro under 23. Tre juniores uomini e tre donne. A seconda di chi deve raccontarla, fra governo e opposizione, la scelta dell’Italia di portare un contingente limitato di atleti ai mondiali del Rwanda può avere sfumature differenti.

C’è da fare economia, ad esempio, perché nell’anno post olimpico i soldi sono sempre di meno. Oppure: sono aumentate le spese, perché Sport e Salute ha calato i contributi e inserito gli affitti per le strutture che prima il CONI offriva gratuitamente. Ancora: si sono mangiati tutti i soldi perché la gestione non funziona e adesso non sanno come fare. Ciascuno ha la sua lettura e forse la più giusta sta nel mezzo. Restano due dati inoppugnabili. A parità di tradizione e prestigio, la Federazione italiana ha meno soldi da spendere rispetto a quella belga che volerà in Africa al gran completo. E comunque prevedere i mondiali in Rwanda sarà pure bello per l’apertura che comporta, ma significa esporre tutte le federazioni a un esborso micidiale dopo la già carissima Zurigo.

Roberto Amadio è dal 2021 team manager delle nazionali. Ha debuttato con i mondiali 2022 in Australia
Roberto Amadio è dal 2021 team manager delle nazionali. Ha debuttato con i mondiali 2022 in Australia

Ne parliamo con Roberto Amadio, il team manager delle nazionali. Lui ci prova a stare alla larga dalle questioni politiche, ma alla fine è quello che deve farci i conti e conciliarle con la necessità di fare attività. Pertanto, se ti dicono che il budget non basta – qualunque ne sia la ragione – la sola cosa che puoi fare è ridurre i numeri. A meno di non chiedere agli atleti di pagarsi il viaggio, che però sarebbe poco serio.

E’ davvero così impegnativo gestire questo mondiale?

I costi sono alti, spendiamo ben più di quanto ci costerebbero dei mondiali in Europa, diciamo un 20-30 per cento più di Zurigo 2024, che è stato molto caro. Andremo a spendere sui 300 mila euro, quando di solito ne bastano 220-230 mila. Insomma, non è che abbiamo diminuito il budget, anzi. Il Consiglio federale ha stanziato un budget più alto di quelli normali, che però non è sufficiente per sostenere una spedizione al completo. Il tema è questo. Se poi di qui a settembre verranno fuori nuove risorse, valuteremo se cambiare qualcosa per rinforzare una categoria piuttosto che un’altra.

Qual è stato il criterio per determinare il numero degli atleti?

Abbiamo valutato che 5 professionisti sono sufficienti anche per un controllo minimo della corsa. Un paio possono entrare nelle fughe all’inizio e due rimangono con il leader per il finale di corsa. Ovviamente ci sarà da capire chi controllerà. Se vengono i fenomeni, ci penseranno loro. Una valutazione simile è stata fatta per le donne.

Fatta la Vuelta, Ciccone potrebbe tornare ai mondiali come leader dopo Zurigo 2024
Fatta la Vuelta, Ciccone potrebbe tornare ai mondiali come leader dopo Zurigo 2024
Dove forse abbiamo maggiore possibilità di risultato…

Infatti Longo Borghini in un mondiale così può essere sicuramente protagonista e tre ragazze che la affiancano sono più che sufficienti. Insomma, io ricordo sempre che nel 1983 Lemond vinse un mondiale da solo. Arrivò con la macchina, si gonfiò le gomme, corse, vinse e se ne tornò a casa. Servono le gambe, insomma. Infine negli under 23 abbiamo ritenuto di supportare Lorenzo Finn, che già al primo anno sta dimostrandosi uno dei migliori atleti in circolazione, per i risultati e anche la personalità. Anche loro correranno in quattro.

Gli juniores saranno al minimo…

Sono i più sacrificati, sia uomini che donne, con tre elementi in tutto. Al momento è così, poi valuteremo se si riesce a fare qualcosa in più.

Cinque professionisti sono ugualmente pochi.

So che Marco (Villa, ndr) ha già parlato con Ciccone e con parecchi altri atleti. Con Tiberi, con Caruso, quelli che si sono dimostrati tra i migliori anche al Giro. Io credo che un percorso così duro vada bene per Ciccone che sicuramente, parlando anche con Guercilena, dovrebbe fare la Vuelta e arrivare con una grande condizione. Però ripeto: altri arriveranno e a quel punto sarà Villa a decidere la rosa finale. So che sta parlando con una quindicina di atleti.

I mondiali in Rwanda potrebbero essere un’ottima occasione per Longo Borghini
I mondiali in Rwanda potrebbero essere un’ottima occasione per Longo Borghini
Cinque professionisti sono pochi, ma se fossero motivati potrebbero andare meglio dello scorso anno…

Ho parlato con diversi corridori al Giro e li ho visti molto interessati alla maglia azzurra. Mi hanno fatto tante domande e, quando è così, capisci che c’è anche la voglia di venire e fare bene. Quello che è successo l’anno scorso a Zurigo non è piaciuto a nessuno, ma è chiaro che quando ti trovi di fronte ai super campioni, finisce che ti demoralizzi. Però sono convinto che questo mondiale così impegnativo possa essere una buona occasione.

Tornando al mondiale, chi fa la strada fa anche la crono?

Sì, anche perché il percorso da crono è impegnativo e corridori come Cattaneo, Sobrero o anche Tiberi sono ottimi anche a crono. E anche nella crono delle donne possiamo fare bene, al punto che possiamo fare bene anche nel Mixed Team Relay. Invece la crono degli juniores sarà da vedere, perché secondo Dino Salvoldi sarà meno dura di quanto sia per le altre categorie.

I corridori convocati dovranno fare dei vaccini?

Il dottor Corsetti ha fatto una ricerca, parlando con medici del Rwanda e dell’UCI e ha prodotto un documento. E’ risultato che a Kigali non ci sono emergenze che richiedano vaccini particolari. Ci sono raccomandazioni di fare quello per la febbre gialla o quello per la malaria, ma per l’OMS non sono obbligatori. Per cui la scelta compete agli atleti e ai medici delle squadre, oppure ai genitori nel caso di atleti minorenni. Se poi qualcuno vuole rimanere a farsi le vacanze nella foresta, allora farà bene a vaccinarsi.

Il Rwanda ospiterà i prossimi mondiali. Agli atleti non sono richieste vaccinazioni (foto Tour du Rwanda)
Il Rwanda ospiterà i prossimi mondiali. Agli atleti non sono richieste vaccinazioni (foto Tour du Rwanda)
Secondo Silvio Baldini, allenatore del Pescara neopromossa in serie B, i calciatori giovani hanno perso il senso della nazionale…

I nostri tengono alla maglia azzurra, la vestono da quando sono juniores. Ci sono campioni che sulla nazionale hanno investito la loro carriera. Il problema è che nel calcio e sempre più nel ciclismo comandano le squadre e non sempre le squadre hanno a cuore gli interessi della nazionale. Basti pensare che nella settimana successiva al mondiale ci sono gli europei, anche quelli impegnativi. E ci sono squadre che preferiscono portare i loro corridori al Giro dell’Emilia per il discorso dei punti. Sono cose che da un lato capisco, ma che ci mettono in difficoltà.

EDITORIALE / Il Giro d’Italia specchio del ciclismo italiano?

26.05.2025
6 min
Salva

CITTADELLA – Terzo e ultimo giorno di riposo del Giro d’Italia. La tappa di Gorizia ha creato sconquasso nella classifica generale e ad averne la peggio sono stati certamente Roglic, ma soprattutto il ciclismo italiano. Ciccone è stato costretto al ritiro e anche Tiberi, il primo a cadere, ha dovuto mandare giù un altro distacco non richiesto. Ieri sul traguardo di Asiago, abbiamo dovuto ragionare un po’ prima di rispondere a Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, quando ha detto che non ricorda di aver mai visto un Giro così bello. Ma è bello davvero e il nostro essere frenati deriva unicamente dall’assenza di italiani nei piani alti della classifica?

Il podio del Giro d’Italia è ancora alla portata di Tiberi? Sulle spalle del laziale il peso delle attese tricolori
Il podio del Giro d’Italia è ancora alla portata di Tiberi? Sulle spalle del laziale il peso delle attese tricolori

Un Giro che piace?

Il Giro d’Italia è sempre bello, ma è innegabile che ci siano delle sostanziali differenze rispetto a quanto vissuto lo scorso anno. Nel 2024 le volate di Milan, la crono di Ganna e le prestazioni piene di verve e speranza di Pellizzari e Piganzoli lasciarono un diverso sapore in bocca al pubblico italiano. E poi Pogacar davanti a tutti era l’alibi ideale perché ci si accontentasse di qualsiasi cosa passasse sulla tavola. Questa volta l’alibi non c’è, la lotta sarebbe (stata) aperta e in testa alla classifica ci sono dei ragazzi giovani e privi di albi d’oro clamorosi, se non quelli messi insieme nelle corse U23. Ma non ci sono corridori italiani.

Nei giorni scorsi Patrick Lefevere, intervistato da Tina Ruggeri, ha fatto un’istantanea spietata ma come sempre molto lucida del ciclismo italiano. «Io vengo dal 1992 in Italia – ha detto – e quando vedo che adesso non è possibile neanche fare una squadra World Tour, è sicuramente un peccato. Meno male che c’è Reverberi che fa sempre la sua squadra e poi c’è la Polti con Ivan Basso. Per il resto c’è da piangere».

Reverberi e Pellizzari in una foto del 2024: talenti come Giulio faranno sempre più fatica a restare in Italia (foto Mazzullo)
Reverberi e Pellizzari in una foto del 2024: talenti come Giulio faranno sempre più fatica a restare in Italia (foto Mazzullo)

Il figlio del corridore

Non fa mai piacere che uno straniero si permetta giudizi così pesanti sulle cose di casa nostra, ma bisogna essere onesti e riconoscere che le parole del vecchio belga non siano finite lontane dal bersaglio. Risulta anche comprensibile che Patrick non si renda conto delle difficoltà del ciclismo in Italia, forte invece della sua centralità in Belgio, dove gli sponsor si fanno un vanto del sostenerlo

I numeri cozzano contro l’ottimismo della FCI e sui valori della società italiana. Il figlio del calciatore gioca a calcio. Il figlio del tennista gioca a tennis. Invece il figlio del corridore gioca a calcio. E questo non accade perché i corridori non amino più lo sport in cui sono diventati uomini, ma perché andare in bicicletta in Italia è sempre più pericoloso e non se ne vede una via d’uscita. E siamo abbastanza sicuri, per averne avuta conferma da alcuni di loro, che la rinuncia sia dolorosa.

A ciò si aggiunga che le società sul territorio calino in rapporto con il calo delle… vocazioni e l’alto livello sia sempre più spostato verso Paesi non italiani. Se negli anni passati si trovava eroico lasciare le regioni del Sud per trasferirsi al Nord (le storie di Nibali e Visconti valgano come esempio), oggi è un dato acquisito che per fare carriera nel WorldTour si debba lasciare l’Italia. Lo si racconta in modo meno eroico, ma l’impatto sui ragazzi non è da meno.

Dopo due anni e mezzo alla Visma, Belletta è tornato in Italia. Non sempre l’estero è garanzia di successo (foto Tomasz Smietana)
Dopo due anni e mezzo alla Visma, Belletta è tornato in Italia. Non sempre l’estero è garanzia di successo (foto Tomasz Smietana)

Le parole di Pella

In un’intervista rilasciata oggi a Luca Gialanella, il presidente della Lega Ciclismo Roberto Pella snocciola la sua ricetta per far ripartire il ciclismo italiano e lo fa con argomenti da autentico presidente federale. Con l’onorevole abbiamo avuto un’interessante conversazione circa un mese fa. Ci ha spiegato con grande motivazione la voglia di andare avanti col suo passo, lungo la direzione che ha scelto e utilizzando i miglior mezzi a sua disposizione. Pella è un uomo del fare. Ha rivendicato giustamente gli sforzi per equiparare i premi delle donne a quegli degli uomini nella Coppa Italia delle Regioni. E ha ribadito di essere una risorsa per il ciclismo italiano e non capisce l’eventualità che la Federazione soffra la sua presenza e non ne sfrutti le possibilità.

«Se non seminiamo sui giovani – ha detto alla Gazzetta dello Sport – rischiamo di non avere più campioni in futuro. E’ arrivato il momento di sostenere il professionismo, così come spingere il movimento femminile. Dobbiamo aiutare le squadre italiane a trovare gli sponsor per farle restare in vita. Anche questo fa parte della missione della Lega. Il terreno del ciclismo italiano è stato arido per troppo tempo, ma va concimato e annaffiato».

Roberto Pella, presidente della Lega Ciclismo Professionistico, ha portato il ciclismo e i suoi campioni alla Camera
Roberto Pella, presidente della Lega Ciclismo Professionistico, ha portato il ciclismo e i suoi campioni alla Camera

La svolta necessaria

Pella siede in Parlamento e in Parlamento ha portato il ciclismo. Ha accesso alle stanze e i tavoli in cui vengono prese le decisioni che contano. E’ un uomo molto attento alle relazioni, ma anche concreto e capace di portare risorse dove servono. Si è sempre detto che il solo modo per cui i grandi sponsor italiani tornino a investire nel ciclismo sia offrirgli il modo di rendere l’investimento meno oneroso di quanto sia ora, come peraltro accade in altri Paesi europei. Se questo è davvero possibile, assieme alla creazione di spazi e norme a tutela dei ciclisti, allora forse c’è speranza di un’inversione di tendenza. Altrimenti, se non si allarga la base in modo che la selezione del talento avvenga su numeri più corposi, sarà difficile rivivere il fiorire di campioni che negli anni 90 ci permise di essere protagonisti del calendario.

Nell’attesa che le promesse diventino realtà e che la politica dello sport dimostri di avere le risposte per le domande più urgenti, ci accingiamo a ripartire per la prossima tappa del Giro sperando che Tiberi trovi la grinta e le gambe per avvicinarsi al podio. E che Pellizzari abbia la possibilità di rimettere fuori il naso, confermando i miglioramenti che tutti abbiamo già toccato con mano, viste le condizioni difficili di Roglic. Pare anche che a Piganzoli, testato da una grande squadra WorldTour, siano stati riconosciuti mezzi non comuni. Loro tre e alcuni altri ragazzi fra il 2002 e il 2003 sono il nostro futuro più immediato: occorre avere pazienza. Il Giro resta bello, potersi pavoneggiare per una vittoria italiana lo renderebbe sicuramente migliore.

La velocità vola. E ora “Bomber” Quaranta vuole battere i grandi

11.03.2025
5 min
Salva

«Oggi anche un giovane italiano – dice con orgoglio e una punta di malizia Ivan Quaranta – può dire che da grande vuole fare il velocista. Può dirlo perché esiste un settore con dei tecnici dedicati e i Corpi di Stato che ci danno una mano. Gli atleti più meritevoli vengono assunti, la Federazione ci crede e noi andiamo avanti. A me non basta più vincere il campionato europeo da junior o under 23. Mi piacerebbe arrivare a Los Angeles con qualche velleità in più».

Dopo tre anni da collaboratore di Marco Villa, Ivan Quaranta è stato nominato commissario tecnico della velocità azzurra. Oggi è partito per la Turchia verso la prova di Nations’ Cup. Se fosse il naturale corso nella carriera di un tecnico che tecnico è sempre stato, ci sarebbe poco di cui stupirsi. Ma se l’uomo si fa chiamare Bomber, ha nel palmares un mondiale juniores nella velocità, poi una carriera su strada in cui vinse volate e rifilò cazzotti a Cipollini, quindi si è messo a organizzare eventi prima di diventare tecnico juniores e poi U23, allora la storia ha i tratti del romanzo. Ivan Quaranta cittì azzurro della pista è il capitolo di un romanzo che nel 2028 a Los Angeles potrebbe arricchirsi di qualche pagina indimenticabile.

«E’ il riconoscimento del lavoro che ho fatto – dice Ivan “Bomber” Quaranta – ho affiancato Villa e anche Marco era d’accordo. E’ il coronamento di un sogno, essere commissario tecnico del settore velocità è un grande onore, essendo nato nella velocità. La prima gara di valore che ho vinto fu il campionato del mondo in pista nel torneo della velocità».

Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Rispetto agli anni in cui vincevi quel mondiale, il mondo è cambiato…

Sono stato tecnico su strada, prima con gli allievi della Cremasca e poi con la Colpack. Sapevo già leggere un test, ero aggiornato. Però era tutto legato alla strada, quindi ricominciare con la velocità ha significato rendersi conto che il mondo era cambiato radicalmente. Anche se la velocità l’ho sempre guardata, mi è sempre piaciuta. Da Theo Bos a Chris Hoy, sono sempre stato appassionato. Capivo che i rapporti erano cambiati, i materiali, le velocità, anche il tipo di volata.

Il tipo di volata?

Da quando hanno tolto la possibilità di fare surplace, è cambiato anche il modello prestativo della specialità. Adesso si mettono in testa e bisogna avere nelle gambe 40-45 secondi di sforzo massimale, con rapportoni molto più lunghi. Mi sono dovuto applicare, inizialmente mi è servito molto l’aiuto di Villa. Poi mi sono appoggiato al nostro Team Performance, a partire da Diego Bragato, che ne è responsabile, e tutti gli altri. Mi sono applicato, ho studiato, ho cercato di rubare il mestiere andando a vedere.

Andando a vedere cosa?

Mi è capitato di andare in pista con i meccanici la mattina molto presto. Il velodromo era vuoto e io andavo a rubare un po’ di foto per vedere i rapporti che usavano, le pedivelle. Se il tecnico è preparato, capisce che tipo di prestazione serve per poter essere competitivi. Inizialmente abbiamo sperimentato, a volte anche sbagliando. A volte, purtroppo è brutto da dire, ho usato questi ragazzi come cavie. Mi sono rimesso anche sui libri di testo, qualcosa mi ha passato Dino Salvoldi. Ho lavorato tre anni cercando di capire che tipo di sforzo servisse.

Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
E che cosa avete capito?

Che la grande differenza oggi è il lavoro che il velocista fa in palestra. La forza la migliori in palestra. In bicicletta la puoi completare, puoi fare tutti i lavori che vuoi. La partenza da fermo piuttosto che le SFR. Fai tutti i lavori che vuoi, ma la vera forza l’aumenti in palestra. Un buon 65-70% del nostro allenamento si fa con i pesi e lo completiamo in bicicletta, perché comunque il gesto tecnico ci deve essere. Oltre al modello prestativo, c’è anche la componente tecnica. Penso al cambio in un team sprint piuttosto che la tecnica della partenza da fermo o le traiettorie da utilizzare in un lancio su 200 metri. C’è ancora tanta componente tecnica e molta più fisicità rispetto a quando correvo io.

Nel 2020 la velocità italiana quasi non esisteva, oggi è un settore in rampa di lancio…

Abbiamo creato un metodo di lavoro che sta dando i suoi buoni frutti. Sicuramente sbaglieremo ancora, sicuramente non saremo i migliori, però in tre anni abbiamo vinto tre campionati del mondo e 14 titoli europei, battendo anche tedeschi, inglesi e francesi. Nei giovani siamo una delle Nazioni più forti. La cosa importante è sottolineare Il supporto dei corpi di Stato, che per noi è stato fondamentale. Perché grazie a loro e al nostro metodo di lavoro siamo riusciti a raggiungere dei buoni risultati. La qualifica olimpica della Miriam (Vece, ndr). Abbiamo abbassato tutti i record italiani. Abbiamo vinto i campionati europei, i campionati del mondo juniores, ancora l’anno scorso con Del Medico. Questo ha permesso di creare un bel gruppo, perché adesso saremo una ventina.

Parlavi dei corpi militari…

Siamo una ventina e ce l’hanno permesso Fiamme Oro, Fiamme Azzure e l’Esercito, che hanno praticamente assunto quasi tutti i velocisti. La cosa più bella è che una volta li dovevi andare a cercare per convincerli. Speravi che venissero in pista a girare per diventare velocisti. Nessuno voleva avvicinarsi al mondo dello sprint, perché significava abbandonare la strada. Arrivi al punto che fino agli juniores, qualche garetta puoi ancora farla. Ma poi devi abbandonare la strada, perché il lavoro è prettamente palestra-pista a oltranza. La cosa più bella adesso è che ci sono gli allievi e anche gli juniores che ti chiamano e vogliono provare. Un allievo può dire di voler fare il velocista. Questa è la cosa più importante che abbiamo creato in questi anni.

Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Abbiamo un bel gruppo di giovani in rotta su Los Angeles, quindi?

Fra quattro anni, i nostri dovrebbero essere pronti. Poi c’è così tanto divario tra elite, under 23 e juniores, che servono degli anni per imporsi. Per arrivare a tirare certi rapporti, per sollevare certi pesi in palestra e andare a certa velocità, servono anni di lavoro. Predomo è un secondo anno under 23. Bianchi è già un primo anno elite. Moro è già un po’ più grande. E io fra quattro anni voglio cominciare a rompere le scatole anche gli elite. Con questi ragazzi, che ho trovato quando sono arrivato. E con quelli che si stanno inserendo, che oggi sono juniores di primo e secondo anno. Matilde Cenci, che era al primo anno da junior, l’anno scorso è stata terza nel keirin. Quindi se non è Los Angeles, saranno le Olimpiadi successive. Comunque stiamo creando un bel gruppo, prima o poi un Lavreysen lo troveremo anche in italia.