A Wollongong la gara femminile junior si è chiusa da poco tempo. Eglantine Rayer, arrivata seconda, è già in sala stampa, almeno in questo ha preceduto (e non di poco) la dominatrice Zoe Backstedt. Le chiedono di accomodarsi al tavolo delle intervistate e di anticipare la sua porzione di domande/risposte, ma lei non ne vuole sapere. Anzi si stizzisce anche un po’ per la richiesta che non segue il canone formale. Tra i giornalisti il suo fare un po’ sopra le righe stupisce. Evidentemente non sanno con chi hanno a che fare. Ma di certo lo avranno…
La rabbia contro i giudici Uec
La francesina è uno di quei classici casi dello sport dove il talento è direttamente proporzionale a un carattere che definire fumantino è un eufemismo. Nei suoi due anni da junior ha vinto tanto, praticamente il responso della gara australiana è l’esatta fotocopia dei valori in campo. Il Team DSM non se l’è fatta sfuggire e l’ha inserita già nel roster del prossimo anno, ma avranno certamente il loro bel daffare per imbrigliarla.
Una prova? Basta tornare indietro con la memoria solo di tre mesi, agli europei di Anadia. La transalpina di La Ferté-Macé arriva seconda nella crono, battuta per 45” dalla tedesca Justyna Czapla, ma quella che si presenta davanti ai giornalisti non è certo una ragazzina sorridente per la medaglia.
«Hanno controllato la mia bici tre volte – dice – me l’hanno data appena prima del via, neanche il tempo di assestarmi sulla sella. Sono partita che avevo le lacrime agli occhi per tanta rabbia, neanche ho acceso il misuratore di potenza. Devo dire grazie ai miei tecnici che hanno capito il mio stato d’animo e non mi hanno dato riferimenti sulle avversarie, sapere che ero dietro per colpa dei giudici mi avrebbe dato la mazzata finale…».
La beffa di Wollongong
Nel racconto abbiamo omesso tutte le colorite espressioni che infarcivano le sue parole. Eglantine è così, prendere o lasciare, ma questo si traduce anche in una malizia che porta risultati, perché legge la corsa in una maniera tutta sua. Magari non proprio ortodossa, ma i risultati le danno ragione e a conti fatti una squadra a quello guarda. Molto di questo lo si desume dal suo racconto in prima persona della gara mondiale.
La Backstedt come noto è andata via praticamente appena iniziata la gara. Si è capito presto che si lottava per l’argento e la Rayer non si è persa d’animo.
«Quando dopo il tratto di pianura mi hanno detto il vantaggio della britannica – ha spiegato – quasi mi mettevo a ridere… La Vinke è partita con altre due, ma ho rimediato, poi ci siamo trovate da sole io e lei, tra l’altro dal prossimo anno saremo compagne di squadra. Io avevo dato tutto, Niemke mi ha chiesto di darle il cambio ma io non ne avevo. Una vocina da dentro però mi diceva di partire da dietro, di onorare le compagne di nazionale che avevano lavorato per me. Ho fatto lo sprint e non me ne pento…». L’olandese non ha recriminato, ma certo è un comportamento che fa pensare.
Il trucchetto di Anadia
Un comportamento al quale la 18enne transalpina non è nuova e le nostre Ciabocco e Venturelli lo sanno bene. Torniamo allora ad Anadia, per la gara continentale in linea: la corsa si è messa bene per i nostri colori con le due azzurre in fuga insieme alla transalpina, due contro uno.
«Sapevo che le italiane sono fortissime – ha raccontato – e pensavo che si sarebbero giocate la carta dello sprint, ma poi hanno cominciato a chiedermi dei cambi e ho iniziato a riflettere. Un paio ne ho dati, poi ho detto loro che non collaboravo perché aspettavo il ritorno della Ménage che era la nostra velocista, così non ho tirato più. Tutte energie che mi sono venute utili alla fine».
Sarà la nuova Longo?
In Francia parlano di lei come della nuova Longo e c’è un fattore che potrebbe anche ricordare l’anziana e mai doma campionessa (ancora oggi capace di vincere il titolo mondiale Master nella sua categoria): il fatto che pratica più discipline, tra strada, ciclocross e pista. Ha iniziato a 11 anni, seguendo le orme del fratello.
«Inizialmente neanche mi interessava tanto – ha raccontato – ma più che altro avevo paura a farmi avanti perché avrebbero pensato che volevo copiarlo… Un giorno però il presidente del suo club ha detto che aveva bisogno di una ragazza per completare la squadra, così mi sono fatta avanti. Devo dire grazie a mio fratello se sono arrivata qui».
Il suo sogno è primeggiare nella gara di casa, il Tour de France appena nato, proprio come faceva la mitica Jeannie. E considerando il suo caratterino, è probabile che ci arriverà.