Pericolo scampato in Danimarca, ma Morkov suona l’allarme

Pericolo scampato in Danimarca, ma Morkov suona l’allarme

19.11.2025
5 min
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Con l’attività provvisoriamente ferma, affrontiamo con Michael Morkov un argomento scottante. Sono giorni di grandi sommovimenti nel ciclismo danese, scosso dalla chiusura della nazionale di Mtb: stop ai fondi federali e soprattutto il licenziamento in tronco del cittì Mads Boedker. Era stata la stessa federazione danese a comunicarlo avvertendo tutti i nazionali (nomi di un certo peso del panorama offroad, tra cui anche gente a mezzo servizio con la strada come il pluricampione del mondo Albert Withen Philipsen) che avrebbero dovuto pagarsi di tasca propria (o meglio, con il sostegno dei club) attività e trasferte internazionali, anche per le prove titolate.

La notizia aveva scosso l’ambiente, tante le proteste non solo dal mondo delle ruote grasse e non solo da quello ciclistico. La Federazione poi è tornata sui suoi passi, trovando un accordo con l’azienda CeramicSpeed per nuovi fondi potendo così riassumere Boedker e garantire l’attività di base. Ma chiaramente il rumore è stato tanto, come anche le implicazioni su tutto il ciclismo danese, anche quello su strada. In fin dei conti parliamo di uno dei movimenti di punta dell’attuale momento, quello che con Vingegaard e Pedersen è praticamente una delle poche vere alternative al dominio di Pogacar.

Michael Morkov è da quest'anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov è da quest’anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov è da quest'anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov è da quest’anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili

Michael Morkov ha assunto quest’anno il ruolo di cittì della strada e non si tira indietro nell’affrontare un argomento certamente spinoso, partendo da un’analisi della stagione che aveva portato più di qualche sorriso: «Penso che sia stata fantastica. Probabilmente una delle migliori stagioni che abbiamo mai avuto tra i professionisti, con tante vittorie. Avere Jonas Vingegaard e Mads Pedersen al secondo e terzo posto nella classifica mondiale è davvero impressionante».

L’attività danese si basa quasi interamente sul Programma Elite: come funziona?

Noi tecnici siamo chiamati a gestire l’attività puntando quasi tutto sulle prove titolate. Questo perché abbiamo un calendario ridotto e un budget limitato, non abbiamo molte attività. Siamo quindi chiamati a farcelo bastare, ma va anche detto che il calendario generale non lascia molti spazi, i corridori sono sempre impegnati con i loro team.

Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, ripensandoci poi
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, poi è tornata indietro
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, ripensandoci poi
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, poi è tornata indietro
Nelle settimane scorse si era parlato di problemi economici per la nazionale danese di mountain bike. I problemi coinvolgevano anche quella su strada?

Certo, è tutto nella stessa federazione. Ho seguito con molta apprensione tutta la vicenda, conoscendo personalmente anche i protagonisti. Il problema è molto più grande, non riguarda solo la mountain bike. Già da anni i fondi sono stati tagliati per la pista, per la strada e per il bmx e sono davvero straordinari i risultati che riusciamo a conseguire, ad esempio con il quartetto dell’inseguimento. Quindi, ovviamente, tutto è molto limitato e non abbiamo molte risorse.

Come è strutturato il tuo lavoro durante la stagione? Ci sono ritiri di allenamento e la nazionale partecipa alle gare indossando la divisa della nazionale?

Io sono tecnico sia per gli elite che per gli under 23 – risponde Morkov – quindi concentriamo su questa categoria gli sforzi, anche economici. Questa stagione abbiamo fatto tre prove di Nations Cup con la nazionale e poi abbiamo partecipato a gare UCI danesi come il GP di Herning. Siamo stati presenti alla prima edizione della Copenhagen Sprint, che era una gara del WorldTour e poi al Giro di Danimarca. Il tutto oltre naturalmente alle prove titolate per entrambe le categorie. Uno sforzo di non poco conto, ma era fondamentale esserci, non possiamo limitarci a europei e mondiali

Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro "sua maestà" Pogacar
Al centro Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro “sua maestà” Pogacar
Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro "sua maestà" Pogacar
Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro “sua maestà” Pogacar
La Federazione Danese, come altre federazioni sportive, riceve sostegno statale come nel caso dell’Italia attraverso il Comitato Olimpico Nazionale?

Certo che sì e questa è in realtà la nostra principale fonte di sostentamento – spiega Morkov – che proviene dalla federazione e in prima istanza dal governo. Ma purtroppo, a differenza di altri Paesi, la Danimarca non sta supportando il mondo dello sport con grandi risorse. Non so come funzioni da voi, ma i fondi messi a disposizione sono praticamente gli stessi dagli ultimi 10 o 15 anni. Non c’è una compensazione direttamente proporzionale in base ai risultati conseguiti, nel ciclismo come in qualsiasi altro sport e questo pesa. Rispetto ai nostri avversari, penso che siamo molto indietro in termini di risorse.

Proviamo a chiudere con qualche nota di ottimismo: quest’anno Vingegaard ha corso gli europei, speri di averlo al mondiale il prossimo anno?

Assolutamente sì. Spero di riuscirci perché come cittì ho ovviamente un grande interesse nel far partecipare tutti i talenti ai mondiali, dove i più giovani possono accumulare esperienza importante e mettersi in mostra per il resto del ciclismo mondiale, ma dove anche i grandi campioni possono dare lustro alla maglia e lottare per le medaglie. E ancora più importante, ovviamente, è che i campionati siano sempre una forte motivazione per tutta la stagione. Quindi la priorità è avere tutti i migliori. E’ un peccato che quest’anno non abbiamo potuto partecipare con il nostro miglior team, cercherò di fare del mio meglio per rientrare nel budget così da poter portare anche qualche corridore di talento per i campionati del mondo.

Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Quali sono le tue speranze per il movimento ciclistico danese nel 2026?

Innanzitutto di continuare a sviluppare i giovani corridori. Abbiamo molti elementi interessanti tra gli under 23 e gli under 19. E penso che uno dei miei doveri più importanti per il mio ruolo sia quello di aiutare questi giovani corridori nei primi passi prima di diventare professionisti. E poi, naturalmente, spero sinceramente che Mads e Jonas possano mantenere, come anche Skjelmose, il loro altissimo livello internazionale e continuare a ottenere grandi vittorie con questi tre corridori.

Morkov, il tuo amico e rivale, Elia Viviani, è alla fine della sua carriera. Alla Sei Giorni di Gand sta salutando l’attività agonistica. Che cosa ne pensi?

In realtà è un po’ triste che finisca la sua carriera perché mi piace sempre seguire Elia. Ho parlato con lui l’altro giorno e gli ho detto che alcuni dei miei migliori anni da ciclista sono stati quelli trascorsi in squadra con lui, dove abbiamo lavorato molto bene insieme alla Quick Step. E’ un mio caro amico e mi mancherà vederlo correre, soprattutto mi mancherà vederlo correre in pista. Anche se credo che ci incontreremo spesso, per i nostri rispettivi ruoli se entrerà a far parte della federazione italiana.

Quattro continenti in un mese: il viaggio infinito di Honoré

16.10.2025
6 min
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Nell’era del padrone assoluto Tadej Pogacar e dell’invincibile Uae Emirates, la miglior difesa è l’attacco. Mikkel Honoré non è uno che si tira indietro e nelle ultime settimane ha trasformato il suo pensiero sulla strada. Smaltito il Covid che l’aveva debilitato a metà stagione, il danese della EF Education-EasyPost si è lanciato senza timore nel primo mondiale africano, pilotando il connazionale Mattias Skjelmose a un passo dal podio. Poi ancora si è messo in luce nelle classiche italiane, provando l’assolo al Giro dell’Emilia tra le due ali di folla del San Luca e di nuovo con un’azione alla Bernocchi.

La gamba sarebbe stata buona per l’amato Lombardia, ma il fitto calendario e le esigenze del team di fare punti l’hanno dirottato verso il Tour of Guanxi. Prima di fiondarsi in aeroporto accompagnato dalla moglie Marilisa e partire alla volta della Cina, il ventottenne di Fredericia ci ha raccontato delle ultime, intense settimane in giro per il mondo. 

Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Sei pronto a una nuova sfida in un altro continente?

Devo dire in effetti che in questo finale di stagione non mi sono fatto mancare nulla: prima il Canada, poi il mondiale in Rwanda, il ritorno in Europa e ora l’Asia. La logistica è un po’ complessa, ma mi sento molto bene, per cui sono fiducioso. Sarà interessante vedere come reagisce il fisico a tutti questi viaggi, perché quattro continenti in un mese non è proprio una passeggiata.

Con la condizione che hai mostrato non hai un po’ di rammarico di esserti perso il Lombardia?

Sinceramente un po’ sì, perché è la mia gara preferita sin da bambino ed è quella di casa. Ho vissuto due anni a Bergamo e sei anni a Melide, in Svizzera, a 10 chilometri da Como: quindi sono tutte strade che conosco ed è davvero speciale. Poi è la corsa in cui si celebra il nuovo campione del mondo, anche se oramai da un paio d’anni resta lo stesso. 

Che cosa ti aspetti dalla trasferta cinese?

Sulla carta dovrei essere io il capitano, per cui spero di far un bel risultato. Finalmente, ho ritrovato il mio equilibrio, che mi mancava da qualche stagione. Da diverse settimane sentivo che girava tutto bene. In realtà, ero in forma anche al Giro della Polonia, ma poi ho preso il Covid e sono stato otto giorni senza bici che mi hanno costretto a ripartire da zero. In Canada ho ritrovato buone sensazioni, a Montréal ho attaccato un po’ di volte e fatto andare via Powless. Avrei potuto ottenere un buon risultato anche io, solo che sull’ultima curva sono caduto. Infatti, ci sono state proteste come alla Vuelta e io sono scivolato per la pittura gettata sull’asfalto che si è attaccata alla gomma e mi ha fatto perdere aderenza. 

Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
E l’avventura iridata in Rwanda?

E’ sempre un onore rappresentare la Danimarca e per me quella del mondiale è una delle settimane più belle dell’anno. Mi sono allenato a San Marino, facendo sessioni specifiche, simulazioni gara e dietro-moto. E’ stato tutto bellissimo, anche per la grande atmosfera che abbiamo trovato. Tutti avevano tanti pregiudizi e cattivi pensieri, ma è stata una esperienza bellissima. Gente straordinaria, strade in ottimo stato, tutto ha funzionato come doveva.

E voi danesi siete andati davvero forte…

Abbiamo corso bene tutti dal chilometro zero e penso che siamo stati la squadra più organizzata e strutturata: il risultato si è visto, gli unici con due corridori nei primi dodici. Io ho anticipato lo scatto, così da permettere a Skjelmose di stare a ruota per poi avere le energie per seguire l’attacco successivo di Remco. In un mondiale del genere, ogni piccolo dettaglio faceva davvero la differenza. Mattias era contento del risultato, anche se la medaglia è sfuggita davvero di poco. Però, quando a batterti sono corridori più forti di te, non puoi far nulla, per cui eravamo contentissimi della nostra prestazione. 

Avversari per un giorno, compagni tutto l’anno: te l’aspettavi Ben Healy sul podio coi due alieni?

So che aveva il mondiale in testa da un bel po’, diciamo subito dopo l’ottimo Tour che ha fatto. Lui è un corridore molto bravo in questi appuntamenti, per cui devo dire che per me non è stata una sorpresa vederlo col bronzo al collo. Certo, forse in tanti aspettavano Del Toro, ma avevo i miei dubbi su Isaac perché una corsa con così tanti chilometri e quel dislivello tremendo, alla sua età, era qualcosa di totalmente nuovo.

Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Tornando sulla Danimarca, pensi che sia l’età dell’oro per il vostro ciclismo?

Stiamo andando fortissimo. Anche per questo, essere il corridore danese con più mondiali consecutivi da pro’ (sei, ndr) come mi ha fatto notare un giornalista del mio Paese, è davvero qualcosa di unico per me. Tengo duro da Imola e spero di esserci anche negli anni prossimi perché ci aspettano bei percorsi, a partire dal Canada che conosco molto bene. La fortuna è che, qualunque sia il percorso, possiamo schierare una squadra molto forte che lotti per la vittoria. Non a caso siamo secondi nella classifica mondiale.

Sei convinto che anche Vingegaard possa dire la sua in una gara di un giorno?

Senza dubbio. Non mi ha sorpreso che abbia faticato all’europeo, perché dopo aver corso Tour e Vuelta da capitano, è normale che il fisico presenti il conto. Jonas è un fenomeno, ma quello che fa Tadej è veramente di un altro livello, ha una classe superiore. Pogacar corre tutte le gare per tutto l’anno, è sempre lì, ha una testa e una passione che lo spingono a imprese incredibili. La differenza è anche a livello di squadra perché Jonas è un po’ sacrificato nelle classiche dalle strategie della Visma, che nelle corse di un giorno punta su fuoriclasse come Van Aert e preferiscono preservarlo per il Tour, che è sempre l’obiettivo numero uno. Capisco la loro decisione, anche se ovviamente il pubblico vorrebbe sempre vedere il duello Pogacar-Vingegaard.

Pedina preziosa per il successo di Powless contro i tre Visma alla Dwars door Vlaanderen, poi ancora gregario instancabile per il podio di Carapaz al Giro: nel 2026 ti vedi anche più libero da compiti in qualche corsa?

Assolutamente sì e ne parleremo a fine stagione. Ci ho messo tanto tempo a ritrovare questo colpo di pedale e ora non spero più, sono sicuro che l’anno prossimo mi vedrete più protagonista. All’Emilia ho provato un po’ l’impossibile perché tutti sapevamo che Del Toro avrebbe vinto, ma non mi piaceva stare lì ad aspettare uno scenario scontato. Ogni tanto bisogna sognare e tentare il tutto per tutto: se mi fosse venuto un corridore Uae a ruota, magari saremmo potuti andare al traguardo e magari mi giocavo il successo o almeno facevo un podio. 

Campionati europei Drome et Ardeche 2025, alla partenza Tadej Pogacar, Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard, Joao Almeida
Gli europei hanno proposto il confronto fra Pogacar e Vingegaard per la prima volta in una gara di campionato
Ti sembra che tanti si siano arresi alla legge Pogacar-Del Toro?

Esatto e si è visto anche al Gran Piemonte. Bisogna osare un po’ di più ed inventarsi qualcosa. All’Emilia sapevo che è impossibile anticipare le operazioni perché non c’era un metro di pianura che ti regalasse secondi, era tutta salita e discesa: mi piace rischiare e giocarmi tutte le carte, a costo anche di perdere una possibile top 10. Comunque, mi porto tante buone sensazioni per l’anno prossimo.

Il tuo sogno?

Le classiche delle pietre in primavera come il Fiandre, ma soprattutto la Sanremo. E’ una gara che mi piace un sacco e in cui voglio dimostrare di poter far bene. Ma prima, vediamo come andrà in Cina.

L’europeo dell’altro Mads, cronoman convertito al gravel

24.09.2025
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AVEZZANO – Dei campionati europei gravel e della vittoria di Erica Magnaldi abbiamo detto già domenica e ieri ne abbiamo riparlato con il cittì Pontoni. Qualche parola di approfondimento merita però anche Mads Wurz Schmidt, l’atleta che ha conquistato il titolo elite, nella gara che ha visto a lungo Gaffuri fra i protagonisti e poi finire al quinto posto.

Non c’è solo Pedersen: il nome Mads evidentemente ben si sposa ai ciclisti che vanno forte. Il danese, che è stato professionista dal 2017 al 2024, vivendo il passaggio della licenza e degli uomini dalla Katusha alla Israel-Premiertech, ha un palmares di tutto rispetto. Una tappa alla Tirreno-Adriatico e prima il doppio mondiale a crono: da junior nel 2011 a Copenhagen e poi da U23 nel 2015 a Richmond. Un metro e 76 per 70 chili, quando non ha più trovato posto su strada, si è convertito al gravel. E la sua azione di Avezzano, con due giri da solo, ha messo in risalto le doti che fecero di lui un grande talento contro il tempo. Quest’anno ha già vinto quattro tappe della UCI World Series cui ha aggiunto anche The Traka 200, gara spagnola di immenso fascino.

Lo abbiamo incontrato dopo l’arrivo degli europei. Dopo aver sollevato la bici al cielo, se ne stava fermo sul lato dell’arrivo guardando un punto fisso all’infinito. Aspettando forse qualche compagno di squadra o semplicemente mettendo in ordine i pensieri.

Si può dire che sia stata come una lunga cronometro?

Sì, volevo aspettare un po’, ma Gaffuri stava tenendo un ritmo sostenuto. Per un po’ l’ho seguito e poi in un tratto di discesa ho attaccato. Su questo percorso si faceva più velocità andando da soli. E’ dura, ma se hai le gambe vai meglio da solo. Così ho deciso di provarci e  per fortuna sono stato abbastanza forte da tenere il ritmo alto.

Hai trovato un percorso che ti si addiceva?

Era un percorso perfetto per me. La salita era dura, ma ho avuto abbastanza potenza per fare ugualmente velocità. Mi si addiceva molto. Le discese erano tecniche e io non sono il corridore con la tecnica migliore, ma non sono nemmeno il peggiore. Quindi si trattava di sopravvivere e continuare a spingere per tutto il giorno. Sapevo dalle gare precedenti che quando attacco da solo, posso tenere il passo e resistere fino alla fine. Quindi sono partito, ho dovuto credere in me stesso e sono felice che abbia funzionato.

Hai vinto gare importanti su strada quando eri più giovane. Cosa significa questa vittoria oggi?

E’ importante. Sono super orgoglioso di me stesso, vincere questo campionato europeo significa molto ed essere stato campione europeo sarà qualcosa che varrà la pena ricordare. Come vincere The Traka e fare bene nella Unbound, è difficile da descrivere a parole. Sono davvero orgoglioso del percorso che sto seguendo da inizio luglio.

Il mondiale di ottobre è uno dei prossimi obiettivi.

Certamente. Ho lavorato duramente per essere al top della forma in questo momento, con il supporto della mia squadra, della mia famiglia e del mio allenatore. E’ stato un percorso molto bello e sono felice di poter ripagare loro e me stesso con un buon risultato.

La prima di Copenhagen nel WorldTour. Guarischi, dicci tutto

01.07.2025
5 min
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Da sabato 21 giugno, il WorldTour ha una nuova classica al suo interno. La Copenhagen Sprint ha portato il meglio del ciclismo mondiale sulle strade della capitale danese, una città a misura di bici dove l’utilizzo delle due ruote è quasi privilegiato rispetto a quello delle auto. Dove c’è una disciplina rigorosa in fatto di circolazione stradale e un rispetto enorme per chi va in bici. La città si è dedicata per due giorni alla corsa ciclistica (al sabato le donne, alla domenica la prova maschile) e non c’è stata alcuna lamentela da parte degli automobilisti per una Copenhagen senz’auto, anzi…

Barbara Guarischi ha vissuto la Copenhagen Sprint lanciando la volata vincente della Wiebes
Barbara Guarischi ha vissuto la Copenhagen Sprint lanciando la volata vincente della Wiebes

Barbara Guarischi, in gara con la SD Worx è stata testimone diretta di come la città ha reagito al nuovo evento, per il quale si è preparata per un anno: «E’ stata una bellissima esperienza, posso dire che ci vorrebbero altre prove in grandi metropoli come questa, perché credo che criterium simili siano uno splendido messaggio promozionale per il ciclismo. Una prova ben organizzata, soprattutto nella parte del circuito finale, con tutto il centro città coinvolto. In Danimarca ho gareggiato spesso, per due anni ho fatto parte del Virtu Cycling Team, la squadra gestita da Bjarne Rijs, andavo lì anche per i ritiri e mi è sempre piaciuta parecchio».

Com’era il percorso?

Si partiva da Roskilde, fuori dalla città e la prima parte era tutta in campagna. Lì secondo me qualcosa va rivisto, alcune rotonde e alcune segnalazioni non sono state gestite al meglio, si passava in stradine un po’ strette dove infatti ci sono state parecchie cadute. Abbiamo avuto vento a favore fino a entrare in città e infatti la media è stata sempre molto alta.

La prima parte, da Roskilde, andrebbe rivista, soprattutto nel gestire l’avvicinamento alla città
La prima parte, da Roskilde, andrebbe rivista, soprattutto nel gestire l’avvicinamento alla città
E in città?

Si è andati davvero forte e non era facile gestire la corsa. Noi ci siamo messe davanti per tenere Lorena Wiebes fuori dai guai, ma è stata una gara dall’alto stress. Le cadute ci sono state anche nel gruppo, che si è spezzato e davanti sono rimaste abbastanza poche. Due ragazze del nostro team sono cadute e questo ci ha messo in difficoltà, ma siamo riuscite ugualmente a gestire il finale.

Infatti si è visto che a giocarsi la corsa era un gruppo molto ristretto…

Infatti nel penultimo giro c’è stata un’altra caduta e il gruppo si è sfilacciato, davanti siamo rimaste una ventina e per noi è stato oro, perché avevamo meno avversarie da controllare. A quel punto abbiamo potuto gestire lo sprint anche senza che ci fosse il treno perché ero rimasta solo io con Lorena. Ci siamo un po’ arrangiate, io sono dovuta partire un po’ presto rispetto alo solito e anche lei si è trovata a lanciare la sua volata molto da lontano, ma ha guadagnato metri importanti, vincendo in maniera netta.

C’è stato qualche momento di difficoltà? Le immagini televisive mostravano che la campionessa europea, nel giro conclusivo, era spesso intruppata nel gruppo…

Siamo sempre rimaste in contatto salvo in un frangente dove me l’ero persa in una curva, poi l’ho riportata davanti. Con lei è molto facile correre, mi segue con piena fiducia, posso gestire la corsa sapendo che lei c’è, per questo quando non l’ho vista alla mia ruota mi sono un po’ preoccupata, non capivo che cosa potesse esserle successo.

Tornando all’accoglienza della città, come ti è sembrato che abbia risposto?

Chiaramente nel corso delle fasi finali della corsa siamo molto concentrate e ci si accorge poco di quel che c’è attorno a noi, ma devo dire che si sentiva il calore della gente, lungo le strade ce n’era tantissima. L’organizzazione è stata molto buona per essere una prima edizione, se dovessi dire consiglierei solo di impiegare più gente nella gestione della parte iniziale, di avvicinamento a Copenhagen e nel circuito finale di renderlo un po’ più semplice, con qualche tratto dritto sulle lunghe strade di cui la città è piena. Nel complesso mi sono sentita abbastanza sicura, ma qualche accortezza in più sarebbe utile, ridurrebbe di molto anche il rischio di cadute.

Tantissima gente per le strade di Copenhagen, lungo un circuito altamente spettacolare
Tantissima gente per le strade di Copenhagen, lungo un circuito altamente spettacolare
E’ una corsa per velocisti?

Sicuramente, anche se nella prima parte il vento può avere un effetto sulla corsa. Ma a 100 chilometri dalla conclusione è difficile che cerchi di creare un ventaglio, avrebbe poche possibilità di portare a qualcosa di buono…

Da Biella ecco Andersen, che vuole riprendersi tutto

06.05.2025
6 min
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In danese che ha vinto al Giro della Provincia di Biella non è uno qualunque. Kasper Andersen è un giovane dal passato illustre e anche se la frase sembra un po’ contraddittoria, rispecchia almeno in parte la sua storia di corridore che a 22 anni riallaccia il feeling con la vittoria, perduto tanto tempo fa. Ci riesce in Italia, dove ha trovato la possibilità di rilanciarsi attraverso lo Swatt Club, che rappresenta sempre più qualcosa di originale nel nostro ambiente.

La volata vincente di Andersen a Biella, battendo Turconi e il francese Raugel (foto Previdi)
La volata vincente di Andersen a Biella, battendo Turconi e il francese Raugel (foto Previdi)

Dopo Biella, era quindi il caso di andare alla scoperta del ventiduenne di Bagsvaerd, passato anche, fugacemente, attraverso il WorldTour con la UAE e che ora è nel pieno di una difficile risalita.

«La mia storia inizia da lontano – racconta – dall’ispirazione che mi è venuta dai miei genitori ma anche dalla voglia di fare qualcosa di alternativo rispetto allo studio. Facevo solo un po’ di ciclismo su strada e, crescendo, ho iniziato a fare anche molto ciclismo su pista e in inverno anche un po’ di ciclocross. Ho provato un po’ di tutto, ma poi mi sono concentrato sulla strada».

Plouay 2020, Andersen vince l’europeo juniores battendo Bittner e De Lie. Che poi avranno più fortuna
Plouay 2020, Andersen vince l’europeo juniores battendo Bittner e De Lie. Che poi avranno più fortuna
Tu hai vinto nel 2020 il titolo europeo juniores, che ricordi ti sono rimasti di quella giornata?

Il mio maggior ricordo di Plouay è quando ho tagliato il traguardo ed ero abbastanza sicuro di essere tra i primi tre, ma non sapevo se avevo vinto perché eravamo in tre sulla stessa linea. Ero già molto contento del terzo posto, finché non sono arrivate tutte le telecamere e i miei compagni di squadra erano lì e mi hanno detto che avevamo vinto. La felicità che ho provato in quel preciso momento, poterla condividere con i miei compagni di squadra quando erano lì anche loro, è stato davvero speciale.

Secondo arrivò Bittner oggi alla Picnic PostNL, terzo De Lie che non ha bisogno di presentazioni. Anche tu hai avuto le tue chance. Sei anche stato alla Hagens Berman per tre anni. Come ti sentivi lì? E cosa ti è mancato per fare il grande salto nel WorldTour?

E’ difficile dirlo, trovare un’effettiva ragione. Mi è piaciuto molto essere alla Hagens Berman. Ho incontrato persone fantastiche e anche l’ambiente nel suo complesso era ideale, sicuramente tutti sapevano quello che facevano. Ho stretto molte amicizie e ho imparato molto. Cosa è successo? Non credo che ci sia una cosa specifica. A volte un cambiamento di ambiente può semplicemente fare la differenza, oppure sono le circostanze, il fatto che non tutto collimi alla perfezione. Io però cerco di guardare la vita in positivo: ho un nuovo allenatore e ho fatto dei cambiamenti, penso che in questo momento le cose stiano iniziando ad andare a posto. Sono felice ora come lo ero alla Hagens. Penso che ora sia solo un altro momento. E a volte, quando cambiano alcune piccole cose, ne cambiano altre e magari le occasioni si ripresentano.

Tre anni passati alla Hagens Berman Axeon, ma poi il passaggio fra i pro’ non è arrivato
Tre anni passati alla Hagens Berman Axeon, ma poi il passaggio fra i pro’ non è arrivato
Che differenze trovi nel correre in un team italiano?

Non è stato facile, tutti parlano italiano che per me è un po’ ostico, ma tutti si sforzano di mettermi a mio agio con l’inglese. Noto però che sono molto moderni e consapevoli di come sia correre oggigiorno, dell’alimentazione, dell’aerodinamica e tutto il resto, ne sanno molto e ottimizzano molti aspetti diversi, è molto piacevole essere in squadra e sapere che stanno facendo tutto il possibile per far rendere al meglio i corridori. Penso che sia una squadra in forte crescita e in rapida evoluzione, che sa il fatto suo e cerca di fare tutto.

Tu ancora non avevi vinto fra gli under 23, com’è stata la vittoria di domenica a Biella?

E’ stato molto importante perché ci puntavo da molto tempo ormai, quindi essere finalmente riuscito a fare il primo passo è fantastico. La vittoria ha qualcosa di speciale ovunque avvenga, perché condividi gioia con le persone che ti amano e che tu ami e diventa qualcosa di speciale. E’ stato davvero fantastico e lo è ancora adesso quando ci ripenso. E’ difficile credere quante persone ci fossero a festeggiare con noi, e ancora di più, a quante persone fossero a casa a festeggiare questa vittoria per il nostro team e per me. Poter condividere il momento è magico.

Il movimento danese è in pieno sviluppo, con tanti junior e under 23 che si stanno mettendo in evidenza
Il movimento danese è in pieno sviluppo, con tanti junior e under 23 che si stanno mettendo in evidenza
Quali sono le tue caratteristiche?

Sto un po’ cambiando, negli ultimi anni ho fatto più sprint, ma ora ho un po’ più di potenza e penso che alcuni percorsi più corti siano piuttosto soddisfacenti per me. Per ora, ho mantenuto il mio sprint praticamente intatto, quindi spero di migliorare la mia potenza in salita. Per essere lì nel finale anche in giornate più dure e calde.

Nelle ultime settimane tanti ciclisti giovani danesi si sono messi in evidenza: avere tanti talenti insieme, di 20 anni o poco più è effetto dell’esempio di Vingegaard o di che cosa?

Sì, credo che Jonas abbia smosso qualcosa, penso che sia questo il motivo principale per cui molti di questi ragazzi sono così bravi su strada e in pista. Io ora sto correndo gare nazionali nel mio Paese e si vede come tutti vogliano emergere, ma soprattutto la passione che c’è intorno, il ciclismo è diventato uno degli sport più seguiti. Devo essere super forte e super intelligente per vincere le gare e penso che, con l’aumentare della competizione, devi migliorare sempre. Penso che sia proprio quello che sta succedendo.

Per Andersen dal 2020 tanti piazzamenti, quest’anno 3 prima del successo di Biella
Per Andersen dal 2020 tanti piazzamenti, quest’anno 3 prima del successo di Biella
Che cosa ti aspetti ora da questa stagione?

Non ho sogni particolari, iI mio obiettivo è continuare così e non voglio che questa sia l’ultima vittoria, ma la prima di una serie, ma soprattutto voglio che la squadra nel suo complesso ottenga più vittorie e che io restituisca loro ciò che mi hanno dato. Quindi sì, portare a casa altre vittorie è sicuramente l’obiettivo. E poi godermi il mio tempo qui nella Swatt e godermi ogni singolo attimo con loro.

C’è qualche squadra in particolare nella quale vorresti correre passando professionista?

Non credo ci sia una squadra specifica o particolare che sia nel mio obiettivo in questo momento. Mi piacerebbe molto andarci e penso che se ne avessi l’opportunità non potrei mai dire di no. Sì, ovviamente ce n’è una che mi piace più delle altre ma non la cito per scaramanzia. Quel che conta è che io possa trovarmi in un buon ambiente, allenarmi e stare con i ragazzi, è la cosa più importante per me.

Ciclismo e innovazione: Alé vestirà la Federazione danese

24.01.2025
3 min
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Alé e la Federazione Ciclistica Danese hanno ufficializzato la definizione di una prestigiosa collaborazione tecnica della durata di ben quattro stagioni. Il celebre marchio veronese è difatti il nuovo fornitore ufficiale di abbigliamento tecnico per le squadre nazionali danesi (tutte le discipline). Alé contribuirà anche allo sviluppo di una collezione replica dedicata ai fan del ciclismo danese.

L’azienda veronese fornirà agli atleti di tutte le squadre nazionali capi della linea PR-S 2.0, progettati specificamente per i professionisti. Questa linea rappresenta un vero e proprio punto di eccellenza per quanto riguarda l’abbigliamento tecnico per il ciclismo, grazie all’utilizzo di tecnologie tessili avanzate che garantiscono alta traspirabilità, comfort e resistenza, anche nelle condizioni più impegnative.

Tra i volti della nazionale danese ci sono Alberte Greve e Rebecca Koerner, entrambe corrono per la formazione femminile WT Uno X-Mobility
Tra i volti della nazionale danese ci sono Alberte Greve e Rebecca Koerner, entrambe corrono per la formazione femminile WT Uno X-Mobility

Entro la fine del mese, la Federazione Ciclistica Danese svelerà ufficialmente il nuovo design del kit di abbigliamento che verrà indossato dagli atleti delle squadre nazionali nei prossimi anni. Questo design esclusivo sarà anche disponibile per tutti gli appassionati come parte della collezione replica, offrendo così l’opportunità di sentirsi più… vicini ai propri campioni!

Questa nuova collaborazione tra Alé e la Federazione Ciclistica Danese non solo celebra l’unione di due eccellenze nei rispettivi campi, ma rappresenta anche un passo significativo nel mondo del ciclismo professionistico, dove innovazione e prestazioni continuano a essere il fulcro di ogni successo. Grazie a questa partnership, gli atleti danesi avranno dunque accesso a capi di altissima qualità: un valido supporto per il raggiungimento di nuove vette sportive.

Uno dei protagonisti della prossima Olimpiade sarà Sebastian Carstensen Fini, impegnato nella mtb
Uno dei protagonisti della prossima Olimpiade sarà Sebastian Carstensen Fini, impegnato nella mtb

Obiettivo Los Angeles

«Per noi – ha dichiarato Alessia Piccolo, CEO di APG, azienda proprietaria del brand Alé – è un vero onore essere stati scelti da una federazione che si è affermata come riferimento per quanto riguarda il ciclismo su pista e che punta a ottenere risultati straordinari nei prossimi campionati mondiali su strada. Alé metterà a disposizione tutte le sue tecnologie e il suo know-how per supportare gli atleti nel raggiungimento dei loro obiettivi».

«Siamo entusiasti di lavorare con Alé – ha ribattuto Ulrich Gorm Albrechtsen, il responsabile Comunicazione e Partnership Commerciali della Federazione Ciclistica Danese – un partner solido con una vasta esperienza nel settore. Alé è in grado di sviluppare e produrre abbigliamento di altissima qualità per le nostre squadre nazionali, e la collezione replica rappresenta un’opportunità unica per i fan del ciclismo danese. Siamo certi che questa partnership ci permetterà di fare un ulteriore passo avanti nello sviluppo del miglior abbigliamento ciclistico a livello mondiale».

Alé Cycling

Selva, il Natale in Danimarca come “coach” da velodromo

28.12.2024
6 min
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Forse nel suo immaginario Francesca Selva non poteva desiderare un Natale migliore di questo. L’idoneità sportiva arrivata qualche settimana fa dopo un inaspettato allarme fisico. Il soggiorno in Danimarca a Roskilde a casa del fidanzato. Il velodromo iridato di Ballerup a venti minuti. E la famosa madison di 100 chilometri in mezzo agli amici-colleghi nel doppio ruolo di atleta e coach.

Il legame col Paese nordico è sempre stato profondo per Selva, ma nell’ultimo anno si è rafforzato ulteriormente da quando ha conosciuto il velocista Oskar Winkler poco prima della Champions League della pista nel 2023. Nonostante i suoi soli 25 anni, la veneziana ha maturato una grande esperienza in pista, intravedendo nel suo compagno potenzialità da esprimere in modo più completo. Francesca si è messa al servizio di Oskar come allenatrice o, come dice lei, consulente e pianificatrice, tanto che sono arrivati subito un paio di risultati importanti, col beneplacito dello staff della nazionale danese. E siccome proprio in questi istanti Selva sta correndo sull’anello di Ballerup, l’abbiamo sentita alla vigilia della gara per farci spiegare come sta vivendo questa fase della sua vita.

Winkler ha vinto i titoli nazionali nell’inseguimento a squadre e nel keirin. Nel 2025 correrà anche su strada (foto Skovbolle)
Winkler ha vinto i titoli nazionali nell’inseguimento a squadre e nel keirin. Nel 2025 correrà anche su strada (foto Skovbolle)
Francesca sei una presenza fissa nel velodromo danese in questo periodo, giusto?

Sì, è vero. E’ un evento incredibile questa gara di Capodanno, come la chiamano loro. Gli uomini corrono questa madison di 100 chilometri, mentre per noi donne è più corta, e il pubblico si gode lo spettacolo. Poi alla fine si festeggia in anticipo l’arrivo del nuovo anno. Per loro è una grande tradizione. E quest’anno ha un sapore particolare…

Come mai?

Perché è l’ultima gara da pro’ di Morkov, che correrà il coppia con Mads Pedersen. Ma è l’ultima gara anche per Julie Norman Leth (un argento olimpico, due ori europei e due mondiali proprio quest’anno tra madison e corsa a punti, ndr) e per la mia storica compagna di Sei Giorni e meeting Amalie Winther Olsen (nove titoli nazionali, ndr). Insomma, stavolta non potevo proprio mancare.

Naturalmente in gara ci sarà anche il tuo fidanzato Winkler. Che tipo di corridore è?

Oskar ha un anno in meno di me. Alto, fisico potente da passista, ha ricominciato a correre circa cinque anni fa. In Danimarca c’è un regolamento diverso dall’Italia con tre categorie, dove un elite sale in base ai punteggi ottenuti anziché per età. Lui è come se fosse ripartito dagli amatori e tra strada e pista è tornato nella categoria in cui possono aprirsi porte importanti. Avendo corso quando era più giovane, ha dovuto solo togliersi un po’ di ruggine di dosso. I risultati infatti si sono visti.

Quali sono stati?

Lui nasce come velocista, tant’è che da U23 aveva corso un europeo in pista facendo il chilometro da fermo. Contemporaneamente faceva anche lo scratch, ma ha voluto dedicarsi maggiormente alle discipline endurance. Così in un anno e mezzo di lavoro è riuscito ad andare alla prova di Nations Cup a Il Cairo nel 2023. Ora Oskar è entrato nel gruppo della nazionale danese, specialmente quello del quartetto. E sapete meglio di me quanta concorrenza ci possa essere in una nazionale di così alto livello. Pochi giorni fa, ha vinto il titolo danese del keirin e dell’inseguimento a squadre. Nel frattempo la sua formazione Team Give Steel-2M Cycling è diventata continental e nel 2025 potrà fare maggiore attività su strada.

Donegà ha corso in coppia con Winkler, notando le sue potenzialità e gli aspetti da migliorare
Donegà ha corso in coppia con Winkler, notando le sue potenzialità e gli aspetti da migliorare
Tu ti sei definita sua “coach”. Come mai?

Non pensate alla preparazione atletica perché lui ha già il suo allenatore, che è uno dei cittì della nazionale. Sto seguendo Oskar più dal punto di vista della gestione psicofisica della gara e degli altri eventi. Gli ho visto vincere degli scratch con tre giri di anticipo, poi però non aveva la stessa energia per primeggiare nelle altre specialità dell’omnium. Ha corso la Quattro Giorni di Ginevra in coppia con Donegà. Anche lui mi ha detto che saper dosare la potenza, sincronizzando gambe e testa. E quando lo farà potrebbero essere dolori per tutti (dice sorridendo, ndr). Ma gli curo anche altri aspetti.

Quali?

Si sa che noi pistard facciamo una vita un po’ nomade e dobbiamo quindi sempre organizzarci da soli facendo incastrare tante cose. Ho proposto ad Oskar una serie di gare in Europa per fargli fare esperienza non solo in pista, ma anche a livello organizzativo. Così gli ho pianificato le gare e i relativi spostamenti. Avevamo un planning preciso (ride, ndr). Ad esempio l’ho voluto portare alla Sei Giorni di Fiorenzuola, anche perché era in concomitanza con la partenza del Tour de France da Piacenza. Il suo cittì mi ha detto che ho fatto bene a farlo girare. Più si confronta, più cresce.

E come ti trovi in questo ruolo?

Mi sono sempre reputata un buon corridore senza aver il talento di altre atlete. Tuttavia penso di conoscere bene questo mondo e di sapermi destreggiare in tutto, facendo pure la meccanica. Vorrei insegnargli i trucchi del mestiere e come la testa può colmare il gap con le gambe. Oppure come ci si sposta finché non fai parte di una squadra in modo stabile. Questa estate ho fatto quasi 11.000 chilometri in 40 giorni con l’auto piena di quattro bici. Da Marcon, casa mia, a Praga, poi in Belgio nella casetta della Torelli per andare in traghetto alla Ride London. Quindi rientro in Belgio e ripartenza per la Danimarca. Infine ritorno in Italia. Per queste pianificazioni mi sento molto preparata e mi piacerebbe un domani fare questo di mestiere, magari anche in un team pro’ seguendo la logistica.

Che annata è stata per te invece?

Devo dire che questi ultimi mesi, seguendo i progressi di Oskar, sono stati la mia rivincita. Lui è stato la mia motivazione per tante cose. Ho avuto una stagione difficile, dove non mi sono mai sentita bene. Prima della Tre Giorni di Londra a fine ottobre ho preso il Covid. Le gare successive le ho sofferte tutte, finché non ho fatto dei controlli. A novembre sono andato dal dottor Moretti che mi ha trovato una miocardite da Covid. Lui è il medico che aveva curato Colbrelli dopo il suo malore e per un attivo ho rivisto in me lo stesso problema di Sonny. Ho curato la miocardite facendo due settimane di riposo assoluto, poi il 7 dicembre ho avuto l’idoneità sportiva dopo tante visite.

Francesca sorride. L’idoneità sportiva è arrivata dopo una miocardite e i suoi consigli hanno portato il fidanzato in nazionale
Francesca sorride. L’idoneità sportiva è arrivata dopo una miocardite e i suoi consigli hanno portato il fidanzato in nazionale
Cosa chiedi al 2025?

Onestamente non saprei, però sicuramente di non avere più noie fisiche o di salute. Per il resto vorrei continuare come sto finendo quest’anno. Nuovi stimoli e nuove obiettivi da raggiungere. Per la prossima stagione ho deciso di tesserarmi con la società del mio paese. Si chiama ASD Velodrome Marcon e per me non poteva esserci soluzione migliore.

L’addio da leader di Morkov, che indossa la giacca di cittì

25.10.2024
7 min
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Con la medaglia di bronzo conquistata nella madison dei mondiali, Michael Morkov ha chiuso da par suo la sua lunghissima carriera, iniziata da professionista nel 2009. A 39 anni il corridore di Kokkedal appende la bici al chiodo con 6 vittorie al suo attivo, tra cui 3 titoli danesi e una vittoria di tappa alla Vuelta di Spagna. Ma è soprattutto su pista che sono arrivati i suoi sigilli, tra cui un oro olimpico a Tokyo 2020 nella madison (ma anche l’argento nell’inseguimento a squadre in quella palpitante finale con l’Italia) e 4 titoli mondiali.

Se su pista Morkov è stato un leader, su strada ha elevato a questo rango il ruolo forse più subordinato di tutti, quello di ultimo uomo, divenendo per acclamazione planetaria il migliore interprete. Un maestro che lascerà un vuoto. Morkov però non resterà inattivo: per lui è già pronta l’ammiraglia di responsabile della nazionale danese su strada. Una nuova sfida, alla guida di una delle Nazioni più forti del momento.

Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Domenica hai chiuso la tua carriera con l’ennesima medaglia, oltretutto davanti al tuo pubblico. Che sensazioni hai provato nel tagliare l’ultimo traguardo?

Sono davvero orgoglioso di aver concluso a un livello molto alto. Nei miei ultimi campionati mondiali stavo ancora lottando per la medaglia d’oro e, naturalmente, non è mai piacevole perdere, ma sono comunque felice che abbiamo ottenuto la medaglia di bronzo e abbiamo fatto felice il pubblico danese. Non potevo chiudere meglio.

Tu hai vissuto due carriere parallele: maestro nell’aiutare i velocisti e grande specialista del ciclismo su pista. Quale delle due ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Beh, penso che sia una combinazione perché in pista ho ottenuto le mie soddisfazioni, i miei obiettivi e i miei grandi risultati. Sulla strada, ero completamente determinato ad aiutare i miei compagni di squadra, quindi penso che sia stato il giusto mix.

La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
L’ultimo uomo del treno dello sprint: per chi interpreta questo ruolo, che cosa significa vedere il leader vincere?

E’ come vincere la gara da soli, perché tu come uomo di testa sei molto concentrato per vincere la gara con il tuo velocista e per tutto il giorno lavori duramente per organizzare l’intera squadra e fare che tutto funzioni fino a quegli ultimi 200 metri, quando sarà lui a giocarsi la vittoria e devo metterlo nella posizione migliore. Bisogna avere fiducia in se stessi e guidare gli altri come leader. Posizionare il mio velocista e vederlo alzare le braccia è come una mia vittoria. Quindi questa è la sensazione migliore.

Qual è la più grande emozione che hai vissuto in bicicletta?

La risposta è semplice: vincere la medaglia d’oro olimpica a Tokyo. In quella madison c’erano grandi campioni tanto è vero che ce la giocammo tutta sugli sprint, senza guadagnare giri. C’erano grandi interpreti come Hayter e Thomas, eppure io e Lasse Norman Hansen ce la facemmo per tre punti. Penso che sia la medaglia più bella che puoi vincere come atleta. E sì, è stato molto emozionante.

La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
Hai lavorato con tutti i migliori velocisti dell’ultimo decennio, chi è stato il migliore ma sopattutto quello che hai sentito più vicino?

Credo di aver stretto un rapporto molto stretto con tutti i velocisti con cui sono cresciuto e penso che questo rapporto umano sia anche una parte importante del successo che ho avuto con ognuno di loro. Direi sempre che il mio migliore amico è Cavendish: i suoi risultati parlano da soli, ma ha anche una conoscenza incredibile dello sprint, della tecnica pura. Sa esattamente cosa fare, il suo istinto e il suo tempismo sono perfezione pura. Ma c’è un corridore con cui ho un legame speciale…

Chi?

Viviani. Ora posso guardare indietro e vedere che forse i due migliori anni che ha avuto come professionista sono stati quelli in cui l’ho aiutato a vincere dappertutto, nel 2018 e 2019. Abbiamo vissuto un biennio speciale e penso che Elia sia il corridore che è riuscito a ottenere il massimo dal suo talento sapendo sfruttare una squadra molto forte. Aveva dei compagni di squadra molto bravi intorno a lui e quando i compagni di squadra facevano un buon lavoro per lui, riusciva sempre a concludere con una vittoria. Molti dei successi con Elia sono speciali, di cui sono orgoglioso.

Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Ora passerai sull’ammiraglia della nazionale danese: quali sono i tuoi obiettivi nel nuovo lavoro?

Battere i miei amici italiani – dice ridendo – No, a parte le battute, sono davvero motivato per questo nuovo incarico. Soprattutto per trasmettere tutta la mia esperienza ai giovani corridori danesi e spero davvero di poterli aiutare a crescere e diventare buoni professionisti e vincere gare in futuro. Quindi la mia ambizione è quella di poter gioire di altre vittorie non personalmente mie, ma nelle quali sento di averci messo qualcosa.

Oggi la Danimarca è uno dei Paesi leader nel ciclismo professionistico, ma non ha un suo team WorldTour: pensi che sia un problema?

Io non penso, corridori danesi bravi ci sono e sono riusciti a firmare con tutte le migliori squadre del WorldTour. Quindi non penso che sia strettamente necessario avere una squadra danese al massimo livello. E’ invece fondamentale avere è una squadra Continental o Professional, per tutti i ragazzi che hanno bisogno di imparare. Ci sono corridori capaci di entrare subito nel WT, ma tanti altri hanno bisogno di più tempo, di avvicinarsi con più calma, maturano più lentamente. Questo possono farlo se hai una squadra Continental molto buona. Poi abbiamo la Uno-X che è sì norvegese, ma con una forte componente nostrana ed è molto importante nello sviluppo dei talenti danesi.

Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Che cosa c’è dietro i Vingergaard, Pedersen e gli altri big del ciclismo danese?

C’è molto lavoro sui talenti, esattamente come dicevo prima. Provengono da un livello molto alto di squadre Continental in Danimarca con un livello molto, molto alto di professionisti. Hanno un grande fisico e capacità non comuni, ma sono frutto di un ottimo programma di sviluppo per i giovani corridori.

In prospettiva vedi Albert Withen Philipsen come un altro grande campione del WorldTour?

Andiamoci piano. In tutti gli anni in cui sono stato coinvolto nel ciclismo, ho visto molte volte corridori estremamente talentuosi da junior che poi non riescono a trovare gli stessi guizzi quando le cose si fanno serie. Albert è un corridore molto promettente, ma deve ancora migliorare molto per diventare il prossimo grande nome del World Tour. Io ovviamente non vedo l’ora di supportarlo e spero che diventerà presto quello che sogna di essere lui e tutti noi danesi.

Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Rispetto a quando hai iniziato, che ciclismo ti lasci alle spalle?

Un ciclismo molto professionale, molto più di quando iniziai vent’anni fa. Molte cose che si facevano allora, oggi sono considerate superate. In termini di allenamento, alimentazione, altitudine, sonno, campi di allenamento, equipaggiamento, dinamiche… Sono tutti aspetti che incidono molto. Per questo il ciclismo attuale corridori molto più talentuosi rispetto al passato, forse allora era più difficile diventare professionisti. Forse ora è più facile trovare i grandi talenti.

Uscendo dai confini danesi, c’è un altro Morkov, un corridore nel quale rivedi la tua storia e le tue capacità?

Oh, ci sono un sacco di grandi corridori in giro per il mondo, penso che la bellezza del ciclismo sia che siamo tutti diversi e veniamo da realtà differenti. Naturalmente ho uno spazio speciale nel cuore per i corridori che corrono in pista e che arrivano con le abilità della pista. E anche per quelli molto bravi nel gruppo. I ragazzi che hanno il potenziale per aiutare i migliori velocisti a diventare i più veloci. Quindi è lì che terrò gli occhi per il futuro.

EDITORIALE / I danesi a Parigi portano Morkov su strada. E noi?

15.04.2024
4 min
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Sarà un puzzle difficile da comporre. Con quale criterio saranno fatte le scelte dei corridori per le Olimpiadi, alla luce delle cervellotiche regole imposte dal CIO e recepite senza neanche un fiato dall’UCI? Mentre la nazionale della pista è di rientro dal Canada, una news rilasciata non troppi giorni fa dalla Danimarca a proposito di Morkov offre lo spunto per una riflessione.

La squadra danese, che ha chiuso il ranking 2023 al secondo posto alle spalle del Belgio, correrà su strada con quattro uomini. E siccome in pista anche loro puntano forte sul quartetto, si sono inventati uno stratagemma per consentire a Michael Morkov di difendere la sua medaglia d’oro della madison. La Danimarca ha infatti già dato le convocazioni per tre dei quattro stradisti, puntando su Mads Pedersen, Mathias Skjelmose e appunto Morkov. Il quarto nome verrà fuori ai primi di giugno dalle ultime corse utili.

«La selezione di Michael – ha spiegato a Cyclingnews il tecnico danese Anders Lund – si basa sulla considerazione delle ambizioni complessive della Danimarca per la medaglia olimpica in tutte le discipline del ciclismo. Ma detto questo, Michael ha anche delle ottime capacità su strada, di cui trarremo beneficio a Parigi. Negli ultimi tre campionati del mondo su strada, Michael ha svolto un lavoro di supporto esemplare per la squadra nazionale. La sua grande esperienza e la capacità unica di guidare il suo capitano attraverso una lunga corsa su strada saranno senza dubbio preziose per le possibilità di Mads Pedersen di vincere la medaglia che sogniamo».

Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni
Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni

Morkov e la madison

La Danimarca, come pure l’Italia, su pista affida delle grandi speranze al suo quartetto e questo fa sì che nelle scelte dei tecnici della pista ci sia stato un certo sbilanciamento verso il gruppo degli inseguitori. E Morkov, che pure ha fatto parte di quartetti vincenti in Coppa del mondo e nella specialità ha conquistato l’argento a Pechino 2008, probabilmente non dà le garanzie necessarie per puntare all’oro, neppure come riserva. Di conseguenza, non potendo essere selezionato per una sola disciplina (la madison di cui è campione olimpico assieme a Lasse Norman Hansen), si è ritenuto di portarlo anche su strada. Il suo avvicinamento alle Olimpiadi passerà per il Tour de France, dove scorterà Cavendish nel tentativo di battere il record di tappe detenuto da Merckx.

«Michael – ha detto ancora Lund – vuole difendere la sua medaglia d’oro nella madison. Tuttavia, possiamo selezionare solo quattro corridori per tutti gli eventi di ciclismo su pista, ovvero inseguimento a squadre, madison e omnium. Fortunatamente, i Paesi possono anche “prendere in prestito” corridori da altre discipline, quindi se Morkov viene selezionato come ciclista su strada, potrà competere in entrambe le discipline. In questo modo possiamo convocare un corridore in più in pista, in modo che i nostri corridori rimangano abbastanza freschi per completare tutti gli eventi».

Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto
Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto

La strada azzurra

La scelta danese apre uno spiraglio anche per le altre Nazioni? In che modo saranno distribuite le quote azzurre? A quanto si è saputo, uno stradista azzurro potrebbe essere chiamato a correre anche la crono, per affiancare Ganna che farà il quartetto e la prova contro il tempo. Sappiamo che Milan correrà soltanto su pista e non su strada, ma non potrebbe essere lui il secondo cronoman? Si è discusso e si continuerà a farlo dell’impiego di Elisa Balsamo anche su strada. I tecnici hanno davanti a sé ancora due mesi e mezzo per comporre il puzzle perfetto, sapendo che l‘Italia maschile correrà su strada con soli tre uomini (quattro invece le donne), a causa del ranking per nazioni che a fine 2023 ci ha visto in ottava posizione.

La pista è il settore che probabilmente dà le maggiori garanzia di medaglia con gli uomini e con le donne, al pari della cronometro individuale maschile. Stando così le cose, è immaginabile che fra i tre della strada approdi un pistard, che però non sia un inseguitore, consentendo a Villa di chiamare un uomo in più? E se così sarà, visti i risultati azzurri nelle grandi classiche, con quale potenziale arriveremo alla sfida di Parigi su strada? Come detto, sarà un puzzle difficile da comporre. Almeno su questo non ci sono dubbi.