Cross sulla neve, da Fruet le dritte a Van Aert per Vermiglio

05.12.2021
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La Coppa del mondo di ciclocross a Vermiglio bussa alle porte. Ieri Van Aert è rientrato alle gare nel Superprestige di Boom sulla sua nuova Cervélo e ha subito vinto. Poi ha preso un respiro e ha ammesso che arriverà alla prova trentina pieno di dubbi, perché non ha mai corso sulla neve.

«La vittoria mi dà fiducia – ha detto – è andata meglio di quello che mi aspettavo. La prossima settimana sarà tutto diverso, perché ci sarà la neve. Andrò a Vermiglio con timore, perché non sono mai stato uno specialista delle gare sulla neve, ma sono fiducioso e curioso di vedere come andrà».

L’incognita è comune, la curiosità tanta. E se per la Val di Sole, come scrivemmo a luglio, l’occasione è d’oro per lanciare la stagione invernale dello sci, per Flanders Classics che organizza la Coppa del mondo e per l’intero circo del cross l’occasione è ghiotta per fare qualche passo verso le Olimpiadi invernali.

Ciclocross sulla neve

Ma cosa significa correre sulla neve? Lo abbiamo chiesto a Martino Fruet (in apertura nella foto Podetti), che della gara della Val di Sole è già stato testimonial in un video molto avvincente e che sulla neve ha corso già altre volte con alterne fortune. Fa bene Van Aert ad essere preoccupato?

«E’ vero – sorride – ne ho corse due, a Nalles e Bolzano, e ho capito che ci sono tante variabili. Un po’ come quando si scia, dipende dal tipo di neve e dal meteo. Se è fresca e polverosa, nemmeno ti bagni. Se è battuta con un gatto e fa freddissimo, sembra di andare sull’asfalto. Se piove, se il giorno prima fa caldo, se…».

Capito, andiamo per gradi. La neve ci sarà di sicuro, giusto?

Non c’è dubbio. Aveva nevicato prima che facessi il video e danno neve anche mercoledì. Vermiglio è in una conca, il sole non lo vedi proprio. Sopra poi c’è il ghiacciaio Presena, dove si conclude il video, per cui in basso arrivano correnti gelide. Ieri sono arrivati i belgi a tracciare, poi tireranno a lucido il percorso. Ma il punto è il meteo, come sempre.

Neve dura e ben trattata, come si corre?

E’ come asfalto e si va veramente forte. Magari dopo un po’ le curve si scavano, ma se è freddo davvero, il fondo regge. Ho provato a pedalare anche sulle piste da sci lavorate bene, è difficile, ma si va. Per capirci, gli unici punti critici erano quelli in cui le lamine degli sci avevano smosso la neve.

Se invece dovesse piovere alla vigilia?

La neve si allenta e quell’acqua ti entra nei piedi quando devi correre a piedi. Come lo scorso anno a Nalles, quando a due giri dalla fine ci ritirammo in venti di quelli buoni. Mani e piedi in casi del genere smettono di funzionare. Altra opzione è se il giorno prima fa caldo e un po’ la scioglie…

A Nalles nella scorsa stagione si corse nella neve molle, che portò al ritiro di metà gruppo elite (foto Billiani)
A Nalles nella scorsa stagione si corse nella neve molle, che portò al ritiro di metà gruppo elite (foto Billiani)
E magari di notte gela?

Esatto, ti ritrovi col… vetro e in quel caso possono e devono solo mettere il sale e aspettare che sciolga, altrimenti non si sta in piedi e se cadi ti fai male. Se non cambiano le regole per questa occasione, le gomme con i chiodi sono proibite, per cui se non mettono il sale, il rimedio estremo sarà trovare una linea fuori dal ghiaccio.

Hai mai corso in condizioni del genere?

Ricordo una gara a Bolzano che vinse Silvestri, ma misero il sale.

Se nevica durante la gara?

Grande spettacolo. Se sotto il fondo è battuto, non cambia niente. Se invece fa nebbia, perché in quelle valli potrebbe succedere, allora rischi di non vedere niente. Anche se ci sono 16 telecamere fisse in un anello di due chilometri e mezzo.

Sul ghiaccio si usano gomme da fango?

E’ la soluzione migliore. Dugast mi manderà delle ruote con i chiodi, ma non si possono usare e nel caso servirebbero solo su ghiaccio. Quando abbiamo girato il video, avevo una gomma da asciutto, con appena un po’ di spalla. Il discorso è che si correrà solo la domenica con le categorie elite, per cui il sabato dopo le prove, tireranno a lucido il percorso con i tre gatti delle nevi già schierati.

Stando così le cose, forse nemmeno si dovrà cambiare bici?

Non credo che lo faranno, infatti. A meno che non si gelino le pinze dei freni, in caso di freddo estremo oppure per il contatto continuo con la neve.

Che gara ti aspetti?

Duretta e spettacolare da vedere. Hanno coperto il prato, ma se piove e a forza di passarci viene fuori in fango. Metà gara si fa nella conca, poi si sale sulla sinistra guardando verso il passo del Tonale e si va in salita. Il prato in salita ha la sua bella pendenza, per cui ci saranno 50-60 metri di dislivello a giro.

Il percorso di Vermiglio si snoda nella Conca e risale sulla sinistra della valle verso il Tonale
Il percorso di Vermiglio si snoda nella Conca e risale sulla sinistra della valle verso il Tonale
Olimpiadi invernali, lancio della stagione turistica e secondo te cos’altro?

Volete lo scoop? Lancio del gravel alpino, che potrebbe aprire qualche porta importante. Come noi andavamo a fare le gare di mountain bike sugli argini, quelle che chiamavamo “le gare delle panoce”, così si può correre d’inverno con il gravel. Ma mi raccomando (se la ride, ndr), non si sappia in giro che ve l’ho detto io…

VDP Roubaix 2021

Van Der Poel prepara il ritorno e punta a tre mondiali nel 2022

04.12.2021
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Che fine ha fatto Mathieu Van Der Poel? Dall’olandese non si hanno notizie dirette da un bel po’ di tempo e non è un caso. Prima di parlare dei suoi programmi futuri e delle sue ambizioni per il 2022 (che sono altissime) bisogna partire dal recente passato e da quel capitombolo accadutogli nella gara olimpica di Mtb, perché ha contraddistinto tutto il suo finale di stagione, contrassegnato sì da un male fisico, quella schiena che non gli ha lasciato tregua portandolo ad affrontare i Mondiali di Leuven in maniera evidentemente condizionata, ma soprattutto un male morale.

A rivelarlo è stato Christoph Roodhooft, team manager della Alpecin-Fenix, che al quotidiano De Telegraaf. «Quell’incidente a Tokyo – ha affermato – è stato un’enorme delusione per Mathieu perché era un obiettivo su cui aveva lavorato per molti anni, lasciandogli una ferita mentale difficile da rimarginare. Poi in aggiunta è arrivato anche il mal di schiena, che ha tolto tutto il divertimento alla sua guida perché era una battaglia costante contro il dolore. Ma non lo sento più parlare della sua schiena, il che è un buon segno».

VDP Tokyo 2021
L’ormai famosa caduta di Van Der Poel a Tokyo: tanto si è discusso del suo errore di guida in un passaggio tra i più tecnici
VDP Tokyo 2021
L’ormai famosa caduta di Van Der Poel a Tokyo

A Benicasim per la caccia all’iride

Van Der Poel non rilascia interviste e questo è un altro buon segno, perché quando entra nel pieno della sua preparazione, la concentrazione è massima. In questi giorni l’olandese è a Benicasim, in Spagna, per prepararsi specificamente per il suo ritorno al ciclocross.

Mentre i suoi acerrimi rivali Wout Van Aert e Tom Pidcock sono ormai pronti per l’esordio, che sarebbe dovuto avvenire per entrambi ad Anversa nella tappa domenicale di Coppa del mondo, alla fine però annullata per la recrudescenza del Covid, VDP si è preso tempi più lunghi, ma ha stabilito il suo ritorno in gara per il 18 dicembre a Rucphen, nella tappa di casa della challenge Uci.

Sarebbe stato bello vedere anche lui a Vermiglio, in un primo atto ufficiale dei “tre tenori”: il 12 dicembre bisognerà invece… accontentarsi degli altri due. VDP d’altronde ha cercato un ritorno un pochino più morbido (per quanto la Coppa lo possa essere…) su un percorso che conosce a menadito. Il giorno dopo replica a Namur (BEL), poi il 26 dicembre, nel giorno di Santo Stefano, ci sarà il vero “match of the year” a Dendermonde.

Vdp Van Aert 2021
Van Der Poel e Van Aert: il 26 dicembre si ritroveranno quasi 11 mesi dopo la sfida iridata di Ostenda
Vdp Van Aert 2021
Van Der Poel e Van Aert: il 26 dicembre si ritroveranno quasi 11 mesi dopo la sfida iridata di Ostenda

Intanto si guarda al Tour, obiettivo… verde

Rispetto alla scorsa stagione, alle continue schermaglie nel ciclocross fra Van Aert e Van Der Poel con il belga proiettatosi alla grande verso i mondiali ma poi sonoramente battuto e Pidcock a fare da terzo incomodo, le cose sono cambiate. Il britannico si è preso l’oro olimpico nella Mtb, Van Aert ha collezionato medaglie dal sapore amaro fra Tokyo e Leuven, di VDP abbiamo detto, ma forse è quello che affronta la nuova stagione con più incognite.

Tutti si chiedono che cosa abbia intenzione di fare su strada, soprattutto ora che la Alpecin Fenix, pur rimanendo al di fuori del WorldTour, continua a potenziarsi, non solo come corridori ma anche e soprattutto come assetto economico al punto da essersi associata alla Deceuninck, finora sponsor del team di Patrick Lefevere. Acclarato che le classiche restano un obiettivo primario, fra i grandi Giri Van Der Poel punta a tornare al Tour, questa volta non a mezzo servizio come quest’anno, ma pensando di poter collezionare tappe e puntare alla maglia verde della classifica a punti. Guarda caso, lo stesso obiettivo di Van Aert…

Van Der Poel Brno 2018
VDP non ha abbandonato la Mtb, per aggiungere altre medaglie all’oro europeo 2018 a Brno
Van Der Poel Brno 2018
VDP non ha abbandonato la Mtb, per aggiungere altre medaglie all’oro europeo 2018 a Brno

Il sogno del tris mondiale

Attenzione però perché nel corso dell’intervista con il principale quotidiano olandese, Roodhooft si è lasciato sfuggire un’altra indiscrezione.

«Mathieu – ha detto – non ha nessuna intenzione di lasciare la Mtb, anzi. Possiamo dire di poter vincere un titolo mondiale in mountain bike. Nessun’altra squadra oltre al Team Ineos con Tom Pidcock può dirlo».

In realtà il progetto va ben oltre: VDP vorrebbe catalizzare il suo 2022 sulle gare titolate, puntando al clamoroso tris di maglie iridate nello stesso anno (ciclocross, Mtb e strada) assolutamente inedito in campo maschile e riuscito solamente alla francese Pauline Ferrand Prevot, ma nell’arco di due anni solari, 2014 e 2015. Sarebbe qualcosa di storico, che nessuno potrebbe più togliergli elevandolo a dio del ciclismo multidisciplinare. Il primo atto sarà il 30 gennaio a Fayetteville, per questo se la sta prendendo comoda, perché le energie gli serviranno tutte…

Selle SMP F30 e F30C, Nicolas Samparisi spiega le differenze

03.12.2021
5 min
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La sella è uno degli appoggi fondamentali del ciclista sulla bici (gli altri sono pedali e manubrio). Il comfort e il feeling devono pertanto essere ottimizzati al cento per cento perché l’atleta possa esprimere le sue doti. Con questo approfondimento andiamo ad analizzare i modelli F30 e F30C di Selle SMP sul campo e dietro le quinte. Per i feedback ci siamo affidati a Nicolas Samparisi, elite di ciclocross e marathon del team KTM Alchemist – Selle SMP. Mentre per l’analisi dei prodotti abbiamo chiesto a Nicolò Schiavon, marketing manager di Selle SMP. 

Le due selle

I modelli F30 e F30C fanno parte del top della gamma professional. «Queste due selle – spiega Schiavon – rappresentano il fiore all’occhiello del nostro portafoglio prodotti. Il target è un utente evoluto, che ha determinate necessità e utilizza la bici con una certa frequenza».

Le due sedute sono molto simili e condividono la maggior parte delle specifiche. «La F30C è più compatta e corta. La F30 è più lunga, ma comunque di dimensioni standard. Ovviamente entrambi i modelli spiccano per le nostre caratteristiche ergonomiche. Quindi, canale centrale aperto per eliminare la compressione a livello genitale, perineale e prostatico. Il naso all’ingiù e in particolare il telaio più lungo sul mercato, che è disponibile in due versioni, acciaio Inox e carbonio. Entrambi i modelli sono unisex e adatti a chi ha una larghezza di ossa ischiatiche da 11,6 a 15 centimetri. L’imbottitura minima è in elastomero espanso, che gode di un’ottima reattività grazie alla memoria elastica».  

Al servizio dell’utilizzatore

Per un’azienda come Selle SMP l’adattamento e lo sviluppo delle selle per gli atleti e i team è fondamentale per crescere e mantenere alto il livello dei prodotti. La casa veneta è molto attenta sotto questo aspetto, come ci conferma Nicolò Schiavon: «Il nostro obiettivo – dice – è che sia la sella ad adattarsi alle esigenze dell’utente e non il contrario. Noi non imponiamo modelli. Mettiamo sempre a disposizione l’intera gamma. Siamo tutti diversi e abbiamo esigenze differenti. Selezioniamo una cerchia di modelli, quattro o cinque. Li facciamo provare, e il modello lo individua direttamente l’atleta».

Le versioni proposte da Selle SMP hanno infatti il vantaggio di essere tra le più versatili. «La F30 e la F30C come quasi tutti i nostri modelli – continua Schiavon – sono universali dal punto di vista della disciplina, dalla Mtb alla strada ma anche pista e crono». 

Nicolas Samparisi durante il campionato del mondo a Capoliveri (foto Sportograf.com)
Nicolas Samparisi durante il campionato del mondo a Capoliveri (foto Sportograf.com)

La prova sul campo 

Praticare due discipline tecniche e differenti dal punto di vista dello sforzo come ciclocross e marathon è complicato e per farlo la scelta della sella è determinante. «Mi sono sempre trovato bene con le Selle SMP – racconta Nicolas Samparisi – soprattutto da quando hanno fatto i modelli con il canale centrale piatto. Le uso dal 2009, quindi ho provato e visto lo sviluppo continuo».

Avere sensibilità e trovare una seduta che soddisfi le proprie esigenze è fondamentale per stare in sella molte ore o poter spingere in sforzi brevi. «Io uso la F30C con corpetto in acciaio Inox. Perché nel ciclocross saltandoci su, rimane più solido e affidabile. Per il marathon la comodità è tutto perché si sta tante ore in sella. Per esempio quest’anno al mondiale di Capoliveri la gara è durata 6 ore 30’».

Le differenze spiegate dall’atleta

Chi meglio di un atleta come Nicolas che passa tante ore in bici, può apprezzarne i dettagli e le sfumature? «La prima differenza tra i due modelli è sicuramente che la F30C è più corta. Un’altro particolare sono le due punte posteriori che la F30 ha, mentre la F30C no. Ed è comodo perché nel fuoristrada, soprattutto nel CX e nel marathon, quando si fanno i fuorisella, proprio quei due elementi risultano ingombranti, perché si rischia a volte di agganciarsi con il pantaloncino. Anche la sella più corta dà tanta libertà di movimento sui pedali.

«A livello di seduta sono uguali – prosegue – io che ho il bacino medio-largo uso la gamma F30. Mio fratello Lorenzo usa la F20 più stretta. Quello dipende dalle ossa ischiatiche».

Selle SMP vanta una vasta gamma di colori, ben 9 selezionabili. Anche l’occhio vuole la sua parte come ci conferma Samparisi: «Mi piace molto il fatto che la sella non sia nel canonico nero. Il colore dà un tocco di personalità in più alla bici. Io per esempio su quella da ciclocross uso la versione bianca mentre sulla Mtb utilizzo l’arancione».

Cervélo R5-CX, la bici di Wout Van Aert

02.12.2021
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Questa di Cervélo non è la prima bicicletta specifica per il ciclocross, perché già nel 2007 l’azienda ha prodotto due modelli R3 Cross. Da quel periodo molto è cambiato, tecnologie, tendenze e gli stessi atleti con le loro richieste. La R5-CX nasce dalla collaborazione con gli atleti del Team Jumbo-Visma, Wout Van Aert e Marianne Vos. C’é un fil rouge con la versione R5 road utilizzata da WVA, ma la piattaforma CX ha dei concept di sviluppo tutti suoi. Ma vediamo insieme i dettagli principali.

La nuova Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)
La nuova Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)

Cervélo R5-CX, ora solo per il team

L’ufficializzazione di questa versione della Cervélo R5, anticipa l’esordio di WVA nel ciclocross e per ora sarà utilizzata solo da alcuni corridori del sodalizio olandese. Ci piace definirlo come una sorta di ultimo banco di prova per la piattaforma da cross, in vista della disponibilità effettiva, prevista a fine agosto 2022.

Marianne Vos con la Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)
Marianne Vos con la Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)

Una bici compatta

Partiamo dal presupposto che la Cervélo R5-CX ha un framekit full carbon monoscocca. Il suo sviluppo si basa sul modello della R5 road (disc brakes), ma con alcune differenze molto importanti. Concettualmente non si tratta “solo” di una bici in carbonio molto leggera, ma di uno “strumento racing” che trova nel segmento R5 la sua massima espressione. L’avantreno ha una forcella con steli dritti, arrotondati frontalmente e con un ampio arco nella sezione superiore e con una luce abbondante per il passaggio della ruota. Qui c’è anche una sorta di protuberanza che s’innesta nella tubazione obliqua. La ricerca aerodinamica è presente, pur non ricoprendo un ruolo primario. Sempre in merito alla forcella, essa ha un rake di 51 millimetri per le taglie 51-54 e 56, che si riduce a 48 per la misura più grande, ovvero la 58: cifre che collimano con un angolo dello sterzo da 71,5° (72° per la taglia 58). Tutto questo si traduce in un comparto molto corto, maneggevole ed estremamente pronto ai cambi di direzione.

Il collegamento dell’orizzontale con i foderi obliqui è ben visibile, tanto che dà l’impressione di abbracciare il piantone (immagini Cervélo)
Il collegamento dell’orizzontale con i foderi sembra abbracciare il piantone (immagini Cervélo)

L’head tube si adatta alla serie sterzo FSA ACR e questo permette di integrare fili e guaine, azzerando eventuali problemi di strozzature. La Cervélo R5-CX è compatibile solo con le trasmissioni elettroniche. Numeri ridotti anche per il tubo sterzo, ma comunque in linea con gli sviluppi più moderni: 97, 118, 139 e 157 millimetri, rispettivamente per le taglie 51, 54, 56 e 58.

Muscolosa e sfinata, DNA Cervélo

Il profilato orizzontale è più voluminoso davanti, per schiacciarsi verso il retro. Il suo collegamento con i foderi obliqui è ben visibile, tanto che dà l’impressione di abbracciare il piantone. Si nota un prolungamento verso l’alto e il reggisella ha una forma a D, con profilo posteriore tronco. Verso il basso si notano i cambiamenti di shape dei tubi orizzontali del carro, sfinati vicino al perno passante, massicci verso la scatola del movimento centrale. Per gli amanti delle cifre: il retrotreno è corto, solo 42,5 centimetri (cifra comune a tutte le taglie).

Altra particolarità molto interessante

La scatola del movimento centrale non è BBright come vuole la tradizione Cervélo, ma ha delle calotte filettate T47, al tempo stesso viene mantenuta l’asimmetria del comparto. Questione di praticità legata al ciclocross. Un mezzo del genere viene smontato, lavato ed è soggetto ad una manutenzione di gran lunga maggiore, rispetto ad una bici da strada. Confrontandola con la sorella road, la R5-CX è più alta da terra: più 11 millimetri.

E’ Toneatti l’undicesima gemma dell’Astana Development

01.12.2021
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Quando Giuseppe Martinelli ci disse che nella rosa dell’Astana Qazaqstan Development Team c’erano undici corridori ne mancava uno all’appello. Per deduzione si sapeva solo che era italiano visto alla voce “due italiani” figurava solo il nome di Gianmarco Garofoli. Adesso ecco l’ultimo tassello: Davide Toneatti.

Questo giovane deve essere un avventuriero nell’anima, visto che ha deciso di passare dall’offroad (cross e mtb), dove era già qualcuno, alla strada. “Di qua” deve rimettersi in ballo totalmente. Ma un friulano, si sa, è tosto più del marmo. Tanto più se viene dalle zone di Buja, dove tra i suoi compaesani c’è gente come De Marchi o Milan. «Vero –  dice Toneatti – proprio stamattina ho incrociato Jonathan a 500 metri da casa mia. Io rientravo e lui usciva».

Toneatti (classe 2001) durante lo stage azzurro ad Osoppo
Toneatti (classe 2001) durante lo stage azzurro ad Osoppo
Davide, come mai ha deciso di fare questo salto?

E’ un’idea che mi frullava nella testa già da un po’ di tempo. Poi questa estate, al termine della stagione in mtb, ho chiesto un po’ in giro e ho parlato con Claudio Cucinotta (uno dei preparatori dell’Astana, ndr) che conoscevo già. Lui infatti è delle mie zone e spesso uscivamo in bici insieme.

Ed è lui che ti segue?

No, ma lo farà appena inizierò la stagione su strada. Ho confidato a Claudio le mie idee e lui mi ha detto che in Astana c’era questo progetto della Development e che cercavano ancora qualcuno. Così io gli ho dato un mio curriculum e un paio di test perché potessero valutare. Tre settimane fa è iniziato il tutto e la scorsa settimana mi hanno detto che mi avrebbero preso.

Ma come mai hai deciso per questo passaggio?

Come detto era un qualcosa che sentivo dentro di me. In mtb ormai so come funziona e in Italia ci sono davvero poche squadre. E’ molto difficile andare avanti. In realtà una proposta di passare alla strada già me l’avevano fatta al termine della categoria juniores ma io ero contento di stare nella mtb, mi piaceva, non mi sentivo pronto e a dire il vero avevo anche un po’ paura.

Quali difficoltà ti immagini incontrerai?

Qualche gara su strada l’ho fatta sia da juniores che da under 23. Gare regionali, nelle quali il livello suppongo non sia elevatissimo, però non mi sono trovato malissimo. Le difficoltà che ho notato sono state più tecnico-tattiche: stare in gruppo spalla a spalla o capire se la fuga è quella buona. Ma credo che si possa migliorare. Basta correre e fare esperienza e alla fine diventa un qualcosa di naturale, come fare un salto nel cross o un drop in mtb.

Che tipologia di corridore pensi di essere?

Per quel poco che ho visto direi un corridore che si difende bene in salita. Nelle gare da juniores soprattutto dove si arrivava in salita o c’era parecchio dislivello sono andato bene. In pianura invece ho fatto fatica.

A livello di “motore” invece pensi di esserci?

Mi confronto sul piano internazionale con i ragazzi del cross e della mtb e non mi sembra di essere male. Su strada subentra una componente di resistenza che dovrò curare. Passerò dall’ora, ora e mezza di gara a tre, quattro ore. Ci dovrò lavorare, ma come ritmo credo di esserci.

Il friulano è molto abile nella guida, qualità che di certo gli tornerà utile su strada
Il friulano è molto abile nella guida, qualità che di certo gli tornerà utile su strada
Con Cucinotta avete parlato della preparazione?

Giusto un paio di giorni fa siamo usciti in bici insieme. Mi ha detto che ancora il calendario gare non era pronto ma che avremmo poi buttato giù un programma di lavoro al termine della stagione del ciclocross.

Ecco questo volevamo chiederti: la stagione del cross la porti a termine?

Sì, sì… adesso sono concentrato al 100% su questa disciplina e in Astana lo sanno. Se tutto andrà bene spero di fare i mondiali cross e quindi nella migliore delle ipotesi dopo la prova iridata (fine gennaio, ndr) inizierei a lavorare su strada. Cucinotta ha detto che valuteremo in quel momento, in base alle mie condizioni fisiche, se tirare dritto per altri due o tre mesi e riposare a maggio. O se invece fermarmi subito e riprendere ad aprile. Anche per questo non credo che andrò al ritiro di gennaio dove ci saranno WorldTour e continental.

Chi conosci della nuova squadra? Con Garofoli hai parlato?

Per me è un ambiente nuovo. Non conosco molte persone. Anche Garofoli non l’ho visto personalmente, ma so che va forte! L’ho seguito al Val d’Aosta dove si è messo in mostra.

In trasferta con la Michele Bartoli Academy. Il diario di viaggio

28.11.2021
7 min
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Un team o una famiglia? Una domanda che magari al termine di questo articolo si può porre anche il lettore. La Michele Bartoli Academy ci apre le porte, a partire da quelle del suo furgone, per una trasferta con loro. Dal sabato alla domenica, con il team toscano siamo andati alla tappa del Giro d’Italia Ciclocross in Puglia.

Un bel viaggio da Pisa a Mattinata (Foggia). Un viaggio in cui la parola annoiarsi non è esistita. E allora come in un diario proviamo a raccontarvi questa due giorni.

Tra smartphone e libri

Sette ragazzi in tutto. Cinque allievi, un under 23 e una ragazza junior, questa l’armata toscana. Il viaggio d’andata scorre tra ricordi, aneddoti, ma anche libri.

Filippo Cecchi, infatti, l’U23, è iscritto ad ingegneria e come il cross non può prenderla sottogamba. Uno degli aneddoti più divertenti riguarda il suo inizio.

Prime girate con la bici da cross a ruota di Mauro Bartoli. Mauro gli insegna i trucchi del mestiere. Gli dice quando e come frenare, anche per staccare gli avversari. Filippo esegue alla lettera e quando Mauro lo fa passare per vedere cosa appreso, ecco che gli rende pan per focaccia. Una frenata improvvisa e l’allievo butta in terra il maestro! 

E poi c’è l’immancabile smartphone. Ormai protuberanza del nostro braccio. E così si cerca di capire com’è il percorso di Mattinata e quel che succede a Vittorio Veneto, altra gara del weekend.

Ora di cena: a tavola cellulari sul tavolo, gran bella decisione
Ora di cena: a tavola cellulari sul tavolo, gran bella decisione

Telefoni sul tavolo

Arrivati a Mattinata si prende “possesso del territorio”. Un paio di giri per trovare la giusta confidenza col circuito e dopo aver montato lo stand si fila in hotel.

A cena ecco una bella regola messa in atto: tutti i telefoni a centro tavola dalla parte in cui sono seduti gli accompagnatori. Si parla, come una volta…

A tenerli sotto controllo c’è Roberto Cecchi, colonna di questo team, assieme a Walter Baesso e Manuela Landi, che conoscono i ragazzi da sempre. Erano i loro diesse in altri team quando erano davvero dei bimbi.

Proprio Roberto, papà di Filippo, aveva rimproverato i suoi per l’acquisto di una bevanda zuccherata all’autogrill, però a cena non lesina piatti di pasta e patate. Soprattutto a Giulio Pavi Deglinnocenti, ragazzi famelico!

«La scorsa settimana si è mangiato persino l’osso della mia bistecca», racconta Cecchi. E intanto Giulio spazzola i piatti dei suoi compagni.

Due ritardatari 

La mattina del via si lascia l’hotel a scaglioni, a seconda delle partenze. La prima è Letizia Barra. Un po’ di tensione, qualche minuto sui rulli e l’elbana fa la sua gara.

Poi è la volta di Filippo. Cecchi è sfortunatissimo. Prima fora e poi rompe una scarpa. Ma non molla. Fa parte del gioco. E alla fine sorride lo stesso.

Due del gruppo allievi fanno tardi. Sono rimasti a giocare con il telefono in stanza. Mauro e Roberto non la prendono bene e li rimproverano. Essere coach dei ragazzi significa anche questo. Si è dei maestri. E certe trasferte, certe esperienze, servono anche a questo: a crescere. E’ una scuola. Segno che essere corridore, qualora un giorno lo diventassero, non è solo salire in bici. E certe carenze logistiche a volte le notiamo anche in corridori ben più grandi ed affermati.

I due “colpevoli” (di cui non facciamo il nome!) almeno sembrano avere la coda tra le gambe… Forse questa lezione l’hanno imparata.

Mauro show

La Michele Bartoli Academy è una squadra di giovani come detto. Una scuola, un’accademia come dice la parola stessa. I ragazzi sono presi in prestito da altri team proprio per la stagione del cross, che è la disciplina più amata da molti di loro. E da Mauro forse ancora di più.

Quando scattano i suoi “bimbi” scatta anche lui. Si sentono le sue urla dalla parte opposta del tracciato. Urla d’incitamento. Di chi la vive con passione. Un qualcosa ci dice che faceva così anche papà Graziano.

I ragazzi lo ascoltano. E’ grinta. Sono consigli. Mauro salta da una fettuccia all’altra come un siepista kenyano! E alla fine c’è una pacca sulla spalla per tutti.

«E delle cose che non sono andate bene – dice Roberto Cecchi – se ne parla al momento giusto. Non subito. Uno dei nostri è tornato al box in lacrime. Gli ho detto di cambiarsi, di stare tranquillo e che ne avremmo parlato… poi».

Giustamente certi discorsi vanno fatti nel momento giusto. Far vedere gli errori, riavvolgere il nastro, analizzare senza creare confusione.

Per esempio, i ragazzi dovevano cambiare bici, troppo infangata, ma non lo hanno fatto.

«A quell’età – dice Filippo, quasi un coach aggiunto – anche io non la cambiavo. Fermarsi significava solo perdere posizioni. Ma serve tempo per capire certe cose ed è giusto che facciano certi sbagli».

Si torna a casa

E’ domenica pomeriggio. Le gare sono ormai “andate” e bisogna “rimpacchettare” tutto. Il viaggio che attende la Michele Bartoli Academy è lungo. 

Ma come un esercito ben organizzato che sa togliere le tende, in poco più di mezz’ora tutto è sui furgoni.

Il viaggio di ritorno porta con sé i bilanci e i resoconti della gara. «Avrei potuto fare di più se…». «Quel passaggio era così». «Hai visto quello come andava».

Ma c’è anche il tempo di guardare la Coppa del mondo di ciclocross e magari di pensare già alla prossima gara… Si controllano le classifiche di questa e quella corsa. Si pensa alle tabelle da fare in settimana. Insomma: si è già in “modalità lunedì”.

In attesa dei tre giganti, Iserbyt folletto imprendibile

28.11.2021
5 min
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Dodici vittorie su diciotto gare, fatto salvo il mezzo passo falso degli europei, la stagione invernale di Eli Iserbyt è da urlo. Oggi ha vinto anche a Besancon, lasciando a 10 secondi Toon Aerts, allo stesso modo in cui al mattino Lucinda Brand aveva rifilato 26 secondi alla canadese Rochette.

Fisico da scalatore

La sua dimensione è in netta crescita. E anche se l’imminente ritorno in gara di Van Aert, Van der Poel e Pidcock potrebbe ridimensionare la sua stella, è un fatto che a 24 anni Iserbyt sia uno degli specialisti più forti al mondo. E dato che pochi lo conoscono, proveremo a raccontarne la personalità attraverso le sue stesse parole.

Lo scorso anno, Iserbyt ha vinto l’europeo di ciclocross
Lo scorso anno, Iserbyt ha vinto l’europeo di ciclocross

«Non mi vedo come uno dei migliori al mondo – dice il fiammingo, alto 1,65 per 56 chili – mi considero un atleta che fa del suo meglio e questo è stato il filo conduttore della mia crescita. Mi rendo conto che tutto intorno a me è diventato più grande, ma l’obiettivo è vincere il più possibile. In Belgio vengo riconosciuto perché tutti guardano il ciclocross d’inverno. Io cerco sempre di essere poco appariscente, in questo la mascherina aiuta. La popolarità è bella e aiuta, ma ci sono così tante rivalità, che se non sei a favore di uno, sei automaticamente contro. Questo è il bello del ciclismo in Belgio. Immaginate che cambio di clima, quando l’anno scorso a causa del Covid si correva senza pubblico…».

Vincere tanto

Il pubblico dovrà imparare a conoscerlo. Difficile dire se parli perché ha avuto contatti con i tre giganti di specialità, ma certo l’ipotesi che possano mollare la presa sul cross non è peregrina e questo potrebbe aprire anche a lui la strada verso il tetto del mondo.

«Penso che anche il pubblico abbia bisogno di questo periodo di transizione – dice – perché Van der Poel e Van Aert correranno sempre meno cross. E’ la nostra occasione, ma non dovremo essere ingenui. Loro corrono sempre per vincere e non è detto che spariranno come Stybar. Per ora sono ancora in modalità full cross e non vogliono perdere. Grazie a questo le gare saranno ancora più belle. Il mio obiettivo a breve termine è vincere tanto prima che arrivino». 

Cent’anni di storia

La sua osservazione sul cross, le sue origini e il fatto che sia una specialità autoctona del Benelux è fondata. Così come è pertinente l’osservazione sulla coerenza storica della specialità.

Iserbyt e la sua compagna. Il belga è stato a lungo insieme a Puck Moonen, anche lei ciclista (foto Instagram)
Iserbyt e la compagna attuale. Il belga è stato a lungo insieme a Puck Moonen, anche lei ciclista (foto Instagram)

«Non credo che una maggiore internazionalizzazione si tradurrà in corridori stranieri più forti – dice – il cross è uno sport con forti radici regionali. E’ molto specifico e tecnico ed è nel nostro Dna. Se vedi dei bambini che si allenano, è normale che venga voglia anche a te. Ho iniziato quando avevo 13-14 anni. Da piccolo al sabato giocavo a calcio e la domenica guardavo il cross in televisione. Dieci minuti dopo la gara, prendevo la bici e andavo a giocare sulle salitelle dietro casa.

«Il nostro solo problema è che non siamo uno sport olimpico. Tutti gli specialisti britannici o francesi più forti dopo un po’ abbandonano. Ma anche con uno status olimpico, penso che i belgi continueranno a fare la differenza. In un mondo che cambia sempre, il ciclocross è lo stesso da 100 anni. E’ la tradizione che rende questo sport così grande».

Suggestione strada

Sulle sue prospettive di crescita, i margini di miglioramento e un possibile coinvolgimento nell’attività su strada della sua squadra, la Pauwels Sauzen-Bingoal, Iserbyt sembra avere idee chiare.

«Ho 24 anni – dice – e quest’estate ho svolto un carico di lavoro superiore e per la prima volta lavori di endurance. Forse la prossima estate proverò a fare bene in una corsa a tappe, anche se non ho mai avuto un picco di forma nella stagione su strada. La stagione del ciclocross richiede un periodo di picco molto lungo, per cui mentalmente e fisicamente ho bisogno dei mesi estivi per recuperare».

Settimana tipo

La sua è una vita da… sacerdote del cross. La devozione e la dedizione con cui ne parla fa anche pensare a un ragazzo consapevole di dover essere al massimo per combattere contro i giganti.

Anche Lucinda Brand è inarrestabile: vince anche a Besancon e consolida la leadership di Coppa
Anche Lucinda Brand è inarrestabile: vince a Besancon e consolida la leadership di Coppa

«La mia settimana tipo è sempre uguale – dice – faccio un giro facile il lunedì e poi un lungo di 4 ore il martedì. Mercoledì allenamento specifico di 2 ore e mezza per la gara del fine settimana. Cerchiamo di lavorare su un percorso simile. Dopo l’allenamento invece sono solo sul divano e la mia ragazza lo sa. Mi riposo più che posso. Non vedo i miei amici durante la stagione perché lavorano durante la settimana e fanno festa nei weekend. E’ un sacrificio facile da fare quando vengono i risultati».

La prossima fermata della Coppa del mondo sarà ad Anversa il 5 dicembre, poi finalmente il circo del cross sbarcherà in Italia, sui sentieri ghiacciati di Vermiglio, in Val di Sole. La testa del ranking è saldamente nelle mani di Iserbyt e Lucinda Brand. In attesa che tornino i giganti, la strada del folletto di Bavikhove continua a sembrarci eccezionale.

Duello annunciato, Mattinata sorride a Folcarelli

28.11.2021
4 min
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La quinta tappa del Giro d’Italia Ciclocross ha vissuto sul duello annunciato tra Antonio Folcarelli e Cristian Cominelli. Senza i Selle Italia – Guerciotti chiaramente la lotta ricadeva su questi due cavalli pesanti, tra l’altro i primi due della classifica generale. Lo scenario? Quello unico di Mattinata, in Puglia.

Ulivi e agrumi, mare e spiaggia di ciottoli… il tutto sotto lo sguardo, a dire il vero un po’ severo, del Gargano coperto dalle nuvole.

Nelle fasi iniziali moltissime noie tecniche. Qui una catena rotta dal fango e conseguente cambio di bici
Nelle fasi iniziali moltissime noie tecniche. Qui una catena rotta dal fango e conseguente cambio di bici

Duello annunciato

Spalla a spalla per tutta la gara. A tirare è sempre Folcarelli. Il corridore laziale insiste e spinge. In poche curve i due atleti fanno il vuoto. Altro livello il loro. Altri rapporti. Hanno il 44 mentre gli altri mulinano un 42 o un 40.

Il percorso non è impossibile: tantissimo fettucciato, molti rilanci, ma anche tratti velocissimi. In partica si snodava su un leggero declivio. A tratti il falsopiano era in salita e a tratti era in discesa.

«Alla fine – dice col fiatone Folcarelli dopo l’arrivo – è venuta fuori una gara dura. Molto veloce. Il fango rispetto a ieri si è compattato molto ma è diventato “colloso” ed era difficile fare velocità». E oltre al fango, erano insidiosissimi i tratti sul cemento. Questi erano delle “soponette”, po’ perché ci si arrivava con le gomme sporche, un po’ per l’umidità della pioggerellina che cadeva di tanto in tanto e un po’ perché da pochi giorni erano state raccolte le olive e a terra restava una patina.

Spiaggia o ghiaia?

Gran parte dello spettacolo avveniva poi nel tratto sulla spiaggia. O meglio sul ciottolato. Se al sabato si provava ad andare più verso la battigia, su una strisciolina di sabbia, con la mareggiata della notte si è stati costretti a cambiare tattica.

Tutti bici in spalla e corsa a piedi nella parte più alta della spiaggia. Proprio Folcarelli, al sabato, con le sue prove aveva indirizzato la scelta tattica di molti ragazzi che cercavano di sfruttare la sua esperienza. «Se Folcarelli passa sulla sabbia ci passo anche io», questa la sintesi. 

Il problema, come detto, è che la mareggiata aveva tolto ogni solco, ogni traccia nella quale infilarsi e tutti i piani di conseguenza sono andati all’aria.

«Il tratto sulla sabbia ha inciso moltissimo – ha detto Folcarelli – E’ stato duro e ha complicato tutto il resto della corsa. Si affondava molto, sia sulla sabbia che sui ciottoli. Si correva per oltre 30”».

L’arrivo di Folcarelli. Nel finale il suo forcing non ha permesso a Cominelli di passare
L’arrivo di Folcarelli. Nel finale il suo forcing non ha permesso a Cominelli di passare

Scarpe rotte

Non solo, ma questo breve segmento ha creato non pochi problemi, specie alle scarpe. Sono state diverse le rotture di Boa, agganci e suole. La corsa a piedi prolungata e l’impatto del piede che affondava con i sassi, alla lunga creava rotture.

Anche il vincitore ha ha chiuso la corsa con la scarpa rotta. E altri tre ragazzi sono stati costretti al ritiro. Senza contare i capitomboli di quando si entrava nel ghiaione. Si scendeva a tutta da una rampa in discesa e la ruota anteriore affondava. La bici s’impuntava e il 360° in aria era quasi scontato… se calava un po’ di lucidità».

Le ragazze di Pontoni, hanno dominato la prova open femminile
Le ragazze di Pontoni, hanno dominato la prova open femminile

Doppietta DP66

In classifica, col secondo posto Cominelli (già maglia rosa), resta in testa e anche se perde quattro punti sul crossista della Race Mountain può dormire sonni tranquilli. Tuttavia il corridore della Scott, che palesemente ha mostrato un’ottima condizione, non è sembrato felice della piazza d’onore. Dopo l’arrivo infatti ha tirato dritto verso il suo box senza scambiare nessun cenno o parola con Folcarelli.

Tra le donne da segnalare una doppietta della DP66 con Alice Papo e Lusia Canciani (maglia bianca). Chiude il podio Tanya Donati (Team Terenzi). Assente la Casasola, la quale però resta saldamente in rosa.

Johannessen 2021

Tra fondo e ciclocross, Johannessen pensa al 2022

25.11.2021
5 min
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Non bastasse tutto quel che ha fatto in questa stagione fra gli Under 23 (vittoria al Tour de l’Avenir, secondo al Giro U23, terzo alla Liegi-Bastogne-Liegi), Tobias Halland Johannessen si è messo a vincere anche nel ciclocross… Il giovane talento di Drobak, per nulla stanco dopo una stagione concentrata soprattutto nella seconda parte e che lo ha visto anche impegnato ai Giochi di Tokyo, è tornato a competere sui prati e ha portato a casa il titolo nazionale, il terzo dopo quelli del 2017 e 2018.

Durante l’anno c’era già stato modo di parlare di lui, corridore che esce un po’ dai consueti canoni del ciclismo attuale. Corteggiato da molti grandi team visti i suoi risultati, ha scelto di continuare a rimanere nell’Uno-X Pro Cycling, la formazione guidata dalla vecchia conoscenza italiana Kurt Arvesen, passando semplicemente dalla formazione Development alla prima squadra Professional, una sorta di nazionale con qualche innesto danese, non solo per rimanere in un ambiente familiare, ma per crescere con calma.

Johannessen Uno-X 2021
Nel 2022 Johannessen farà il passaggio dalla formazione Develpment alla prima squadra Uno-X
Johannessen Uno-X 2021
Nel 2022 Johannessen farà il passaggio dalla formazione Develpment alla prima squadra Uno-X

Una persona solare

Il resto è lui stesso a raccontarlo, con quella solarità che traspare dalle foto e un entusiasmo contagioso, espresso già alla semplice richiesta di un po’ di tempo per chiacchierare partendo dai suoi inizi: «La mia passione per la bici è nata praticamente con me, ma agli inizi per me è stato soprattutto un mezzo di trasporto, per andare a scuola e girare con gli amici. Pian piano ho visto che andavo bene e ho pensato di provare a farne qualcosa di più, perché era divertente e potevo allargare i miei orizzonti».

Nel tuo Paese d’inverno quasi tutti vanno sugli sci di fondo, in maggior modo nella tua zona geografica. Lo fai anche tu e lo ritieni utile per la preparazione invernale?

Sì, assolutamente perché qui fa molto freddo e non è sempre facile, quando sono a casa, poter andare in bici sia per la neve che per le temperature rigide. Lo sci di fondo è davvero utile per tenermi in forma, ma è anche un modo per fare sport in maniera più rilassata.

Johannessen fondo 2021
Tobias sugli sci di fondo, molto usati d’inverno come alternativa alle pedalate
Johannessen fondo 2021
Tobias sugli sci di fondo, molto usati d’inverno come alternativa alle pedalate
Quest’anno sei tornato ad affrontare il ciclocross, come mai?

Il ciclocross non ho mai potuto praticarlo molto anche se mi piace. In Norvegia non ci sono molte gare e per me resta una disciplina subordinata alla strada, non voglio impegnarmi troppo seriamente in un’altra disciplina. Sicuramente sarebbe utile avere qualche occasione di confronto d’inverno, in un ambito nazionale che non sarebbe troppo competitivo. Diciamo che può essere un valido aiuto alla preparazione invernale, ma senza finalizzarlo.

Che tipo di corridore pensi che diventerà Tobias Johannessen?

Bella domanda, devo ancora scoprirlo. Sicuramente mi trovo bene in salita, è il terreno che preferisco, ma non so dire se sia un corridore più adatto alle classiche o alle grandi corse a tappe. Devo ancora scoprirmi e per questo voglio procedere con calma, so che devo migliorare molto su tutti i terreni per essere competitivo. Quel che è certo è che le salite anche quelle più dure, non mi spaventano…

Johannessen ciclocross 2021
Il podio dei campionati nazionali di ciclocross (foto Federazione Norvegese)
Johannessen ciclocross 2021
Il podio dei campionati nazionali di ciclocross (foto Federazione Norvegese)
E’ indubbio però che nelle brevi corse a tappe di quest’anno hai messo in mostra grandi possibilità, anche quando ti sei trovato a competere con i pro’, facendo pensare a un tuo futuro nei grandi giri…

Sicuramente il 2021 è stato positivo nelle gare a tappe brevi, che per il momento sono la mia dimensione ideale, anche se Giro U23 e Avenir sono gare che arrivano a 10 giorni e quindi proprio brevi non sono. Ma se parliamo delle prove che hanno fatto la storia fra i pro’ è un altro discorso, intanto bisognerebbe affrontarle e capire come vado in gare di tre settimane. Ci arriveremo, ma voglio procedere per gradi e so già che nel 2022 ci saranno tante occasioni per mettermi alla prova.

Tutti ti aspettavano protagonista agli Europei di Trento e ai Mondiali di Leuven, che cosa è successo?

Sono state due gare davvero sfortunate. A Trento tutto è stato vanificato da una caduta, era una gara molto veloce che non dava spazio né tempo per recuperare. Anche il mondiale è stato contraddistinto da una caduta in un momento fondamentale, è stato davvero un peccato perché stavo bene e avevamo una grande nazionale (ha chiuso 83° a 6’20” da Baroncini, ndr). Ci riproverò il prossimo anno, sperando di avere più fortuna.

Johannessen fratello 2017
Johannessen in maglia di campione nazionale ciclocross 2017 con il fratello Anders (foto profilo Twitter)
Johannessen fratello 2017
Johannessen in maglia di campione nazionale ciclocross 2017 con il fratello Anders (foto profilo Twitter)
Di te si è parlato molto in stagione anche per le tue sfide con Filippo Zana, al Sazka Tour e al Tour de l’Avenir. Che cosa ne pensi di lui?

Sono state davvero belle battaglie. E’ un gran corridore e soprattutto un’ottima persona, ho avuto modo di parlarci prima di qualche tappa. Fra noi non puoi mai dire prima chi la spunterà, sicuramente nel 2022 avremo altre occasioni per sfidarci, forse ancora di più che in passato e so che sarà sempre dura batterlo.

Quanto è importante avere tuo fratello Anders Johannessen al fianco, soprattutto ora che sali di livello entrando in un team Professional?

Moltissimo, per me è la cosa più importante averlo con me, abbiamo uno splendido rapporto, entrambi possiamo correre le stesse gare e questo per me è importante perché i cambiamenti sono sempre un’incognita.

Pensi che le cose cambieranno molto nel 2022?

Sì, anche se il team resta lo stesso e quindi mi sento a casa, ma ci saranno più impegni e giustamente verrà chiesto di più per migliorare. Io sono pronto.