Il tema della precocità degli juniores, effettiva oppure indotta, non si può mollare così e speriamo che anche la Federazione lo metta al centro di un bel ragionamento, fra norme da aggiornare e tecnici da formare. Però intanto, dopo aver sentito ieri Fabrizio Tacchino che con il Centro studi ha lavorato alla formazione dei direttori sportivi, oggi ci siamo rivolti nuovamente ad Andrea Morelli, direttore del ciclismo al Centro Mapei. Furono loro i primi a far passare professionista uno junior, Filippo Pozzato, e sono anche in possesso degli strumenti per dire che cosa accade se con i ragazzini si spinge troppo sul gas. Tanti degli juniores del Lunigiana mostravano una notevole definizione muscolare e prestazioni da professionisti e questo è la spia di lavori forse troppo evoluti.
«C’è stato un avanzamento sul piano tecnico- dice Morelli – sia per quanto riguarda il mezzo meccanico, sia la possibilità di raccogliere informazioni sugli atleti mediante l’uso del misuratore di potenza in età in cui le priorità dovrebbero essere altre. A quell’età non devono concentrarsi sui numeri, devono imparare a leggere le informazioni che gli vengono dal corpo, magari imparando a usare il cardiofrequenzimetro per capire la reazione del cuore agli stimoli e alla fatica».
Che cosa succede scalando tutto così indietro?
Intervieni sui carichi di lavoro, proponi da subito il raffronto dei watt, magari intervieni anche sull’alimentazione… Crei la situazione di stress che dei ragazzi così giovani non sono attrezzati a fronteggiare. Se cominci a martellarli da allievi, perché questo è quello che sta succedendo, causi dei problemi psicologici che magari portano all’abbandono. Io credo sia sbagliato gestirli per cercare la prestazione assoluta in età di sviluppo. La precocità ha più rischi che vantaggi.
Esempio?
Mi hanno raccontato che prima del Lunigiana, una squadra di qui ha fatto una gara di rodaggio e il giorno dopo il tecnico ha voluto che facessero una distanza. Purtroppo le squadre sono molto focalizzate sul numero di vittorie, che portano più sponsor. E’ tutto a scalare. Le U23 vogliono diventare continental per avere più visibilità e ti ritrovi anche con gli allievi che già hanno il procuratore. Il figlio di un mio amico ha iniziato giocando con la Mtb. Poi da allievo è passato su strada, si è piazzato subito e una l’ha vinta. Mi racconta il padre che sono pieni di società che gli offrono la bici per prenderlo. Con lui ci parlo io, ma altri genitori si ritrovano in mezzo a scelte fatte da pseudo manager, in un’età in cui al centro dello sport devono esserci il divertimento e la formazione.
Invece a 17 anni abbiamo già dei piccoli professionisti…
Arrivare a fare il professionista dovrebbe essere il punto di partenza, ma se hai già sfruttato tutto, quali sono i tuoi margini? E non parlo tanto dal punto di vista fisico, che si può gestire, ma psicologico. Il professionista mette in atto sistemi tampone con cui si difende dalla pressione, penso a Nibali che è ancora capace di addormentarsi dovunque. Da giovani non è così semplice. E’ facile che entri in un tunnel e poi salti per aria.
Sul piano fisico si gestisce davvero?
In parte sì, anche se ci sono tappe della crescita in cui si sviluppano determinate qualità e quelle andrebbero rispettate. Se cominci a fare le Sfr e le partenze da fermo al secondo anno da allievo, vai a sbattere contro il periodo dello sviluppo ormonale. A quelle età dovrebbero lavorare sull’abilità, l’agilità e la coordinazione, non sulla forza. Però molto dipende da quello che si vuole ottenere.
Parli di risultati?
Se devi puntare a grandi appuntamenti, ti trovi davanti Paesi che fanno altri ragionamenti. Vedi le ginnaste prodigiose a 12 anni o vedi gli juniores con fisici da adulti. Se l’obiettivo è vincere il mondiale juniores, devi per forza confrontarti con quegli atleti. E poi mi chiedo, se lo scopo dell’Uci è tutelare gli juniores, ha senso fare mondiali da 120 chilometri, se la distanza di gara di tutto l’anno è sui 90? Chiaro che poi si allenino su distanze superiori…
E si ritrovano uomini fatti con largo anticipo.
Così li trovi nelle continental a correre in mezzo ad atleti con strutture fisiche superiori senza essere pronti e senza avere le abilità tecniche necessarie. La precocità fisica non va di pari passo con l’esperienza. Saper fare una doppia fila, tirare la volata, prendere il rifornimento. Sono cose che impari da piccolo. Se guardi solo ai dati, il resto passa in secondo piano.
Voi siete quelli che fecero passare Pozzato…
E anche Cancellara. Non era un discorso di precocità, ci eravamo accorti che avessero delle doti non comuni e li inserimmo in una struttura che faceva attività su misura. Perciò c’è il confronto fra realtà che lavorano per la crescita graduale e altre che prendono ragazzi di 22-23 anni e li portano a fare le corse a tappe di tre settimane. Quando Ganna veniva a fare i suoi test da junior, si vedeva che fosse un campione, ma per fortuna ha avuto un processo di crescita graduale e adesso è ai livelli che ben vediamo. La componente genetica ha il suo peso, ma l’ambiente di sviluppo è altrettanto importante.
E poi ci sono quelli che allenano gli juniores con il 53×11 e non il 52×14…
Certe regole nascono da un ragionamento. Per cui se si vuole abolirle, occorre farne un altro. Ogni eccezione è semplice rincorsa alla prestazione e non verso la giusta crescita. In mountain bike questo discorso dei rapporti non c’è, ma si tratta di un lavoro completamente diverso. Su strada eviterei di allungare i rapporti quando non si può. Che necessità hanno di farlo?