Attività giovanile e precocità, Morelli segnala i rischi

08.09.2021
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Il tema della precocità degli juniores, effettiva oppure indotta, non si può mollare così e speriamo che anche la Federazione lo metta al centro di un bel ragionamento, fra norme da aggiornare e tecnici da formare. Però intanto, dopo aver sentito ieri Fabrizio Tacchino che con il Centro studi ha lavorato alla formazione dei direttori sportivi, oggi ci siamo rivolti nuovamente ad Andrea Morelli, direttore del ciclismo al Centro Mapei. Furono loro i primi a far passare professionista uno junior, Filippo Pozzato, e sono anche in possesso degli strumenti per dire che cosa accade se con i ragazzini si spinge troppo sul gas. Tanti degli juniores del Lunigiana mostravano una notevole definizione muscolare e prestazioni da professionisti e questo è la spia di lavori forse troppo evoluti.

«C’è stato un avanzamento sul piano tecnico- dice Morelli – sia per quanto riguarda il mezzo meccanico, sia la possibilità di raccogliere informazioni sugli atleti mediante l’uso del misuratore di potenza in età in cui le priorità dovrebbero essere altre. A quell’età non devono concentrarsi sui numeri, devono imparare a leggere le informazioni che gli vengono dal corpo, magari imparando a usare il cardiofrequenzimetro per capire la reazione del cuore agli stimoli e alla fatica».

Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Che cosa succede scalando tutto così indietro?

Intervieni sui carichi di lavoro, proponi da subito il raffronto dei watt, magari intervieni anche sull’alimentazione… Crei la situazione di stress che dei ragazzi così giovani non sono attrezzati a fronteggiare. Se cominci a martellarli da allievi, perché questo è quello che sta succedendo, causi dei problemi psicologici che magari portano all’abbandono. Io credo sia sbagliato gestirli per cercare la prestazione assoluta in età di sviluppo. La precocità ha più rischi che vantaggi.

Esempio?

Mi hanno raccontato che prima del Lunigiana, una squadra di qui ha fatto una gara di rodaggio e il giorno dopo il tecnico ha voluto che facessero una distanza. Purtroppo le squadre sono molto focalizzate sul numero di vittorie, che portano più sponsor. E’ tutto a scalare. Le U23 vogliono diventare continental per avere più visibilità e ti ritrovi anche con gli allievi che già hanno il procuratore. Il figlio di un mio amico ha iniziato giocando con la Mtb. Poi da allievo è passato su strada, si è piazzato subito e una l’ha vinta. Mi racconta il padre che sono pieni di società che gli offrono la bici per prenderlo. Con lui ci parlo io, ma altri genitori si ritrovano in mezzo a scelte fatte da pseudo manager, in un’età in cui al centro dello sport devono esserci il divertimento e la formazione.

Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Invece a 17 anni abbiamo già dei piccoli professionisti…

Arrivare a fare il professionista dovrebbe essere il punto di partenza, ma se hai già sfruttato tutto, quali sono i tuoi margini? E non parlo tanto dal punto di vista fisico, che si può gestire, ma psicologico. Il professionista mette in atto sistemi tampone con cui si difende dalla pressione, penso a Nibali che è ancora capace di addormentarsi dovunque. Da giovani non è così semplice. E’ facile che entri in un tunnel e poi salti per aria.

Sul piano fisico si gestisce davvero?

In parte sì, anche se ci sono tappe della crescita in cui si sviluppano determinate qualità e quelle andrebbero rispettate. Se cominci a fare le Sfr e le partenze da fermo al secondo anno da allievo, vai a sbattere contro il periodo dello sviluppo ormonale. A quelle età dovrebbero lavorare sull’abilità, l’agilità e la coordinazione, non sulla forza. Però molto dipende da quello che si vuole ottenere.

Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Parli di risultati?

Se devi puntare a grandi appuntamenti, ti trovi davanti Paesi che fanno altri ragionamenti. Vedi le ginnaste prodigiose a 12 anni o vedi gli juniores con fisici da adulti. Se l’obiettivo è vincere il mondiale juniores, devi per forza confrontarti con quegli atleti. E poi mi chiedo, se lo scopo dell’Uci è tutelare gli juniores, ha senso fare mondiali da 120 chilometri, se la distanza di gara di tutto l’anno è sui 90? Chiaro che poi si allenino su distanze superiori…

E si ritrovano uomini fatti con largo anticipo.

Così li trovi nelle continental a correre in mezzo ad atleti con strutture fisiche superiori senza essere pronti e senza avere le abilità tecniche necessarie. La precocità fisica non va di pari passo con l’esperienza. Saper fare una doppia fila, tirare la volata, prendere il rifornimento. Sono cose che impari da piccolo. Se guardi solo ai dati, il resto passa in secondo piano.

Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Voi siete quelli che fecero passare Pozzato…

E anche Cancellara. Non era un discorso di precocità, ci eravamo accorti che avessero delle doti non comuni e li inserimmo in una struttura che faceva attività su misura. Perciò c’è il confronto fra realtà che lavorano per la crescita graduale e altre che prendono ragazzi di 22-23 anni e li portano a fare le corse a tappe di tre settimane. Quando Ganna veniva a fare i suoi test da junior, si vedeva che fosse un campione, ma per fortuna ha avuto un processo di crescita graduale e adesso è ai livelli che ben vediamo. La componente genetica ha il suo peso, ma l’ambiente di sviluppo è altrettanto importante.

E poi ci sono quelli che allenano gli juniores con il 53×11 e non il 52×14…

Certe regole nascono da un ragionamento. Per cui se si vuole abolirle, occorre farne un altro. Ogni eccezione è semplice rincorsa alla prestazione e non verso la giusta crescita. In mountain bike questo discorso dei rapporti non c’è, ma si tratta di un lavoro completamente diverso. Su strada eviterei di allungare i rapporti quando non si può. Che necessità hanno di farlo?

Non solo Jumbo, 20 anni fa c’era la Mapei giovani…

07.08.2021
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L’articolo sull’Academy della Jumbo Visma e su come lavorino con i giovani e il team development e ci ha fatto rivenire alla mente la Mapei Giovani. Quello fu un progetto davvero innovativo. Un progetto che col senno del poi lanciò moltissimi personaggi di spicco. Sono passati da lì corridori come Fabian Cancellara e Filippo Pozzato, ma anche tecnici Roberto Damiani e Luca Guercilena. Di quello staff faceva parte anche un tecnico, bravissimo, che spesso lavora nell’ombra e che all’epoca era giovanissimo: Andrea Morelli.

Oggi lui è una colonna portante del Centro Mapei ed è la persona ideale per ricordare quella avventura, ma anche per capire come lavoravano. Furono quattro stagioni (dal 2000 al 2003) molto costruttive.

Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni
Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni

Rivoluzione Mapei

«Il progetto Mapei giovani nasce a cavallo del 1999-2000 – spiega Morelli – ha anticipato i progetti attuali delle squadre che lavorano con i ragazzi. L’idea era di centralizzare il monitoraggio degli atleti, soprattutto per quel che riguarda la preparazione, visto che qualcuno aveva dei preparatori esterni. Si davano delle linee guida generali sulla vita da tenere anche oltre la bici, ma certo per vedere se il corridore faceva il furbo avresti dovuto vivere con lui notte e giorno. E non era semplice.

«L’idea di Squinzi e Sassi fu rivoluzionaria. Si voleva far crescere l’atleta a 360°, avere un gruppo omogeneo e da lì la squadra giovani. Capirono per primi che se non hai una base su cui costruire poi è difficile mantenere un alto livello tra i grandi».

Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001
Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001

L’importanza del vivaio

Il vivaio resta un qualcosa di centrale. E sempre di più è così. Lo vediamo con i grandi team WorldTour attuali, ma anche nel calcio e persino nella F1, ci sono le cosiddette Academy, anche la Ferrari ne ha una.

«Anche il calcio che ha più risorse economiche lo sta facendo. Guardiamo il Sassuolo per esempio con Generazione S. Oggi si analizzano i dati di alcuni allievi e se sono buoni li fai allenare come i pro’. No, noi volevamo un vivaio allargato per far crescere i corridori con gradualità. All’epoca, per capacità o per fortuna, avevamo tante squadre satellite. Ho detto per fortuna perché Mapei essendo così grande e internazionale spesso aveva dei rivenditori privati che sponsorizzavano delle società. Un anno tra junior e dilettanti avevamo 18 team. Iniziava ad essere un bacino ampio.

Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini
Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini

Okay la cultura, ma i test…

La Jumbo valuta i corridori dai dati e anche sotto il profilo umano, andando a casa dei genitori, esaminando anche l’aspetto culturale. La Mapei giovani come faceva?

«Sicuramente i tempi sono cambiati e l’aspetto esterno al ciclismo è importante, ma i dati restano fondamentali. Bisogna vedere i risultati storici e i risultati in laboratorio, perché comunque se non hai quei valori fisiologici non puoi andare avanti. Poi ci sono le capacità: guidare bene la bici, leggere la corsa, avere testa… ma se non hai il “motore” è difficile che tu possa diventare corridore. E poi gli interessi di un corridore nel privato possono essere diversi. C’è quello super informato che studia e quello che invece vuole salire in sella e basta. E’ anche una mentalità diversa da soggetto a soggetto: meno pensieri, meno stress, essere più rilassato…».

In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani, qui con Bettini
In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani

Una fitta rete di scouting

«Nei nostri screening fisiologici si vedeva che Cancellara anche da junior aveva dei valori molto alti per appartenere a quella categoria. Sapevi che poteva diventare qualcuno. E lo stesso, in tempi più recenti, Ganna.

«Noi i ragazzi li trovavamo come ho detto tramite le nostre squadre satellite, ma poi anche grazie ai nostri tecnici e talent scout, o il passaparola che vale ancora molto. Magari c’era un U23 che non vinceva tanto ma era costante e otteneva bei piazzamenti. Individuati i soggetti si faceva loro un test.

«Mettiamoci che Mapei aveva interessi economici anche all’estero. E quindi era interessata ad altri mercati. Ecco che dal’Ungheria arrivò Bodrogi, dall’Inghilterra (che non era la potenza ciclistica di adesso, ndr) arrivò Wegelius, individuammo già anni prima Vandenbroucke in Belgio, Rogers dall’Australia… Poi non è detto che il corridore diventi un campione. Anche da noi ci furono dei casi di gente durò una stagione o due.

«I ragazzi erano seguiti da Guercilena e Damiani. Prendemmo Cancellara e Pozzato direttamente dagli juniores. Oggi è quasi la normalità, all’epoca fu un caso eclatante. Ma l’idea della crescita graduale fu subito centrale. Ed è questa forse la cosa che manca di più oggi, quando vedi questi ragazzini che passano dagli junior al WorldTour. Noi facevamo delle brevi corse a tappe di 3-4 giorni e ogni anno un po’ di più fino alle corse di “prima categoria“.

«Per esempio Cancellara. Al primo anno – dice Morelli mentre ogni tanto fa delle pause e verifica i vecchi dati – fece il Recioto, il Circuito Franco Belga e qualche altra gara. Nel 2001: Algarve, Tour di Rodi, Noekere, Gp Berna, Alentejo, Slovenia, Ain e altre gare singole. O Pozzato: nel 2000 fece gli Etruschi, Almeria, una corsa a tappe in Austria e l’anno dopo il Giro del Lussemburgo, quello di Danimarca, il Limousin, delle gare in Giappone».

Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni
Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni

Alimentazione e ginnastica

«Non c’erano certo le conoscenze che ci sono adesso sull’alimentazione – spiega Morelli – Si davano delle indicazioni generali, c’era la plicometria e lì finiva. Tuttavia Sassi collaborò molto con Enervit e già riuscimmo a dare delle indicazioni in tal senso. Semmai il problema di quegli anni era lo stacco invernale che era davvero lungo. E si vedevano anche casi di gente che metteva su 7-8 chili. Oggi al massimo riposano dieci giorni in totale e poi già riprendono con altre attività.

«Anche la palestra serviva quasi più come attività alternativa che per la preparazione vera e propria. C’erano i classici esercizi per l’irrobustimento della parte superiore e quelli più mirati per la bici.

«Mapei Giovani era un progetto di “evidence based coaching” cioè l’insieme di dati scientifici ed esperienze sul campo. Per esempio avevi visto e capito che quel determinato allenamento faceva bene, ma c’era già un riscontro scientifico».

Il Centro Ricerche Mapei Sport potenzia i suoi servizi

21.07.2021
3 min
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L’attività del Centro Ricerche Mapei Sport si è basata fin dalla sua fondazione su tre linee guida ben definite. Queste sono: l’assistenza medico-sportiva, effettuata all’interno dell’ambulatorio di Medicina dello Sport, la valutazione funzionale nello Human Performance Lab, e la valutazione biomeccanica, svolta nel Laboratorio di Analisi del Movimento.

Il Centro di Ricerca Mapei Sport ad Olgiate Olona (Va)
Il Centro di Ricerca Mapei Sport ad Olgiate Olona (Va)

Due nuovi servizi per l’utente

Da oggi gli utenti del Centro potranno usufruire di nuovi servizi grazie all’introduzione del Training Department. Si tratta di un nuova nuova opportunità finalizzata all’ottimizzazione della preparazione atletica e alla riatletizzazione. Nel primo caso stiamo parlando di un servizio destinato ai praticanti di ogni disciplina sportiva e livello competitivo che vogliono ottimizzare le proprie prestazioni fisiche. Nel secondo caso, il target di riferimento è invece rappresentato da quanti hanno terminato il percorso fisioterapico e devono finalizzare al meglio il proprio ritorno alla pratica sportiva.

Il comune denominatore dei nuovi servizi offerti dal Training Department è l’individualizzazione e la personalizzazione dell’allenamento. Il tutto sempre nel massimo rispetto degli standard qualitativi propri del Centro Ricerche Mapei Sport.

Anche Elisa Longo Borghini si affida al Centro Mapei Sport
Anche Elisa Longo Borghini si affida al Centro Mapei Sport

Le migliori apparecchiature

Claudio Pecci, direttore del Centro Ricerche Mapei Sport, ha così commentato il lavoro di preparazione: «Abbiamo allestito all’interno della sede di Olgiate Olona uno spazio dedicato all’allenamento, attrezzato con le strumentazioni più moderne e sofisticate. Alcune di queste apparecchiature sono difficilmente reperibili nelle comuni palestre e nei centri fisioterapici. Lo scopo è quello di poter seguire donne e uomini che vogliono allenarsi o vogliono “tornare in campo” dopo un infortunio nel migliore dei modi.

«I nostri preparatori mettono al servizio dei clienti un know-how sviluppato in più di 25 anni di attività con atleti e squadre professionistiche ma anche federazioni sportive nazionali. Tutto ciò ci ha permesso di elaborare una banca dati e delle competenze specifiche sull’allenamento dello sportivo di elevato livello».

Preparazione, infortuni, alimentazione… Il Centro Mapei Sport può aiutarti sotto tanti aspetti
Preparazione, infortuni, alimentazione… Il Centro Mapei Sport può aiutarti sotto tanti aspetti

Programmi personalizzati

Franco Combi, dirigente del Training Department, ha voluto evidenziare gli aspetti principali della nuova offerta: «Non si tratta di un pacchetto preconfezionato, ma di un programma costruito sulle esigenze del singolo mantenendo l’approccio evidence-based che ha permesso a Mapei Sport di essere riconosciuta a livello internazionale in ambito sportivo».

Federico Donghi, project leader del Training Department, ha voluto rimarcare quanto espresso dai colleghi con le seguenti parole: «Per poter raggiungere livelli di eccellenza in questo settore, è necessario intraprendere un percorso virtuoso che metta al centro lo sportivo interessato valorizzando le sue attitudini individuali ma anche compensando eventuali carenze che possono risultare limitanti. Il nostro valore aggiunto consiste nell’individualizzazione dell’allenamento e in una forte attenzione al dettaglio per soddisfare l’utente più esigente: da qui nasce l’hashtag #WEare4YOU».

mapeisport

Basso, quei 18 mesi simulando corse con Sassi

26.03.2021
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Tempo fa, parlando di come sia possibile allenarsi per essere vincenti già al debutto, Andrea Morelli citò come esempio l’esperienza di Ivan Basso con Aldo Sassi. Il varesino, fermato per 24 mesi, si era messo nelle mani dello scienziato di Como, direttore del Centro Mapei, per tornare competitivo alla fine della sospensione. E fu così che da aprile 2007 a ottobre 2008 la sua attività simulò quella che avrebbe svolto se fosse stato in gruppo.

Tutto il cammino di Basso fino al ritorno in gruppo fu seguito da Aldo Sassi
Tutto il cammino di Basso fino al ritorno in gruppo fu seguito da Aldo Sassi

«Ricordo benissimo quel periodo – dice Basso – fu una parentesi importantissima per la mia vita di atleta e di uomo. Servì tanta testa, abbinata a qualità molto particolari. Fu necessario fare in allenamento quello che avrei fatto in gara. Per questo individuammo degli obiettivi, abbinando alla preparazione fisica anche quella mentale».

Come si svolse il tutto?

Cominciammo da aprile 2007, mettendo in atto (ovviamente in ritardo) la tipica preparazione invernale. Fu necessario anche concentrarsi sulla ripresa psicofisica, perché comunque le tensioni vissute durante le udienze e tutti i mesi precedenti erano state pesanti. Dal Lombardia e fino al 20 novembre feci il classico riposo invernale. E poi, a partire dal mio compleanno, iniziai alla pari con i futuri compagni che a quel punto erano in ritiro. Organizzammo la prima simulazione di corsa a tappe durante la Tirreno-Adriatico, facendo tappe della stessa lunghezza. Subito dopo simulammo il Catalogna. Mentre durante il Giro andai sullo Stelvio.

Per quasi due anni, allenamenti impegnativi, simulando la stagione
Per quasi due anni, allenamenti impegnativi, simulando la stagione
Che cosa significa simulare una gara?

Riprodurre situazioni di corsa, con gli alti wattaggi e le velocità che si fanno in gara. Quando si faceva la crono, i rituali erano gli stessi di sempre, compreso il riscaldamento prima e il defaticamento poi. Solo che le crono su strada erano rischiose per il traffico, quindi andavo in velodromo.

E le tappe in linea?

L’importante era arrivare ai watt di gara, cercando di concentrare le fasi alla massima intensità nel finale degli allenamenti. E poi si simulava l’andamento di una tappa. Quindi la partenza a tutta, poi una fase di calma e il finale a tutta. Simulavamo corse a tappe da un minimo di 2 a un massimo di 5 giorni. Ricordo che pubblicammo tutti i dati su internet, giorno per giorno.

Ottobre 2008, la Liquigas presenta Ivan Basso
Ottobre 2008, la Liquigas presenta Ivan Basso
E’ difficile riuscire a tirar fuori vere prestazioni in simili condizioni?

Determinati valori di quell’anno, poi non li ho più avuti in tutta la carriera. Il mio record sul Cuvignone risale al quel periodo. Per questo credo che corridori come Roglic siano bravi a trovare la condizione solo allenandosi.

Pare che sia molto logorante psicologicamente…

Fermi, per favore. Io sono malato di ciclismo e penso che le cose logoranti, probabilmente per averle vissute, siano altre. Un corridore che non ha piacere ad allenarsi o non è in grado di dare il meglio di sé in allenamento, non riesce a darlo neppure in corsa. Devi saper andare oltre, la testa e la determinazione ti permettono di farlo.

Il 30 maggio 2020, basso vince il Giro d’Italia: Sassi è con lui, ma se ne andrà il dicembre successivo
Il 30 maggio 2020, basso vince il Giro d’Italia: Sassi è con lui
Se fossi oggi un corridore, prepareresti la Tirreno correndo oppure allenandoti?

Andrei sul Teide e poi farei la Tirreno. Ancora il Teide e poi l’obiettivo seguente. A me piaceva e mi piace ancora allenarmi. Non avrei dubbi.

Al termine di quel periodo di allenamento, Basso rientrò alle gare cogliendo il terzo posto al Giro d’Italia e il quarto alla Vuelta, per poi ripresentarsi nel 2010 vincendo il Giro. Alle fine di quell’anno, Sassi si spense. Il suo risultato era stato raggiunto, come spiegò in una lettera che nella sua lungimiranza rivide anni di intransigenza Mapei. Grazie a Basso, Aldo aveva colto finalmente appieno la vulnerabilità dell’atleta e il suo bisogno di essere supportato.

Allenarsi in ritiro o in corsa? Morelli spiega le differenze

09.03.2021
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Allenarsi per correre o correre per allenarsi? L’osservazione vede in gruppo entrambe le tendenze, anche se spesso, soprattutto nelle ultime settimane, il fatto di non gareggiare e prepararsi in ritiro è la conseguenza delle corse annullate a inizio stagione. Se però si parla di atleti di punta che scelgono di non correre prima di un obiettivo, potendo benissimo chiedere di gareggiare cambiando i programmi del team, allora ti viene il dubbio che da qualche parte si pensi davvero di trovare la forma vincente facendo a meno di correre. Come Van Aert alla Strade Bianche e anche Evenepoel, attualmente sul Teide, che inizierà la stagione al Giro d’Italia.

Andrea Morelli dirige la sezione ciclismo del Centro Mapei ed ha una posizione piuttosto netta.

«Chi corre prima – dice – è più rodato. Rispetto al passato, le cose sono cambiate. Non si possono più utilizzare le corse solo per allenarsi come magari faceva un tempo Bettini, perché ormai vanno tutti per vincere, ma puoi servirtene. E anzi, conviene servirsene. L’intensità in gara è molto superiore rispetto a pochi anni fa, allora devi scegliere il tipo di corsa in cui andare a far ritmo senza rischiare la figuraccia. Anche se gli atleti di alto livello, penso a Evans, Valverde e Contador, andavano alle corse comunque per vincere. E anche se non avevano la forma migliore, il più delle volte si piazzavano».

Strade Bianche: Van der Poel ha appena piazzato il primo scatto, Van Aert non riesce a rispondere
Van der Poel ha piazzato il primo scatto, Van Aert non risponde
Perché l’allenamento non può sostituire la gara?

Perché l’intensità che fai in allenamento non è quella della corsa e anche la parte emotiva fa la differenza. La gestione dell’intensità è diversa. In ritiro puoi pianificare il lavoro, inserire una salita, prevedi delle fasi dietro motore, fare simulazioni di gara per trovare stimoli e lavorare bene. Mi viene da pensare al lavoro di Aldo Sassi con Basso…

Giusto, il lavoro durante la squalifica?

Esatto, cercando di riprodurre delle vere corse a tappe. La crono. La salita. Il fuorisoglia. Ma un lavoro così paga se hai grandi motivazioni e comunque rende meno di quello che faresti in gara.

Insomma, meglio correre prima di una gara cui punti?

Il fatto di correre prima ti permette di arrivare con maggior freschezza al momento della selezione. La progressione dei carichi non sarà ottimale, ma è difficile da replicare in allenamento. La controindicazione è che in corsa non riesci a dosare i fuorigiri. Ma la gara ti dà il polso vero della condizione.

Il belga ha iniziato la sua stagione alla Strade Bianche
Il belga ha iniziato la sua stagione alla Strade Bianche
Allenarsi senza correre ti sottrae al confronto…

Penso a Nibali, che l’anno scorso fece la Tirreno prima del Giro. Veniva da ottimi allenamenti con ottimi dati, ma in corsa si ritrovò senza grossi picchi e al Giro si capì che non era al top come magari si poteva pensare in ritiro. Se vai ad una grande corsa senza gare nelle gambe non hai confronti con i rivali, le cose si complicano. Non sei performante.

Van der Poel ha vinto al debutto in Uae: un’eccezione?

Il fuoriclasse sfugge agli schemi, sono atleti che hanno doti fuori dal comune. Ma non dimentichiamo che il belga veniva dalla stagione del cross, in cui aveva certamente ottenuto valori massimali, quindi è anche facile che sia arrivato al debutto in anticipo di condizione rispetto agli altri. E comunque la prima corsa l’ha vinta in volata, puntando su una sua dote ben precisa. Per vincere la Strade Bianche si è allenato, ma veniva da due corse in Belgio.

Che cosa intendi con anticipo di condizione?

Penso ai corridori che debuttavano in Australia a gennaio. Non seguivano la stessa preparazione degli altri. Magari smettevano prima e iniziavano ad allenarsi in anticipo. Sono cose che si dimenticano, si pensa soltanto al risultato, ma quando poi tornavano in Europa erano parecchio più avanti degli altri. Se vieni da un inverno di lavoro, che tu abbia fatto cross o strada, hai un altro passo rispetto a chi magari ha fatto un solo ritiro a dicembre.

Evenepoel si sta allenando sul Teide con Masnada ed Honoré: correrà al Giro (foto Instagram)
Evenepoel si sta allenando sul Teide (foto Instagram)
Dopo la vittoria in Uae, Van der Poel è tornato a casa. Non ha corso l’Het Nieuwsblad, ma si è concentrato su Kuurne e Le Samyn, dove ha corso attaccando e facendo grandi fuorigiri…

E’ un atleta che evidentemente ben si conosce. A volte discuti con le squadre. Ci sono tre corse di fila e non riesci a far capire che magari è meglio saltarne una per essere più performante nelle altre due. Quello che ha fatto lui, che evidentemente sa bene che il recupero fa parte dell’allenamento.

Tutto torna. E Van Aert, che non aveva corso prima, ha pagato proprio il primo scatto di Van der Poel.

Perché certe intensità in allenamento non le fai e la prima volta in corsa le paghi. Anche perché poi era quasi rientrato. A Piazza del Campo, dopo i primi tre è arrivato lui. Una corsa di quasi 200 chilometri ha più variabili di una gara di cross. Van der Poel lo sa e ha corso prima, Van Aert ha scelto di non farlo.

Variabili?

Tattica. Alimentazione. Una serie di aspetti diversi. E nonostante questo, mi stupisce che Van der Poel sia arrivato dopo una giornata così tirata a fare quella sparata sul muro finale. Come se prima avesse fatto solo un’ora di cross.

E di Evenepoel che debutterà al Giro cosa si può dire?

Probabilmente non verrà per puntare al Giro, come aveva detto. Lo userà come blocco di lavoro. E’ giovane sono curioso di vedere in che modo lavorerà nelle tre settimane. Vedo delle insidie. La prima settimana ha tappe nervose, quelle in cui se vieni solo da allenamenti potresti pagare pegno. Io gli suggerirei di fare prima una corsa a tappe. Non il Romandia, che è troppo vicino al Giro. Semmai il Tour of the Alps, non credo che un corridore così in quella squadra abbia problemi a trovare una corsa da fare.

Userà il Giro per puntare alle Olimpiadi.

Facendo un bel blocco di lavoro, ma non è uno qualunque. Io gli suggerirei un programma alternativo prima del Giro, invece di passare i prossimi due mesi ad allenarsi.

Andrea Morelli, Fabian Cancellara

Pogacar, Almeida e i giovani italiani: parla Morelli

12.11.2020
5 min
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Andrea Morelli si guarda intorno. Il responsabile ciclismo del Centro Mapei ha seguito il Tour e il Giro, meditando a lungo sulle prestazioni di atleti tanto giovani.

«A parte uno come Ganna che conosco da sempre – dice – e che quando vedemmo da junior era sui livelli di Cancellara, sono stupito per la capacità di tenuta dei più giovani nella terza settimana. La resistenza si costruisce col tempo. Devi avere talento, ovvio, poi il lavoro ti consolida. Per cui vedere Pogacar fare quella crono al penultimo giorno mi ha davvero stupito».

Si va. Taccuino. Domande. Qualche riferimento a quel che ci hanno detto Bartoli e Guercilena. E un fluire di pensieri che ha bisogno appena di essere alimentato da qualche osservazione.

Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020
Sorprendente per Morelli la crono di Pogacar a La Planche des Belles Filles
Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020
Pogacar, crono decisiva a La Planche del Belles Filles
Non c’è solo Pogacar. Evenepoel, Almeida, Hindley, Geoghegan Hart…

Non conosco Remco, ma conosco bene Almeida. L’ho seguito fino al professionismo. Assieme a Oliveira e Guerreiro facevano parte del programma della nazionale portoghese, che si era rivolta al Centro perché gli dessimo una mano ad uscire da logiche troppo portoghesi. Oliveira si è giocato un mondiale inseguimento con Ganna, per intenderci. Correvano per Axel Merckx e noi ne seguivamo la programmazione. Tutti forti. Con loro c’era anche Geoghegan Hart, molto buono anche lui

Da cosa dipende la loro precocità?

Le continental in cui corrono da ragazzini vanno forte, tanto che alcune squadre WorldTour hanno dovuto faticare quando le hanno incontrate. Non credo tanto al discorso delle scuole nazionali, mi sembra una favola. Ci sta che vengano fuori atleti forti, ma al Tour abbiamo visto qualcosa di grande davanti ai migliori del mondo.

Da cosa dipende?

Di sicuro incide la competitività. Sono motivatissimi e non mollano mai. Riescono a reggere meglio la pressione, forse perché sono nati sui social e se ne sbattono di quel che dice la gente. Fanno il forcing e attaccano da lontano. Questo può svantaggiare l’atleta più posato. Hanno un carattere fortissimo. Non è semplice fare tre settimane a tutta.

Quindi anche una spiegazione tattica?

Luca Guercilena mi ha raccontato del loro Simmons, che ha la tendenza ad attaccare a 40 chilometri dall’arrivo, come quando era junior. Magari lo prendono, ma la corsa intanto cambia passo bruscamente. Il modo di correre è cambiato tanto.

Qualcuno potrebbe pagarlo?

Nibali è uno dei pochi che ha mantenuto la temporizzazione classica, usando le corse per prepararsi. Negli anni lo abbiamo visto spesso dietro e poi venire fuori quando serve. Pensavo che quest’anno sarebbe successo lo stesso, invece no.

Joao Almeida, Ruben Guerreiro, Giro d'Italia 2020
Almeida e Guerreiro, compagni di squadra in nazonale
Joao Almeida, Ruben Guerreiro, Giro d'Italia 2020
Joao Almeida e Ruben Guerreiro amici da tempo
Che idea ti sei fatto?

Ci sta che abbia pagato per il Covid, anche se ha mantenuto i suoi grossi volumi di lavoro. Mentre uno come Jacopo Mosca, che seguiamo direttamente, non è potuto uscire e ha dovuto lavorare tanto sui rulli. Il lockdown ha ridotto i volumi e alcuni potrebbero averne tratto vantaggio in termini di recupero e freschezza.

Altri invece lo hanno sofferto.

Certo, stare fermi a lungo è un disagio. E’ mancata l’intensità della corsa e magari i più giovani ne hanno tratto vantaggio grazie all’elasticità dell’organismo, mentre l’atleta più esperto ha bisogno di volume e gradualità. Nibali ha questo approccio, usa le gare per gestire la programmazione e per abitudine e struttura deve fare un certo numero di corse. Ma se le corse impazziscono…

Che cosa intendi?

Calendario e abitudini. L’arrivo di Sky (oggi Ineos-Grenadiers, ndr) ha cambiato tutto. Vengono sempre per vincere e non è facile stare in gruppo se a menare sono atleti che dovunque sarebbero capitani. Altre si sono adeguate, come la Jumbo. Il livello è altissimo, non reggi e questo non ti allena molto. Mettiamo sul piatto la programmazione serrata del 2020 e si capisce che forse si è creata confusione nella gestione dei carichi di lavoro.

Si spiega così il Nibali dello Stelvio?

La cosa incredibile dello Stelvio è stato Rohan Dennis. Se Nibali si è staccato è perché la sua soglia era inferiore ai valori dell’australiano. Ma quelle prestazioni ci hanno lasciato tutti di sasso.

Credi che corridori tanto forti da giovani avranno una carriera più breve?

Se ci sono arrivati nel modo giusto, continuano anche in futuro. Non credo possano essere come le ginnaste, che bruciano in pochi anni. E’ uno sport di endurance, si riesce a costruirci sopra, se riescono a tenere la testa sul collo, a gestire i soldi, il divertimento e i social. Poi la differenza la fai sulla bici.

Sono frutto del buon lavoro di qualcuno?

Qualsiasi ragazzo fai lavorare in modo corretto porta frutti. Non devi forzare i tempi. Con Merckx c’era da mediare, perché lui fa allenamenti pesanti e in America il calendario era tutto tosto. Ma se rispettano carichi e igiene dell’allenamento, continueranno a fare bene anche in futuro. Che poi si ripetano è un’altra storia.

Invece da noi?

Arrivano al professionismo con pochi margini e questo li logora. Devi stare sempre concentrato anche semplicemente per essere tiratissimo. E se poi sposti questo stress fra gli allievi, quando passano che cosa fanno?

Eppure c’è la rincorsa al passaggio.

I procuratori cercano di… vendere gli atleti già da allievi, quantomeno li bloccano subito. Le squadre a questo punto li fanno firmare, con l’avallo di alcuni genitori che pensano di avere in casa il Cristiano Ronaldo della bici. Invece fino ai vent’anni lo sport andrebbe vissuto come divertimento. Anche il professionista che lavora controvoglia non rende. Forse all’estero tutto questo non c’è.

Non basta attenersi alle tabelle e va tutto bene?

Il metodo anglosassone per cui esiste solo la potenza per me è sbagliato. Difficile avere una struttura troppo sofisticata nella squadra di paese, ma va bene. Perché da ragazzino devi conoscere il tuo corpo e le percezioni in risposta agli allenamenti. Magari commetti pure qualche sbaglio, ma impari. E magari a 22 anni, quando vai a pescare risorse dovunque, scopri di avere dei margini di crescita.