Due bronzi mondiali e nel mezzo il riscatto di Paladin

03.10.2024
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Se foste stati ai piedi del podio del team relay di Zurigo oppure nella mixed zone quando le azzurre sono passate per raccontare la loro prova, avreste notato sicuramente l’espressione malinconica di Soraya Paladin. La trevigiana aveva perso prestissimo le ruote delle compagne e sentiva di non aver dato il suo contributo. Non sentiva il bronzo come una sua conquista. Il risvolto molto bello della serata erano state le parole immediate di Longo Borghini e Realini che si erano affrettate a farle scudo, parlando di una giornata storta e dicendosi sicure che su strada sarebbe stato diverso.

Infatti così è stato. Nella prova del sabato, con il freddo e l’acqua, Paladin ha fatto degnamente il suo lavoro, contribuendo al bronzo di Elisa Longo Borghini, che dopo la corsa ha sottolineato la sua prestazione. Confermando il riscatto rispetto alla crono di tre giorni prima. Ma come ha vissuto Soraya Paladin (foto Borserini in apertura) quei tre giorni e con quale voglia di riscatto? Glielo abbiamo chiesto alla vigilia del mondiale gravel per il quale l’ha convocata il cittì Pontoni.

Sul podio del team relay, tutti gli azzurri festeggiano il bronzo, Paladin è con la testa altrove (foto Maurizio Borserini)
Sul podio del team relay, tutti gli azzurri festeggiano il bronzo, Paladin è con la testa altrove (foto Maurizio Borserini)
Che cosa era successo nel team relay?

Una giornata storta e il fatto che quando abbiamo preso la salita hanno esagerato un po’ con i watt. Ne avevamo parlato la mattina e io gli avevo detto che alla fine è matematica. «Se spingete più di un tot, non vi sono mai stata dietro tutta la stagione, non è che mi sveglio la mattina del mondiale e mi invento la prestazione della vita». Però magari si sono fatte prendere dalla foga e hanno un po’ esagerato in salita, mandandomi in crisi. Poi ne abbiamo parlato. Hanno fatto la salita 30 secondi più forte delle australiane. E parlando anche con loro, più o meno hanno avuto lo stesso problema. Hanno perso presto una ragazza, Ruby Roseman-Gannon, e anche lei si sentiva come me di non aver contribuito più di tanto.

Da quanto sapevi che avresti fatto il team relay?

Ne avevo parlato con Sangalli nel periodo del Tour. Mi aveva detto di andare un po’ con la bici da crono, perché poteva esserci questa possibilità. Poi Marco Velo mi ha chiamato una settimana prima e mi ha dato la sicurezza.

Come ci si sente quando viene a mancare il proprio contributo?

Alla fine, è una medaglia. Quello che mi dispiace di più è che era una medaglia mondiale e non me la sono proprio goduta, perché non l’ho sentita mia. Poi le ragazze in realtà sono state bravissime. Mi hanno detto: «Guarda Soraya, alla fine la squadra non è solo nella gara». Sapevamo che i secondi che avrebbero perso per aspettare me in salita sono quelli che poi avrebbero guadagnato con me nel resto del percorso. E’ ovvio che per me sarebbe stato meglio arrivare più avanti. Però alla fine mi hanno dimostrato di essere contente di avermi e mi hanno consolato subito dopo la gara. Anche se la mia reazione a caldo è stata quella che avete visto voi.

Come sono stati poi i tre giorni che hanno portato alla strada? Avevi voglia di rifarti?

Non i miei giorni migliori, ma erano due gare completamente diverse e sapevo di essermi preparata. Non avrebbe avuto senso mettermi a valutare la mia condizione su quella performance, facendomi condizionare nella gara su strada. Anche in questo caso la squadra mi ha dato supporto e più si avvicinava la gara e più avevo voglia di riscatto.

Quanto si percepiva quest’anno il fatto che avreste corso tutte per una, cioè Longo Borghini?

E’ stato bello, perché ha dimostrato da tutta la stagione di andare forte. Sapevamo che questa volta potevamo arrivare vicini alla maglia iridata o almeno io avevo questa consapevolezza. Quindi non c’è stata troppa pressione, ce la siamo vissute veramente bene. Sono stati giorni belli e secondo me non avrebbe avuto senso avere un’opzione B. Era tutto o niente: qualsiasi alternativa, per come è andata la stagione, non avrebbe dato il risultato che volevamo.

Come andare al Tour tutte per Kasia Niewiadoma e poi vincere oppure la corsa di un giorno è altra cosa?

Un po’ diverso. Alla fine il Tour de France è più logorante, perché devi soffrire per 8 giorni. E ogni giorno sei lì a lottare per i secondi, non è mai finita. Però a fine gara la soddisfazione è stata simile. Ovvio, con Kasia è diverso, perché ci passi tanti ritiri e tante gare. Vivi da vicino l’impegno che ci mette, la sofferenza nelle altre corse, quindi la vivi in modo diverso. Però so quanto anche Elisa ci lavori e si impegni e alla fine sono contenta. Siamo state parecchio affiatate. Per alcune era la prima esperienza, quindi anche loro magari erano un po’ agitate. Comunque il mondiale lo vivi sempre con un occhio diverso, perché hai la maglia della nazionale e la vuoi rappresentare al meglio. Però ce lo siamo vissute bene, ci siamo divertite e allo stesso tempo eravamo focalizzate sull’obiettivo.

Due giorni dopo il tram relay, la squadra azzurra di nuovo sul percorso. Qui Balsamo, Paladin e dietro Magnaldi
Due giorni dopo il tram relay, la squadra azzurra di nuovo sul percorso. Qui Balsamo, Paladin e dietro Magnaldi
Quanto è stata dura la corsa, visto anche il meteo?

A provare il giro una sola volta, ti dava già l’idea di essere impegnativo. Però con quel tempo e col fatto che il mondiale lo corri a tutta e tutte vogliono far bene, è diventato ancora più selettivo. Sapevamo che non avrebbe vinto una outsider e Lotte Kopecky ha stupito in così tante occasioni, che nessuno ha trovato strano che abbia vinto lei. Basta pensare al Blockhaus al Giro d’Italia o alle salite del Romandia.

Invece cosa diciamo della corsa delle olandesi?

Lì si entra in un discorso un po’ strano. Secondo me il loro punto debole è non saper far convivere più leader e si è visto. Sembrava che ci fossero squadre diverse all’interno della squadra. Avevamo messo in preventivo che potessero fare una corsa strana, ma non pensavamo così strana. Ci sarebbe da capire se magari gli manca un direttore tecnico capace di trovare la coesione che manca.

A fine corsa come ti sei sentita, facendo anche il confronto con la crono?

Molto soddisfatta e anche un po’ ripagata per quella delusione. Ero contenta, indipendentemente dal risultato. Abbiamo corso bene, sapevo che Elisa avrebbe fatto una grande gara. Se avessi dovuto finire la stagione con la cronosquadre, sarebbe stato completamente diverso. Magari avrei avuto tanti più punti di domanda, più dubbi. Invece dopo aver corso anche la strada e aver avuto delle buone sensazioni, ho visto che il lavoro in qualche modo ha pagato. E ho trovato le sicurezze per finire bene la stagione e pensare positivamente al prossimo anno.

Nella gara su strada, Paladin ha svolto un ottimo lavoro per Longo Borghini: il riscatto è compiuto
Nella gara su strada, Paladin ha svolto un ottimo lavoro per Longo Borghini: il riscatto è compiuto
La sera si è brindato al bronzo di Elisa?

Purtroppo no. Logisticamente eravamo organizzati in modo che non ci fosse tempo per fare festa. Dovevamo tutte rientrare, quindi abbiamo aspettato Elisa il più possibile, però lei è arrivata tardi e noi eravamo già andate. Io avevo sette ore di viaggio, quindi a una certa siamo dovuti andare, visto che abbiamo viaggiato in auto. Ma un brindisi ci stava e sono sicura che troveremo sicuramente l’occasione quando ci rincontreremo.

Stagione che si chiude con il gravel?

Con i mondiali e gli europei ad Asiago la settimana prossima. Lo sterrato mi piace, è un vecchio amore. Quando Pontoni mi ha chiamato, ho accettato volentieri perché mi diverte. Il mondiale in Belgio e poi Asiago, perché lo sento di casa. E poi su quest’anno, che è cominciato a gennaio in Australia, mettiamo finalmente il punto.

Adam Szabo, il diesse che ha dato la svolta alla Canyon Sram

13.09.2024
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Nel video che riprende l’ammiraglia della Canyon Sram che si avvicina al traguardo finale dell’Alpe d’Huez e realizza che “Kasia” Niewiadoma ha vinto il Tour Femmes, Adam Szabo è il passeggero che a un certo punto non riesce più a parlare per le lacrime. Non era stato un giorno facile, per cui ogni colpo di pedale della polacca in maglia gialla era stata una fitta al cuore, fino al momento finale della vittoria. A quel punto tutto è andato giù, anche il contegno che ti aspetteresti da un direttore sportivo WorldTour. Evviva chi non si vergogna delle proprie emozioni!

Adam Szabo ha 34 anni, è slovacco, ma vive a Girona. Si è laureato e ha poi conseguito un master in scienza dello sport all’università di Bratislava. E dopo vari incarichi nella federazione slovacca, come tecnico e analista della performance, ha conseguito l’abilitazione come tecnico UCI e tre anni fa è approdato alla Canyon Sram. La sua base è in Spagna e lì lo troviamo, alla vigilia delle ultime corse di stagione. Vorremo parlare con lui del Tour vinto con Niewiadoma, partendo da quello che ci ha raccontato Soraya Paladin. Cioè che quando Kasia si è presentata davanti alla squadra, dicendo che avrebbe potuto vincere il Tour, ci hanno creduto subito tutti. Lui accetta, il viaggio comincia. Ma dalla fine…

Adam Szabo (a destra) con Amadeusz Rudzinski, è stato chiamato a guidare la Canyon del Tour su richiesta delle atlete (foto Canyon Sram)
Adam Szabo è astato chiamato a guidare la Canyon del Tour su richiesta delle atlete (foto Canyon Sram)
Partiamo da quei momenti in ammiraglia sull’Alpe d’Huez, che cosa hai provato?

Oh, è stata una vera montagna russa. All’inizio della salita eravamo fiduciosi, eravamo ancora in lotta. Però la prima parte dell’Alpe d’Huez è piuttosto ripida e infatti abbiamo iniziato a perdere terreno. Poi il distacco si è fermato fra 1’10” e 1’20”. La sensazione era che Kasia non stesse andando molto bene. In quel primo tratto ha fatto davvero fatica, poi nella parte centrale la pendenza era inferiore e ha iniziato a difendersi. Finché a un certo punto abbiamo visto che il divario di tempo si stava effettivamente riducendo e questo ci ha dato un po’ di speranza. Dal pensare che sarebbe finito tutto, abbiamo iniziato a dirci che potevamo farcela.

La seguivate dalla televisione?

Inizialmente un po’, poi non abbiamo avuto più bisogno di farlo. Soprattutto alla fine, appena prima che iniziasse il paese, vedevamo tutto perché eravamo la macchina numero uno. Prima il gruppo di Kasia, che nel frattempo stava un po’ meglio. Quando poi la valle si è aperta, abbiamo iniziato a vedere anche Demi e Pauliena (le attaccanti Vollering e Rooijakkers, ndr). Le ha viste anche Kasia e questo mentalmente è stato decisivo. Noi eravamo con Realini e Muzic, che tiravano di più. E a quel punto, quando mancavano 4-5 chilometri, abbiamo detto a Kasia di non cambiare più ritmo, ma di andare col suo passo. Perché dietro stavano rallentando e le abbiamo detto che se ne aveva, negli ultimi 4 chilometri sarebbe potuta andare da sola. Non ce l’ha fatta a staccare Muzic, invece Realini è rimasta dietro.

Niewiadoma è arrivata al via dell’ultima tappa in giallo: sin dall’inizio ha detto di voler vincere il Tour
Niewiadoma è arrivata al via dell’ultima tappa in giallo: sin dall’inizio ha detto di voler vincere il Tour
Quando ha detto che avrebbe potuto vincere il Tour, vi siete fidati subito?

Il primo a dirlo è stato il nostro team manager, Ronny Lauke, che è venuto a fare il primo discorso. E ha detto chiaramente che eravamo venuti per vincere il Tour. In realtà è quello che diciamo prima di ogni gara importante, ma questa volta sapevamo che Kasia fosse in una forma super buona. Perciò l’idea era di provarci e fare il possibile, ma senza certezze se non quella che l’avremmo supportata il più possibile. Ed è quello che abbiamo fatto praticamente per tutto il Tour.

Ci sono stai momenti di svolta?

Quando siamo arrivati alla sera della crono e ci siamo trovati 30 secondi dietro Demi Vollering, ho pensato che sarebbe stato tutto super difficile. Non ci aspettavamo che avrebbe vinto lei la crono. Sapevamo che saremmo cresciuti, ma anche che Demi sarebbe stata forte sino alla fine. Quindi per noi recuperare quei 30 secondi non era impossibile, ma sarebbe stata davvero dura. Però il giorno in cui abbiamo iniziato a credere che potevamo vincere è stato quello prima del gran finale.

La crono vinta da Vollering ha reso complicato il Tour di Niewiadoma e della Canyon Sram
La crono vinta da Vollering ha reso complicato il Tour di Niewiadoma e della Canyon Sram
C’era qualcosa di diverso in Kasia quest’anno? E’ parsa più sicura e anche motivata…

Sì, stiamo iniziando a vedere il frutto di un processo a lungo termine. Due anni fa ha cambiato allenatore e con lui ha avuto un approccio diverso alla stagione. Non fa così tante gare rispetto a prima, in compenso trascorre più tempo in altura. Anche prima delle Ardenne, quando poi ha vinto la Freccia Vallone, era stata sul Teide per due settimane.

Che tipo di leader è la nuova Niewiadoma? La squadra sembra un gruppo di amici, lei è una leader dalle tante pretese?

Non è esigente, è una compagna di squadra davvero brava. Penso che la forza della nostra squadra sia proprio questa. Abbiamo creato un legame tra le atlete, al punto che sono contente di venire alle corse. Non è lo sbuffare perché si deve andare, ma la voglia di stare con quel gruppo di persone. Non so che immagine diamo all’esterno e se questa sia solo una mia impressione soggettiva, ma quando c’è una corsa, non vedo l’ora di incontrare il mio gruppo. Siamo felici di stare insieme, perché siamo un bel gruppo di amici. Okay, non i migliori amici. Non andiamo a bere una birra ogni sera, ma siamo amici.

Si parte per l’Alpe d’Huez: sul Glandon arriva l’attacco di Vollering
Si parte per l’Alpe d’Huez: sul Glandon arriva l’attacco di Vollering
Che cosa ha rappresentato per te questa vittoria?

E’ il risultato più importante. Questa è la mia terza stagione con la squadra, ho iniziato a ottobre del 2021. Però all’inizio ero il responsabile dello sviluppo e delle atlete più giovani. Poi invece sono stato nominato per fare il primo direttore sportivo al Tour: lo hanno chiesto i corridori e volevano che fossi lì. Penso sia stato bello e anche speciale che i membri della squadra lo abbiano chiesto alla dirigenza, però ero un po’ spaventato…

Per la grandezza del Tour?

Tutti dicevano che fosse diverso e in parte lo è. L’anno scorso ho fatto il Giro e quest’anno l’ho fatto ancora e prima anche la Vuelta. Il Tour è stato lo stesso, giusto un po’ più grande. Ma non mi è parso così più grande da mettermi paura. Anche il Giro ha deciso la maglia all’ultima tappa, alla fine sono stati abbastanza simili.

Cosa hai provato quando Vollering ha attaccato?

Sapevo che lo avrebbe fatto, ma quando si è mossa sul Glandon, per Kasia è stato un momento davvero brutto. E’ rimasta sola e Demi ha preso un grande vantaggio. Ci siamo spaventati e la nostra leader in quel momento era sotto forte stress. Sapevamo che Vollering avrebbe attaccato, eravamo preoccupati di non poter rispondere. Invece alla fine la difesa è riuscita e abbiamo vinto il Tour.

La vittoria del Tour ha fatto capire che Niewiadoma e con lei la Canyon Sram hanno ancora potenzialità inespresse
La vittoria del Tour ha fatto capire che Niewiadoma e con lei la Canyon Sram hanno ancora potenzialità inespresse
Pensi che questa vittoria cambierà qualcosa per la squadra?

Abbiamo una buona strategia a lungo termine che era già stata impostata prima del Tour. Ovviamente cambierà qualcosa. Non siamo mai stati una squadra che vince molto, non siamo la squadra migliore, saremo sempre i secondi o i terzi. Ma da questo Tour abbiamo imparato come fare meglio. Abbiamo un’atleta davvero forte e la certezza che non abbiamo ancora mostrato il nostro pieno potenziale. Questo è ciò che vogliamo cambiare nei prossimi mesi e penso che siamo sulla buona strada. Ora Kasia potrà mostrare il suo pieno valore, ma abbiamo anche bisogno che la squadra cresca e sia alla sua altezza.

Stiamo parlando di rinforzarla?

E’ una cosa che dobbiamo fare per la prossima stagione. Vogliamo concentrarci di più su questo, ci saranno molti cambiamenti. All’inizio della stagione sarà come essere seduti a un tavolo da poker, ci daranno le carte e vedremo chi avrà le migliori. Poi però dovremo giocarcele al meglio. L’anno prossimo ci saranno molti cambiamenti nel mercato di tutti, ma fortunatamente per la nostra squadra non dovremo cambiare pelle. Altri avranno più punti interrogativi sul loro organico e questo dà a me e al team la sicurezza che il prossimo anno potremo fare ancora meglio. Però non chiedetemi che cosa cambierà, perché non è ancora ufficiale.

Una settimana di fuoco: con Paladin dietro le quinte del Tour

23.08.2024
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In partenza per Plouay, Soraya Paladin scherza sul fatto che alla prima uscita dopo il Tour de France Femmes al suo corpo sono servite due ore per provare nuovamente sensazioni da corridore. Quella che si è conclusa domenica scorsa sull’Alpe d’Huez è stata una settimana faticosa per tutte, per le ragazze della Canyon Sram Racing ha portato però la maglia gialla. La difesa di Kasia Niewiadoma dall’attacco frontale di Demi Vollering è ancora negli occhi, ma il duro lavoro che c’è stato per arrivare a quel momento magari non tutti lo hanno colto. A farlo ci aiuterà Soraya, atleta classe 1993 che della squadra è riferimento per gambe e carisma.

Niewiadoma era già stata terza al Tour de France Femmes dello scorso anno, in una carriera di qualche bella vittoria e tantissimi piazzamenti. Eppure nella stagione che l’ha vista vincere alla Freccia Vallone, la polacca si è presentata davanti alle compagne con lo sguardo alto e la sicurezza di essere pronta per la maglia gialla. E questo è bastato perché loro si siano messe totalmente a sua disposizione. Paladin racconta, le domande e le risposte si rincorrono ricordando il lungo viaggio.

Niewiadoma era partita per vincere il Tour e ci è riuscita
Niewiadoma era partita per vincere il Tour e ci è riuscita
Eravate davvero partite con l’idea che potesse vincere?

Con l’idea di provare a vincerlo, perché credevamo in Kasia. Ha dimostrato di andare a forte. Ha detto che lo aveva preparato bene, quindi perché no? Sapevamo che dall’altra parte c’era un’avversaria forte, però era giusto darle l’importanza che meritava. E’ arrivata con la consapevolezza di avere tra le mani una grande occasione, quindi anche noi come squadra ci siamo messi al suo fianco e siamo partite per provare a vincerlo.

Hai parlato di settimana molto dura: quanto è stato impegnativo?

Ogni anno il Tour, si sa, è una gara impegnativa perché il livello è altissimo. Quest’anno poi siamo partiti dall’Olanda, quindi gare piatte e tanto nervosismo in gruppo. Non voglio dire che fossero tappe pericolose, ma si sentiva la tensione. Le strade dell’Olanda non ti lasciano un attimo di respiro, devi sempre essere attento alla curva, alla strada pericolosa che si trova… Quindi siamo sempre andati forte, sempre tappe a tutta. Non c’è mai stato un giorno in cui si è arrivati all’arrivo dicendo che tutto sommato ce la fossimo cavata con poco. In più, dover proteggere Kasia tenendola davanti è stato uno stress mentale in più. Per cui siamo arrivate alla fine un po’ più stanche del solito. In più le ultime tappe erano quelle più pericolose per la generale, per cui sei sempre in tensione.

Quanto si è consumato in Olanda, anche se non c’erano grandi salite, per stare davanti?

Sapevamo che erano le tappe sulla carta più facili, dove però si poteva perdere tutto. Kasia inoltre è una cui piace correre davanti, quindi ha chiesto espressamente di avere le compagne attorno per passare indenni queste tappe, con meno rischi e meno stress possibili. Quando è così, c’è tanta tensione. E al netto della fatica fisica, ci sono le dinamiche di gara in cui può succedere di tutto. Tutti vogliono stare davanti, ma non c’è spazio. E quindi succede che pur nei limiti della correttezza, qualche gomito viene alzato.

Paladin sapeva dall’inizio che al Tour avrebbe lavorato per Niewiadoma
Paladin sapeva dall’inizio che al Tour avrebbe lavorato per Niewiadoma
Di questo Tour sin alla presentazione si disse che si sarebbe deciso sull’ultima salita. C’è mai stata l’idea di dargli una svolta prima del finale?

L’unico giorno in cui c’è stata l’idea di provare, ma dipendeva da come sarebbe andata la gara, è stato quello sul percorso della Liegi. Ad aprile su quelle strade Kasia aveva dimostrato di saper andare forte e di fatto è riuscita a guadagnare qualche secondo su alcune avversarie. Però fare qualcosa nelle altre era troppo difficile. Nel ciclismo di adesso, nel nostro ciclismo, anche per le donne è difficile fare differenza in una tappa non troppo dura, perché le squadre sono ben organizzate per aiutare il proprio leader. In più nessuna aveva mai fatto così tanti chilometri con così tanto dislivello negli ultimi giorni di un Tour così impegnativo, quindi si vedeva che erano tutte un po’ preoccupate dalle ultime due tappe.

Quanto si è sentito il fatto che il Tour abbia allungato mediamente tutte le tappe?

Si è sentito parecchio, perché poi c’erano anche dei trasferimenti abbastanza lunghi ed è stato difficile riposare. Eravamo sempre tirati.

Avevate fatto qualche recon sui vari percorsi?

Io ero andata a vedere la tappa della Liegi e quelle olandesi nei giorni fra l’Amstel e la Freccia Vallone. Invece Kasia, con Bradbury e Chabbey, aveva fatto la ricognizione delle ultime tre, quattro tappe. Per questo quando siamo arrivati alla partenza delle ultime, almeno loro sapevano cosa le aspettava. Io per fortuna ho fatto l’Alpe d’Huez solo una volta e mi è bastata. In realtà è una salita bellissima e molto pedalabile. Secondo me il Glandon, che abbiamo fatto prima, è molto più duro. Gli ultimi chilometri sono stati un inferno.

L’arrivo all’Alpe d’Huez: salita gestita con freddezza e grandi gambe
L’arrivo all’Alpe d’Huez: salita gestita con freddezza e grandi gambe
Sapevate che Vollering avrebbe attaccato…

Ne avevamo parlato in riunione e l’avevo immaginato. Un minuto e 15 da recuperare per Demi era tanto, ma anche poco. Ho detto a tutte che se voleva provare, visto che lei non aveva niente da perdere e conoscendo come ha sempre corso, secondo me non avrebbe aspettato l’Alpe d’Huez. Poi quando ho visto che avevano mandato delle compagne in fuga, a maggior ragione ho detto a Kasia che avrebbe provato ad attaccarla sulla prima salita. Sperava che quelle in fuga scollinassero davanti per ritrovarsele nella valle. Perciò la nostra tattica sarebbe stata rimanere con Kasia anche se fossero andate via fughe pericolose. E poi nella valle prima del Glandon avremmo cercato di chiudere più possibile il gap.

Ti aspettavi che Kasia riuscisse a fare una difesa del genere?

Lo speravo e penso che anche lei lo sperasse. Però sapevamo che dall’altra parte c’era una grande campionessa, che ha dimostrato di fare imprese grandiose. Quindi ci speri, ma sai anche che potrebbe non avverarsi. E’ stata brava, lucida mentalmente per tutta la gara. Non si è fatta prendere dalle emozioni e dal fatto che a un certo punto stava per perdere la maglia. Ha fatto quello che doveva fare e c’è riuscita.

Si è un po’ mormorato sul vostro tirare dritto del giorno di Ferragosto quando Vollering in maglia gialla è caduta a 6 chilometri dall’arrivo di Amneville, cosa si può dire? Vi siete accorti che era caduta?

Come ho detto prima, eravamo più che altro focalizzate sullo stare davanti nei momenti pericolosi. Sapevamo che quello era un finale complicato e insieme adatto per Kasia, quasi una classica. Per cui siamo partite per farle un leadout, sperando che riuscisse a fare il podio per prendere gli abbuoni (Niewiadoma è poi arrivata seconda dietro Vas, prendendo 6” di abbuono, ndr). Sapevamo che c’era questa strada grande in discesa e poi delle curve, che abbiamo preso davanti.

Non avete sentito nulla?

Ho sentito della confusione dietro, però in quei momenti fai fatica a girarti e capire cosa stia succedendo. In più davanti c’erano ancora due atlete della SD Worx che giravano a tutta e non mi sono neanche posta il problema che Demi fosse caduta, sennò immagino che si sarebbero rialzate. Quindi abbiamo continuato a fare il nostro treno e solo dopo abbiamo saputo che Demi era caduta e aveva perso secondi. Tanto che Kasia quando è arrivata non sapeva neanche di aver preso la maglia.

Come sono state le serate dopo le tappe?

Ci sono stati alti e bassi, perché abbiamo perduto Elise Chabbey nei primi giorni, che era un’atleta importante per noi sulle salite. Quello è stato un momento negativo. Poi Kasia è caduta, ma per fortuna non si è fatta niente. Anche Chloe (Dygert, ndr) è caduta e pensavamo si fosse fatta peggio di quello che poi è stato. Ci sono sempre quei momenti di tensione che devi saper gestire, però per il resto l’umore era alto. Sapevamo che avremmo dato tutto per arrivare in cima all’ultima tappa senza rimpianti.

E come è stata la sera in cima all’Alpe d’Huez?

Non avevamo programmi, la squadra non aveva voluto programmare niente per scaramanzia. Poi una volta che abbiamo vinto, prima abbiamo festeggiato in bus mentre aspettavamo Kasia, poi lo staff ha organizzato un’apericena in un hotel della zona e abbiamo brindato tutti insieme. E’ stato bello. Poi siccome avevamo l’hotel a Grenoble, dato che alcune ragazze avrebbero avuto il volo il mattino dopo, nel cuore della notte si è fatto anche quell’ultimo trasferimento.

La festa sul pullman e poi in strada quando Niewiadoma è tornata dal protocollo (foto Instagram)
La festa sul pullman e poi in strada quando Niewiadoma è tornata dal protocollo (foto Instagram)
Aiutare Kasia ha significato che tu sei partita sapendo di non avere possibilità personali?

Ce lo avevano detto dall’inizio. Non sarebbe stato impossibile trovare spazio, ma tutto dipendeva da come andava la gara. Però non mi è pesato. Kasia è una ragazza molto onesta e so che se lei dice che ha preparato bene un obiettivo, è davvero lì per vincerlo. Non mi sono neanche preoccupata del fatto che non avessi possibilità di fare del risultato e ne è valsa la pena.

Hai anche dimostrato di essere arrivata nei giorni delle Olimpiadi con la giusta condizione…

Diciamo che è andata così, dai. Non ho ancora sentito Sangalli a proposito di programmi futuri, però mi ha fatto i complimenti per il Tour. Adesso pensiamo a Plouay. Una corsa così una settimana dopo il Tour è un’incognita. Il fisico deve sbloccarsi, quindi può reagire molto bene come pure il contrario. Il percorso mi piace molto, magari riesco a farmi un bel regalo…

Paladin e l’arte preziosa di adattarsi alla corsa

27.03.2024
5 min
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«Allo stesso modo, ho visto un’ottima Soraya Paladin che ha corso bene di rimessa». Le parole di elogio del cittì Paolo Sangalli verso la trevigiana alla fine del Trofeo Binda – dove aveva visto tante italiane in ascesa, oltre alla vittoria di Balsamo – sono state lo spunto per un approfondimento tattico.

Adesso sta arrivando il periodo intenso delle classiche del Nord nelle quali ci vuole quel giusto atteggiamento per restare davanti. La base è saper leggere la corsa e correre di conseguenza, anche alla luce degli stati di forma degli squadroni o delle più accreditate. Il risultato finale poi può dipendere da tanti fattori, sfortuna o fortuna, bravura propria o delle avversarie. Paladin è senza dubbio un’atleta di fondo che quando ha la condizione sa tenerla per diverso tempo e sa come sfruttarla al meglio. Riprendiamo quindi con lei l’incipit iniziale.

A Cittiglio nessuna riusciva a fare la differenza, così Paladin ha salvato la gamba per lo sprint ristretto. Chiuderà quarta
A Cittiglio nessuna riusciva a fare la differenza, così Paladin ha salvato la gamba per lo sprint ristretto. Chiuderà quarta
Quarta dieci giorni fa, quinta l’anno scorso e nel 2021, terza due anni fa. A Cittiglio sei sempre andata forte, ma manca sempre qualcosa?

Il percorso del Trofeo Binda mi piace molto e la gara esce sempre dura. Non è mai bello fare quarte o più in generale non vincere, però devi anche considerare chi ti arriva davanti. In un arrivo come quello di Cittiglio è molto difficile battere gente come Balsamo e Kopecky. Anche Pieterse che ha fatto terza è stata una sorpresa fino ad un certo punto. Si è allenata tantissimo su strada e sono convinta che continuerà ad andare forte, proprio come fa nel ciclocross. Personalmente sono soddisfatta del mio piazzamento e di come si è mossa la squadra. Ci siamo dovute adattare.

Quale era la tattica della Canyon-Sram?

L’avevamo studiata bene. L’ideale sarebbe stato portare via un gruppetto, ma abbiamo subito capito che sarebbe stato difficile. A quel punto ci abbiamo provato nel finale con un po’ di attacchi. Bradbury e Chabbey erano quelle deputate a smuovere le acque per cercare di togliere un po’ di ruote veloci. In questo senso Elisa (Balsamo, ndr) è stata molto brava a tenere duro e a meritarsi la vittoria, glielo riconosco e da una parte mi fa piacere. Dall’altra è ovvio che speravamo di fare di più.

Quindi eri tu la capitana designata?

In realtà partivo alla pari con Chabbey, ma nessuno riusciva a fare la differenza e ci stavamo avvicinando ad un possibile sprint più o meno ristretto. Abbiamo deciso in corsa quindi che sarei stata io a salvare le gambe per il finale visto che ho uno spunto più veloce del suo.

E’ questo che intende il cittì per “correre di rimessa”?

Non saprei, credo di sì. D’altronde non potevamo fare altrimenti. Se avessimo avuto al via una veloce come Dygert, probabilmente avremmo corso diversamente. Sicuramente avrei attaccato anche io e magari prima. In ogni caso preferiamo correre così, piuttosto che arrivare a fine corsa col rammarico di non averci provato.

In effetti tu non ti sei mai nascosta e non hai paura di provarci. Nel finale dell’Amstel dell’anno scorso meritavi più fortuna.

A volte bisogna cogliere l’attimo e poi sperare in tante cose per arrivare. Buona sorte, condizione, squadra che ti copre, avversarie che si guardano e altro. Anche in quella Amstel dovevo fare come a Cittiglio e aspettare il finale per giocarmi le mie carte nello sprint ristretto. Però avevo visto come stava andando la gara e così ho attaccato da sola ad otto chilometri dalla fine. Alla fine avevo chiusa quinta, ma piuttosto che limare, mi piace attaccare ed essere protagonista. Di certo posso dire che nel ciclismo di adesso devi evitare il fuorigiri.

E’ per questo motivo che hai iniziato in Australia?

Volevo cominciare il 2024 pedalando al caldo per entrare in forma un po’ prima del solito e ho ripreso laggiù a distanza di sei anni. Al Tour Down Under sono andata inaspettatamente bene (seconda alla seconda tappa dietro Ludwig, ndr) visto che ho dovuto recuperare da una caduta subìta nei primi giorni. Sono tornata in Europa con una buona condizione, però mi sono ammalata proprio la sera prima della Strade Bianche, dove a quel punto mi sono messa al servizio delle compagne. Tuttavia ho ritrovato in fretta la condizione, sinonimo di un buon lavoro invernale.

Ora c’è una serie di gare in cui troveremo davanti Soraya Paladin?

A casa mi sono allenata bene, poi vedremo come andrà. Farò Fiandre, Roubaix e Ardenne, cercando di capire di giorno in giorno se correre di rimessa o meno. Lassù le gare possono prendere pieghe imprevedibili. La speranza è quella di andare bene come a Cittiglio o anche meglio. A maggio dovrei correre la Vuelta a Burgos, mentre la seconda parte di stagione la dobbiamo ancora pianificare.

Uno degli obiettivi stagionali di Paladin è quello di tornare a “firmare” una vittoria, che manca dal 2019
Uno degli obiettivi stagionali di Paladin è quello di tornare a “firmare” una vittoria, che manca dal 2019
A Burgos hai conquistato due tappe nel 2019, ultima stagione in cui hai vinto. Questo può essere un obiettivo stagionale, assieme alla “solita” convocazione in azzurro?

La vittoria spero davvero che arrivi presto, ci vorrebbe. Sulla nazionale non c’è da aggiungere nulla di nuovo. Vestire l’azzurro è sempre un onore e quest’anno farlo a Parigi per le Olimpiadi avrebbe un sapore particolare, visto che mi è già successo a Tokyo. Poter partecipare alla gara olimpica è uno stimolo che però vivo senza pressione. Alla fine so che se non dovesse arrivare la chiamata è perché c’è stata qualche compagna che se l’è meritata di più. Quest’anno ci sono tanti obiettivi da perseguire, ma già solo questi due sono sufficientemente importanti.

Paladin, il team building fatto di gravel, basket e turismo

18.12.2023
7 min
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I ritiri di fine stagione sono quegli appuntamenti dove si gettano le basi per l’anno successivo. Momenti collettivi di transizione dove le ultime arrivate conoscono la nuova squadra. Un periodo di giorni vissuto intensamente, alcune volte in contesti poco affini al ciclismo, altre volte in modo un po’ alternativo, ma sempre con divertimento. Soraya Paladin è rientrata da poco da un training camp in California nel quale si è ritrovata a fare anche da… tour operator.

Tutto ruota attorno al gravel e al profondo concetto di team building. E’ l’unica anticipazione che vi diamo perché sarà proprio la trentenne di Cimadolmo a portarci dentro ai dettagli di questa trasferta della Canyon-Sram, così originale sia per la preparazione che per lo svolgimento.

La Canyon Sram ha scelto un training camp in gravel in California, organizzato dalle atlete (foto Tino Pohlmann)
La Canyon Sram ha scelto un training camp in gravel in California, organizzato dalle atlete (foto Tino Pohlmann)
Soraya da dove iniziamo col racconto?

Col viaggio della speranza che ho fatto per giungere a San Diego. Sono arrivata il 2 dicembre al mattino, con più di mezza giornata di ritardo perché la neve aveva bloccato l’aeroporto di Monaco, in cui avevo la coincidenza del volo intercontinentale. A cavallo del mezzogiorno però ero già in bici per abituarmi al fuso e mettere in moto le gambe, prima del primo impegno istituzionale.

Quale era?

A metà pomeriggio avevamo una piccola presentazione della squadra a Carlsbad, 50 chilometri a nord di San Diego, sempre sulla costa pacifica dove c’è la sede statunitense della Canyon. La squadra ha scelto la California per questo team building perché così potevamo fare visita ad alcuni nostri sponsor. Siamo stati da Giro, Oakley e Zwift. Bisogna dire però che durante quei dieci giorni non abbiamo quasi mai parlato di calendari e programmi di corse. Lo faremo al prossimo ritiro, qui dovevamo solo fare gruppo.

Come si è sviluppato il vostro training camp?

In realtà è iniziato da casa nostra (dice sorridendo, ndr). I nostri tecnici avevano diviso la squadra in coppie. Ognuna di esse doveva organizzare una tappa del nostro viaggio con le gravel tra San Diego e Los Angeles, conoscendo solo l’hotel in cui avremmo dormito. Inoltre dovevamo pianificare anche le attività ricreative di quella giornata. Dalle soste per il pranzo o per il caffè a quelle per i migliori punti panoramici fino alla serata. Al mattino la coppia che aveva organizzato quella tappa indicava il percorso e si pedalava tutti assieme. Qualche giorno anche i nostri diesse sono venuti con noi, a volte con la bici normale, altre con e-bike.

Come erano le tappe?

Abbiamo fatto circa dieci giorni, il 12 dicembre siamo ripartite da Los Angeles per l’Europa. In media facevamo 80/90 chilometri o circa 4-5 ore al giorno. Avevamo creato anche le tracce con altimetria e planimetria. Non è stato così scontato però perché non conoscevamo la zona. Abbiamo dovuto studiare le mappe del posto affidandoci alle app o piattaforme usate dai pedalatori. E’ stato un bel lavoro d’equipe. Ci siamo divertite, anche nel confrontarci per stabilire chi aveva programmato il giorno migliore.

La tua coppia che tappa ha organizzato?

La pianificazione l’ho fatta con Antonia Niedermaier. Ci sentivamo via whatsapp o tramite videochiamate per allineare le informazioni che avevamo raccolto. Purtroppo lei è stata male qualche giorno prima di partire e non ha potuto essere con il resto della squadra. Alla fine abbiamo tracciato un percorso di 120 chilometri, prevalentemente pianeggiante, fino ad Hermosa Beach, nella periferia sud di Los Angeles. E per la sera avevamo previsto un bell’intrattenimento.

Cosa?

Sono una appassionata di basket, spesso vado a vedere la Famila Schio (la più titolata formazione femminile italiana, ndr). Così ho controllato se c’erano partite dell’NBA e allo Staples Center c’era in programma Lakers-Phoenix Suns dei quarti di finale della NBA Cup. Una competizione nuovissima che poi hanno vinto proprio i Lakers. Insomma, ho scelto bene, ho fatto vedere alle mie compagne i futuri campioni (sorride, ndr).

Avevate mezzi al seguito?

No, anche perché sarebbe stato impossibile. C’erano molti tratti sterrati, alcuni dei quali si sono rivelati particolarmente impervi anche per le bici stesse, le Mtb sarebbero state più utili. In alcuni punti abbiamo guadato dei piccoli corsi d’acqua oppure abbiamo spinto la bici sia in salita che in discesa per evitare di farci male. Un paio di pulmini viaggiavano con le nostre valigie da un hotel all’altro. Avevamo attrezzato le bici con una borsa da manubrio dove inserivamo tutto l’occorrente per le forature o altri problemi meccanici. Dovevamo fare tutto in autonomia ed è stata una bella esperienza anche quella (ride, ndr). Il buon clima poi ha reso tutto più semplice e bello.

Però tu sembri avere un bel rapporto col gravel…

Sì, diciamo il giusto. Devo ringraziare mia sorella Asja che mi ha introdotto nel mondo gravel qualche anno fa. Per fortuna mi ha anche indottrinato su tante cose che mi sono servite in California. Quando esco in bici con Asja ed il suo gruppo, li seguo e faccio fare a loro quando capitano inconvenienti. Nel nostro training camp invece ero una delle più esperte, così come Tiffany e Kasia, che è campionessa del mondo gravel (rispettivamente Cromwell e Niewiadoma, ndr). Entrambe pedalano tantissimo con quel tipo di bici.

Cosa rappresenta il gravel per Soraya Paladin?

Per me è un buon modo di tenermi allenata durante l’off season. Mi serve soprattutto a livello mentale, perché mi aiuta a scaricare tanto la tensione accumulata. E’ vero che si fatica, perché in discesa non puoi rilassarti come su strada, dove puoi recuperare fiato, però ti pesa meno fare anche cinque ore. Le gare a cui ho partecipato, le ho fatte con uno spirito differente pur dando sempre il massimo. Quando si stacca tra un blocco di gare e l’altro, si potrebbe pensare di fare gravel anche a metà stagione, ma a quel punto subentra la paura di farsi male e gli allenamenti sarebbero differenti. Di sicuro col gravel mi diverto. Si impara sempre qualcosa e ti dà la possibilità di scoprire posti nuovi, anche dietro casa o in vacanza, in una maniera più tranquilla.

Van Vleuten prende e va. Paladin: «Al Tour sarà diverso»

05.07.2023
5 min
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CANELLI – E’ bastato poco ad Annemiek Van Vleuten per salutare la compagnia e viaggiare spedita verso il traguardo della sesta tappa del Giro Donne. Una frazione che al mattino, nel paddock dei bus, prevedevano in egual misura adatta all’arrivo per velociste o di una fuga. Invece no, la maglia rosa prende e va via quando mancano 15 chilometri alla fine. E per lei è la quindicesima vittoria al Giro Donne.

Sul Gpm di Calosso, penultimo di giornata, l’olandese della Movistar non è nemmeno scattata. Ha imposto subito un ritmo insostenibile per le altre, che hanno iniziato a ragionare per il secondo posto. La piazza d’onore è andata a Wiebes (davanti a Lippert) che conferma una grande crescita sulle tappe mosse e con arrivi su strappi secchi di un chilometro come quello di Canelli. La campionessa europea della SD Worx, che domani non ripartirà per preparare il Tour Femmes, sarà l’avversaria da battere al mondiale di Glasgow ed il cittì Sangalli continua a prendere appunti. Nella generale a più di 3 minuti da Van Vleuten, scala di una posizione Ewers per effetto della drammatica caduta occorsa a Niedermaier (forte trauma facciale e ritiro) mentre terza ora c’è Labous del Team DSM-Firmenich.

Soraya davanti

Le colline dei vigneti che circondano Canelli sono validi banchi di prova per capire la propria condizione. Dalla pianura astigiana la strada si inerpica in modo tortuoso e ripido. Ci si può provare in salita o in discesa. La linea d’arrivo posta accanto al ristorante “Civico 15” non mente. Per arrivarci devi avere la gamba giusta. E la signora Giusy vede sfilare il meglio del ciclismo femminile davanti al suo locale. Fra queste c’è Soraya Paladin, quarta e autrice di una bella prestazione.

«E’ stata una tappa per noi abbastanza sfortunata – racconta Paladin dopo aver recuperato dallo sforzo – siamo partite con Antonia (Niedermaier, ndr) che era seconda in classifica e maglia bianca, ma purtroppo è caduta. Non sono bene cosa sia successo, lo abbiamo sentito alla radio e ci hanno detto che non sarebbe più rientrata. So solo che è in ospedale. Ci dispiace molto perché stava andando veramente forte. La nostra idea era quindi quella di difendere la generale. Se lo meritava Antonia».

Paladin sta dimostrando di crescere. Il bel quarto posto a Canelli lo certifica
Paladin sta dimostrando di crescere. Il bel quarto posto a Canelli lo certifica

«Dopo la caduta – prosegue la vicentina della Canyon Sram – sono cambiati un po’ i piani e mi hanno lasciato carta bianca. In salita c’era il Team DSM che faceva un bel ritmo per Labous che infatti ha attaccato sul primo Gpm (Castino, ndr). Lì siamo rimaste in poche ma nulla di fatto. Poi ha attaccato Van Vleuten sulla salita di Calosso. Ho provato a tenerla, ma andava veramente troppo forte per me. Sono rimasta nel gruppetto dietro e speravo che non ci riprendessero perché sapevo di potermela giocare con Lippert in un arrivo come quello di oggi. Invece è rientrata Wiebes. Chloe (Dygert, ndr) mi ha guidata fino ai piedi della salita in una buona posizione. Lo sprint è partito abbastanza presto e lo abbiamo fatto a tutta fino alla fine. Dispiace per il quarto posto perché rende la giornata ancora più amara».

Il Giro non è finito

Van Vleuten anche a Canelli ha messo un altro mattoncino per la conquista del suo quarto Giro Donne, ma ci sono ancora tre tappe che non bisogna sottovalutare. Paladin analizza la corsa rosa per sé e per la sua squadra in funzione dei prossimi appuntamenti. All’orizzonte ci sono Tour e mondiale in cui la trevigiana di Cimadolmo vuole continuare ad essere protagonista.

«Ovvio che Van Vleuten – spiega Soraya – non voglia prendere rischi. Al Giro c’è sempre un imprevisto, sia per cadute che per problemi meccanici ed altro. Può sempre succedere di tutto. Fino all’ultimo giorno e finché non si taglia la linea del traguardo di Olbia non si può dire che sia chiuso. Ovviamente sta dimostrando di andare forte, però ci sono ancora tante altre squadre che hanno i numeri e ci proveranno di sicuro. Noi volevamo farlo oggi, ma abbiamo avuto sfortuna.

Van Vleuten festeggia. Il suo quarto Giro Donne è sempre più vicino
Van Vleuten festeggia. Il suo quarto Giro Donne è sempre più vicino

«Punteremo alle tappe – prosegue Paladin – ci sono ancora un po’ di occasioni buone per noi della Canyon-Sram. L’arrivo alla Madonna della Guardia di Alassio è forse un po’ troppo duro per me, ma le due frazioni in Sardegna mi si addicono. Quella di domani dicono che sia quella più dura o comunque più temuta però la gara la fanno i corridori. Anche oggi a Canelli sembrava una tappa per arrivare in volata o per passiste veloci. Invece quando si mettono a fare forte qualsiasi salita, tutte soffrono».

Tour e mondiale

«Farò il Tour Femmes – conclude Paladin con grande lucidità – in supporto a Niewiadoma che curerà la generale. Qui sto prendendo dei riferimenti su Van Vleuten da riportare sul Tour anche se sarà completamente diverso. Abbiamo fatto le ricognizioni. Le tappe sono lunghe e dure. Farà caldo. Intanto pensiamo a finire il Giro Donne poi penseremo alla Francia.

«Mi sono preparata bene a Livigno. La mia condizione è in crescendo. Qui al Giro Donne mi sto sentendo bene ogni giorno che passa. Il cittì Sangalli mi lascia tranquilla, facendomi pensare alle tappe. E’ giusto che io adesso resti concentrata sul Giro poi per i mondiali se ne parlerà più avanti. Ci sono tante italiane che stanno andando forte. Penso proprio che chi se lo merita sarà convocata».

Paladin, tanti piazzamenti e quel successo che manca

20.05.2023
5 min
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Sempre vicina, sempre lì a far capolino nella Top 10, ma la vittoria sembra non voler arrivare mai. Soraya Paladin prosegue la sua caccia nel dedalo delle corse spagnole del WorldTour, ora è alla Vuelta a Burgos e anche ieri ha centrato il piazzamento, ottava a 12” dalla Vollering che continua a collezionare successi in questa stagione magica. La veneta della Canyon Sram non si lamenta, cerca di portare pazienza, sicura che prima o poi verrà anche il suo turno.

In attesa della seduta di massaggio per preparare il weekend finale, l’atleta di Treviso fa un po’ il punto della situazione dopo una primavera intensa, considerando che ha collezionato 17 giorni di gara con oltre la metà conclusi entro le prime 10.

«Mi dispiace soprattutto per la tappa dell’Iztulia Women, la seconda dove ho chiuso alle spalle della Vollering, perché credo che con un po’ di fortuna in più si poteva anche centrare il risultato pieno. Mi ha tratto in inganno l’errore di percorso della Reusser che mi ha portato a partire troppo presto, se avessi lanciato la volata 100 metri più avanti forse l’olandese non mi riprendeva».

La volata persa contro la Vollering all’Itzulia. La veneta è stata tratta in inganno dalla Reusser, terza
La volata persa contro la Vollering all’Itzulia. La veneta è stata tratta in inganno dalla Reusser, terza
Avrebbe dato un senso maggiore a questa prima parte di stagione…

Sicuramente, anche se non è che possa lamentarmi vista la messe di risultati che sto portando a casa. Dimostro di esserci sempre. La campagna delle Ardenne era stata impegnativa, ma mi ha lasciato con le pile un po’ scariche, ho avuto bisogno di due settimane per ricaricarmi, per fortuna aver saltato la Vuelta è stata un aiuto.

In squadra ti danno fiducia?

Sì, anche se normalmente viene considerata la Niewiadoma come punta del team e io cerco di starle vicino e darle una mano, ma senza mettere da parte le mie ambizioni. In squadra il clima è abbastanza alto, anche se sappiamo di confrontarci con uno squadrone come quello della Sd Worx.

Al Nord la Paladin ha dato buoni segnali: quinta all’Amstel, nona a Liegi e alla Freccia del Brabante
Al Nord la Paladin ha dato buoni segnali: quinta all’Amstel, nona a Liegi e alla Freccia del Brabante
In carriera hai finora vinto 7 gare, ma il successo pieno manca dal Giro delle Marche 2019. Ti manca la vittoria?

Ci penso spesso, ma ci sono alcuni aspetti da considerare. Innanzitutto il livello medio si è alzato tantissimo da allora e essere sempre protagonista, essere lì a lottare nei finali di gara significa che comunque anche il mio livello è salito. E’ chiaro che vincere piacerebbe e ci spero tanto, ma contro gli squadroni di oggi non è semplice.

Accennavi alla Sd Worx. Non pensi che stia un po’ ammazzando le corse?

E’ una squadra costruita con tante campionesse, che rendono sempre la gara dura. Questo consente loro di scegliere sempre una tattica diversa, poter lanciare un attacco da lontano oppure aspettare. C’è molto tatticismo nelle corse, bisogna essere attente nello scegliere le mosse giuste da fare. Sono le più forti, ma non sono certo imbattibili, nel gruppo ci sono tante squadre forti e la nostra non è seconda a nessuna.

La Paladin a Burgos si sta ben disimpegnando, indossando la maglia roja di leader dei GPM
La Paladin a Burgos si sta ben disimpegnando, indossando la maglia roja di leader dei GPM
Ma tanti successi non vanno poi a scuotere gli equilibri e generare invidie?

Io non credo. C’è molto rispetto, quando hai a che fare con campionesse del genere. Noi pensiamo a fare la nostra parte sapendo che possiamo giocarcela con tutti. Bisogna correre in base ai propri punti di forza, non piegarsi a quel che fanno loro…

Nell’ambiente molti si lamentano della serie infinita di corse a tappe in Spagna, senza soluzione di continuità…

Sarebbe stato meglio un calendario più diluito, ma gli organizzatori scelgono in base alle proprie esigenze. Il problema è che attualmente i team sono ancora abbastanza stringati per tenere dietro a tutto, basta qualche infortunio che costringe le altre a veri tour de force. E’ un problema contemporaneo, io sono convinta che con il tempo si risolverà, per ora i roster sono ancora ridotti e nel compilare i calendari bisognerebbe tenerne conto.

La veneta è da anni un punto fermo della nazionale e punta a esserci anche a Glasgow
La veneta è da anni un punto fermo della nazionale e punta a esserci anche a Glasgow
Dopo Burgos che cosa ti aspetta?

Ci sarà la RideLondon e poi andrò in altura per preparare i Campionati Italiani e il Giro. Quelli sono passaggi obbligati, soprattutto se si vuole pensare a un’estate importante che possa valere anche una presenza ai mondiali. A dir la verità non mi pongo il problema della maglia azzurra sì o no: io faccio il mio e se i risultati arriveranno, la convocazione sarà una diretta conseguenza.

Il Tour è in programma?

Per ora non si sa, ci hanno detto che in Francia andrà chi è più in forma, per questo le prossime settimane saranno importanti e io voglio farmi trovare pronta.

Imola è dimenticata. La Dygert sta tornando…

20.11.2022
5 min
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Una mattina di Colorado Springs. Un velodromo, una bici. E una ragazza che pedalata dopo pedalata torna alla vita. In fin dei conti sono pochi minuti, il suo tecnico Gary Sutton ha fissato limiti che non vanno oltre i 15 minuti per ogni blocco di allenamento. Ma quei blocchi sono eterni, sono come un addentrarsi nelle pieghe della sua mente. Chloe Dygert sta tornando e non è un personaggio di poco conto.

Ogni minuto di quel semplice allenamento è un viaggio dentro se stessa, anzi per meglio dire assaporare un ritorno alla normalità al quale non sperava neanche più. E non c’entra neanche tanto il ciclismo perché quel che le era successo le aveva precluso anche la vita normale.

«Cosa ne sanno gli altri di quel che ho passato? Anche salire e scendere dall’auto – dice – era portatore di un dolore indicibile, mi muovevo al rallentatore, come un’automa. Pensavo che quel dolore non mi avrebbe lasciato più, mi stavo quasi adagiando nella convinzione che sarebbe stato mio compagno per tutta la vita. Invece ecco qui: pedalo e non lo sento, non c’è. Se n’è andato e non lo rimpiango di certo…».

Il suo ritorno in bici nei test a Colorado Springs: Chloe tornerà sia su strada che su pista (foto Casey Gibson)
Il suo ritorno in bici nei test a Colorado Springs: Chloe tornerà sia su strada che su pista (foto Casey Gibson)

Inizia tutto a Imola 2020

Pedalata dopo pedalata la Dygert ripensa a quando tutto è iniziato: quel giorno, quel maledetto giorno a Imola. 2020. In palio il titolo mondiale a cronometro. L’americana è la campionessa uscente, l’anno prima nello Yorkshire ha sorpreso tutti, anche le favoritissime olandesi. La corsa contro il tempo è il suo forte, lo ha dimostrato anche in pista. Sfreccia, la Dygert e ai rilevamenti è lanciata verso il bis. Poi una curva, la bici che slitta, il guard rail vicino. Troppo vicino. Un attimo, ma è come se un ninja con la sua lama affilata la trafiggesse da parte a parte. La coscia viene tranciata, il metallo va a toccare anche l’osso. Le immagini sono agghiaccianti, le sue urla dicono tutto.

L’80 per cento del muscolo è compromesso, l’operazione e la degenza sono lunghe e dolorose. Quel che Chloe non sa è che quello è l’inizio di un calvario lungo tre anni, fatto di sofferenza, tappe, anche elementi avversi esterni come il Covid. Che poi tanto avverso, nel suo caso non è. Perché? Perché posticipa le Olimpiadi di un anno e le consente comunque di esserci anche se a mezzo servizio, anche se non è la Dygert che avrebbe voluto essere. Ma riesce comunque a esserci, qualificandosi in extremis, portando a casa un 7° posto nella crono e contribuendo al bronzo del quartetto (che senza di lei, diciamocelo, è poca cosa…).

Non bastasse l’infortunio…

Sono risultati eccezionali, se si pensa che da quel maledetto giorno imolese, la Dygert in tre anni ha potuto gareggiare appena per 5 giorni su strada.

«Appena sembrava tutto risolto, ecco che ci ricascavo – pensa mentre l’allenamento procede – in primavera mi è crollato il mondo addosso. Non bastasse il dolore, ci si è messa anche la malattia di Epstein Barr (una forma di herpesvirus che porta affaticamento estremo, mal di gola, ingrossamento dei linfonodi e altri sintomi, ndr). Avevo appena iniziato la campagna del Nord ed era già finita».

Dalla malattia, con tempo e pazienza era uscita fuori, ma quei dolori restavano. Avevano già rimesso mano alla gamba, ma l’operazione non era andata a buon fine e oltre ai dolori, anche i movimenti erano ridotti. Ma Chloe non si è arresa. Non si è rassegnata. Ha continuato a studiare sull’argomento, a informarsi, a cercare una soluzione e alla fine ha trovato chi poteva rimetterla in sesto. Una nuova operazione, complessa, fatta da mani ferme e sicure. Tanto tessuto cicatriziale rimosso dal muscolo. Una lunga convalescenza, scandita però da un fatto nuovo: quel dolore stava svanendo. La Canyon Sram, il suo team, intanto l’aspettava, con pazienza.

Chloe è pronta a riprendersi il suo posto, anche in nazionale (foto Getty Images)
Chloe è pronta a riprendersi il suo posto, anche in nazionale (foto Getty Images)

L’anno della rinascita

«Potevo sedermi, lamentarmi, piangere, ma sarebbe servito a qualcosa? Oggi metto la parola fine su due anni di black out della mia vita – dice – nei quali non potevo fare quel che mi è sempre piaciuto, quello che avrei voluto. La bici mi aveva portato a questo, la bici mi sta portando verso la luce in fondo al tunnel. E’ vero, pedalo in un velodromo vuoto, contro nessuno, non c’è un cronometro, non c’è una classifica. Ma questa è la gara più importante e difficile, questa è la vittoria più bella. Ogni giro di pedivella senza che senta dolore è un segno di speranza. Preparatevi, gente, Chloe sta tornando…».

L’italiana di Zwift. Chiara Doni è pronta a cambiare vita

08.11.2022
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Non solo Luca Vergallito. Nella “magica decina” che si giocherà due contratti da pro’, uno per sesso, c’è anche una ragazza italiana. E la sua storia, comunque sarà la sua conclusione, deve insegnare molto. La vita può avere una svolta improvvisa in qualsiasi momento: Chiara Doni lo spera ardentemente, perché a quel contratto ci tiene tantissimo, anche se la sua vita attuale non ha nulla che non vada…

Se Vergallito è un corridore con un passato comunque di peso nel ciclismo giovanile e un presente da vincente nelle gran fondo, la Doni ha radici completamente diverse.

«Sono sempre stata appassionata di sport – racconta – ma non era il ciclismo la mia disciplina. Io correvo a piedi, amavo le mezze maratone. Molti mi chiedono che tempi avessi, ma non lo facevo per agonismo, guardando il cronometro, tanto è vero che un vero primato non ce l’ho. Poi, più di 5 anni fa, ho avuto problemi a un piede così ho dovuto smettere. E’ a quel punto che ho iniziato a usare la bici per la rieducazione».

La Doni sui rulli, ogni sistemazione può essere utile per allenarsi. Ma spesso lo fa all’aperto…
La Doni sui rulli, ogni sistemazione può essere utile per allenarsi. Ma spesso lo fa all’aperto…
Sempre sulla base non competitiva con la quale concepivi l’atletica?

Inizialmente sì, non scaricavo neanche le applicazioni. Gareggiavo a qualche gara amatoriale come non tesserata, mi piaceva il fatto di poter vedere posti che altrimenti non avrei mai visto. Poi però ho cominciato a prenderci gusto e mi sono iscritta a qualche ciclocross e a qualche gran fondo, ho visto che andavo bene tanto che nel 2019 sono giunta seconda sul percorso medio della Maratona dles Dolomites e nella GF di Nizza sono arrivata seconda alle spalle di una belga che poi sarebbe diventata professionista.

Com’è nata l’idea di Zwift?

Un anno fa sono stata contattata dal diesse del Team Castelli per gareggiare nel Team Italia nel circuito di prove virtuali. Io avevo già utilizzato la piattaforma come tanti, nel periodo del lockdown. Non nascondo che mi piaceva molto piazzare tutto l’armamentario in giardino e pedalare all’aria aperta, collegandomi con altri amici e contatti, era un modo per stare comunque insieme. Pensavo inizialmente che pedalare indoor fosse una noia, una costrizione, invece mi divertivo davvero. E poi era liberatorio anche mentalmente e psicologicamente visto il periodo.

L’atleta lombarda ama la montagna e preferisce i tracciati duri, è stata anche seconda alla Maratona
L’atleta lombarda ama la montagna e preferisce i tracciati duri, è stata anche seconda alla Maratona
Tu lavori nel settore farmaceutico: eri particolarmente impegnata in quei giorni?

Io lavoro in ortopedia, nel campo delle protesi e in quel periodo abbiamo potuto riscontrare una forte contrazione del mercato. Era tutto concentrato sul covid, ma questo ha comportato anche problemi per seguire chi aveva bisogno di assistenza per le proprie difficoltà fisiche. Non è stato un bel periodo…

Torniamo all’argomento Zwift: come ti sei ritrovata nel concorso?

Seguivo le puntate del podcast e Alessio Caggiula, il diesse, un giorno mi ha suggerito di provarci, tanto non avevo nulla da perdere. La vicinanza con Luca (Vergallito, ndr) è stata fondamentale nel cammino, ci sentivamo e organizzavamo insieme.

Chiara Doni ha vinto il Team Mixed nel Tour Transalp 2022, insieme a Francesco Visconti (foto Instagram)
Chiara Doni ha vinto il Team Mixed nel Tour Transalp 2022, insieme a Francesco Visconti (foto Instagram)
Sai quante eravate in partenza?

Non di preciso, ho sentito anche numeri astronomici, tipo 90 mila, ma non so se fossero solo donne o tutti insieme. Passata la prima scrematura, come ha raccontato Luca, anch’io sono stata contattata per inviare un mio curriculum e una serie di dati ulteriori.

Hanno voluto sapere anche del tuo passato di podista?

L’ho segnalato, non so fino a che punto possa avere influito, come anche i miei risultati nelle gran fondo. Io credo che a fare la differenza siano stati i numeri nudi e crudi, quelli del rapporto watt per chilogrammo. Siamo rimaste una ventina a partecipare a una conference call nella quale siamo state tutte intervistate, poi ho avuto notizia che eravamo in 5 a giocarci il contratto con la Canyon-Sram.

Gli allenamenti sono legati agli orari di lavoro, ma da dicembre tutto potrebbe cambiare
Gli allenamenti sono legati agli orari di lavoro, ma da dicembre tutto potrebbe cambiare
Quindi andrai anche tu alle finali nel ritiro delle squadre pro’ in Spagna…

Sì, lì faremo sia pedalate di gruppo che test specifici, ma so che valuteranno anche la nostra capacità di stare in gruppo, le nostre abilità tecniche e anche le capacità relazionali, il “fare squadra”. Io parto con molte speranze anche se so che rispetto alle altre ho minori chance legate alla scheda anagrafica, avendo 37 anni, ma non voglio pensarci. Voglio credere di potercela fare. D’altronde so che anche le altre non hanno specifiche esperienze agonistiche.

Tu hai una carriera professionale avviata. Che cosa succederebbe se scegliessero te?

Vedremo se sarà possibile prendere un’aspettativa, altrimenti non avrò dubbi. Forse qualcuno penserà che sia folle buttare via 12 anni di lavoro, i progressi di carriera che ho fatto, ma quello è il mio sogno. Poter gareggiare con le professioniste, entrare in un mondo che penso anche possa darmi molti sbocchi professionali al di là di quello agonistico. Non riesco neanche a pensarci, sarebbe davvero la miglior dimostrazione che i sogni non hanno età.