Milesi, una junior in rampa di lancio. Prima lo stage, poi l’azzurro

28.08.2024
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Ha festeggiato il suo diciottesimo compleanno durante un stage al Nord, in un antipasto di quello che l’aspetta nei prossimi anni. Silvia Milesi è cresciuta in fretta ed è uno dei prospetti più promettenti a disposizione della Biesse-Carrera e del cittì Sangalli.

A metà agosto ha attaccato il numero sulla maglia della BePink-Bongioanni, mentre attualmente (e fino al 7 settembre) la bergamasca di Villa d’Almè (in apertura foto Ossola) è a Livigno con la nazionale. Un ritiro di due settimane per preparare tutte assieme europeo e mondiale con lavori ben distinti, visti i percorsi, rispettivamente pianeggiante e ben più impegnativo, agli antipodi. Milesi rientra nel gruppo per la rassegna iridata di Zurigo grazie alle sue doti in salita e nelle prossime gare cercherà di legittimare la propria convocazione. Con lei abbiamo fatto il punto della stagione e, superata una iniziale timidezza mista ad imbarazzo, forse per l’inaspettata attenzione, ci ha raccontato tutto di sé.

Silvia qualcosa ci aveva anticipato il tuo diesse Manzini, ma completiamo prima una rapida introduzione su di te.

Ho iniziato a correre relativamente tardi, da G6. Prima di allora ho sempre fatto danza, nuoto ed equitazione, ma di salire sulla bici non c’era stato verso malgrado mio nonno e mio padre siano grandi appassionati di ciclismo. Avevo paura perché in famiglia un parente aveva subito un brutto incidente, poi una mia compagna di scuola mi ha convinto poco per volta e ho cominciato. Le mie caratteristiche sono principalmente da scalatrice. Non ho un idolo in particolare a cui ispirarmi, anche se adesso mi piace molto Vollering, ma se devo essere sincera mi piacciono quasi tutte le atlete.

Com’è andato il tuo stage?

Sono stati dieci giorni molto belli, anche se essendo in Belgio pioveva quasi sempre. La BePink è un’ottima squadra, nella quale mi sono trovata bene con tutti. A guidarci lassù c’era Sigrid Corneo che è stata molto comprensiva sia con me che con Linda Ferrari, l’altra stagista (dalla BFT Burzoni, ndr). Non ci ha messo pressioni e non pretendeva nulla in gara da noi, se non il massimo impegno. E’ stata una bella esperienza in cui ho imparato tanto.

Quali differenze ti hanno colpito maggiormente?

In squadra noti subito una organizzazione più dettagliata, con alcune figure fisse al seguito come il massaggiatore che tra le juniores non abbiamo. Alle gare mi è piaciuta molto l’atmosfera che si respirava. La team presentation e il foglio firma sono sempre momenti emozionanti che tra le juniores in Italia sono comprensibilmente un po’ più rari.

In corsa invece?

Lì devi fare i conti con un maggior chilometraggio e ritmi molto più sostenuti. Rispetto alle nostre gare open è tutto un altro mondo. Ho disputato tre gare (Gp Reynders, Egmont e Gp Van Impe, ndr) che presentavano percorsi molto tecnici, con tanto pavè. Anche in pianura si faceva fatica e non si mollava mai. Vedi subito con che spirito si corre al Nord. E vedi anche cosa ti attende di là. Qualcuno ci ha detto che se passi certe gare in Belgio, sei pronta a passare tutto. Vedremo (sorride, ndr).

Facendo un bilancio generale, come sono stati questi due anni di Silvia Milesi da juniores?

Onestamente devo dire che sono stati una sorpresa. Da allieva non ero nessuno, avevo ottenuto pochissimi risultati. L’anno scorso al primo anno da juniores ho fatto una serie infinita di piazzamenti senza alcuna vittoria, dove tuttavia ho scoperto di andare bene a cronometro. Non mi sarei aspettata nemmeno di fare gli europei in pista, dove abbiamo vinto l’oro nell’inseguimento a squadre, e quelli su strada in Olanda.

E arriviamo ad oggi.

Finora è stato un buon 2024, anche in questo caso oltre le mie aspettative. Ho vinto due gare, ho fatto sette podi tra cui il secondo posto al campionato italiano. Ho partecipato ancora agli europei in pista col quartetto, stavolta prendendo il bronzo. Credo di aver fatto il salto di qualità facendo tesoro dell’esperienza maturata l’anno scorso.

Obiettivi per il finale di stagione?

Ce ne sono diversi. Guardo poco per volta. Quando scenderemo dall’altura correrò a Racconigi, poi dal 13 al 15 settembre faremo il Giro delle Marche in Rosa, dove spero di fare bene visto che ci sono tappe abbastanza adatte a me. Quello potrebbe essere un buon banco di prova per avvicinarmi al mondiale. Vorrei guadagnarmi definitivamente la maglia azzurra per Zurigo.

Velocità su pista, i ragazzi azzurri crescono ancora

17.07.2024
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Anche se l’appuntamento olimpico bussa alle porte, per i tecnici azzurri della pista c’è anche tanto altro da affrontare. Nella scorsa settimana ad esempio ci sono stati i campionati europei per juniores e under 23, in quella Cottbus che nel secolo scorso era uno dei centri principali dello sport della Germania Est. L’Italia con le sue 20 medaglie complessive di cui 7 d’oro ha colto il terzo posto nel medagliere, alle spalle di britannici e padroni di casa tedeschi, confermando che dietro le punte presenti a Parigi c’è un intero movimento ricco di ricambi. E che va a pescare anche in territori da troppo tempo inesplorati come la velocità.

Ivan Quaranta ha portato a casa, nello specifico settore, titoli e medaglie, ma soprattutto tante indicazioni. Eppure si sente dalla voce che le pur grandi soddisfazioni hanno solo lenito il rammarico per non aver portato il suo giovanissimo gruppo a Parigi.

Il team della velocità con Quaranta e il presidente Fci Dagnoni. Un oro pesante il primo giorno (foto Uec)
Quaranta fra Napolitano e Minuta, nuove entrate nella squadra della velocità U23 (foto Uec)

«Quando ho intrapreso quest’avventura, dopo aver visionato i test dei ragazzi dissi che volevo qualificarli per i Giochi e mi presero per pazzo – racconta il tecnico cremasco – La realtà è che abbiamo sfiorato la qualificazione continuando sempre a crescere, dimostrando che la mia idea non era balzana. Abbiamo una nazionale fortissima, a livello Under 23 ormai non abbiamo avversari e questo l’ho sottolineato ai ragazzi dopo la vittoria nel team sprint: bravi, ma siamo sempre a livello di categoria, gli Elite vanno più forte e lo sanno, sono loro che dovranno battere. E ci riusciranno…».

Lo scorso anno erano arrivato 4 titoli, questa volta oltre a quello del team sprint c’è stato quello di Predomo nel keirin: sei soddisfatto?

Sì perché la nostra squadra di velocità è cambiata per metà. Intanto abbiamo ora Moro e Bianchi che sono Elite, poi abbiamo perso Tugnolo che ha scelto di concentrarsi sul ciclismo su strada, ma intanto sono cresciuti Napolitano e Minuta. La squadra c’è e sta migliorando. Tra l’altro abbiamo vinto su una pista ben diversa da quelle canoniche, un velodromo di 333 metri in cemento, il che significa che nel team sprint c’era un chilometro da fare per l’ultimo componente. Farlo senza riferimenti assoluti non è cosa di tutti i giorni.

Lo sprint vincente di Predomo ai danni del tedesco Hackmann: l’oro nel keirin è suo (foto Uec)
Lo sprint vincente di Predomo ai danni del tedesco Hackmann: l’oro nel keirin è suo (foto Uec)
Da parte sua Predomo continua a faticare nella velocità individuale…

Paga il suo essere un peso leggero che costa tantissimo nella prova di qualificazione, i 200 metri lanciati, dove rispetto a chi può lanciare dalla sommità della curva 90 e passa chili ha un gap non di poco conto. Poi nella batteria può giocarsela, ma chiaramente gli abbinamenti lo penalizzano. Dobbiamo lavorarci, trovare il giusto compromesso perché nella sfida a tu per tu la sua agilità è un punto a favore.

Dietro questa squadra, ora che i migliori juniores dello scorso anno sono passati, che cosa c’è dietro?

Tanto lavoro da fare, soprattutto cercando nelle categorie più piccole, gli esordienti e gli allievi. Il problema è che tanti ragazzini poi si lasciano abbagliare dalle vittorie su strada e decidono di non provarci più. E’ un prezzo che paghiamo alla nostra cultura, difficile da sradicare. Avevo commissionato al centro studi un lavoro statistico sui migliori giovani velocisti degli ultimi 12 anni, quasi tutti si sono ritirati, non hanno proseguito neanche su strada, vittime delle prime delusioni. La generazione dei Predomo, Bianchi, Minuta è la prima che vuole insistere e spero che dietro ne arrivino tanti altri seguendo un po’ quel che sta succedendo fra le donne.

Siria Trevisan, terza nei 500 metri da fermo, un nuovo talento sul quale lavorare (foto Fci)
Siria Trevisan, terza nei 500 metri da fermo, un nuovo talento sul quale lavorare (foto Fci)
Qui infatti si sono registrate delle novità…

Abbiamo vinto il bronzo nel team sprint juniores con Trevisan, Bianchi e Centi e la stessa Trevisan ha chiuso terza nei 500 metri da fermo. La cosa particolare è che sono ragazze al primo anno di categoria che vogliono investire su questa disciplina e che anzi mi hanno contattato loro per entrare nel gruppo. E’ chiaro che sono solo agli inizi, ma il fatto che siano le ragazze stesse a volerci provare, a chiedermi di farlo è un segno positivo e devo dire che lavorare insieme a Miriam Vece, sapendo che andrà alle Olimpiadi è un forte richiamo, perché sanno che potranno farlo anche loro un giorno, se ci credono e lavorano. Si sta innestando un circolo virtuoso, fra le donne come in campo maschile.

Appena tornato dalla Germania hai subito ripreso il lavoro a Montichiari con lo staff di Villa: che atmosfera hai trovato?

Delle migliori, l’approccio ideale verso i Giochi, con i ragazzi concentrati ma allo stesso tempo allegri, scherzosi. Sanno che non sarà per nulla facile rifare quanto avvenuto a Tokyo, ma le possibilità ci sono e questa volta anche per le donne. Io sono convinto che le medaglie sono alla portata, poi è la gara che decide tutto. Le ragazze soprattutto ci stupiranno: sappiamo tutti quel che hanno passato, in particolare la Balsamo, ma posso assicurare che in questi ultimi giorni sta lavorando a livelli superiori a quelli che ci aspettavamo. Villa intanto ha dato a tutti i propri ruoli in base alle caratteristiche, anche per le altre gare e tutte hanno accettato di buon grado le scelte.

Il velodromo di Cottbus è stato invaso di gente nei 6 giorni di gara (foto Uec)
Il velodromo di Cottbus è stato invaso di gente nei 6 giorni di gara (foto Uec)
E per la Vece?

Molto dipenderà dal tempo che farà nei 200 metri lanciati, ma io credo che nella velocità potrà entrare nelle prime 10, poi bisognerà vedere che abbinamenti troverà. Per il keirin sono molto ottimista, nelle sue corde c’è la possibilità di entrare in finale, lo ha già fatto due volte in Coppa del Mondo. Io sono fiducioso, anche perché quando sei in finale tutto è possibile, la storia delle Olimpiadi è piena di esiti contro ogni previsione…

Moro e il keirin: «E’ tutta questione d’istinto»

26.01.2024
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Delle 6 medaglie conquistate dall’Italia agli europei su pista di Apeldoorn, quella di Stefano Moro nel keirin è stata la più sorprendente e quella dal più alto significato storico. Mai l’Italia era infatti salita sul podio continentale nella specialità, considerata ancora relativamente nuova anche se è ormai da più edizioni nel programma olimpico. Il suo bronzo è un altro passo verso la rinascita del settore velocità, ma soprattutto è l’esplosione di un talento arrivato alla sua maturità dopo aver trovato tardi la disciplina più adatta per esprimersi.

Moro ammette che il primo a essere rimasto sorpreso è stato proprio lui: «Ero partito nel torneo, che si disputa nell’arco della stessa giornata – dice – con l’obiettivo di raggiungere le semifinali. Mai avrei pensato di cogliere addirittura il bronzo. E’ stato un crescendo, l’andamento della semifinale mi ha gasato, mi ha fatto partire in finale con la voglia quantomeno di provarci ed è andata come meglio non poteva».

Per Moro quella del keirin è stata la prima medaglia da quando è passato alla velocità
Per Moro quella del keirin è stata la prima medaglia da quando è passato alla velocità
Vedendo il tuo torneo, la sensazione è stata che con il passare delle prove tu abbia trovato la strategia giusta, come una sorta di combinazione utile per emergere…

Un po’ è vero, nel senso che in semifinale ho visto che quando è partito il polacco Rudyk, riuscivo a tenerlo. Così ho pensato che se in finale prendevo la sua ruota, potevo arrivare davanti perché è uno che va davvero forte, ma è ancora “fra gli umani”.

E Lavreysen?

Ecco, questa è la differenza, l’olandese non lo tieni, è talmente potente che quando parte ti lascia sul posto. Seguirlo sarebbe stato un suicidio. Ho battezzato la ruota giusta…

Che impressione ti ha fatto gareggiare con questi atleti con una posta così importante in palio?

Non mi sono posto troppi pensieri alla partenza, sarebbe stato controproducente. Al via siamo tutti uguali, partiamo dalla stessa linea, poi ci sono le differenze, ma ci si lavora. Voglio dire che chiaramente l’olandese in questo momento è ingiocabile, ma io credo che in futuro potremo lottare ad armi pari. Serve però tanto lavoro, tanto…

Il momento decisivo della sua finale, quando ha seguito l’attacco del polacco Rudyk, poi argento
Il momento decisivo della sua finale, quando ha seguito l’attacco del polacco Rudyk, poi argento
Quanto influisce il fisico?

E’ una componente. Chiaramente se si guarda noi della nazionale e gli olandesi, la differenza balza all’occhio. Ma noi abbiamo dalla nostra l’età, parlo soprattutto dei miei compagni del settore. Chi ha atleti dello stesso livello così giovani?

Il keirin è la specialità che più ti si addice fra quelle della velocità?

Direi proprio di sì, è più nelle mie corde. Ho iniziato ad affrontarla seriamente solo da pochissimi mesi, ma vedo che si adatta bene alle mie caratteristiche, si lavora sul lanciato. Nello sprint ci vogliono qualità da scattista che io, venendo dall’endurance, non ho. Il keirin è soprattutto istinto, se cominci a pensare a che cosa devi fare ti freghi da solo. Devi aspettarti di tutto, è come la roulette…

Quindi come lo si affronta?

Concentrandoti su te stesso, su quel che devi fare. E’ importante come ti muovi tu piuttosto che quello che fanno gli altri. Questo risultato mi ha fatto capire che la mia scelta era stata giusta e che devo continuare a interpretarlo così, acquisendo sempre più consapevolezza dei miei mezzi.

Nel 2020 Moro aveva colto l’argento nel quartetto e il bronzo nella madison con Lamon
Nel 2020 Moro aveva colto l’argento nel quartetto e il bronzo nella madison con Lamon
A livello strettamente matematico, con questo bronzo saresti ancora in corsa per un posto a Parigi…

Sì, ma è oltremodo complicato, anche perché non ho abbastanza punti. Ho fatto una sola gara di Nations Cup e sono caduto. La prossima tappa in Australia dovrò saltarla, spero di gareggiare nelle altre. E’ chiaro che finché la matematica non mi condanna, io ci proverò. Realisticamente però i miei obiettivi sono più lontani, intanto vorrei avere abbastanza punti per qualificarmi per i mondiali. Quello è un target più alla mia portata.

E Los Angeles 2028?

Certamente è più fattibile, ci sono 4 anni per continuare a migliorare. So che con il duro lavoro arriveranno i miglioramenti e quindi potrò anche arrivarci. Io però sono abituato a pormi obiettivi a breve termine, fare un passo alla volta. Per questo ora voglio pensare a entrare nei 24 che faranno i mondiali.

Tu fai parte del progetto Arvedi, ma il tuo manager Rabbaglio ha specificato come per te non siano previsti impegni su strada.

No, la mia attività è concentrata sulla pista. Su strada vado solo per allenamenti, ma la parte principale della preparazione si divide fra la palestra e la pista stessa. Oltretutto non c’è solo il keirin, i tecnici vogliono che continui a migliorare soprattutto nella partenza e nelle fasi di lancio per poter essere utile anche in ottica velocità a squadre. D’altronde come detto faccio quest’attività da ancora troppo poco tempo.

Per Moro decisiva è la spinta di Quaranta, che lo ha convinto a cambiare specialità
Per Moro decisiva è la spinta di Quaranta, che lo ha convinto a cambiare specialità
Come fai con gli allenamenti su pista? Montichiari non basterà…

Infatti mi alleno molto al velodromo di Dalmine che è davvero a pochissimi chilometri da casa, poi da poco è stato inaugurato anche l’impianto di Crema, quindi le possibilità non mancano.

Allargando il discorso, tu fai parte di un settore rilanciato da Quaranta solo un paio d’anni fa e lavori con ragazzi ancora più giovani di te. Come vedi il futuro?

Io sono molto ottimista. Dobbiamo dire grazie alla Federazione che ha investito su questo settore facendolo ripartire da zero, con un tecnico come Quaranta e la supervisione di Villa. Ma il mio bronzo ha tanti padri: vorrei ricordare le Fiamme Azzurre che mi permettono di fare quest’attività, con l’appoggio di Onori, Masotti e Buttarelli. Poi la famiglia e la mia fidanzata Martina, che mi sostengono e sacrificano tempo per me. Infine il mio preparatore atletico Nicola Nasatti. E’ una medaglia di gruppo, anche se a salire sul podio sono stato solo io…

Il tuo ottimismo su che cosa si basa?

Su un semplice ragionamento legato al mio excursus. Quando mi affacciai in nazionale, nel 2014, il quartetto dell’inseguimento era lontanissimo dai vertici e guardate che cosa ha ottenuto. Con gente come Predomo, Bianchi, Napolitano, Tugnolo e Minuta abbiamo un gruppo che può fare lo stesso percorso. Dateci solo qualche anno.

Venturelli, Giaimi e quel chilometro che fa la differenza

24.01.2024
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Un chilometro in più nel velodromo di Apeldoorn significavano quattro giri oltre il limite della fatica abituale, dato che l’anello olandese misura 250 metri spaccati. E’ questa la distanza in più che sono stati chiamati a percorrere Federica Venturelli e Luca Giaimi, convocati da Marco Villa per gli europei dei grandi.

Non si parla di due atleti qualsiasi, ancorché molto giovani. Venturelli infatti era campionessa del mondo in carica dell’inseguimento juniores (le donne corrono sulla distanza di 2 chilometri), con tanto di record del mondo stabilito a Cali lo scorso anno in 2’15″678. Giaimi invece il record del mondo lo ha fatto registrare ugualmente nel 2023 agli europei di Anadia (gli juniores corrono sulla distanza di 3 chilometri) con il tempo di 3’07″596.

Agli europei 2023, Giaimi ha fatto il record del mondo in semifinale e lo ha poi abbassato in finale: 3’07″596
Agli europei 2023, Giaimi ha fatto il record del mondo in semifinale e lo ha poi abbassato in finale: 3’07″596

Un chilometro in più

Fra gli elite cambia tutto: 3 chilometri di gara per le ragazze, 4 chilometri per i ragazzi. E sebbene avessero fatto prove in allenamento, per i nostri due atleti al primo anno fra gli U23 si è trattato di un battesimo da capire. A monte di tutto, ci era rimasta per la mente la considerazione di Diego Bragato, responsabile dell’Area Performance della FCI.

«Si tratta di atleti così forti – ci aveva detto alla vigilia degli europei di Apeldoorn – che hanno vinto i mondiali del quartetto e dell’inseguimento individuale, da risultare già maturi fisicamente. Abbiamo iniziato a inserirli nelle nuove distanze e abbiamo scoperto che si trovano meglio a fare l’inseguimento con un chilometro in più, piuttosto che con le distanze da juniores. Per come lavoriamo, usciamo sempre alla distanza e quindi quei 4 giri in più per Giaimi e soprattutto per Venturelli sono stati un vantaggio più che un limite».

Federica ha fatto qualche prova sui 3 chilometri durante le sessioni di allenamento a Montichiari
Federica ha fatto qualche prova sui 3 chilometri durante le sessioni di allenamento a Montichiari

A un passo dal podio

E loro come hanno commentato il nuovo sforzo sperimentato agli europei? Entrambi corrono nelle file della UAE e sono all’alba della stagione su strada, con Venturelli che dopo gli europei in pista si è concessa un passaggio nel cross alla Coppa del mondo di Benidorm, chiusa in 21ª posizione (6ª fra le U23), poi forse al mondiale.

«Fare un chilometro in più nell’inseguimento fa cambiare totalmente la gestione della gara – spiega Federica – perché la gara di 2 chilometri non è neanche un vero e proprio inseguimento. L’importante è partire forte, perché è più il tempo che si perde in partenza di quello che si può perdere nell’ultima parte, anche se si rallenta un po’. Passando invece a 3 chilometri, la gestione della gara deve essere totalmente opposta. E’ importante partire non troppo forte, perché al contrario è più il tempo che si può perdere nell’ultima parte se non si riesce a mantenere l’andatura.

Dopo gli europei, Venturelli ha partecipato al cross di Benidorm, piazzandosi come 6ª miglior U23
Dopo gli europei, Venturelli ha partecipato al cross di Benidorm, piazzandosi come 6ª miglior U23

Una gara di resistenza

«E’ una gara più di resistenza – prosegue Venturelli – che forse si addice meglio alle mie caratteristiche. Però sicuramente ho bisogno di fare esperienza sulla nuova distanza. In qualifica, in particolare, sono partita troppo forte. Avevo l’esperienza degli scorsi due anni di inseguimenti di 2 chilometri e non sono riuscita a reggere fino alla fine. Infatti già dopo i primi 2 chilometri ho iniziato a rallentare. In finale invece sono riuscita a gestirla meglio. Sono arrivata all’ultimo chilometro con ancora un po’ di energia, per cercare di aumentare o comunque di non calare come avevo fatto in qualifica. Quindi è andata decisamente meglio. Qualche prova in allenamento l’avevamo fatta, appena ho scoperto che agli europei avrei fatto l’inseguimento».

Venturelli ha chiuso il suo primo inseguimento fra le elite al quarto posto, con il tempo di 3’27″475 (meno di 5″ dal podio): con 1’12” circa di gara più del suo miglior tempo da junior. Ha spinto il 60X15, sviluppo di 8,544 metri, come dire che per compiere il terzo chilometro di gara ha dovuto compiere 117 pedalate in più.

Giaimi ha fatto il suo esordio tra i grandi agli europei, finendo 12° nell’inseguimento
Giaimi ha fatto il suo esordio tra i grandi agli europei, finendo 12° nell’inseguimento

Tattica e condizione

Gli europei di Giami nell’inseguimento individuale si sono chiusi al dodicesimo posto con il tempo di 4’17″379, 1’10” circa per compiere quel chilometro in più: pressoché in linea con la prestazione della collega d’azzurro.

«Il chilometro in più – spiega il ligure – fa tanto la differenza soprattutto sulla gestione dello sforzo. In 3 chilometri ti puoi ancora permettere di partire forte senza avere un calo troppo gravoso nel finale. Sui 4 chilometri è tutto diverso. Bisogna partire con le giuste accortezze, senza forzare troppo. Altrimenti finisce come ho fatto io, che nell’ultimo chilometro ho avuto un calo drastico. L’ideale, da quanto ho appreso in questa mia prima gara, è che per riuscire al meglio bisogna fare una progressione per arrivare agli ultimi giri ancora con gambe e saltare anche l’ultimo chilometro.

Giaimi, come pure Venturelli, dice la sua anche nelle crono: qui all’europeo (che la cremonese ha conquistato)
Giaimi, come pure Venturelli, dice la sua anche nelle crono: qui all’europeo (che la cremonese ha conquistato)

Obiettivo 4’10”

«In allenamento – prosegue Giaimi – mi è capitato di provarlo ed ero alla ricerca della giusta sensibilità, che però purtroppo non ho ancora trovato. Sicuramente provando più volte e con le giuste accortezze, si migliora già di tanto. Tralasciando la condizione fisica, che a gennaio e da primo anno U23, era buona ma non ottimale come altri specialisti della pista. Il mio obiettivo di quest’anno sarebbe arrivare a un 4’10”, ma ci vorranno altre prove, accorgimenti su posizione e materiali, oltre a una condizione fisica ottimale che arriverà sicuramente con il proseguire della stagione».

Giaimi ha corso con il 60×14, sviluppo di 9,154 metri, questo significa che per percorrere il chilometro di differenza ha dovuto compiere 109 pedalate in più.

Come già scritto in un precedente editoriale, la WorldTour della pista azzurra sta lavorando con grande verticalità e notevole efficienza. Non ci stupiremmo affatto se Federica Venturelli di questo passo si ritrovasse, giovane e spaesata, nel trenino azzurro del quartetto alle Olimpiadi di Parigi.

Fiorin, l’europeo tra i grandi con rimpianti e voglia di fare

24.01.2024
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Nella spedizione italiana agli europei su pista di Apeldoorn c’era anche Matteo Fiorin, che ha partecipato allo scratch. Una presenza che, a prescindere dal risultato, ha avuto un certo peso specifico perché parliamo di un corridore appena approdato alla categoria U23. Appena approdato alla MBH Bank-Colpack-Ballan, il corridore di Desio ha vissuto quest’esperienza quasi come un regalo di Natale fuori tempo.

«E’ stata una settimana davvero diversa dalle altre – racconta Fiorin – un’esperienza particolare e che mi ha lasciato tanto. Mai lo scorso anno avrei pensato d’iniziare così il 2024, ma con tanti azzurri impossibilitati a partecipare perché in Australia, si è aperta una porta anche per me».

Per Fiorin la presenza ad Apeldoorn è stata una sorpresa, ma è parte del suo futuro su pista, anche per il quartetto
Per Fiorin la presenza ad Apeldoorn è stata una sorpresa, ma è parte del suo futuro su pista, anche per il quartetto
Come sei arrivato ad Apeldoorn?

L’avvicinamento non è stato dei migliori, prima di Natale ho avuto problemi di salute che mi hanno costretto a qualche giorno di stop. Nelle due settimane precedenti la rassegna continentale ho lavorato bene, ma la forma raggiunta non era quella ottimale. Comunque ero pronto per fare la mia figura.

Che impressione ti ha fatto gareggiare fra i grandi?

Inizialmente non nego di aver sentito un po’ la pressione, ero in mezzo a tutti quei corridori che normalmente guardavo in televisione. Poi ho cercato di concentrarmi su me stesso, sulla gara e non ci ho più pensato. In fin dei conti, sono sempre avversari, come quelli che affrontavo prima, da junior.

Il lombardo nello scratch ha chiuso al 15° posto perdendo l’attimo della fuga decisiva
Il lombardo nello scratch ha chiuso al 15° posto perdendo l’attimo della fuga decisiva
La gara com’è stata?

Particolare, diversa da come pensavo sarebbe andata e da come solitamente si svolgono gli scratch. Normalmente i primi giri sono di assestamento, si sta alla corda e si prende velocità, invece sin dall’inizio non c’è mai stato ritmo costante, si sono subito susseguiti gli scatti. A metà corsa c’è stata l’azione decisiva e il gruppo si è praticamente spezzato in due, io non sono stato reattivo in quel momento per attaccarmi al treno giusto e la cosa era possibile. Per questo ho chiuso con molti rimpianti.

Con che ambizioni eri partito?

A dispetto della mia giovane età, volevo giocarmi le mie carte. Tra l’altro prima della partenza Villa mi aveva suggerito di mettere un rapporto 63-64×16, ma io ho optato di comune accordo per il 66×16 proprio perché volevo giocarmi le mie carte allo sprint, anche considerando i rapporti che usavo l’anno scorso. Una scelta che alla fine si è rivelata vana.

Con Fiorin, Boscaro, Bianchi e Napolitano la Colpack era il team più rappresentato a Apeldoorn
Con Boscaro, Bianchi, Fiorin e Napolitano la Colpack era il team più rappresentato a Apeldoorn
Che cosa ti ha detto Villa dopo la gara?

Io ero molto abbattuto, lui prima della corsa mi aveva detto di stare tranquillo, che comunque fosse andata sarebbe stata esperienza da mettere da parte. Alla fine mi ha consolato ribadendo che ero lì per imparare, poi abbiamo analizzato la gara per capire dove avevo sbagliato. Corse del genere servono a questo.

Lo scratch è tra le tue discipline preferite?

Non direi, anche come è andata la gara di Apeldoorn conferma che per certi versi è un terno al lotto, devi essere anche fortunato per poter emergere. Preferisco una gara come l’eliminazione, dove si deve sfruttare la strategia e soprattutto emergono i veri valori.

Con Sierra nella vittoriosa prova internazionale di madison a Gand, la prima di una bella serie
Con Sierra nella vittoriosa prova internazionale di madison a Gand, la prima di una bella serie
Molti successi li hai però ottenuti nella madison, dove con Sierra hai mostrato di avere notevole amalgama, qualità che Villa ritiene appartenere a poche coppie…

Con David ci conosciamo fin quasi da bambini. Ci siamo poi ritrovati insieme in nazionale e Salvoldi ci ha unito. Abbiamo subito trovato il feeling giusto, alla prima gara internazionale a Gand abbiamo subito vinto… Ci siamo presi belle soddisfazioni perché siamo un connubio perfetto, che compendia diverse caratteristiche sia personali che ciclistiche, ma in bici siamo entrambi “cattivi”, io più veloce e lui più resistente. Noi vogliamo andare avanti insieme, questo è sicuro.

A che punto sei ora?

Direi buono, stiamo affrontando il primo ritiro con la Colpack per affrontare a fine mese le prime gare della stagione. La prima parte sarà un po’ a singhiozzo anche perché ho la maturità che mi aspetta, infatti credo che salterò le prove di Nations Cup anche perché ho solo i punti per partecipare allo scratch.

Per Fiorin quest’anno ci sono grandi ambizioni anche su strada, come sprinter e non solo
Per Fiorin quest’anno ci sono grandi ambizioni anche su strada, come sprinter e non solo
Su strada sei considerato uno sprinter puro, ma questa etichetta ti sta bene?

Fino a un certo punto. Sicuramente lo sprint è la mia caratteristica migliore, ma voglio dimostrare di saper temere anche sugli strappi brevi. Cambiando categoria cambiano la preparazione e anche le gare, saranno più lunghe e complesse. Mi dovrò abituare, ma con l’allenamento e la dedizione voglio arrivarci, voglio far vedere che posso essere un velocista più complesso.

Considerando anche gli impegni scolastici, che cosa ti proponi?

In questo primo anno di aiutare i compagni in primis, di entrare appieno nel gruppo, ma se capita l’occasione giusta non mi tirerò certo indietro…

La Bolide di Bianchi all’europeo? La vediamo con Guardini

17.01.2024
4 min
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Matteo Bianchi è nella storia e così anche la sua Bolide. Il primo italiano nella storia a vincere il titolo Europeo nel chilometro da fermo e anche Pinarello si fregia del titolo continentale.

Con Andrea Guardini entriamo nel dettaglio della bici del neo campione Europeo e cerchiamo di analizzare scelte e dettagli.

Vedremo Guardini anche con la casacca dell’Assistenza Tecnica Neutrale Shimano
Vedremo Guardini anche con la casacca dell’Assistenza Tecnica Neutrale Shimano
Come hai vissuto la trasferta europea?

Non ero la con la nazionale, ma è stato bello vedere vincere Matteo. Anche il podio di Moro mi ha emozionato parecchio. Io davanti alla tv a fremere, ma come se fossi stato là nel parterre… Che bello.

Eri a casa da spettatore?

In questa occasione sì. Dicembre e i primi giorni di gennaio mi hanno permesso di organizzare al meglio l’entrata ufficiale nel Servizio di Assistenza Tecnica Neutrale Shimano.

Sei in rampa di lancio, la tua passione per la bici e la meccanica vengono fuori!

Sì, è la mia passione. Una bella avventura, stimolante, motivante, mi voglio mettere in gioco e questa è una grande occasione. Ma la nazionale, inclusa la compagine paralimpica non le voglio sacrificare, per me vuol dire molto anche a livello umano.

Le protesi “orizzontali” non esistono più (foto UEC)
Le protesi “orizzontali” non esistono più (foto UEC)
Torniamo alla vittoria di Bianchi all’Europeo. La sua Pinarello Bolide ha qualcosa di particolare?

Nulla di particolare, diciamo pure che la bicicletta di Matteo fa parte del progetto Tokyo 2021.

Come era stata montata?

Il kit telaio è Pinarello Bolide, una taglia large. Il movimento centrale ha le calotte esterne. Le ruote sono le due lenticolari Campagnolo per i tubolari. Gli pneumatici sono i tubolari Vittoria Pista Oro con sezione da 23. Il manubrio è un progetto Aerocoach con le misure adatte per Bianchi. Ormai è una delle poche sezioni della bici che si possono modificare, ovviamente per rendere il mezzo adatto alle specifiche fisiche del corridore.

Rapporti?

Bianchi ha usato una combinazione 59×14. Le corone sono Miche in alluminio, così come le pedivelle. Il perno passante della guarnitura è di 24 millimetri. E’ stato montato il misuratore di potenza, SRM.

Bianchi ha un setting aggressivo, ma non estremo (foto UEC)
Bianchi ha un setting aggressivo, ma non estremo (foto UEC)
A quale pressione vengono gonfiati i tubolari?

Si utilizza un range di pressione compreso tra le 15 e 17 atmosfere, con l’ultimo controllo effettuato circa 20 minuti prima dello start.

Anche in pista c’è la tendenza di scaricare la sella tutta in avanti?

Sì, anche in pista come su strada la tendenza è quella di caricare il peso del corridore in avanti e molto sul piantone. Questo porta ad un avanzamento importante della sella. Con Matteo siamo al limite UCI, previsto a 5. Anche in pista ritroviamo gli attacchi più lunghi, soprattutto se facciamo un confronto con il passato.

Quanto pesa una bici come questa?

Circa 7,5/7,8 chilogrammi. Una grande variabile è legata all’utilizzo delle appendici.

La Bolide di Ganna datata 2021
La Bolide di Ganna datata 2021
E’ lecito dire che le Pinarello Bolide della Nazionale di oggi ruotano attorno attorno al progetto della bici di Ganna?

Sicuramente sì, un progetto evoluto che arriva dalle Bolide di Ganna, con le dovute personalizzazioni. Ma è necessaria una precisazione. La Pinarello Bolide di Bianchi è quella con la forcella grande e gli steli più voluminosi a differenza di quella usata dagli inseguitori che hanno la versione con i foderi più sottili.

Quanto tempo serve per mettere un coriddore su una bici da pista?

Non c’è una sola risposta, nel senso che oltre agli studi, l’ultima parola l’ha il corridore. E’ lui che deve stare sulla bici e fare la prestazione. Le sensazioni che trasmette agli staff e il suo feeling giocano un ruolo fondamentale ancora oggi, dove la tecnologia è entrata ovunque.

Pacchetto Miche e power meter SRM, la catena è specifica per la pista e rinforzata
Pacchetto Miche e power meter SRM, la catena è specifica per la pista e rinforzata
Il picco di watt di Bianchi?

Intorno ai 1.800 watt, 1.850 in partenza, ma per un atleta come lui è importante il wattaggio medio sul chilometro, che si attesta intorno agli 850 watt.

Atleti del genere mettono a dura prova bici e componenti in genere?

Eccome, ma i materiali usati oggi sono molto differenti da quelli usati anni addietro, direi migliori per efficienza e capacità di sostenere le performance. I corridori esprimono potenze da fenomeni. Poi ci siamo noi meccanici che dobbiamo utilizzare delle accortezze e attenzioni particolari. Tutto deve funzionare alla perfezione, non ci devono essere margini di errore e la cura al dettaglio è diventata maniacale.

L’oro di Bianchi, gigante buono, lancia la rincorsa a Parigi

12.01.2024
6 min
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Matteo Bianchi è stato il primo italiano nella storia del ciclismo a vincere il titolo europeo nel Chilometro da fermo. Considerando che il settore velocità azzurro era da anni sott’acqua e che solo di recente, con l’intuizione di Villa di coinvolgere Quaranta, ha ripreso vigore, il segnale è notevole a prescindere dalla medaglia che da ieri sera risplende al collo dell’atleta bolzanino. La rincorsa è nel pieno, i progressi sono tangibili e, andando ad approfondire, anche nelle prove veloci ormai è tutto un fatto di tattica e tecnica, calcoli e proiezioni. Lo è sempre stato, ma dominare la materia fa sì che anche l’Italia sia ormai degna di un posto al tavolo dei grandi.

Quaranta ha la voce delle feste più belle, come quando batteva Cipollini al Giro d’Italia. Come quando, poco più giovane di Bianchi, vinse il mondiale juniores della velocità.

«Intendiamoci – dice – si è parlato tanto, quando questi ragazzi avevano solo bisogno di riferimenti. Il DNA dell’uomo italiano è ancora veloce, io vengo dalla velocità, certe cose non cambiano. Bisognava solo rimboccarsi le maniche. I complimenti vanno fatti agli atleti, io al massimo li ho ispirati, ma la fatica sulla bici la fanno loro».

Alle spalle di Bianchi sul podio, l’olandese Kool e il francese Landerneau
Alle spalle di Bianchi sul podio, l’olandese Kool e il francese Landerneau
Andiamo con ordine: che differenza c’è fra sapere di meritare una medaglia e vincerla?

Una grossa differenza. A volte i sogni si avverano. Abbiamo messo insieme un bel gruppo, in cui ognuno sta diventando forte per le sue caratteristiche. Bianchi, certo, ma anche Napolitano, Predomo e gli altri. Già prima della qualifica, sapevamo di poter prendere una medaglia, Matteo era già arrivato secondo a Monaco. L’assenza di Hoogland aveva liberato un posto sul podio. Poi è venuto il miglior tempo in qualifica, ma quello è indicativo fino a un certo punto.

In che senso?

Nel senso che si usano rapporti diversi, non si spinge a tutta. Da quando il Chilometro si disputa su due prove, vince chi recupera meglio. Se fai subito un tempone e poi te lo trovi nelle gambe, non ti serve a niente. Sanno tutti che la prima prova viene meglio, anche se sei più agile. Forse se Mattia avesse usato un dente in meno, avrebbe potuto fare il record italiano, però magari l’avrebbe pagata nella seconda prova. La medaglia la vince chi peggiora meno: sembra strano da dirsi, ma funziona così.

Come ha passato il tempo fra la prima e la seconda prova?

L’ho visto tranquillo, sapeva di essere fra quelli che se la giocavano, ma non credevamo di vincere. Era già arrivato secondo dietro Landerneau, il francese che ha preso il bronzo. E poi c’èra Kool, l’olandese che correva in casa. Cosa ne sai se mette sotto il padellone e spara un tempo mondiale? Noi sapevamo che Bianchi è migliorato molto. In questo mondo di numeri, sapevamo che ce la saremmo giocata. Per cui non è voluto tornare in hotel e ha messo in atto il protocollo di defaticamento e recupero che abbiamo studiato. E’ stato anche dall’osteopata, poi ha atteso sul pullman.

Adesso si deve ragionare sulla velocità olimpica, che non è solo la somma di tre velocisti…

No, è molto più complessa. Per un tecnico è la specialità più difficile. Ci sono tre corridori diversi con tre rapporti diversi. Se il primo è troppo agile, mette in crisi il secondo, che a sua volta mette in crisi il terzo. Siamo arrivati a meno di 30 centesimi dai tedeschi, che girano da due anni su questi tempi, mentre noi gli abbiamo guadagnato terreno in continuazione. Peccato che non abbia funzionato bene il cambio fra Bianchi e Predomo, perché avremmo potuto limare 10 centesimi. Ma sono giovani, gli altri girano così forte da anni…

Cosa si può fare per puntare alla qualifica olimpica?

Io voglio sempre vincere, ma va bene così. Dobbiamo lavorare sul nostro tempo, sapendo che il gap non è più altissimo come tre anni fa. Fra qualche anno con questi ragazzi parleremo di medaglie fra gli elite, ma teniamo conto che abbiamo cominciato il ciclo olimpico con Predomo che era ancora junior. C’è una cosa che mi scoccia, che tutti i più forti sono in Europa e quindi col nostro tempo rischiamo di stare fuori. Mentre per la Cina basta a vincere nel circuito Asiatico e al Canada per qualificarsi in quello americano. Ma la nostra rincorsa resta entusiasmante.

Come si fa per qualificarsi?

Con i ragazzi restano le quattro prove di Coppa, mentre Miriam Vece è qualificata al 99 per cento. Le prime due prove di Coppa, sin dalla prossima in Australia, avranno un livello pazzesco. Nelle ultime due, soprattutto a Milton, andranno a giocarsela quelli che devono qualificarsi. E con loro non ci sono storie: dobbiamo vincere. Bisognerà fare 43.200-43.300. Ci stiamo avvicinando, lavorando sulla preparazione e sui materiali. Non so come finirà per Parigi, ma se devo essere eliminato, spero di non finire 15°, ma di essere il primo fra gli esclusi. Almeno ci darebbe una motivazione in più per puntare alla prossima volta. Ora si festeggia, domenica si parte per l’Australia: questo sarà un anno ad altissima tensione.

Europei pista, azzurri all’80 per cento. Parla coach Bragato

11.01.2024
6 min
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Il mare non è lontano e nemmeno il confine con la Germania. Fuori dalla Omnisport Arena di Apeldoorn il vento è gelido, ma non c’è l’umidità che in Italia renderebbe la temperatura impossibile da sopportare. Diego Bragato ha appena concluso un’altra sessione di allenamento in pista con gli azzurri e racconta che, quando a breve andrà verso l’hotel, fare quei pochi passi non sarà poi così drammatico.

Per il responsabile del settore performance della Federazione è iniziato l’anno più importante, quello per cui sinora si è lavorato, progettato, programmato: l’anno delle Olimpiadi di Parigi 2024. I campionati europei su pista sono il primo passo, anche se le grandi manovre sono riprese ufficialmente con il ritiro di Noto e sono andate avanti per tutto il periodo delle Feste

Europei a gennaio, come avete gestito l’avvicinamento?

Abbiamo lasciato che ragazzi e ragazze staccassero, perché la stagione 2023 è stata lunghissima. Con alcuni abbiamo fatto un primo periodo a Calpe, mentre altri erano in zona con le squadre e per questo ci siamo fatti vedere nei loro ritiri, per trovarci, programmare e parlare. Quindi abbiamo fatto due blocchi in pista: poco prima di Natale, fino al 23 dicembre, e poi dal 27 al 31, dove abbiamo cominciato a mettere insieme i vari pezzi.

In che modo hanno lavorato i ragazzi e le ragazze che erano con le squadre, perché la preparazione su strada fosse funzionale alla pista?

Ormai si inseriscono lavori specifici anche nei primi ritiri. Una parte di intensità non per forza in funzione pista, ma a quello abbiamo provveduto noi a Montichiari. Quello che ci premeva era che ci fosse lavoro in palestra, dall’inizio del programma e in maniera abbastanza decisa. Avevamo bisogno che quei volumi ci fossero e per questo ho seguito personalmente i ragazzi e le ragazze.

Si è trattato di uno strappo richiesto alle squadre oppure la palestra fa parte anche della loro routine?

In realtà tutte le squadre si stanno allineando su questi aspetti, anche se noi chiediamo qualcosa in più. Più che altro, nell’affrontare i lavori di intensità, abbiamo tenuto in considerazione il periodo dell’anno. Non potevamo fare i soliti volumi, non avendo il fondo delle gare, quindi li abbiamo ridotti prevedendo tempi di recupero adeguati.

La sensazione di Bragato era azzeccata: azzurre oro nel quartetto con Fidanza, Paternoster, Balsamo e Guazzini
La sensazione di Bragato era azzeccata: azzurre oro nel quartetto con Fidanza, Paternoster, Balsamo e Guazzini
Questo inciderà sulle prestazioni degli azzurri qui agli europei?

Ne risentiranno di sicuro, non abbiamo atleti al top ed è normale che sia così. Siamo intorno a un 80 per cento e misurarci con gli altri ci permetterà di raccogliere delle utili informazioni. Le nazionali che invece non devono programmare una stagione su strada fatta di Sanremo, Roubaix e Giro d’Italia e possono preparare solo eventi su pista, si troveranno avvantaggiate. Parlo dei danesi e altre squadre che non hanno un calendario su strada come Ganna, Milan oppure Balsamo e Guazzini, Paternoster e Consonni, fratello e sorella. Noi dobbiamo per forza mettere assieme strada e pista, quindi sappiamo cosa abbiamo fatto e vediamo quanto vale in gara.

La Francia a dicembre era già sul Teide…

Secondo me hanno fatto un blocco di lavoro importante, anche perché fino a domenica scorsa hanno avuto i campionati nazionali e ho visto prestazioni interessanti. Secondo me sono arrivati qui forti, probabilmente per costruire un primo picco e averne poi un altro per le Olimpiadi.

Dopo i mondiali si è dovuto mettere il punto sulla partecipazione delle ragazze ai vari stage di allenamento.

Il passo falso di Glasgow è servito a noi per aggiustare il tiro e a loro per capire a che punto fossero e dove possiamo andare. Ora c’è tutto un altro clima, sin dall’inizio della stagione e si è visto (le ragazze proprio stasera hanno vinto l’oro nel quartetto battendo la Gran Bretagna, ndr).

Viviani, Ganna e Moro sono in Australia e faranno la prima prova di Nations Cup: avrebbe fatto comodo averli qui agli europei?

Fare una corsa a tappe su quei percorsi, seguita da una da un full immersion in pista è un buonissimo lavoro. Mi dispiace non aver messo assieme qui i 5-6 Probabili Olimpici, come invece abbiamo fatto con le ragazze, però nel giro di un mese riusciamo a vedere quasi tutti sul campo, quindi va bene così.

Ad Apeldoorn ci sono anche i velocisti di Ivan Quaranta, il cui percorso di preparazione è a se stante
Ad Apeldoorn ci sono anche i velocisti di Ivan Quaranta, il cui percorso di preparazione è a se stante
Successivi momenti di verifica ci saranno nelle varie prove di Nations Cup?

Purtroppo le Coppe sono nel periodo delle classiche, quindi sarà difficile. Con le ragazze riusciremo a fare bene l’ultima prova a Milton, con i ragazzi invece no, perché tra il Belgio e la preparazione del Giro non si riuscirà a prevedere trasferte con il gruppo unito. Lavoreremo a Montichiari, con ritiri in altura e tutto quello che abbiamo programmato da Milton fino alle Olimpiadi. In ogni caso per tutti resta la necessità di mantenere la palestra: è troppo importante visti gli standard cui puntiamo.

A margine di tutto c’è il lavoro sui materiali, che compete anche a te, giusto?

Allo staff performance, esatto. Insieme a Pinarello, abbiamo fatto un gran bel lavoro di test sulle bici. Loro ci hanno proposto delle soluzioni e noi abbiamo scelto. Idem con Vittoria per le gomme, stiamo collaborando per capire quale sia l’assetto migliore per pressioni e scelta fra tubolari o tubeless. Si valuta soprattutto la scorrevolezza, che varia a seconda delle specialità. 

Quanto conta la sensazione dell’atleta da questo punto di vista?

Tantissimo, il feeling è fondamentale. Certe volte arriviamo a delle situazioni in cui dal punto di vista numerico le differenze sono minime ed è il loro feedback che guida la scelta. E dirò di più, se anche non partiamo dai numeri ma dalle loro sensazioni, una volta che si fanno i test scientifici, si scopre che i numeri confermano i feedback degli atleti. 

Tubeless o tubolari?

La teoria è la stessa che si usa su strada, ma qui ci sono masse, velocità e un terreno completamente diverso, quindi serve qualcosa che nasca appositamente per la pista. Stiamo ancora valutando, ma qui usiamo i tubolari, anche perché le ruote e i telai che abbiamo non permettono ancora il tubeless. E comunque sono test che si fanno in allenamento e non in gara.

Quindi ad Apeldoorn non si usano le bici nuove?

Manca una settimana circa perché ci arrivino tutte. Derivano dalla bici del record di Ganna, ma non posso dire altro perché Pinarello ci tiene a uscire con una sua comunicazione. Però i ragazzi hanno apprezzato molto la novità. Abbiamo fatto delle prove con gli accelerometri per vedere come si comporti il telaio in ogni situazione e siamo molto contenti. Telai e anche nuovi manubri: cambia tutto.

Guarniture ancora Miche?

Esatto, senza variazioni di lunghezza della leva, come invece so che accade su strada. Abbiamo lasciato la scelta alla sensazione dell’atleta, supportato anche dei dati della galleria del vento, ma tutti su questo fronte hanno confermato la loro scelta.

Venturelli è diventata grande. Si parte subito con gli europei

09.01.2024
6 min
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L’Università a Brescia. L’ingresso nel mondo delle pro’ poche settimane fa in ritiro in Spagna. Il suo primo evento ufficiale da domani in Olanda agli europei su pista. Tutto il resto più avanti. E’ diventata grande Federica Venturelli, che ha iniziato il 2024 subito calata perfettamente nella parte (in apertura foto K13/Luis Solana).

E questa settimana non si farà mancare nulla. Il fiato lo userà non solo per pedalare, ma anche per soffiare sulle candeline della torta di compleanno. La cremonese della UAE Development Team festeggerà i 19 anni venerdì nel velodromo di Apeldoorn, prima di potersi concentrare a fondo sulla disciplina che le ha assegnato il cittì Villa. Domenica 14 gennaio correrà l’inseguimento individuale, in cui è già stata campionessa continentale e mondiale in entrambe le stagioni da junior. Fra un impegno e l’altro, siamo riusciti a sentire Venturelli, ormai navigata negli incastri del suo personale “tetris”e sempre brava a spiegare tutto quello che fa.

Federica, nemmeno il tempo di realizzare di essere passata elite, che c’è già una corsa importante che ti attende.

Proprio così, anche se inizialmente non ero sicura di farli, non era nei programmi. Lo abbiamo deciso circa un mese fa. Quando sono rientrata dal ritiro con la squadra, sono andata a Montichiari per lavorare con le altre ragazze. Ho cercato di affinare la condizione ed anche l’intesa con le compagne nelle prove di quartetto, che però non farò.

Cosa ti aspetti da quella prova?

Intanto parto sapendo che sarà più lunga e più difficile da gestire. Da junior l’inseguimento individuale è di due chilometri, mentre da elite sono tre, quindi mezza gara in più da fare. Per me sarà un tipo nuovo di sforzo. Non se ne parla di medaglie o piazzamenti (sorride, ndr). L’obiettivo al momento è fare esperienza e cercare di realizzare una buona prestazione. Sono migliorata anche nella cosiddetta ansia da prestazione, perché ho capito che la gara è il solo momento in cui si mette in pratica il lavoro degli allenamenti. Credo di essermi preparata bene, pertanto sono serena e tesa il giusto. Sicuramente essere già agli europei elite nell’anno olimpico è un motivo di grande orgoglio per me. Poi ovvio che spero di andare forte e superare le qualificazioni per le fasi successive.

Agli europei di Apeldoorn Venturelli disputerà l’inseguimento individuale, dove da junior è stata campionessa continentale e mondiale
Agli europei di Apeldoorn Venturelli disputerà l’inseguimento individuale, dove da junior è stata campionessa continentale e mondiale
Come ti sei trovata col gruppo azzurro delle grandi?

Benissimo (risponde raggiante, ndr). Sono molto contenta di come mi hanno accolta. Pensavo che avrei fatto più fatica, invece si vede subito che è un gruppo affiatato. Con Chiara (Consonni, ndr) c’era un briciolo di confidenza in più perché eravamo assieme al ritiro della UAE, però tutte le ragazze mi hanno dato consigli.

Ecco, il training camp in Spagna con il tuo nuovo club invece com’è andato?

Molto bene anche quello. Sia la prima squadra che noi del devo team eravamo nello stesso hotel. Facevamo chiaramente allenamenti separati, ma per le riunioni e le cene eravamo assieme. Anzi a tavola ci siamo sempre sedute mischiate per favorire la conoscenza fra tutte. Lì abbiamo avuto modo di confrontarci con le atlete più esperte ed è un aspetto importante per potersi migliorare.

Tra le ragazze della prima squadra con chi ti sei rapportata maggiormente?

Come dicevo prima per Consonni, conoscevo già bene Silvia (Persico, ndr) per il ciclocross. Lei è sempre stata un mio riferimento, anche per il salto di qualità che ha fatto negli ultimi anni. Devo dire però che mi hanno colpito molto Bertizzolo e Magnaldi per la loro forte personalità. Quando mi ricapiterà l’occasione, vorrei approfondire la conoscenza con loro per avere i loro punti di vista.

Altri particolari?

Tutte le ragazze sono molto precise nell’alimentazione. Ho capito che una buona prestazione passa da qui. Nel complesso ho notato subito una grande cura dei dettagli, della grande organizzazione che c’è dietro e degli allenamenti più intensi. E poi mi ha fatto una buona impressione l’essere state valutate dalla fisioterapista della squadra. Non mi era mai capitato prima di avere uno screening di questo genere. Lo reputo molto interessante.

Il programma gare di Federica Venturelli cosa prevede?

L’agenda è fitta, contando anche l’Università dove ho l’obbligo di frequenza (è iscritta alla facoltà di Farmacia a Brescia, ndr). Lo studio non potevo lasciarlo perché mi piace e mi serve, ma a dire il vero non ho idea di come farò per conciliare tutto (sorride, ndr). Battute a parte, farò il calendario del devo team, ma potrebbero esserci anche le gare con la nazionale. Sia in Nations Cup su pista sia su strada con le U23. So che ci verrà data l’occasione di correre anche col team WorldTour, ma non saprei quando tra tutti questi impegni. Infine ci sarebbe ancora il ciclocross. C’è un’ipotesi-mondiale, sempre che arrivi la convocazione, ma prima ci sarebbe anche la prova di Coppa del mondo a Benidorm a metà gennaio.

Campionessa in bici e a scuola. Ad ottobre Venturelli ha ricevuto l’onoreficenza di “Alfiere del Lavoro” da Mattarella
Campionessa in bici e a scuola. Ad ottobre Venturelli ha ricevuto l’onoreficenza di “Alfiere del Lavoro” da Mattarella
Ti sei posta degli obiettivi per questa stagione?

Premetto che la scelta di andare in un devo team è dovuta proprio anche per prendere meglio coscienza dell’impegno tra studio e ciclismo. Arrivando dalla categoria juniores, sapevo che erano due mondi totalmente differenti e l’ho visto subito. Fino all’anno scorso ero un’atleta che su strada faceva un po’ tutto, quest’anno invece non credo. Ad esempio farò gare a tappe più lunghe di quelle di due-tre giorni da junior. Avrò modo di capire quali sono i miei limiti ovunque. D’altronde sono una ragazza a cui non piace stare con le mani in mano…