Vincenzo Nibali sta guidando. Provando a seguire i puntini dei suoi tragitti, si capisce perfettamente che il siciliano sia davvero a tutta. Gli ultimi tempi poi sono particolarmente convulsi, fra il Giro d’Italia che inizia, i 100 giorni alla partenza del Tour, varie inaugurazioni e probabilmente la prima del docufilm sui suoi inizi, girato a Messina fra gli amici della sua infanzia.
Al Giro con Vegni
Il Giro d’Italia di quest’anno si deciderà o probabilmente appenderà il cartello fine sulla salita che per lui fu l’inizio: il Monte Grappa. Scollinò per primo e si lanciò come una furia nella discesa verso Asolo. Era il 2010, il Giro doveva ancora affrontare lo Zoncolan e il Mortirolo, ma per Vincenzo arrivò la prima vittoria di tappa. Ed è così che dopo qualche passo nel presente, è semplice e fantastico scivolare nel passato, ricordando quel ragazzo di 25 anni, che si affacciava sulla porta dei grandi e ne reggeva lo sguardo e il passo.
«Vediamo un po’ cosa combina Pogacar al Giro – dice – i primi giorni non sono proprio robetta semplice. Bisogna essere belli pronti e poi avere una condizione da portare avanti sino alla fine. Io vi seguirò a puntate. Ho rinnovato la collaborazione con RCS, per cui in alcune occasioni sarò accanto a Vegni e anche ad altri. Il ruolo di direttore di Mauro è molto importante e forse per certi versi sottovalutato da chi è fuori. Ho avuto modo di seguire qualche tappa con lui e ti rendi conto del lavoro che c’è. Il suo e di tutto il gruppo che lavora per la sicurezza. La prima volta che l’ho visto, ho ammesso che non mi aspettavo ci fosse dietro tanto impegno.
«L’atleta pensa a correre e vincere, di tutto il resto non ha un’idea. Ho proposto di fare una riunione solo con i corridori, per spiegare come si muovono le staffette. Si potrebbe fare quando vengono per la presentazione delle squadre. Magari perdi un’ora in più, però a livello di sicurezza gli daresti delle informazioni molto preziose. Sono andato in auto con Longo Borghini a vedere i primi pezzi della strada, a mettere a posto dettagli in apparenza banali: le strisce, le transenne, i cartelli. A segnare cose che magari durante le prime ricognizioni non erano state annotate e che si vedono meglio quando la strada è chiusa e senza macchine. Oppure i finali d’arrivo più pericolosi».
A proposito di finali ad alta tensione, si torna sul Monte Grappa e alla picchiata su Bassano del Grappa. Tu arrivasti più avanti, ad Asolo, ma il versante è lo stesso…
La mia prima vittoria al Giro d’Italia. Era una tappa che puntavo. Il giorno prima, anche a tavola, l’avevo dichiarata. Ridendo e scherzando, dissi a Ivan: «Domani, quando si scollina lassù in cima, in discesa scansati perché attacco!». Un po’ se la prese, non era spiritoso al riguardo, ma devo essere sincero al di là delle battute: mi diede una bella mano a vincere quella tappa. Ero un giovane che voleva mettere subito “i puntini sulle i”, ma da lui ho appreso molto.
Era il famoso Giro della fuga dell’Aquila, per cui vi toccò tirare ogni santo giorno…
Ero andato forte in quel Giro d’Italia. Sostanzialmente avevo fatto lo stesso percorso di avvicinamento di Ivan Basso, con l’eccezione del Romandia. Non dovevo farlo il Giro, toccava a Pellizotti. Dopo la Liegi ero andato in Sicilia e avevo, come dire, le orecchie basse perché in Belgio non ero andato benissimo. Soffrivo di allergia e mi ricordo che facevo fatica a respirare. Mi sentivo strano, un po’ debole. Ricordo che un giorno mi arrivò la chiamata, ero giù da neanche una settimana. Mi chiamò Zanatta e mi disse che avevano pensato di portarmi al Giro d’Italia. Aveva parlato con Slongo (il preparatore che lo ha seguito per quasi tutta la carriera, ndr) e avendo fatto lo stesso programma di Basso, erano certi che avessi le carte in regola.
E tu?
Io ero onestamente un po’ dubbioso. Il Giro del 2010 partiva dall’Olanda e lassù piovve per tutto il tempo e questo mi cambiò la vita. Iniziai a sentirmi un’altra persona. Con la pioggia si erano abbassati tutti i polini e giorno dopo giorno iniziai a stare meglio. Infatti andai subito bene, forte già dalle prime tappe. E’ lo stesso Giro in cui presi la maglia rosa nella cronosquadre di Cuneo, sotto un bel diluvio, e la persi nel fango di Montalcino. Quando arrivammo al Monte Grappa, la maglia rosa ce l’aveva Arroyo e l’aveva presa appunto all’Aquila. Dovevamo ancora recuperargli sette minuti.
Il Grappa lo conoscevi? Ci avevi messo mai le ruote sopra?
No, era la prima volta. Ne avevo fatto qualche pezzettino negli anni precedenti quando ero in quelle zone ad allenarmi, però in cima non ero mai arrivato e in gara ovviamente era tutt’altra cosa.
Cosa ricordi di quel giorno?
La presero forte quelli del Team Sky, che erano al primo anno: mi ricordo che c’era anche Wiggins. Subito dopo però calarono un po’ l’andatura e così dalla metà in poi prendemmo in mano noi le redini della corsa. Iniziammo a tirare con il solito protocollo di azione per la salita. Per cui c’era prima Kieserlowski, poi Agnoli, quindi Sylvester Szmyd che era l’ultimo. Quando finì lui, vidi che eravamo rimasti in pochi. Finché nell’ultimo pezzettino, quando eravamo proprio in cima, ci accorgemmo che Cadel Evans (uno degli avversari più pericolosi di Basso, ndr) aveva scollinato leggermente staccato. Così una volta in cima, scollinai insieme a Basso, presi la discesa e andai via.
Era quello lo schema di cui avevate parlato a cena la sera prima?
Esatto, anche se a metà discesa mi arrivarono un po’ di crampi. C’era un pezzettino in cui dovevi pedalare di nuovo (da Ponte San Lorenzo a Il Pianaro, ndr) e le gambe picchiavano. Però fu il modo per farle ripartire gradualmente e a farle girare piano piano, i crampi mi passarono. Feci l’ultima parte della discesa e poi gli ultimi 7-8 chilometri per andare all’arrivo. Arrivai con 23 secondi di vantaggio, mi sembra.
Se ci pensi adesso con tutta la carriera che hai avuto dopo, quel giorno resta un po’ importante?
E’ stato importante, perché io ero andato al Giro pensando di provare a vincere qualche tappa, non avevo obiettivi di fare la classifica. Per quella c’era Ivan Basso, io già qualche Giro l’avevo fatto e quell’anno avrei dovuto fare il Tour de France, ma lo scambiai con il Giro d’Italia. Venne stravolta tutta la mia stagione. Arrivai terzo al Giro e poi andai alla Vuelta, che vinsi: il mio primo grande Giro. Quindi il giorno di Asolo è stato un passaggio importante, la prima vittoria, la svolta della carriera. Quell’anno mi ero messo in testa di avere l’asticella sempre più alta…
Una salita come il Grappa nel gruppo di oggi come la vedi?
E’ sempre una salita che si fa rispettare e se viene fatta forte, fa parecchio male. Anche la prima parte della discesa è bella impegnativa. Quando l’ho fatta io, era pure bagnata. E’ stretta, in cima l’asfalto era viscido. E’ una tappa che se qualcuno decide di farla forte da sotto fino a sopra, fa dei danni. Ovviamente con l’aiuto della squadra, non da soli…
Cosa ricordi degli ultimi metri: quando sei lì senti lo speaker che urla il tuo nome? Ti viene la pelle d’oca?
Senti il boato della gente, quello sì. La pelle d’oca, quella vera, ti viene però quando pedali in cima ai passi di montagna in mezzo a quelle due ali di folla, sperando che tutto vada bene. C’è la gente che ti incita e che ti urla, quello per me è sempre stato il massimo dell’adrenalina. Quel giorno là in cima non c’era tanta gente, forse anche perché pioveva, ma all’arrivo di Asolo c’era un mare di tifosi: questo me lo ricordo veramente, ad Asolo c’è sempre gente. Il giorno dopo provai a entrare nel villaggio, ma non riuscii perché venni… asfaltato dai tifosi (ride, ndr). Io poi io con quella città ho sempre avuto un buon rapporto.
Come mai?
Perché ci vinsi anche un campionato italiano juniores. Le persone si ricordavano anche di quel ragazzino in maglia tricolore. In Veneto ho avuto dei bei trascorsi, da quando andai a correre con la Fassa Bortolo e poi con la Liquigas.
Ci vediamo al Giro, quindi?
Certo. Faccio le prime tre tappe, poi vado a Genova perché intitolano una ciclabile a Michele Scarponi. Poi rientrerò più avanti , magari in qualche tappa vicina e poi per il gran finale. A Livigno non ci sono, però penso che salirò il giorno dopo, per il riposo. Nel frattempo esce anche il mio docufilm e non so se vogliono fare una prima visione proprio quel giorno.
E’ vero che l’avetre girato tutto in Sicilia?
Tutto giù, esatto. L’ha girato Marco Spagnoli, che ha fatto docufilm anche su Franco Battiato, Pino Daniele, Sofia Loren e Dino Zoff. Il mio sarà concentrato sulle origini, il luoghi da dove sono partito. Ci sono un po’ di racconti della famiglia, siamo andati a vedere il paese dove sono cresciuti i miei genitori. Ci sono un po’ di miei amici, qualche racconto di mio cugino Cosimo e quelli che sono riusciti a venire. Carlo Franceschi non ha potuto per la distanza, invece Malucchi ha tirato fuori ricordi che riguardavano suo papà. Non so ancora dove sarà trasmesso, ma la produzione un po’ è della Regione Sicilia e un po’ di RAI. Vediamo quando ci sarà la prima. Intanto ci si vede a Torino…