Elezioni del Coni, anche il mondo del ciclismo è coinvolto

19.06.2025
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Una settimana e lo sport italiano avrà un nuovo governo: il 26 giugno si eleggerà infatti il nuovo presidente del Coni, dopo tre mandati consecutivi per Giovanni Malagò costretto dalla legge (e non senza ripetuti tentativi di farla rivedere per togliere il vincolo) a cedere il passo. Che poi Malagò non uscirà dallo sport italiano, anzi. Intanto per i prossimi due mesi resterà in carica per il passaggio di consegne. Poi manterrà il posto in Giunta fino al 2029 come fino al 2029 manterrà il ruolo di membro del CIO. Senza dimenticare poi che ci sono le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, da lui fortemente volute e che lo vedono presidente della Fondazione che si occupa dell’organizzazione sportiva.

Giovanni Malagò lascia il posto dopo tre mandati di crescita dei risultati sportivi ma anche grandi problemi insoluti
Giovanni Malagò lascia il posto dopo tre mandati di crescita dei risultati sportivi ma anche grandi problemi insoluti

8 candidati, ma è corsa a 3

Detto questo, è tempo di elezioni, quindi è tempo di grandi incontri e lotte politiche fra i papabili. Ben 8 hanno presentato la loro candidatura, fra loro anche Giorgio Iannelli e la sua è forse quella che ha i maggiori significati umani, la volontà di un Don Chisciotte che si batte per i diritti del ricordo del suo sfortunato figlio puntando a rimodellare il moloch sportivo a livello politico. Un’utopia? Sì, irrealizzabile, ma già esserci ha un valore.

I candidati “veri” sono in realtà 2, forse 3. Luca Pancalli, presidente della Federazione Sport Paralimpici e Luciano Buonfiglio titolare della Federcanoa sono coloro che si stanno giocando la poltrona, ma c’è sempre l’incognita legata a Franco Carraro, 85 anni, che ha presentato la candidatura proprio allo scadere dei termini e che, per il suo carisma, è sempre in grado di spostare voti. Per l’elezione servono 41 voti su 81 grandi elettori: in queste ore è una caccia sfrenata a ognuno di essi, fatta di promesse, di richieste, fino all’ultima notte, quella che si trascorrerà in bianco per gli ultimi decisivi incontri. Ricordate il detto “è entrato in conclave Papa e ne è uscito cardinale”. Nel mondo sportivo vale ancor di più, spesso ci si gioca tutto nelle ultimissime ore.

La posizione di Dagnoni

Buonfiglio è sostenuto da molti suoi colleghi presidenti di federazione, tra cui anche Dagnoni che aspira fortemente a un posto in Giunta (e su questo torneremo). Altri sostengono Pancalli, per il quale depongono anche gli straordinari risultati e anche la crescita d’immagine dell’Italia ai Giochi Paralimpici. Ma si sa che a questi livelli i risultati contano molto meno dei rapporti interpersonali e del peso politico. Peso che ad esempio ha Paolo Barelli, da tempo immemore presidente della Federnuoto e uno dei deputati “opinion leader” di Forza Italia. Oppure Angelo Binaghi, presidente della Federtennis fiero avversario di Malagò e avverso a Buonfiglio.

Malagò insieme a Dagnoni: il presidente della FCI si candida per la giunta
Malagò insieme a Dagnoni: il presidente della FCI si candida per la giunta

Carraro e la rifondazione post-Montreal

Molto però dipende da che scelte farà il presidente uscente, perché può spostare un notevole pacchetto di voti, forse quello decisivo. Dai corridori traspare l’idea che potrebbe appoggiare Buonfiglio sentendolo più “vicino” alle sue posizioni. E Carraro? Chissà che il “grande vecchio” dello sport italiano non possa sparigliare le carte. In fin dei conti si è già seduto su quella poltrona, una delle innumerevoli della sua carriera e comunque chi ha antica memoria ricorda che ebbe un peso non indifferente nella lenta ma inarrestabile ripresa dello sport italiano dopo la debacle di Montreal 1976, quando la spedizione olimpica conquistò la miseria di 2 medaglie d’oro e poche altre (tra cui quella di Giuseppe Martinelli nella gara su strada). Carraro sarebbe un po’ il “pacificatore” di un ambiente sportivo dove c’è grande rivalità.

La Giunta del Coni, per i suoi 13 posti sono ben 36 i candidati
La Giunta del Coni, per i suoi 13 posti sono ben 36 i candidati

La caccia a un posto in Giunta

Questo si vede anche dal fiume di candidature per un posto in Giunta: per i 13 a disposizione si sono presentati in 36… 5 sono quelli riservati ai presidenti federali e fra loro c’è anche Dagnoni che vuole far valere il peso della tradizione ciclistica ma anche del grande spazio che, nonostante tutto, le varie specialità a due ruote hanno nel consesso olimpico. Tanti gli avversari a cominciare da Stefano Mei, che passa all’incasso dopo la perentoria crescita dell’atletica, prima cenerentola dello sport italiano ma dal covid in poi tornata ad essere la regina. Mei punta apertamente alla vicepresidenza e anche questo sposta equilibri. Dove si collocherà il massimo dirigente ciclistico? E’ chiaro che questo influirà anche sul valore della disciplina, basti pensare ai fondi messi a disposizione (fortemente ridotti negli ultimi anni).

Dagnoni a parte, analizzando le candidature, fra atleti, tecnici, rappresentanti regionali e provinciali si nota come ci sia una completa latitanza del movimento e questo rappresenta anche lo specchio delle difficoltà che tutto il mondo del ciclismo italiano vive, rischiando di essere messo sempre più ai margini.

Barbieri con gli Amici della pista: i bambini e un tuffo nel passato

19.06.2025
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Qualche foto condivisa sui social insieme al fidanzato Manlio Moro mentre si trovavano seduti sugli spalti del velodromo Ottavio Bottecchia di Pordenone. Sotto, sul cemento, giravano bambini e ragazzi di età diverse. Rachele Barbieri ha vissuto una giornata particolare, che l’ha portata a ricordare quando il ciclismo era un semplice divertimento (in apertura foto Alessia Tosoni). Quando era ancora Rachele e il ciclismo professionistico era solamente un sogno talmente lontano da essere quasi aleatorio. 

«Avevamo programmato di stare qualche giorno a casa di Manlio in Friuli – racconta Rachele Barbieri – perché tra i tanti impegni e le gare era da un po’ che non tornava. Allora la società Amici della Pista ci ha contattato chiedendoci di andare a trovare i bambini e i ragazzi in pista. Avevano programmato una serie di gimkane e di gare per i più grandi. Abbiamo portato qualche maglia delle nostre rispettive squadre (Team Picnic PostNL per Barbieri e Movistar per Moro, ndr)».

Rachele Barbieri e Manlio Moro sono stati invitati dalla società Amici della Pista a passare una giornata al Velodromo Ottavio Bottecchia a Pordenone (foto Alessia Tosoni)
Rachele Barbieri e Manlio Moro sono stati invitati dalla società Amici della Pista a passare una giornata al Velodromo Ottavio Bottecchia a Pordenone (foto Alessia Tosoni)

Di nuovo in pista

Per Rachele Barbieri la pista ha un significato profondo legato al ciclismo di quando si è piccoli. Tornare a respirare quell’atmosfera le ha permesso di far riaffiorare emozioni e ricordi passati. 

«Tra l’altro – ci dice – qualche giorno prima di andare al velodromo di Pordenone ero tornata a girare su pista a Montichiari. Quindi in pochi giorni sono tornata davvero a rivivere certi aspetti del passato che mi hanno regalato delle belle emozioni. Vedere quei bambini girare mi ha ricordato quando ho iniziato ad andare in bici, come molti di loro l’ho fatto da piccolissima: avevo cinque anni. Quando le gambe si sporcavano con il grasso della catena, la serenità e la spensieratezza di pedalare e basta. Erano i tempi in cui il ciclismo e la bicicletta li vivevi come un divertimento con gli amici e alle gare ti accompagnavano i genitori e i nonni».

Qualche giorno prima Rachele Barbieri era tornata a girare in pista a Montichiari dopo tanto tempo (foto Instagram/Rachele Barbieri)
Qualche giorno prima Rachele Barbieri era tornata a girare in pista a Montichiari dopo tanto tempo (foto Instagram/Rachele Barbieri)
Cosa ti ricordi di quelle prime volte in pista?

Spesso da piccola ero sola perché i miei genitori lavoravano entrambi. Per fortuna il diesse della squadra in cui correvo mi veniva a prendere a casa con il furgone della società. Crescendo poi, i miei genitori mi hanno accompagnato ovunque, soprattutto nel periodo invernale in cui facevo ciclocross. Correvo in una società piccola, quelle in cui i genitori guidano il furgone o mettono a disposizione la propria macchina per la trasferta. 

Come hai vissuto il rapporto sport-genitori?

Sono stati sempre al loro posto. Mi hanno dato il massimo sostegno ma senza mai mettermi pressione. Penso che questo aspetto abbia influenzato positivamente la mia crescita e la mia carriera. Sono cresciuta insieme al ciclismo e se sono diventata l’atleta e la ragazza che sono lo devo a questo sport. Si dice sempre che lo sport è una scuola di vita, ma è così.

Per te in che modo lo è stato?

Mi ha insegnato a prendere un impegno e a rispettarlo. Ad avere dei vincoli e saper incastrare e programmare i diversi aspetti della mia vita, anche quando ero piccola. La scuola, poi i compiti prima di andare in bici. Insomma, magari piccoli aspetti ma che ti mettono davanti a scelte e responsabilità. 

Avere a che fare con tante persone aiuta a crescere?

Ho imparato il rispetto verso gli altri. Ad esempio quando si era in pulmino o in camera con ragazzi che non conosci capisci le esigenze e le abitudini degli altri. Impari a rispettarli e a trovare un compromesso

Rachele Barbieri vedendo i bambini girare ha rivissuto emozioni del passato, quando il ciclismo era un gioco (foto Alessia Tosoni)
Rachele Barbieri vedendo i bambini girare ha rivissuto emozioni del passato, quando il ciclismo era un gioco (foto Alessia Tosoni)
Che cosa ti è venuto in mente guardando quelle biciclettine che giravano?

Mi ha colpito il fatto di vederli cadere e dopo un secondo ritrovarli già in piedi con la bici sotto braccio pronti a ripartire. Il ciclismo ti insegna a reagire a certe cose. Un bambino che non ha mai fatto sport cade e piange, loro invece pensano subito a ripartire. Una pulita con la mano al ginocchio o al gomito e via

Ci sono delle foto in cui parli, i bambini ti hanno chiesto qualcosa di particolare?

Mi venivano a chiedere il nome. Non sapevano nemmeno come mi chiamassi. Ed è stato bello così, per loro ci sarebbe potuta essere anche la persona più importante del mondo che comunque non l’avrebbero riconosciuta. Volevano solo pedalare e divertirsi. E’ stato bello anche per me, che per un giorno sono tornata Rachele, la bambina che pedalava su quelle biciclette senza altri pensieri per la testa. 

Verso il Tour, Garzelli: «UAE fortissima, Visma più squadra»

19.06.2025
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In questo Critérium du Dauphiné abbiamo avuto un gustoso antipasto in vista del Tour de France sul fronte delle squadre, con i due squadroni che si daranno battaglia anche a luglio: UAE Emirates e Visma-Lease a Bike. Chiaramente ci riferiamo al grande duello tra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard.

L’analisi è lunga e articolata, e a farla con noi è Stefano Garzelli. L’ex maglia rosa e oggi commentatore tecnico della Rai ci aiuta a capire che squadre vedremo, i punti di forza e le (poche) debolezze in vista del Tour de France. Chiaramente per le formazioni definitive bisognerà attendere ancora qualche giorno, e ci sarà qualche innesto dal Tour de Suisse, che Garzelli sta seguendo con attenzione.

Al Delfinato si è vista un’ottima Visma, compattissima attorno al suo leader Vingegaard
Al Delfinato si è vista un’ottima Visma, compattissima attorno al suo leader Vingegaard
Stefano, dacci una prima impressione sulle due formazioni. Partiamo dalla Visma?

Partiamo dalla Visma! E’ andata molto bene nel complesso. Sono mancati alcuni momenti, alcuni corridori nei frangenti finali, ed è normalissimo: Jorgenson ha avuto una giornata di crisi e ci sta. Ricordiamoci che eravamo al Delfinato, non già al Tour. Però la corsa l’hanno fatta loro fin dal primo giorno. Su quello strappetto di 800 metri è partito Tullet, poi Jorgenson e infine Vingegaard. Corrono bene, sono uniti e compatti. Immagino che ci sarà l’innesto di Simon Yates e Wout Van Aert. E anche Edoardo Affini. Corridori che alzano il livello di tutta la squadra.

Li vedi equilibrati?

E’ una squadra molto forte, ben organizzata anche in pianura con Van Aert, Affini, Benoot, e forse Campenaerts. In pratica sono tutti capitani! In salita, oltre a Vingegaard, ci saranno Jorgenson, Simon Yates e Sepp Kuss.

Chiaro…

E tutti questi possono ancora migliorare. Jorgenson è una sicurezza, ha avuto solo un giorno difficile. A volte è meglio avere una crisi ora: vuol dire che sei ancora in fase di crescita. Simon Yates? Era stato preso per aiutare Vingegaard al Tour, ma hanno fatto un’imboscata al Giro, convincendo tutti che lo stessero preparando per quello. Invece adesso, sulle ali dell’entusiasmo, andrà fortissimo al Tour… quando dovrà esserci.

E quando dovrà esserci?

Nei momenti chiave in salita. Non tutti i giorni. Questo vuol dire molto anche in termini di energie, specie nervose, per un corridore del suo livello.

Kuss potrà crescere ancora e con le frazioni più lunghe del Tour uscirà alla distanza
Kuss potrà crescere ancora e con le frazioni più lunghe del Tour uscirà alla distanza
E gli altri?

Immagino che cercheranno di tenere Jorgenson in classifica. Van Aert sta bene, al Giro si è ritrovato. Gente come Affini, Campenaerts e Benoot sono una garanzia anche in pianura. La Visma è una squadra fortissima. E sembra che negli ultimi anni abbiano corretto anche alcune situazioni critiche.

A cosa ti riferisci in particolare?

Penso a quel famoso cambio di bicicletta caotico: un corridore a destra, uno a sinistra, uno lungo la strada, l’altro che attraversava… bici che non arrivava. Ora mi sembrano più precisi.

Quale potrà essere secondo te il ruolo di Van Aert? Quello a cui siamo abituati o tornerà a cercare le volate?

Non so se deciderà di buttarsi nelle volate, lo capiremo presto. Anche se il suo obiettivo potrebbe essere la maglia verde. Ma io lo vedo diversamente. Quest’anno la Visma-Lease a Bike vuole vincere il Tour come squadra. L’obiettivo di Vingegaard è un obiettivo collettivo. Penso a Van Aert, ma anche a Simon Yates. Poi Wout, come ha fatto al Giro, potrà togliersi qualche soddisfazione. Avrà segnato 4 o 5 tappe adatte a lui. E la sua presenza tattica è importantissima. L’abbiamo visto sul Colle delle Finestre, ma anche al Tour in passato: i suoi movimenti sono stati decisivi per vincere.

Kuss sarà ancora l’ultimo uomo o avrà un ruolo diverso?

Quando lavorava per Roglic o per Vingegaard e tirava, dietro restavano solo Pogacar e Jonas. Ha vinto una Vuelta… ma anche per lui gli anni passano. Sarà importante, ma forse non più decisivo come tre anni fa. Poi magari mi smentisce! Ma come ultimo uomo vedo più Jorgenson e, in alcune giornate, Simon Yates. O anche Van Aert, a seconda di come andrà la corsa.

UAE Emirates fortissima con alcuni elementi, ma meno dominante del solito nel complesso. Mancano però gli innesti (pesanti) del Tour de Suisse
UAE Emirates fortissima con alcuni elementi, ma meno dominante del solito nel complesso. Mancano però gli innesti (pesanti) del Tour de Suisse
Passiamo alla UAE Emirates. Al Delfinato avevano Pogacar, Novak, Politt, Wellens, Narvaez, Sivakov e Soler.

Fortissimi anche loro. Ma qui c’è il gregario, mentre alla Visma fai fatica a trovarlo. Sono tutti capitani. Analizziamo Marc Soler: al Delfinato era uno dei primi a staccarsi. Secondo me in UAE hanno ancora qualche dubbio sulla formazione finale. E ci sta: puoi fare la squadra, ma poi il corridore per vari motivi non rende. Anche Sivakov non è stato eccezionale. Poi è vero che anche loro devono ancora crescere. Io credo che guarderanno molto il Tour de Suisse.

Lì c’è Almeida che sarà sicuro al Tour. Devono arrivare a otto: al Delfinato erano in sette. Manca Adam Yates…

Provo a fare la formazione: Pogacar, Wellens, Politt, Almeida e Adam Yates sicuri. Anche Narvaez. Siamo a sei. Novak, Soler e Sivakov mi convincono meno. Io inserirei Michael Bjerg: quando va forte, tiene anche in salita. E poi porterei il ragazzo svizzero Jan Christen.

Difficile che lo facciano esordire nei grandi Giri al Tour…

Ma è molto forte e sa tirare bene. Terzo al GP Aargau, lo scorso anno ha controllato oltre mezzo Giro di Lombardia da solo. Comunque dallo Svizzera, oltre ad Almeida, penso arriverà Bjerg. Poi vedremo uno tra Soler e Novak. Bisogna capire perché Soler ha reso meno: magari ha avuto un virus intestinale. Io mi baso su quello che ho visto in corsa. In alternativa porterei Del Toro o Ayuso!

Non dimentichiamo che in rosa e in corsa al Tour de Suisse c’è anche Grossschartner…

Però a quel punto meglio Bjerg. Altrimenti in pianura sarebbero leggeri. E’ vero che Narvaez si muove bene, ma muoversi è una cosa, tirare per chiudere un ventaglio è un’altra. Quindi dico: Pogacar, Almeida, Adam Yates, Narvaez, Sivakov, Wellens, Politt e Bjerg.

Wellens e Narvaez hanno dimostrato di saper fare accellerazioni devastanti
Wellens e Narvaez hanno dimostrato di saper fare accellerazioni devastanti
Come hai visto muoversi la UAE al Delfinato?

Bene, ma gli altri mi hanno dato più compattezza di squadra. Per carità, hanno grandi corridori. Oltre a Pogacar, basta nominare Jonathan Narvaez o Tim Wellens. Il giorno di Combloux, quando Tim tirato in salita, erano rimasti in otto. L’accelerata l’ha data Narvaez su ordine di Pogacar. Tadej avrà detto: “Fai male a me. Perché se fai male a me, fai male a tutti”. Ora Pogacar ha capito che quelle accelerazioni violente all’inizio salita chiedono il conto alle gambe di Vingegaard. Per quello attacca subito.

Interessante. Li manda in acido e poi se la giocano sul passo…

I rivali hanno visto questa tattica e cercheranno di migliorare su quel tipo di sforzo. Poi è chiaro: se migliora anche Tadej, cosa puoi fare? Se uno ti fa 480 watt per 20 minuti, come lo batti? Tuttavia Vingegaard non è lontano. Per me ha lavorato per avere ancora margini, altrimenti non avrebbe fatto quella crono.

Spiegati meglio…

Voglio dire che sta già bene, ma gli mancano dei lavori specifici per resistere all’accelerazione violenta di Pogacar in salita. E quelli li fai adesso. Ora Vingegaard torna in quota: lui e la squadra hanno ancora due settimane di lavoro. Ripenso anche all’accelerazione in pianura nella prima tappa: per me è in “work in progress”. La parte finale del Tour è fra più di un mese. E’ presto per essere già al top. Parlo in base alla mia esperienza.

Se Narvaez può garantire quelle strappate, chi può farle in casa Visma?

Dipende dalla tappa. Quel giorno al Delfinato è arrivato un gruppetto e le tappe erano corte. In molti le soffrono. In tappe più lunghe cambia tutto. Quelle strappate potrebbe farle Simon Yates. Ma per queste accelerazioni e tattiche bisogna vedere come stanno le gambe dopo 13, 14, 18 tappe e 200 chilometri: è tutta un’altra storia.

Dura autocritica di Basso: per avere punti, bisogna farli

19.06.2025
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Un messaggio di poche parole, come sono spesso quelli di Ivan Basso. L’editoriale di lunedì lo ha colpito: il tema dei punti sta a cuore, ma leggendone le parole, il suo approccio sembra diverso. La promessa di risentirci l’indomani nel pomeriggio e il discorso che entra subito nel vivo.

Il Team Polti-VisitMalta ha una grande immagine e grandi idee alle spalle, ma non si può dire che nelle ultime uscite abbia brillato. Quando dici qualcosa del genere a un team manager, è molto probabile che si metta sulla difensiva, ma l’atteggiamento di Ivan è coerente con quello di un professionista che ha sempre preteso da sé il massimo. I corridori ci sono: Pellizzari e Piganzoli (in apertura) sono il prodotto delle professional italiane. Ma se qualcuno nella tua squadra si accontenta di meno, il coperchio salta.

Basso e Contador: la loro squadra è al di sotto del loro standard da atleti. La vera differenza la fanno il budget e le motivazioni
Basso e Contador: la loro squadra è al di sotto del loro standard da atleti. La vera differenza la fanno il budget e le motivazioni
Sei preoccupato per il vostro piazzamento in classifica?

E’ una situazione che già conosciamo. Uno dei problemi è che dobbiamo pensare a fare i punti nelle gare che contano. Se tu fai punti nelle gare che contano, non hai il problema di doverli cercare nelle piccole corse. Il sistema mi piace? Questo è un altro discorso, ma per affrontarlo bisognerebbe radunare tutte le parti attorno a un tavolo e discutere in modo approfondito dei pro e dei contro. Ad ora le regole sono queste e vanno rispettate. Quindi il focus non è sui punti, ma sulla necessità di farli.

Leggiamo autocritica nelle tue parole?

Se fossimo andati a punti nelle gare dove dovevamo, non avremmo problemi. Ognuno ha la sua filosofia e degli obiettivi da raggiungere. Per me gli obiettivi sono i risultati, ma anche la visibilità: non c’è solo l’aspetto sportivo, la squadra è un’azienda che produce. Ai miei sponsor devo creare eventi e hospitality. Li invito a determinate gare, quindi il Team Polti-VisitMalta non è una squadra ciclistica e basta, ma una piattaforma dove gli sponsor generano profitto e ingaggio di nuovi clienti. Quindi non è solo importante vincere, perdere o quanto arrivi in classifica.

Che però serve per essere presenti alle gare in cui il discorso precedente può essere fatto, no?

Ovvio che è una squadra ciclistica e deve generare risultati sportivi, però genera anche un diverso modo di fare affari. Se io invito otto clienti importanti di un mio sponsor, diciamo otto dirigenti, il risultato della corsa è sì influente, ma è una parte del discorso. Perché vedono come lavoriamo all’interno della squadra, vedono i ragazzi, parlano con i ragazzi. Vedono la tensione pre-gara, la delusione post gara, la fatica, il sacrificio. Vedono Maestri che piange al traguardo perché ha fatto secondo per l’ennesima volta, quindi è molto di più. Mi sto allargando un po’ per dire che per me il discorso dei punti è importante, ma è una conseguenza.

Maestri al Giro: ancora una volta secondo posto, qui a Cesano Maderno. Prima rabbia, poi scoramento
Maestri al Giro: ancora una volta secondo posto, qui a Cesano Maderno. Prima rabbia, poi scoramento
Una conseguenza di cosa?

Una delle priorità del 2025 è arrivare nelle prime 30 squadre, però noi abbiamo ben chiara la proiezione di crescita per arrivarci. Abbiamo ben chiaro che esiste il mercato estivo anche per le squadre ciclistiche come quelle di calcio. E se ad agosto avremo indicatori particolari, cercheremo di fare una campagna acquisti adeguata.

Quindi la soluzione non è andare a fare punti nelle piccole corse?

Noi vogliamo fare punti alla Route d’Occitaine, che è cominciata ieri. All’Andorra MoraBanc Classica di domenica. Alla Copenhagen Sprint nel WorldTour. Rispetto le corse di ogni categoria, anche perché le ho fatte anche io e sono consapevole che senza di loro non saremmo qui. Tuttavia il mio obiettivo è fare punti nelle gare di una categoria superiore. Il problema è che i miei corridori devono fare i punti nelle gare che mettiamo nel calendario.

Questa è la nota dolente?

Non li abbiamo fatti e per questo sono arrabbiato nero. Devo fare un mea culpa generale, in questo momento devo guardare a me. E il problema è che la mia squadra non ha fatto punti in alcune gare dove aveva il dovere di farne.

Sul palco del Trofeo Laigueglia con il presidente di Lega Pella: Simone Gualdi è migrato alla Intermarché Development
Sul palco del Trofeo Laigueglia con il presidente di Lega Pella: Simone Gualdi è migrato alla Intermarché Development
Pensi che il sistema dei punti e la fuga degli juniores verso i devo team permette alla tua squadra di essere competitiva nelle corse di cui parli?

Abbiamo sempre avuto una buona attrattiva nei confronti dei giovani. Lo vediamo con Piganzoli che ha scelto di rimanere e con Crescioli che è venuto con noi. Mi è spiaciuto non prendere per esempio un corridore come Gualdi, come non avere accesso ad alcuni juniores bravi, però magari ce l’avremo il prossimo anno. La situazione del mercato è chiara e anche le famiglie spingono verso la grande squadra piuttosto che verso la professional, però…

Però?

Però Albanese e Fortunato se non li prendevamo noi, dov’erano? Vorrà dire che prenderemo quelli che rientrano dai devo team, perché qualcuno poi rientra. Però in questo momento non mi staccherei dall’autocritica, perché non sarebbe giusto. E noi finora non siamo stati in tabella con i punti che avevamo a disposizione. Zero alibi. Sono d’accordo con l’editoriale che hai scritto, ma se avessi fatto tre podi al Giro d’Italia, ora non avrei questo problema, perché avrei 500 punti in più.

Sono cose che hai detto anche ai corridori?

Io sostengo continuamente la mia squadra, ma non mi piace lamentarmi. Faccio un altro esempio: al Tour of Hainan abbiamo dormito. Abbiamo fatto due gare a tappe con pochissimi punti, il problema è della regola o della squadra? Se io torno da Hainan con 70 punti e la Solution Tech con 300, il merito va a loro e la colpa a noi. Se al Giro ho corridori che pensano più ai video sui social che alla corsa, da ex corridore mi scatta la rabbia.

Dopo un Giro sfortunato, da ieri Pizanzoli è in gara alla Route d’Occitanie, con l’obiettivo di rifarsi
Dopo un Giro sfortunato, da ieri Pizanzoli è in gara alla Route d’Occitanie, con l’obiettivo di rifarsi
Pensi che questa consapevolezza darà buoni frutti?

Certo. Sono convinto che all’Occitanie, Piganzoli farà delle belle cose. Tra sfortune e cadute, il suo Giro è stato al di sotto delle sue e delle nostre attese, ma noi abbiamo il dovere di permettere a un corridore bravo, serio e corretto di 22 anni di fare i suoi sbagli. Penso di poter parlare anche per Reverberi. Quando avevamo Fortunato e lui Pellizzari che magari stantuffavano e ora li vediamo andare forte, un po’ di merito ce lo sentiamo anche noi. Ma se non ci diamo da fare noi per primi, ci rendiamo conto che in Italia non resterà poi molto da applaudire?

Almeida a Piuro mette una toppa al suo Tour de Suisse

18.06.2025
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PIURO – Joao Almeida arriva da solo sotto il sole di Piuro che non lascia scampo alla pelle dei corridori. Taglia il traguardo, festeggia e stoppa il computerino sulla bici. Dopo duecento metri gira la bici e sale piano piano verso il podio. Accanto alla zona mista delle interviste trova il tendone dove all’ombra scende dalla sua Colnago, i meccanici tolgono la ruota posteriore e dopo averla agganciata ai rulli Almeida ci sale nuovamente per fare defaticamento. Pedala e smette di sudare solo dopo qualche minuto. Il colore della pelle da rosso torna roseo. 

Il portoghese del UAE Team Emirates-XRG ha lo sguardo fisso sulla ruota posteriore abbandonata qualche metro accanto a lui, intanto gira le gambe. Pensa e riflette. Oggi a Piuro in Valchiavenna, dove il Tour de Suisse è tornato dopo 27 anni, ha vinto la sua quinta gara stagionale: una tappa alla Parigi-Nizza, due ai Paesi Baschi e la classifica generale sia in Spagna che al Tour de Romandie. 

La Svizzera in Italia

Joao Almeida torna a vincere in Italia dopo più di due anni, siamo al Tour de Suisse ma oggi la corsa ha respirato la passione dei tifosi italiani accorsi numerosi sotto le Cascate dell’Acquafraggia. Quando corri nella squadra numero al mondo devi cogliere le occasioni che ti vengono concesse. Lo scorso anno al Tour de Suisse Almeida venne battuto dal proprio compagno di squadra Adam Yates, si dice che  l’umore del portoghese non fosse dei migliori al termine della cronometro di Aigle. Questa volta lo scalatore portoghese è venuto da solo come unico leader del team emiratino

Almeida ha preso il largo negli ultimi chilometri del Passo dello Spluga, la scalata che ha decretato lo sconfinamento in Italia. Un allungo, non uno scatto. Il passo e le gambe da cronoman hanno fatto il resto del lavoro nella discesa finale

Il portoghese ha fatto la differenza negli ultimi chilometri del Passo dello Spluga
Il portoghese ha fatto la differenza negli ultimi chilometri del Passo dello Spluga
Congratulazioni, è la tua terza vittoria in Svizzera. L’anno scorso hai fatto un lavoro straordinario insieme ad Adam Yates, mentre ora sei il leader unico della tua squadra. Come ci si sente?

È bello. Sono contento della vittoria di tappa, abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra. Mancano ancora tante tappe a domenica (giorno in cui si concluderà il Tour de Suisse, ndr). 

Quando sei rimasto da solo hai pensato di poter prendere anche la maglia di leader?

No, avevo in mente solamente la vittoria di tappa. Con un percorso del genere era difficile pensare di poter prendere più di due minuti a Romain Gregoire (leader della corsa, ndr). 

Oggi il Tour de Suisse è arrivato in Valchiavenna e i corridori hanno pedalato immersi in scenari mozzafiato
Oggi il Tour de Suisse è arrivato in Valchiavenna e i corridori hanno pedalato immersi in scenari mozzafiato
Ti aspettavi di arrivare da solo?

Oggi mi sono sentito bene per tutto il giorno, avevo la sensazione di andare forte fin dai primi chilometri. Gli ultimi dieci chilometri di pianura ho pensato solamente a spingere al massimo e questo sarà il piano fino all’ultima tappa. 

Cosa è successo nella prima tappa quando avete perso tre minuti da Gregoire?

Lui era in fuga e noi abbiamo commesso degli errori come squadra e una volta fatti è stato impossibile riprendere i fuggitivi. In qualche modo siamo riusciti a limitare i danni e oggi ho guadagnato un minuto. 

Pensi di poter provare a vincere questo Tour de Suisse?

Credo sia molto difficile, quasi impossibile, ma possiamo provarci. Domani la tappa sarà impegnativa e la cronoscalata di domenica permette di pensare a tanti scenari diversi. 

Sei tornato in corsa e in questi giorni stai correndo per prepararti al Tour de France, come ti senti?

Penso che la forma sia buona, quindi posso essere felice di come mi sento e partire per il Tour de France con la giusta mentalità, ovvero provare a vincere con Pogacar. 

Casalini, ritiro a 20 anni. Storia di una passione appassita

18.06.2025
4 min
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L’arrivo di Fabio Felline alla MBH Bank Ballan, come raccontato da Gianluca Valoti, è stato reso possibile dal prematuro ritiro di Gabriele Casalini. Andando a guardare la sua scheda statistica, emerge come il suo abbandono dell’attività risalga allo scorso 13 giugno, ma la cosa che colpisce è che parliamo di un ragazzo di appena 20 anni. Che cosa lo ha portato a questa scelta così improvvisa?

Il bergamasco era al suo secondo anno con la MBH Bank Ballan. 23 giorni di gara nel 2024, con la perla della terza piazza al GP San Bernardino bissata poi all’estero, a Visegrad in Ungheria a luglio. Quest’anno 16 giorni di gara, apparentemente senza grandi risultati.

Casalini ha disputato 16 gare quest’anno, lavorando soprattutto per gli sprint di Fiorin (foto Instagram)
Casalini ha disputato 16 gare quest’anno, lavorando soprattutto per gli sprint di Fiorin (foto Instagram)

«Ma la mia parte l’ho sempre fatta. Non ero un campione, ma mi sono sempre dimostrato utile per il gruppo, per aiutare gli altri perché sentivo fortemente quel senso di appartenenza, quel condividere le gioie di uno che erano frutto del lavoro di tutti».

A che cosa si deve allora questa decisione così inattesa?

Era da un po’ che ci pensavo, ma la mia è una vera scelta di vita. Non riuscivo più a conciliare lavoro e sport. Già dallo scorso anno collaboro con aziende automobilistiche per noleggio e vendita di seconda mano delle auto, da poco ho aperto la mia piccola impresa con tanto di partita Iva. Lavoro soprattutto online ma mi appoggio a molti rivenditori del Bergamasco. E’ un’attività che però necessita di un’attenzione continua, del monitoraggio dei mezzi che acquisto e rivendo. Mi accorgevo che tutto ciò andava a detrimento dell’attività ciclistica e viceversa. Dovevo prendere una decisione.

Il podio del GP San Bernardino 2024, vinto da Chiarucci su Zurlo e Casalini
Il podio del GP San Bernardino 2024, vinto da Chiarucci su Zurlo e Casalini
Come ha reagito la squadra?

Ne abbiamo parlato con assoluta calma, ho spiegato ad Antonio (Bevilacqua, ndr) le mie difficoltà e le mie aspirazioni e abbiamo trovato una soluzione condivisa. Con loro mi sono sempre trovato benissimo, è una squadra ampiamente affidabile, dove si lavora a livello molto professionale, ma c’è spazio anche per l’aspetto umano. Il prossimo anno diventerà una professional e già stanno ragionando in tal senso. Io sapevo che non sarei passato professionista e a dir la verità neanche lo volevo. Ormai non riuscivo più a dare il massimo delle mie possibilità, questa era la scelta giusta.

Che cosa porti con te?

Tanta esperienza di vita, scaturita dalla mia attività sportiva che mi ha insegnato che cosa siano la perseveranza, la dedizione, l’impegnarsi in quello in cui si crede. Il ciclismo è uno sport duro, ma dal quale si impara molto anche in termini di gestione dei rapporti umani, soprattutto quando trovi tecnici come quelli che ho avuto io, che stanno davvero vicino ai corridori. Io sono convinto che questo serva tantissimo per andare più forte. Sono cresciuto molto, ma ora sono maturo per dedicarmi appieno a quella che voglio sia la mia attività e ai tanti progetti che ho in mente.

Il lombardo è rimasto due anni e mezzo con la MBH Bank dando il suo contributo come gregario (foto Instagram)
Il lombardo è rimasto due anni e mezzo con la MBH Bank dando il suo contributo come gregario (foto Instagram)
Rifaresti la stessa scelta di investire la tua prima gioventù nel ciclismo?

Sì, ma credo che non affronterei questi ultimi due anni, senza nulla togliere alla squadra. Credo che a conti fatti mi sarebbero serviti di più dedicandomi al mio ambiente lavorativo.

C’è qualcosa di negativo che ti è apparso agli occhi dell’ambiente del ciclismo, che ha un po’ favorito questa tua scelta?

Io ho notato una crescente esasperazione dell’attività, dell’approccio alla stagione agonistica. E’ tutto schematico, codificato, non ci si diverte più. Io nel gruppo ero un po’ il giocherellone, quello che cercava di mantenere alto lo spirito perché non si può pensare al ciclismo come qualcosa di così totalizzante. E’ un sistema che soffrivo.

Prima della MBH Bank, il bergamasco era stato alla Aspiratori Otelli, andando anche in nazionale (foto Instagram)
Prima della MBH Bank, il bergamasco era stato alla Aspiratori Otelli, andando anche in nazionale (foto Instagram)
Tu hai raggiunto il punto più alto con i due terzi posti dello scorso anno, ritieni quelli i momenti più alti della tua carriera?

Li ritengo momenti belli, sicuramente, ma se mi guardo indietro le gioie maggiori le ho provate dalle vittorie dei compagni di squadra. Ho tirato 5 volate vincenti a Matteo Fiorin, per me le sue conquiste hanno un valore maggiore di un mio piazzamento personale, mi hanno dato qualcosa in più. Rendendo questa parentesi della mia vita, che si è chiusa, degna di essere vissuta.

Cronoscalate in vista: setup e pacing. L’analisi di Pinotti

18.06.2025
6 min
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Il ritorno delle cronoscalate, lo sforzo massimo. Si dice che chi primeggi in questa disciplina sia il più forte in assoluto. Il Tour de France propone una cronoscalata e anche il Tour de Suisse ne propone una, anche se nel Paese dei Quattro Cantoni questa disciplina è già più in voga: anche l’anno scorso era presente. Tuttavia, essendo quella del Tour la “prova regina”, la tappa elvetica assume un significato ancora più importante.

I tecnici, fra cui Marco Pinotti, coach di riferimento per la Jayco-AlUla, possono trarne indicazioni preziose. Ecco allora un viaggio tecnico con l’ingegner Pinotti per approfondire queste due cronoscalate che stanno per arrivare.

Marco Pinotti ex corridore, ingegnere e coach della Jayco-AlUla, è stato uno dei cronoman migliori degli anni 2000
Marco Pinotti ex corridore, ingegnere e coach della Jayco-AlUla, è stato uno dei cronoman migliori degli anni 2000
Marco, quanto è importante quest’anno la crono elvetica in ottica Tour de France, considerando che sono molto simili?

Quella di Emmetten, in Svizzera è un filo più dura, è una cronoscalata pura. Come dislivello siamo lì, ma forse è un po’ più corta, perché quella di Peyragudes, in Francia, ha una prima parte più semplice. Lì la salita vera inizia dopo 3,85 chilometri: non è pianura, c’è un po’ di su e giù, ma è una sezione veloce. In Svizzera invece si sale quasi subito e la strada diventa anche stretta.

Almeida, parlando del Tour de Suisse, ha detto che userà la bici da strada con il casco da crono.

Anche noi pensiamo alla bici da strada, ma il casco da crono non lo userei. Non credo abbia una grande influenza in termini aerodinamici, perché conta di più la dissipazione del calore. Se farà caldo, meglio il casco tradizionale.

Che dati si acquisiscono, soprattutto in ottica Tour de France? Parliamo non solo del singolo atleta, ma anche di squadra, pacing, materiali…

Si raccolgono dati preziosi sulla capacità del corridore di mantenere un certo piano di potenza. Le condizioni saranno simili, ma non identiche: la crono del Tour arriverà dopo 12 tappe, quella svizzera dopo una settimana. E poi nel frattempo può succedere di tutto. Però è un test: raccogli dei dati sui quali poi perfezioni il pacing per la volta successiva. Se sai che il corridore può mantenere un certo wattaggio per X minuti, quello diventa il punto di partenza per il Tour.

Come si scelgono i materiali per una cronoscalata?

La prima cosa è stimare la velocità media. Poi: quanto dura la crono? E con quella durata, quanta potenza può esprimere il corridore? A quel punto metti insieme potenza e durata, valuti la velocità stimata con una bici e con l’altra. Crei una matrice di dati e scegli quella che ritieni più efficiente.

Chiaro…

Nel caso della cronoscalata svizzera la scelta è piuttosto scontata: la velocità media non sarà alta. In quella francese, con una prima parte più veloce, si possono valutare soluzioni diverse.

Anche il cambio bici?

Abbiamo valutato anche quello. Con il nostro corridore (presumbilmente Ben O’Connor leder della Jayco-AlUla, ndr) siamo andati sul posto, abbiamo fatto prove con una bici e con l’altra e alla fine abbiamo definito un setup. In Svizzera quel setup non ci sarà (come dicevo sono simili ma non uguali), però testeremo il pacing. Ho fatto delle stime e vedremo se sono troppo ottimistiche o pessimistiche. Poi bisogna considerare anche la quota: al Tour si superano i 1.500 metri e qualche watt in meno “balla”.

Esiste uno split di velocità media oltre il quale conviene passare alla bici da crono?

Sì, esiste. Sopra i 25 all’ora si può andare con la bici da crono, perché l’aerodinamica fa la differenza. Sotto i 20 è meglio la bici da strada. Tra i 20 e i 25 c’è una zona grigia da interpretare. La discriminante è la velocità media e la capacità del corridore di spingere con una bici o con l’altra.

Immaginiamo quindi che conti anche la capacità del corridore di usare la bici da crono in salita ed esprimere gli stessi watt…

Con la bici da crono sei molto più schiacciato. L’inclinazione del busto è diversa rispetto alla bici da strada. In salita, su strada, hai i gomiti più rilassati, dritti o semi dritti, e respiri in modo più naturale. Uno potrebbe preferire la bici da crono, ma poi bisogna pensare che su quella strada il corridore si allena ogni giorno con la bici normale. La scelta dipende anche da quanto tempo puoi dedicare ad abituarti a pedalare in salita con la bici da crono.

Quindi qualcuno potrebbe aver passato più tempo del solito sulla bici da crono anche in salita?

Sì, ma attenzione. C’è una crono veloce anche all’inizio del Tour, quindi devi mantenere una posizione efficiente per quella prova. Come dicevo, nella crono del Tour i primi 3,8 chilometri sono veloci, ma nella parte in salita si viaggerà tra i 22 e i 24 all’ora, in assenza di vento. Quindi siamo in quella “zona grigia”.

Ultimamente si vedono rapporti enormi, come il 68 anteriore. In una cronoscalata si può usare la bici da crono con rapporti tradizionali?

Sì, certo. Entrambe le crono in questione non hanno pendenze estreme. Anche se quella del Tour, nell’ultimo chilometro, presenta un tratto al 18 per cento. Con un 42 o 40×34 ci si sta dentro benissimo. Anche perché quello al 18 per cento è lo sprint finale. Al massimo si può pensare a una monocorona per alleggerire la bici: magari una 48-50 davanti, tanto dietro ormai ci sono i 34-36.

La soluzione del monocorona sembra essere molto gettonata. Ricordiamo (in foto) il plateau da 52 denti che Vingegaard utilizzò nella tappa di mezza montagna alla Tirreno 2024
La soluzione del monocorona sembra essere molto gettonata. Ricordiamo (in foto) il plateau da 52 denti che Vingegaard utilizzò nella tappa di mezza montagna alla Tirreno 2024
Marco, ti piacevano le cronoscalate?

Sì, ne ho fatte tante. Ne ricordo una a Oropa in cui andai bene. Una a Nevegal nel 2010, sempre al Giro. Un’altra da neoprofessionista, alla Settimana Bergamasca sul Selvino.

E quando uno è cronoman, lo è anche nelle cronoscalate?

Come pacing sì, assolutamente. Io ad esempio, in quelle del Giro, sono arrivato due volte nei primi dieci, ma non ero uno dei migliori dieci scalatori. Lo scalatore ha bisogno del cambio di ritmo, dell’avversario… cose che in una cronoscalata non servono. Anche se poi oggi è diverso, si corre col power meter, sono tutti più consapevoli di quello che devono fare, però resta (anche) un gioco mentale. La capacità di stare al limite per tanto tempo è una qualità da cronoman. Lo scalatore spesso ha bisogno di un riferimento davanti.

Riguardo ai setup: sulle posizioni si ritocca qualcosa?

Visto che le pendenze medie delle due salite sono attorno all’8 per cento, non farei modifiche eccessive. Si può pensare di accorciare l’attacco manubrio se si usa la bici da strada, per respirare meglio. Se invece si usa quella da crono, qualche modifica è più probabile: magari si può alzare la base d’appoggio delle protesi anche di due centimetri, sempre per migliorare la respirazione.

Sierra fuori dal Giro U23, ma in gara con i pro’ in Belgio

18.06.2025
5 min
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ALBESE CON CASSANO – Il camper del Tudor Pro Cycling Team U23 è parcheggiato poco lontano dal foglio firma della terza tappa del Giro Next Gen. I ragazzi della formazione svizzera si cambiano su sedie da campeggio ridendo e scherzando tra di loro. La frazione che termina al Passo del Maniva è alle porte e oggi (ieri per chi legge) si sono visti i primi verdetti. Dei cinque atleti il migliore nella classifica di tappa è lo svizzero Robin Donzé, sedicesimo alla fine della giornata. 

«Il Giro Next Gen rappresenta uno dei primi obiettivi di stagione – ci racconta Boris Zimine, Sport Director della formazione U23 – e la giornata di oggi ha dato delle risposte. Lo scorso anno Robin Donzé si era dedicato completamente ad aiutare Mathys Rondel mentre quest’anno cercherà di fare del suo meglio». 

La Tudor Pro Cycling Team U23 ha optato per una quadra di scalatori al Giro Next Gen (foto Xavier Pereyron)

Spazio agli scalatori

Una delle notizie in casa Tudor Pro Cycling per questo Giro Next Gen è l’esclusione di Juan David Sierra. Il velocista italiano, nato tra l’altro a Rho, sede della cronometro iniziale della corsa rosa under 23, non è stato incluso nei cinque nomi della squadra svizzera.

«Per questo Giro Next Gen – dice Boris Zimine – abbiamo scelto di avere il giusto mix di corridori con una preferenza per gli scalatori. Durante l’anno non ci sono tante gare per loro e queste otto tappe sorridono proprio a loro. Nel complesso abbiamo scelto corridori che possono curare la classifica generale o che possano essere di supporto al leader». 

L’esclusione di Sierra a cosa è legata?

Al percorso. Ieri (a Cantù, ndr) è stata una tappa dura, se guardate la classifica di tappa vedrete che c’erano davanti tutti gli uomini di classifica. Sparfel ha fatto secondo, Widar quarto. 

Quindi avete pensato non ci fossero tappe adatte a lui?

Sì. Anche se dovesse arrivare una volata sarebbe a ranghi ridotti direi. Con una formazione composta da cinque corridori è difficile pensare di tenere chiusa la corsa. Questa è la ragione principale. Non siamo stati felici di lasciare a casa Sierra perché sappiamo quanto sia importante per noi. 

Inizialmente le squadre al Giro Next Gen dovevano essere composte da sei corridori, ma poi l’organizzazione ha cambiato. 

Con sei ragazzi qualcosa sarebbe cambiato, ma non solo per noi. Rispettiamo quello che l’organizzazione decide e basta, senza polemiche. 

Sierra dopo la dolorosa notizia dell’esclusione dal Giro Next Gen ha vinto la Paris-Troyes, una bella prova di forza e carattere (foto Belair Clap – BC Sport Agency)
Sierra dopo la dolorosa notizia dell’esclusione dal Giro Next Gen ha vinto la Paris-Troyes, una bella prova di forza e carattere (foto Belair Clap – BC Sport Agency)
Sierra poi ha vinto una corsa importante come la Paris-Troyes…

E’ stato bello anche perché l’anno scorso aveva già fatto questa gara e aveva commesso qualche errore. Questa volta non ha ripetuto quegli sbagli ed è riuscito a entrare nello sprint finale vincendolo (in apertura (foto Belair Clap – BC Sport Agency, ndr). Credo sia stata un’ottima prova di carattere, anche perché pochi giorni prima gli avevamo fatto presente l’esclusione dal Giro Next Gen. Ovviamente era deluso, ma il fatto che abbia vinto pochi giorni dopo è una grande cosa.

Abbiamo visto che correrà al Giro del Belgio.

Sì, correrà con il team professional. Non è la prima volta quest’anno, ha già fatto qualche gara con la formazione maggiore. Per lui, ma anche per noi, è un bel passo. Non potendolo portare qui al Giro Next Gen abbiamo guardato alla gara che potesse dargli qualcosa in chiave di crescita e sviluppo. 

Sierra nel 2025 ha corso tanto con i professionisti e nelle gare del Nord, qui all’ultima Tro-Bro Léon
Sierra nel 2025 ha corso tanto con i professionisti e nelle gare del Nord, qui all’ultima Tro-Bro Léon
Cosa può dargli un’esperienza del genere?

Onestamente penso che il Giro del Belgio possa essere una buona esperienza per prendere confidenza con i percorsi e le strade del Nord. Ci sono tante gare e molte Classiche importanti in Belgio durante l’anno e credo che Sierra possa essere un corridore adatto a quei percorsi in futuro. 

Come giudichi il suo tragitto con voi?

Penso sia buono, sento che sta migliorando e diventando anche più maturo. Deve continuare così perché il cammino è giusto, ha ancora margini ed è giusto che sia così visto che è nel devo team. Si tratta di un processo in atto e dobbiamo proseguire.

Ritorno al Tour, viaggio con Trentin fra esperienza e ricordi

18.06.2025
6 min
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Aveva 23 anni ed era professionista da due. Non vinceva dal campionato italiano under 23 del 2011 quando sull’arrivo di Melilli aveva fatto scoppiare in lacrime Fabio Aru. Matteo Trentin era stato inserito dalla Omega Pharma-Quick Step nella squadra del Tour 2013, accanto a compagni come Cavendish, Terpstra, Chavanel, Kwiatkowski e Tony Martin. Gente tosta, ma il ragazzino italiano cresciuto a strada e ciclocross nel Team Brilla non era da meno. E fu così che nel giorno di Lione, provocando quasi un infarto a Davide Bramati, prima si infilò nella fuga che sarebbe arrivata e poi vinse la tappa.

Prima vittoria da professionista al Tour de France. Ne andava così fiero che di tappe ne vinse altre due. Una l’anno dopo, battendo Sagan in volata a Nancy. E una nel 2019, vincendo a Gap. Mai una città banale nei Tour di Trentin, che si accinge ora a farvi ritorno con la Tudor Pro Cycling, dopo un anno di assenza.

La prima vittoria di Trentin da pro’ è la tappa del Tour 2013 a Lione: non ha ancora 24 anni
La prima vittoria di Trentin da pro’ è la tappa del Tour 2013 a Lione: non ha ancora 24 anni
Che cosa rappresenta il Tour per Matteo Trentin?

E’ la corsa più grande del mondo e anche la più importante. Quando come me hai avuto la fortuna e la bravura di vincere tappe nei tre Grandi Giri, ti rendi conto che il Tour sia proprio esponenzialmente più grande, con più gente rispetto a tutto il resto.

E’ così evidente anche dall’interno?

E’ una cosa che ti salta all’occhio subito. Quando vai in sala stampa per la conferenza, c’è una marea di persone. Al Giro e alla Vuelta sono pure tante, ma non così. E poi sono differenti, arrivano da tutto il mondo, mentre al Giro e alla Vuelta ci sono soprattutto gli europei.

Vincesti la prima tappa a 23 anni, eri professionista dall’anno precedente. Che cosa ricordi?

Mi ricordo tutto, perché le strade e i posti in cui vado mi restano tutti in testa. Pensate che pochi giorni fa con il Delfinato eravamo nell’hotel dove ero la sera prima di quella mia vittoria, a Saint Amand Montrond. Aveva vinto Cavendish, era stata la tappa dei ventagli e lui aveva fatto il panico a 120 chilometri dall’arrivo per far fuori Kittel. Poi erano saltati fuori quelli di classifica e io rimasi fuori dal ventaglio della Saxo Bank di Contador, per fare fuori Froome. Arrivai con lui a più di un minuto, forse perché mi ero messo in fondo al gruppo pensando ai fatti miei.

E’ l’11 luglio del 2014, Trentin brucia Sagan nella volata di Nancy: seconda vittoria al Tour
E’ l’11 luglio del 2014, Trentin brucia Sagan nella volata di Nancy: seconda vittoria al Tour
Un brutto colpo per uno cresciuto al Nord…

Infatti andai a letto dicendomi che il giorno dopo sarei andato in fuga. Ci andai e vinsi.

Si dice che oggi vincano tanto i corridori molto giovani, eri comunque un debuttante al Tour e vincesti a 23 anni…

Vincevano i giovani anche allora, magari non tanto come adesso. Soprattutto perché ne fanno passare così tanti che ormai in gruppo ci sono soltanto i ragazzini e gli anziani sono spariti. Insomma, anche per la legge dei grandi numeri, sono più loro che noi.

La seconda tappa, l’anno dopo la vincesti con una volatona di gruppo. Secondo arrivò Sagan in maglia verde…

Il gruppo si era un po’ sgretolato, perché c’era una salita poco più lunga di un chilometro entrando nel finale. Ci fu anche una caduta in fondo alla discesa, per cui penso che fossimo non più di 40 corridori. La volata venne molto bene, a volte sapevo fare grandi cose.

Infine la terza vittoria di tappa a Gap da campione europeo, su un percorso con tante salite, avendo anche cambiato squadra: dalla Quick Step alla Mitchelton-Scott.

Diciamo che era l’ultima disponibile. Ero arrivato vicino a vincere la tappa in altre occasioni. A Colmar, a Saint Etienne e anche a Bagneres de Bigorre sui Pirenei, che era anche dura. Un po’ mi fregò Simon Yates, che allora era mio compagno di squadra. Io ero davanti in fuga da solo e lui dietro tirava. Venne a prendermi, poi vinse la tappa e… niente.

Nel 2019 Trentin vince a Gap in maglia di campione europeo: terza vittoria al Tour
Nel 2019 Trentin vince a Gap in maglia di campione europeo: terza vittoria al Tour
Perché Gap era l’ultima disponibile?

Perché poi c’erano solamente Valloire, Tignes e Val Thorens e l’arrivo a Parigi. Sicuramente ci sarebbe stata una fuga, quindi dovevo semplicemente agganciarmi e poi giocarmela al meglio. Sono stato anche bravo, perché arrivai da solo, staccando Asgreen e prima ancora il gruppetto con Van Avermaet e anche Daniel Oss.

Visto che ricordi strade e luoghi, hai familiarità con i posti del ciclismo in Francia?

Ma sapete che dopo un po’ di anni, ti accorgi che più o meno le strade sono sempre quelle? Tornando al discorso de “La strada non è nostra”, bisogna riuscire a passare dove hanno l’abitudine a vederti. Alla fine della fiera, tra Parigi-Nizza, Definato e Tour, tante volte ti accorgi che passi veramente negli stessi posti. O comunque, dovendo raggiungere due punti sulla mappa in una determinata regione, il più delle volte si usa la stessa strada. E’ anche comprensibile, perché facendo così magari gli organizzatori hanno meno difficoltà di chiedere chiusure di cui non sono sicuri.

Dopo tanti anni che lo frequenti, pensi di avere col Tour un rapporto particolare?

Speriamo, speriamo anche di farlo funzionare. Quando abbiamo fatto i programmi, prima c’era la parte delle classiche, poi ho iniziato a concentrarmi sul Tour. Venendo da una squadra un po’ più piccola, dove comunque c’è bisogno di esperienza in corse così grandi e di persone solide che magari un paio di Grandi Giri li hanno finiti, è stato un po’ più facile entrare a far parte dei papabili per il Tour. Rispetto magari a squadre dove i corridori sono tanti e la lunga lista del Tour era ancora di 15 corridori alla partenza del Delfinato.

La stagione di Trentin divisa in due parti: prima le classiche (qui all’Amstel) e ora tricolori e Tour
La stagione di Trentin divisa in due parti: prima le classiche (qui all’Amstel) e ora tricolori e Tour
L’ambizione è sempre quella, oppure proprio per il fatto che sei in una piccola squadra, avrai un altro ruolo?

L’ambizione è sempre quella di andare per le tappe, quindi devi essere pronto a giocartele ogni volta che si presenta la possibilità. Però non ho la pelle d’oca come la prima volta, so cosa mi aspetta. Sarà diverso forse per i giovani della squadra. Non so ancora i nomi di tutti quelli che saranno in Francia. Però posso dire che abbiamo fatto il Delfinato e a quelli che non lo avevano mai corso ho detto: «Ragazzi, preparatevi, perché qua vi accorgerete di cosa sia il ciclismo. Qua si va veramente forte!».

E’ vero che al Delfinato si va più forte che al Tour?

Dipende dalle giornate e dalle annate. Ritorna il discorso dei trials interni per far vedere alla squadra che ti meriti il posto al Tour. In più quest’anno la Visma e la UAE si sono messe a voler vedere chi è più forte, per cui abbiamo avuto tappe sempre tirate.

Come hai visto il tre del podio 2024?

Mi sembra che stiano bene tutti quanti. Evenepoel ha faticato un po’ sulle salite, ma a crono li ha suonati come tamburi. Preferisco concentrarmi su di me. Per cui ora farò gli italiani, poi tornerò a casa un altro paio di giorni e poi finalmente si torna al Tour.