Salvate il soldato Remco (che riparte dal Tour of Britain)

02.09.2025
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Woodbridge è un paese di undicimila abitanti della contea del Suffolk, in Gran Bretagna, che oggi darà il via al Lloyds Bank Tour of Britain. L’ultima corsa della carriera per Geraint Thomas, quella del rientro per Remco Evenepoel. Anche ieri pioveva, sembra che lo faccia ogni giorno. Per questo i campi e i giardini sono gonfi di un bel verde fradicio.

A volte i tasselli del puzzle si mettono a posto da soli. La riflessione fatta nell’Editoriale di ieri sull’estremizzazione delle preparazioni, già denunciato dalla signora Vingegaard, teneva conto anche del caso di Remco, smagrito e svuotato nel tentativo di rincorrere Pogacar. La sua storia recente avvalora la tesi. Magari non tutti, ma tanti stanno esagerando, avendo per riferimento un campione così speciale da rappresentare un’eccezione, cercando di farne la regola. Finirà che un giorno anche Pogacar dovrà arrendersi a se stesso, quando si renderà conto di non poter più reggere il confronto con le sue imprese.

Evenepoel e Pogacar si sono incontrati all’Amstel, in cui Remco è arrivato terzo. Ma già Freccia e Liegi hanno scavato il solco
Evenepoel e Pogacar si sono incontrati all’Amstel, in cui Remco è arrivato terzo. Ma già Freccia e Liegi hanno scavato il solco

Ritirato per sfinimento

Evenepoel era sparito dai radar ritirandosi dal Tour. Arrivò quasi ai piedi del Tourmalet e alzò bandiera bianca, dopo aver subito l’onta di essere ripreso da Vingegaard nella crono di Peyragudes. Va bene che il danese è più scalatore di lui e quella tappa aveva l’arrivo sul celebre muro, ma voi lo capite che cosa abbia significato un momento del genere per il campione che ha vinto mondiali e olimpiadi a crono?

Remco non aveva particolari malattie, se non l’essere spossato, svuotato, sfinito. Spiegandolo ai media alla vigilia della corsa britannica, ha detto di non essersi mai riposato del tutto prima della sfida del Tour.

Tour de France, 14ª tappa: a circa 100 km dall’arrivo, Evenepoel, sconsolato, si ritira (immagine tv)
Tour de France, 14ª tappa: a circa 100 km dall’arrivo, Evenepoel, sconsolato, si ritira (immagine tv)

Necessità di staccare la spina

Così si è fermato, come riesce a fare chi può scegliere. A fine luglio ha messo per due settimane la bici in un angolo e si è rifugiato a casa sua in Belgio. Il padre, intervistato da l’Avenir, ha spiegato come fosse completamente esausto e avesse la necessità assoluta di staccare la spina. Il suo allenatore Koen Pelgrim, che ha fornito ovviamente una versione edulcorata, ha detto che Remco ha ricaricato le batterie per essere pronto mentalmente e fisicamente per l’ultima parte della stagione. Sarebbe suonato strano se anche lui avesse ammesso che il campione è stato spinto oltre la sua capacità di sopportazione.

Remco era talmente svuotato da aver saltato per la prima volta dopo tre anni la R.EV. Ride, il raduno dei suoi fan che si tiene ogni anno al Castello di Schepdaal. «Dal punto di vista medico – ha detto ancora suo padre a l’Avenir – non era pronto a correre con tutti gli altri. Ed è anche positivo per lui resettarsi completamente. La gente capirà».

Prima del ritiro dal Tour, la resa nella crono di Peyragudes: Vingegaard, partito 2′ prima, lo riprende e lo salta
Prima del ritiro dal Tour, la resa nella crono di Peyragudes: Vingegaard, partito 2′ prima, lo riprende e lo salta

A Livigno, in silenzio

Allo stato di prostrazione fisica, luglio ha aggiunto la notizia del passaggio di Evenepoel alla Red Bull-Bora-Hansgrohe, che ha fatto parecchio rumore. Anche il modo in cui la Soudal Quick Step lo ha annunciato non ha contribuito a distendere gli animi. In ogni caso, quattro giorni dopo, Evenepoel è arrivato a Livigno per riprendere la preparazione, in vista di mondiali ed europei: cronometro e strada.

A parte il suo staff, nessuno sa in che modo il belga abbia lavorato. Contrariamente a quanto accade ormai per consuetudine infatti, Remco non ha condiviso alcuna attività su Strava. L’unica informazione è venuta dal suo allenatore che ha parlato di volumi di lavoro a bassa intensità.

Il tassello finale del puzzle, che fa capire come non si sia trattato di uno stop dovuto a un trauma o una malattia, lo ha fornito Lefevere, che è sempre stato il padre putativo di Evenepoel. Ha ammesso al podcast Derailleur di non aver avuto a lungo contatti con il ragazzo. «Mi ha detto che ci rivedremo – ha raccontato – quando la tempesta si sarà calmata. Non voglio disturbarlo in questo momento. Il cambiamento di squadra non lascia mai nessuno indifferente, porta sempre un po’ di stress».

Sfrontato, potente e spensierato: così Evenepoel con Lefevere dopo la prima Liegi vinta nel 2022 (foto Wout Beel)
Sfrontato, potente e spensierato: così Evenepoel con Lefevere dopo la prima Liegi vinta nel 2022 (foto Wout Beel)

La maledizione del Tour

In questa stagione che lo ha visto rientrare vincendo la Freccia del Brabante dopo aver sistemato le tante fratture dell’incidente in allenamento, Remco ha di fatto conquistato tre vittorie in altrettante cronometro: al Romandia, al Delfinato e al Tour. Prima della Grande Boucle, gli annunci sulla sua magrezza e gli ottimi valori si sono infranti su un’altra evidenza. Ora che (forse) si è capito che esiste un limite o in attesa che anche la Red Bull provi a fare di lui l’anti Pogacar, quello che sarebbe auspicabile per Remco sarebbe il ritorno alla spensieratezza. La stessa che gli ha permesso di ottenere le vittorie più belle e che è sparita da quando il Tour è entrato nella sua vita. Il podio del 2024 ha fregato anche lui. Il timore per chi lo conosce è che nel tentativo di cambiargli il dna, finiranno col cambiargli anche l’anima.

Il mondiale dei 14 allori, Addesi si frega le mani…

02.09.2025
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L’Italia paraciclistica torna da Ronse, sede belga dei mondiali con 14 medaglie, lo stesso numero della rassegna zurighese dello scorso anno, solo che gli ori sono più che raddoppiati, arrivando all’esatta metà. La spedizione italiana guidata dal cittì Pierpaolo Addesi è stata trionfale, riportando alla memoria antichi bottini, quelli dell’epoca dello sfortunato Zanardi. Ma rispetto ad allora le differenze ci sono e sono sostanziali.

Addesi è appena sceso dall’aereo che lo riportava a casa, ritrovando sul cellulare una pioggia di chiamate inevase, di messaggi WhatsApp, di complimenti espressi da ogni parte e la prima cosa che ha notato è che mai come questa volta i successi dei suoi ragazzi hanno avuto un così forte riscontro mediatico, quando in passato (ecco una delle differenze…) avevano, se andava bene, una “breve” sui quotidiani sportivi.

Doppietta d’oro per l’olimpionico Cornegliani, battendo sempre lo storico rivale sudafricano Dui Preez (foto FCI)
Doppietta d’oro per l’olimpionico Cornegliani, battendo sempre lo storico rivale sudafricano Dui Preez (foto FCI)

«E’ una reazione a catena – sottolinea Addesi – La giornata storica di Rovescala non ha solo dato spinta al nostro gruppo sul piano tecnico e agonistico, ma ha anche attirato i fari dell’attenzione. C’era un’atmosfera speciale, si respirava sin dalla vigilia, ma io dico che era nell’aria già al primo ritiro stagionale. Si capiva che qualcosa stava cambiando, che si stava creando un vero e proprio gruppo, dove ognuno sostiene l’altro. Dove innanzitutto ci si diverte. Così sembra tutto più facile e ed è una cosa che ripeto da ogni volta che facciamo le riunioni: non è che si diventa felici dopo che si vince la medaglia, ma si vince la medaglia se si è felici».

Una volta si parlava di due gruppi separati, handbike e gli altri…

Non è così, almeno non più. Si sta tutti insieme, ma vorrei sottolineare anche lo staff che c’è dietro. Ci aiutiamo anche in ruoli diversi, cioè non facciamo distinzioni. E questa disponibilità i ragazzi la avvertono. Domenica sera sono uscite parole bellissime nella festa finale.

Come Cornegliani e Farroni, anche Roberta Amadeo ha vinto l’oro sia in linea che a cronometro (foto FCI)
Come Cornegliani e Farroni, anche Roberta Amadeo ha vinto l’oro sia in linea che a cronometro (foto FCI)
Che livello hanno avuto questi mondiali?

Ormai andiamo sempre più verso il professionismo, ogni edizione lo dimostra maggiormente. Il nostro bilancio non deve trarre in inganno, c’è ancora differenza con altri Paesi dove i corridori sono inseriti anche in squadre WorldTour e fanno i professionisti a tutti gli effetti. Ma noi ci stiamo arrivando, io sono ottimista, se riusciremo a coinvolgere le nostre squadre, anche se in Italia non è che ne abbiamo tante, ad aprirle a questi ragazzi. Come fanno in Francia – ammette Addesi – dove per esempio la Cofidis ha nell’organico due atleti in gara ai mondiali. E’ questione di tempo, ma stiamo andando nella direzione giusta. Infatti ci sono nomi che corrono e vincono fra Elite e Under 23 che già hanno le peculiarità per correre fra noi e sono molto interessati, il prossimo anno avremo tanti volti nuovi. Ma ci dobbiamo arrivare piano, anche se le società ancora ci guardano in modo diverso. Ma quel che è successo a Rovescala e questi risultati iridati sono un grande aiuto.

Il terzetto del team relay, con Cortini, Mazzone e Testa, bronzo dietro Francia e Australia (foto FCI)
Il terzetto del team relay, con Cortini, Mazzone e Testa, bronzo. In alto a sinistra il cittì Addesi (foto FCI)
Fino a qualche anno fa c’era sempre una sproporzione nel medagliere a favore delle handbike. La situazione adesso qual è?

Sta cambiando profondamente, anche se i campioni dell’handbike continuano a raccogliere allori. Ma lo dico apertamente, avremmo potuto ottenere molto di più con un pizzico di fortuna. Stacchiotti stava correndo un mondiale favoloso, era nella fuga decisiva di 5 corridori e il finale era a suo favore, ma una foratura ha spento i suoi e i nostri sogni. Sarebbe stata quantomeno un’altra medaglia perché l’arrivo era per lui. Anche nel tandem femminile Noemi Eremita e Marianna Agostini hanno perso per foratura un possibile bronzo. Senza dimenticare la Cretti che era in forma perfetta, ma ha avuto un problema meccanico prima della partenza. Ha corso con la bici di riserva, ma mentalmente non c’era più ed è comprensibile. Aspetteremo il mondiale su pista di Rio per rifarci. Non dimentichiamo che qualche anno fa non avevamo più neanche un ciclista, c’erano solo handbike. Ora diventiamo sempre più competitivi dappertutto.

La gioia di Di Felice e Andreoli per un oro atteso da ben 11 anni, vinto anche grazie a Totò e Bernard (foto FCI)
La gioia di Di Felice e Andreoli per un oro atteso da ben 11 anni, vinto anche grazie a Totò e Bernard (foto FCI)
Tra tante medaglie qual è quella che ti ha emozionato di più?

Dico la verità, l’oro del tandem, perché mancava da 11 anni ed è il frutto di un lavoro prolungato. Vedere un tandem che a distanza di due anni dalla sua costituzione vola sul gradino più alto del podio vuol dire che abbiamo lavorato bene (e a tal proposito Addesi racconta un episodio, ndr). Lo scorso anno a ottobre ho invitato Di Felice a provare il tandem con Andreoli. Sono venuti nella mia zona, a casa mia abbiamo fatto un test, ho visto subito che c’era qualcosa di buono.

Qual è la loro storia?

Di Felice, dopo le brutte vicissitudini culminate con la lunga squalifica ha trovato con noi la strada per riscattarsi. Io penso che avrebbe avuto tutto per fare il professionista. Le vicissitudini passate io le conosco in parte, non tutte, ma sono parte del passato. E’ molto determinato, ha una testa che è impressionante. Andreoli da parte sua l’agonismo lo aveva già masticato nello sci. Io però ho visto un Andreoli cambiato nel giro di un anno, che fa da guida anche agli altri. Sono andati proprio forte, le altre nazioni sono venute a complimentarsi e non dimentichiamo che ai piedi del podio sono finiti Totò e Bernard che hanno giocato di squadra.

Nella categoria H3 Testa e Pini hanno fatto compagnia sul podio al dominatore francese Bosredon (foto FCI)
Nella categoria H3 Testa e Pini hanno fatto compagnia sul podio al dominatore francese Bosredon (foto FCI)
Nelle handbike continuiamo a vincere con campioni che prolungano negli anni i loro successi, ad esempio Mazzone, il portabandiera di Parigi…

Le categorie di Mazzone, Cornegliani tengono conto di disabilità molto gravi, che portano gli atleti a prolungare negli anni la loro attività perché arrivare a quei livelli, anche per chi è giovane, è difficile. Nelle loro condizioni l’attività richiede enormi sacrifici, basti dire che se si gareggia o ci si allena alle 10, per espletare tutte le proprie attività bisogna alzarsi anche alle 4 di notte. Non tutti sono disposti a fare questi sacrifici. Le categorie con la C sono diverse, spesso sono legate a incidenti, per la maggior parte in moto.

Per Addesi non c’è nemmeno il tempo di rifiatare perché c’è subito da mettersi a lavorare per i mondiali su pista…

Sarà un mondiale un po’ ridotto perché lontano e non dà punti per le qualificazioni olimpiche, ma posso garantire che già dal prossimo anno avremo un livello più alto, a partire già dai materiali. Stiamo lavorando per trovare situazioni a nostro vantaggio. Stiamo lavorando proprio per Los Angeles, con calma, perché le cose si fanno per tempo, ma sono sicuro che nell’arco di un paio d’anni avremo un gruppo solido e forte sia su strada che su pista. Quest’anno però non andrò a Rio per cambiare aria con gli atleti che ho. Mi aspetterò piazzamenti importanti, potrebbe arrivare anche qualche medaglia. Guardando solo alle specialità olimpiche perché non dobbiamo disperdere le energie. La Federazione ci sta sostenendo, sono sicuro che anche il Comitato italiano Paralimpico ci metterà delle condizioni migliori per arrivare alle prossime Paralimpiadi con una squadra veramente di livello forte. Io voglio vincere, parliamoci chiaro…

La Vuelta riposa, facciamo luce su Tiberi

01.09.2025
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«Abbiamo la maglia rossa – dice Tiberi – stiamo facendo una bella Vuelta. Personalmente invece non sta andando come avrei sperato, ho avuto delle sensazioni ben diverse da quelle che mi aspettavo. Nei primi giorni ero abbastanza tranquillo, perché in avvio di una gara a tappe non mi sono mai sentito super. Ho bisogno sempre di qualche giorno per prendere il ritmo. Con il primo arrivo in salita serio, sono arrivato con i primi (ad Andorra è arrivato 15° nel gruppo di Vingegaard, Almeida e Ciccone, ndr). Ho risposto bene agli scatti e ho avuto la conferma di essere in crescita. Invece il giorno dopo, di punto in bianco, si è spenta la candela, mi sono trovato senza energie».

La Vuelta riposa a Pamplona, la città di Miguel Indurain. Nell’hotel della Bahrain Victorious alle 14,30 ha parlato il leader della corsa Traen Torstein, che con la sua storia di sopravvissuto al cancro è un eroe fra gli eroi. Nella sua stanza invece Tiberi sta cercando di capire il perché di un passaggio a vuoto inatteso. Al Giro era stata la caduta a farlo fuori dai giochi, che cosa è successo in Spagna?

A Limone Piemonte, per Tiberi passivo di 21 secondi. Ancora nessun allarme: in avvio ha sempre faticato
A Limone Piemonte, per Tiberi passivo di 21 secondi. Ancora nessun allarme: in avvio ha sempre faticato
Come stai?

Ho un po’ di stanchezza, sto sfruttando la giornata per cercare di recuperare. Dall’arrivo di Cerler è cambiata tutta la mia Vuelta, è cambiato l’approccio. Il giorno prima i dati erano giusti, buoni e tutto nella norma, anzi anche meglio. Invece dal giorno dopo i numeri fanno vedere che il corpo ha iniziato a subire troppo la fatica. Il recupero non era dei migliori. Anche il rapporto tra la potenza che riuscivo ad esprimere e l’affaticamento del corpo, con i dati e le sensazioni, non era normale. Non era come al solito e non lo è tutt’ora.

In che senso?

Anche oggi, nel fare una sgambata in bici, non mi sono sentito come al solito. Avevo le sensazioni di quando il fisico inizia a chiedere di calare un po’ il gas.

E’ settembre, la stagione è stata lunga. Al Polonia andavi forte: è possibile che tu sia arrivato alla Vuelta già stanco?

Secondo me, sì. A questo punto direi non solo secondo me, perché i dati e le sensazioni parlano chiaro. Al Polonia ci sono arrivato che stavo particolarmente bene. Subito dopo sono andato diretto in altura e appena arrivato a Sestriere, sono stato male per 2-3 giorni. Ho avuto un po’ di nausea, qualche linea di febbre e sensazioni di stanchezza. Ugualmente sono rimasto in altura e forse lo potevo evitare, perché in quota il recupero è meno agevole. Anche questo potrebbe essere un fattore che ha fatto la sua parte.

Come reagisci all’altura? Ti dà sempre dei buoni risultati?

E’ un discorso delicato, che dipende tanto da persona a persona. Addirittura c’è anche chi non ci crede. Io sento dei benefici, ma oltre all’essere a duemila metri, è il fatto che sei con la squadra, isolato da ogni distrazione. Fai i tuoi allenamenti, hai il massaggiatore, il fisioterapista, il nutrizionista. Un ambiente che ti permette di allenarti al 100 per cento. Puoi curare ogni minimo dettaglio, quindi a parer mio è più quello che fa la differenza, che l’altura in sé per sé. Poi è ovvio che ci sono dietro mille studi, per cui anche stare in quota fa bene, ma quantificarlo compete a chi certe cose le studia. Una cosa l’ho notata.

Quattro ritiri in altura nel 2025 di Tiberi e altri due al livello del mare. Qui è sul Pordoi con Damiano Caruso
Quattro ritiri in altura nel 2025 di Tiberi e altri due al livello del mare. Qui è sul Pordoi con Damiano Caruso
Che cosa?

Che magari farla troppo potrebbe dare qualche svantaggio. Se non la si mette nei momenti precisi della preparazione, può anche farti stancare troppo. Comunque a stare a certe quote, il fisico è già sotto stress di suo.

Questo vivere completamente dedicato all’allenamento può essere pesante?

Questo secondo me è uno dei punti chiave. Come quando si cerca di fare sempre il meglio, bisogna cercare anche di non estremizzare troppo. Da noi si dice che il troppo storpia, bisogna cercare il giusto compromesso.

Conoscendoti e viste le sensazioni che hai, che cosa succede nelle prossime due settimane? C’è modo di salvarsi?

L’approccio è cambiato. Non devo più pensare alla classifica generale e tutto quello che comporta. Non c’è più lo stress ogni giorno di recuperare il più possibile, stare attento a tutto in gara, non abbassare l’attenzione neanche per un secondo. Sotto questo aspetto posso avere più serenità. Magari mi può aiutare a recuperare qualche energia da qui all’ultima settimana, per la quale manca ancora un po’. L’obiettivo è tornare ad avere delle sensazioni e dei numeri buoni, in modo da potermi permettere di andare in fuga e fare un risultato di tappa.

Hai parlato di serenità: si rischia di perderla quando le cose vanno così?

Direi di no. Con la squadra mi sento molto sereno, perché sanno tutto, sanno quello che ho fatto, vedono i numeri e capiscono benissimo la situazione. Quindi sono i primi a non darmi assolutamente pressione. Mentre con le attese dall’esterno ci so convivere. So come funziona lo sport a questi livelli e so che ci sono sempre alti e bassi. Non siamo macchine, quindi ci sta che alla fine della stagione, dopo che si è partiti con dei ritiri già da dicembre, il fisico arrivi a un certo punto e chieda un attimo di recupero.

Dopo il passo falso di Cerler, l’obiettivo di Tiberi è stato correre per la squadra
Dopo il passo falso di Cerler, l’obiettivo di Tiberi è stato correre per la squadra
La domanda di prima nasceva da questo: sei ritiri in un anno, mediamente di due settimane, non sono facili da assorbire. Ed è lo schema che oggi seguono quasi tutti.

Diciamo che andare in ritiro inizia ad essere un po’ troppo di moda. Si parte da due settimane a dicembre per poi farne altre due a gennaio. Quest’anno ho fatto il primo ritiro sul Teide a marzo, se non ricordo male. Un altro ad aprile, quello prima del Giro. A luglio prima del Polonia e poi l’altro al Sestriere prima della Vuelta. Ero già stato via per il Polonia, una gara impegnativa in cui ho attinto parecchio alle mie energie fisiche e mentali. Forse in quel momento, sapendo che sarei stato fuori per altre tre settimane di gara, sarebbe stato più rilassante e migliore per il recupero andare per qualche giorno a casa.

Mondiali ed europei a ranghi ristretti, ma Amadori ha le idee chiare

01.09.2025
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Il Tour de l’Avenir ha lasciato negli occhi del cittì della nazionale under 23, Marino Amadori, la certezza di aver tra le mani un futuro campione. Ma la corsa a tappe francese non ha solo mostrato le qualità di Lorenzo Finn, le risposte di tutti i ragazzi chiamati in causa sono state più che soddisfacenti. Così, una volta richiuse le valige e tornato a casa, il tecnico della nazionale si prepara per i prossimi impegni con le idee chiare (in apertura foto Philippe Predier/DirectVelo). 

«Lorenzo (Finn, ndr) ha fatto una bellissima corsa – racconta da casa Marino Amadori – era lì con i migliori e ci siamo giocati il podio fino all’ultimo momento. Le ultime tre tappe sono state divertenti, ma si è trattato di un Tour de l’Avenir complicato. La Francia ha corso all’attacco, anche quando la maglia gialla era sulle loro spalle. Sapevamo che i nomi da “bollino rosso” erano quattro: Seixas, Nordhagen, Widar e Torres. Tutti questi, a parte Widar, sono già nel WorldTour. Essere così vicini e riuscire a mettere dietro lo spagnolo (Torres, ndr) è stata un’ottima cosa per il nostro Finn».

Lorenzo Finn ha corso un grande Tour de l’Avenir e ha messo il suo nome tra i favoriti per i mondiali in Ruanda (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Lorenzo Finn ha corso un grande Tour de l’Avenir e ha messo il suo nome tra i favoriti per i mondiali in Ruanda (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Ci presentiamo ai mondiali e agli europei con una pedina importante…

Con una squadra importante, perché l’Avenir ha dimostrato questo. Siamo forti, e rispetto agli scorsi anni avevamo un nome concreto per la classifica generale. Però tutti gli atleti sono stati bravi, a partire da Turconi che è stato capace di inserirsi nella fuga dei diciannove atleti che ha caratterizzato la seconda tappa. Mattio e Donati hanno svolto un lavoro eccezionale, così come Borgo. Gualdi, invece, è stato bravo a risalire la classifica e arrivare nei primi 20. 

E’ mancata la vittoria di tappa?

Quando si corre con il mirino puntato alla classifica generale è difficile concentrarsi anche sulle vittorie di tappa. Nelle edizioni passate non arrivavamo con un corridore da podio, il nome di Lorenzo Finn faceva paura a molti. La Francia ci ha corso contro dal primo giorno, hanno tentato di metterlo in difficoltà in tutte le maniere. Essere arrivati a sette secondi dalla medaglia d’argento è un risultato notevole

Simone Gualdi e Lorenzo Finn saranno gli unici due a correre sia mondiali che europei (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
In Ruanda sarà davvero una sfida a due con Widar?

Non saprei, perché le incognite per quella gara sono molte. Inoltre ci sono tanti altri corridori da attenzionare: Mateo Ramirez, Pavel Novak, Omrzel e soprattutto Jarno Widar. A Kigali arriveremo con una squadra ridotta, con quattro atleti. Visto che occupiamo la prima posizione nel ranking under 23 ne avremmo potuti schierare sei di ragazzi, ma la Federazione ha dovuto fare delle scelte legittime (l’Italia si presenterà a ranghi completi solamente nelle prove elite, ndr). 

Quattro nomi soltanto, scelte facili o difficili?

Facili, a essere onesti. Perché qualche corridore non mi ha dimostrato una solidità tale da poter pensare di schierarlo al mondiale. Sull’aereo per il Ruanda saliranno: Lorenzo Finn, Simone Gualdi, Alessandro Borgo e Pietro Mattio. I primi due sono le migliori pedine a disposizione per una gara come il mondiale, Mattio è una certezza e Borgo ha fatto vedere di essere forte anche in salita. 

Una trasferta impegnativa, non solo per la durezza del percorso…

Per tanti aspetti: il viaggio, i vaccini (non obbligatori ma consigliati, ndr), il fatto che si corre a quote elevate. L’obiettivo principale sarà di arrivare al giorno della gara, il 26 settembre. Partiremo il 18 settembre, perché Finn e Borgo faranno anche la cronometro, decisione presa insieme a Villa. 

All’europeo, invece, ci presenteremo con la squadra al completo?

No. La decisione, presa in accordo con la Federazione è di correre in quattro anche l’europeo in Francia. Anche perché il percorso sarà ancora più duro del mondiale, con una salita vera di sette chilometri da ripetere tre volte. Verrà fuori una gara individuale, se fatta a certi ritmi. Le uniche due certezze saranno Lorenzo Finn e Simone Gualdi, gli altri due nomi li capiremo strada facendo con le gare di settembre (Giro del Friuli, Pantani e Matteotti, ndr). 

Davide Donati, Italia, Tour de l’Avenir 2025 (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Davide Donati, Italia, Tour de l’Avenir 2025 (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Si correrà una settimana dopo Kigali, tempi stretti…

Strettissimi. Anche qui ci sarà da capire come rientreranno i nostri dal viaggio in Ruanda. Il ritorno è previsto per il 29 di settembre, quattro giorni prima dell’europeo. La cronometro non sarà un problema perché porteremo nomi diversi da quelli che correranno su strada, visto che si tratta di un percorso per specialisti pensavo a Davide Donati e Nicolas Milesi. Ma ci sarà modo di capire.

EDITORIALE / Due parole a chi vorrebbe cancellare i velocisti

01.09.2025
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Tre volate entro l’ottava tappa. La quarta (forse, perché il percorso proprio veloce non è) nella diciannovesima, la quinta a Madrid l’ultimo giorno. I velocisti alla Vuelta potrebbero sentirsi ospiti indesiderati. Dopo aver letto le parole di Thierry Gouvenou, direttore di percorso del Tour de France, ci si chiede se a disegnare le corse siano persone di ciclismo o piuttosto autori di videogame.

«Penso che le squadre dei velocisti – ha detto a luglio il francese, parlando delle tappe monotone con il finale destinato allo sprint – non si stiano facendo alcun favore. In futuro non potremo più avere questo tipo di spettacolo, non ci saranno più tappe veloci in futuro. L’anno scorso ne abbiamo avute otto o nove, alcune molto monotone. Quest’anno ne abbiamo avute circa cinque o sei. E questa sarà la consuetudine futura».

Pogacar è un’eccezione: giusto lottare, ma con la giusta prospettiva. In sua assenza, il ciclismo torna uno sport più aperto
Pogacar è un’eccezione: giusto lottare, ma con la giusta prospettiva. In sua assenza, il ciclismo torna uno sport più aperto

L’eccezione Pogacar

Il ciclismo che piace è quello degli scontri in salita. Pogacar e i suoi sfidanti sono stati capaci di confezionare duelli magnifici. Tuttavia, come ripete spesso Moreno Moser durante le cronache di Eurosport: quello di Tadej non è ciclismo normale. Godiamocelo, ma siamo consapevoli del fatto che sia uneccezione. Proprio la Vuelta sta infatti evidenziando che, tolti l’arrivo di Limone Piemonte e quello di ieri, possono essere soporifere anche le tappe di montagna in cui i leader non si danno battaglia. E non hanno neppure l’adrenalina della volata.

Si sta lavorando in maniera così estrema per spingere i corridori alle prestazioni più elevate che a breve potremmo accorgerci di aver esagerato. Altura a febbraio, altura ad aprile, altura a luglio e poi ancora altura ad agosto. Prima però i ritiri di dicembre e gennaio. Sei ritiri all’anno, quattro in quota, alcuni anche cinque: un carico notevole. Non serve essere dei fisiologi per capire che a un certo punto anche l’altura smetta di dare frutti e che, per contro, dal punto di vista psicologico, le conseguenze rischiano di essere pesanti. Vogliamo scommettere che in tante crisi inattese ci sia il rifiuto della fatica?

Smagrito, meno potente e meno vincente: fa bene Evenepoel a snaturarsi per rincorrere Pogacar?
Smagrito, meno potente e meno vincente: fa bene Evenepoel a snaturarsi per rincorrere Pogacar?

La ricchezza del menù

Chi disegna le corse dovrebbe inserire nel menù ogni specialità possibile. Come dovrebbero fare i giornali che per abitudine raccontano le imprese di un solo campione o di un solo sport. E poi, quando quello sparisce, scoprono di non avere altre cose da dire. A chi risponde che il pubblico vuole leggere soltanto di certi argomenti, rispondiamo che il pubblico va abituato alla varietà.

Come al ristorante. Se anche il piatto forte è quello che ti fa vendere di più, è sbagliato non prevedere altro nel menù. Perché il piatto forte può venire male. Perché gli ingredienti di colpo possono venire meno. Perché il gusto del pubblico potrebbe cambiare.

Così con gli scalatori e i velocisti. Ha senso ed è sostenibile in termini di sicurezza e salute pretendere ogni giorno uno show sovrannaturale? Se per arrivare allo sprint i corridori preferiscono un atteggiamento meno scoppiettante, il rimedio è non portare i velocisti oppure considerare che in certi giorni è utile che tirino il fiato?

Sabato il confronto fra Viviani e Philipsen ha offerto spunti tecnici a non finire: altro che noia…
Sabato il confronto fra Viviani e Philipsen ha offerto spunti tecnici a non finire: altro che noia…

La miopia e le conseguenze

Abbiamo ragionato sabato sulle dinamiche della volata tra Viviani e Philipsen. In quegli ultimi due chilometri ci sarebbe da raccontare il mondo. Invece chi organizza la corsa si lamenta per la mancanza di attacchi nei chilometri precedenti e banalizza lo sprint, quasi che in quei secondi di potenza, adrenalina, tecnica e tattica non ci sia nulla da raccontare.

L’effetto Pogacar fra qualche anno svanirà. C’è da augurarsi che nel frattempo i vari tentativi di replicarlo non producano guasti irreparabili. Costringendo ragazzi giovani a innalzare l’asticella senza mai arrivare al livello necessario, ma sfinendosi nel farlo. Cercando di intercettare talenti precoci che si ritrovano di colpo a fare i conti con l’inadeguatezza e la depressione. Il ciclismo è un mondo dalle mille sfumature. L’appiattimento è miope e non conduce lontano. Può anche andare bene che lo chieda il pubblico, non va bene che si renda complice chi ha il compito di gestirlo.

Matilde Cenci, ai mondiali è esploso un talento puro

01.09.2025
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Tre medaglie d’oro e la ciliegina del bronzo nella velocità. I mondiali juniores su pista ad Apeldoorn hanno mostrato l’esplosione di tutto il talento di Matilde Cenci, arrivata in Olanda quasi da sconosciuta per poi guadagnarsi l’ammirazione anche delle delegazioni straniere. E’ una delle tante storie belle del ciclismo, che spesso fa sbocciare dal nulla autentici campioni: Matilde è giovanissima, non ancora maggiorenne e se sarà una campionessa assoluta solo il tempo potrà dirlo, ma le premesse ci sono tutte.

Matilde con le compagne iridate nel team sprint, Campana, Fiscarelli e Trevisan (foto UCI)
Matilde con le compagne iridate nel team sprint, Campana, Fiscarelli e Trevisan (foto UCI)

Proviamo allora a scoprire con chi abbiamo a che fare, alla storia di questa ragazza di Romano d’Ezzelino: «Farò 18 anni il prossimo 14 novembre. Da piccolina facevo ginnastica artistica, ma mi sono fatta male al legamento del ginocchio. Nel frattempo mio fratello correva in bici al Veloce Club Bassano, così ho conosciuto i suoi compagni, ho fatto amicizia e ho deciso di provare a correre in bici perché la ginnastica artistica a quel punto non era più la mia strada. A proposito di strada, correvo e qualche risultato lo coglievo, ma assolutamente niente di eccezionale. In pista però andavo sempre forte, al velodromo Mercante che è diventato la mia seconda casa. Il bello è che avevo iniziato con una caduta, ma non ci sono stata tanto a pensare: subito in piedi e poi in sella…».

Quindi un destino praticamente segnato…

Per certi versi sì, la differenza di rendimento c’era così con i dirigenti del team e il cittì Quaranta abbiamo deciso di dedicarci interamente alla pista. Su strada non corro più. Un pochino mi manca quella possibilità che la pista ti dà di rifarti subito dopo una gara andata male, perché il calendario è ricchissimo, ma la pista mi piace enormemente di più.

La bassanese ha scelto di non correre più su strada. Da quest’anno fa parte delle Fiamme Oro (foto Instagram)
La bassanese ha scelto di non correre più su strada. Da quest’anno fa parte delle Fiamme Oro (foto Instagram)
Il tuo passato nella ginnastica artistica ti è stato utile per affrontare proprio questo specifico settore della velocità?

Secondo me non ero ancora a un livello tale da poterne avere un beneficio, perché ero davvero piccolina. Ho iniziato con il ciclismo a 10 anni e mezzo, e devo dire che mi ha preso subito come la ginnastica non era riuscita a fare.

Come ti sei innamorata poi della velocità, che cos’è che ti attrae particolarmente?

A me sono sempre piaciute le discipline veloci, dinamiche, che ti tolgono il respiro perché sei sul filo del rasoio, ti giochi tutto sui millesimi. E poi anche per come sono io fisicamente, sono più portata per le prove di potenza che per le endurance. Poi mi ha sempre appassionato il mondo della velocità, era la disciplina che mi attirava di più.

Fra le varie discipline tu hai vinto tre medaglie d’oro e una di bronzo, ma qual è quella che ti piace di più?

Il keirin, in assoluto, anche se ad Apeldoorn quella che ho vissuto con più emozione è stata il team sprint. Perché è stata una vittoria di squadra e quindi abbracciare le mie compagne, essere consapevoli di aver vinto qualcosa tutti assieme, aver fatto un lavoro di squadra è stato bellissimo.

Nel chilometro da fermo la veneta è andata ad appena 70 millesimi dal record mondiale di categoria (foto Instagram)
Nel chilometro da fermo la veneta è andata ad appena 70 millesimi dal record mondiale di categoria (foto Instagram)
Quaranta raccontava che tu hai vinto la medaglia d’oro nel keirin in maniera quasi inusuale, addirittura facendo un giro e mezzo davanti a tutte…

Io sono arrivata al keirin che era il mio quinto giorno di gara, ero stremata, penso più di testa che di fisico. Inoltre ricordavo l’europeo dove avevo sbagliato tutto, era la gara alla quale tenevo di più. Ad Apeldoorn nelle qualificazioni ho sbagliato ancora e non mi sono qualificata, ma poi ho vinto i ripescaggi e in semifinale sono riuscita a entrare nelle tre per la finale. Prima della gara ero proprio tranquilla, forse perché avevo già vinto nella rassegna. Ivan mi ha detto di pensare solo a divertirmi, magari evitando di farmi male… Quindi io sono salita in bici che avevo il cuor leggero. Mi sono fatta guidare dall’istinto. Ho visto la tedesca che partiva e l’ho seguita, è suonata la campana e sono partita senza starci a pensare ed è andata bene.

Cosa rappresenta per te Miriam Vece?

E’ un punto di riferimento, anzi ormai è anche un’amica perché ci alleniamo assieme a Montichiari. A noi “piccole” ci supporta sempre, al mondiale ci scriveva ogni giorno e ci dava consigli. Lei è un pozzo di esperienza, un aiuto indispensabile.

La vittoria nel keirin è stata la più sorprendente, con il giro finale sempre in testa (foto UCI)
La vittoria nel keirin è stata la più sorprendente, con il giro finale sempre in testa (foto UCI)
Quaranta ha già detto che l’anno prossimo vuole provare a farvi correre con lei per il team sprint…

Noi abbiamo già corso con Miriam lo scorso inverno, anche agli europei. Ma eravamo, io e la mia compagna, ancora troppo piccole, dovevamo ancora crescere molto fisicamente. Quest’anno ci riproveremo a febbraio con gli europei e poi vedremo il cammino di qualificazione olimpica. Di certo Los Angeles è un obiettivo, a lungo termine. Non abbiamo, tra virgolette, il fiato sul collo. Non sentiamo la pressione, ma è un pensiero che abbiamo tutti chiaro in testa.

Lavorare in palestra ti pesa?

Assolutamente no, quest’anno ho cambiato preparatore e devo dire che ha un metodo di lavoro completamente diverso da ciò che io avevo provato prima di lui, mi sto trovando molto bene anche proprio a livello interpersonale. E’ super disponibile, abbiamo un feedback praticamente istantaneo con lui, ci corregge i lavori. E’ un rapporto ideale.

Il bilancio della Cenci è stato di 3 ori e un bronzo. Agli europei aveva vinto il bronzo nel team sprint (foto UCI)
Il bilancio della Cenci è stato di 3 ori e un bronzo. Agli europei aveva vinto il bronzo nel team sprint (foto UCI)
Come riesci a conciliare il tanto lavoro che c’è da fare su pista con la scuola?

Io quest’anno ho dovuto cambiare scuola, mi sono dovuta trasferire in una scuola online, perché stando a Montichiari, dal lunedì al venerdì, per me era impossibile frequentare la scuola in presenza a Bassano. Continuo nel mio indirizzo, scienze umane e terminate le superiori voglio fare l’università, quindi non ho certo preso lo studio alla leggera. Così però posso gestire meglio il tempo e seguire le lezioni nell’orario in cui voglio io.

Che obiettivi ti sei posta adesso, soprattutto dopo che adesso chiaramente hai un po’ più di fari dell’attenzione addosso?

Intanto penso ai campionati italiani di ottobre a Noto, poi a lungo termine c’è il passaggio di categoria. So che sarà molto dura, correrò con atlete con più allenamenti di me, che sono più forti di me, ma tra le under 23 l’anno prossimo mi piacerebbe riuscire comunque a far sentire il mio nome, a far capire che ci sono anch’io, che sto arrivando…

I pensieri di Savino: «Sogno il WorldTour ma con i giusti passi»

01.09.2025
5 min
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I giorni di Federico Savino scorrono tra allenamenti, recupero e qualche risata insieme ai compagni di squadra nel clima ancora estivo del Belgio. Il toscano si trova nell’appartamento messo a disposizione dalla Soudal-QuickStep insieme ad altri quattro compagni del devo team: Pesenti, Favero e i due spagnoli Munoz e Zafra. Dopo aver corso la Muur Classic Geraardsbergen i cinque atleti saranno al via anche della Grote Prijs Stad Halle, nella quale Savino partirà con il numero uno visto il successo del 2024. 

«L’estate belga – ci dice Savino – probabilmente finirà presto e domenica correremo sotto l’acqua. In questi giorni tra una corsa e l’altra ci stiamo allenando ma senza trascurare il recupero. Abbiamo avuto anche il modo di visitare Gent, il nostro compagno Viktor Soenens ci ha fatto da guida. Se avremo tempo andremo anche a Brugge, spostandoci in treno c’è da capire se riusciremo a incastrare un giro tra i vari impegni».

Federico Savino in maglia gialla al West Bohemia, conquistata alla prima tappa e mai lasciata
Federico Savino, Soudal-QuickStep Federico Savino in maglia gialla al West Bohemia, conquistata alla prima tappa e mai lasciata
Innanzitutto, come sta andando questo periodo di gare?

Abbastanza bene, ho avuto un calo fisico a metà stagione dal quale mi sono ripreso. Una volta ripartito la mia condizione è migliorata fino alla vittoria al West Bohemia, corsa dove ho ritrovato anche ottime sensazioni e prestazioni. Anche alla Muur Classic sentivo di avere una buona gamba, poi ho forato all’inizio del muro di Geraardsbergen e la corsa è scivolata via, capita.

La vittoria al West Bohemia ha dato qualcosa in più?

Mi mancava il successo in una corsa a tappe. In questi anni ho vinto una gara di un giorno (la Stad Halle, ndr) e una tappa al Circuit des Ardennes, quindi sono felice di aver fatto anche questo ulteriore passo. L’anno scorso al West Bohemia avevo raccolto un bel terzo posto, quindi sapevo che corsa aspettarmi.

La vittoria al West Bohemia è la prima in una gara a tappe per Savino
La vittoria al West Bohemia è la prima in una gara a tappe per Savino
Raccontaci…

Il percorso è duro ma non abbastanza per scavare grandi distacchi, ci si gioca la vittoria sul filo dei secondi e degli abbuoni. Per questo la prima tappa ero partito con l’idea di andare in fuga e vincere tutti i traguardi volanti, e così ho fatto. Il prologo iniziale era andato bene, quindi sapevo di avere ottime chance per prendere la maglia. 

L’hai presa senza più mollarla. 

E’ una corsa tattica e molto nervosa, sapevo dove e come farmi trovare pronto. Nei giorni successivi mi sono mosso bene e ho conquistato una bella vittoria finale. 

Savino il 27 agosto ha corso alla Muur Classic Geraardsbergen, corsa di categoria 1.1
Savino il 27 agosto ha corso alla Muur Classic Geraardsbergen, corsa di categoria 1.1
Un successo che ti mancava e che può servire al Federico del futuro?

In questi due anni, il terzo è in corso, nel devo team della Soudal-QuickStep ho capito di essere un corridore che può essere competitivo su percorsi mossi e nervosi. Tra Francia e Belgio mi sono sempre trovato bene, così come al West Bohemia. Prediligo molto le gare ricche di sali e scendi, nelle quali non è facile rifiatare. 

Rispetto a quando sei partito per il Belgio ti senti diverso?

Tecnicamente no. Al mio ultimo anno da juniores sapevo di avere determinate caratteristiche e le ho migliorate nel corso di queste stagioni. Sono cresciuto, questo sicuramente. Per il resto rimango un corridore che ha voglia di attaccare, mi rivedo molto nell’atleta che ero. Probabilmente l’aspetto in cui sono migliorato maggiormente è sugli sforzi brevi, tra i 5 e i 10 minuti. 

Savino in questi tre anni con la Soudal-QuickStep Development è migliorato molto negli sforzi brevi
Savino in questi tre anni con la Soudal-QuickStep Development è migliorato molto negli sforzi brevi
Crescita che può portarti a fare il salto nel WorldTour il prossimo anno?

Ne sto ancora parlando con il team. Ci sono diversi aspetti da considerare e sui quali dobbiamo confrontarci. Sicuramente non ho paura di fare un altro anno tra gli under 23. La squadra non mi mette fretta, hanno le idee chiare e si fidano di me. Ho il pieno sostegno e non mi sento di voler anticipare i tempi. Ho già avuto modo di correre con i professionisti.

E cosa ne dici?

Che il salto è grande, molto. L’idea per il 2026 potrebbe essere quella di rimanere un altro anno tra gli under 23 (sarebbe il quarto e l’ultimo, ndr) e fare ancora più esperienze con la formazione WorldTour. Sarebbe un modo per “alleggerire” il salto e arrivare ancora più pronto. Il rischio è di bruciarsi e non ne vedo il motivo. E poi c’è il discorso nazionale.

Savino nel 2025 ha corso molto con i professionisti, il prossimo anno vuole aumentare il numero di gare
Savino nel 2025 ha corso molto con i professionisti, il prossimo anno vuole aumentare il numero di gare
In che senso?

Con le nuove regole UCI che impediscono agli atleti professionisti di correre con le nazionali under 23 c’è un incentivo in più nel restare nella categoria. Se pensiamo che questa restrizione si allargherà anche alle prove di Nations Cup allora la cosa diventa molto limitante. Restare tra gli under mi darebbe modo di fare ulteriori esperienze e di provare ad arricchire il mio palmares. 

Cosa manca?

Una vittoria importante. Ma basterebbe iniziare a vincere con più frequenza, insomma voglio passare nel WorldTour ritagliandomi anche più spazio per me. La Soudal sta cambiando molto, l’addio di Evenepoel rivoluzionerà il team. Si punta tanto su Paul Magnier e sul costruire una squadra giovane capace di stargli intorno. Vorrei farne parte, vero, ma senza rinunciare alle mie ambizioni personali

Vingegaard si diverte, Ciccone salta, Almeida rimugina

31.08.2025
4 min
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Era prevedibile che qualcosa in casa UAE Emirates non andasse. Ayuso s’è tappato le orecchie e forse anche questa volta preferirà non ascoltare. Dopo l’arrivo e il secondo posto alle spalle di Vingegaard, Almeida non ha fatto nomi. Tuttavia il fatto che all’inizio della salita (pedalabile) di Estación de Esquí de Valdezcaray lo spagnolo si sia staccato resta un comportamento da decifrare. Da uno che due giorni fa ha dominato sul traguardo di Cerler, dopo 4.203 metri di dislivello, ci si poteva aspettare di più.

«Siamo stati colti di sorpresa – ha detto Almeida parlando dell’attacco di Vingegaard a 11 chilometri dall’arrivo – non me l’aspettavo. Ero ben posizionato, ma loro hanno attaccato molto forte e per questo non sono riuscito a recuperare. E’ andata così… Ho visto che i ragazzi erano al limite e non potevano fare molto, oggi mi sono mancati particolarmente i miei compagni di squadra. Alla fine non avevo accanto nessuno… Non era molto ripido, quindi penso che avrei potuto seguire Jonas diversamente. Ma non lo sapremo mai».

Almeida ha inseguito Vingegaard andando quasi alla sua stessa velocità: a 27 anni, Joao è nella piena maturità
Almeida ha inseguito Vingegaard andando quasi alla sua stessa velocità: a 27 anni, Joao è nella piena maturità

Il fuori giri di Ciccone

E’ stato così che Jonas Vingegaard ha deciso di affondare i denti, dopo che fino a inizio salita i più attivi erano stati gli uomini della Lidl-Trek. Jorgenson ha tirato e di colpo il danese è andato via da solo. L’ha seguito Ciccone, con un gesto più spavaldo che bello: quello è Vingegaard, per fare classifica contro di lui, bisogna usare la testa e non i muscoli. Ma certe prove vanno fatte e Ciccone a un certo punto ha detto basta.

«Penso che Jonas sia andato troppo veloce per me – ha commentato Giulio, laconico – e ho fatto del mio meglio. Forse seguirlo è stato un errore, era meglio tenere un po’ il passo. Eravamo ancora ai piedi della salita, ma le sensazioni erano buone ed eravamo davvero fiduciosi di provare a vincere questa tappa. Lui a volte è forte e a volte meno. Oggi è stato fortissimo, ma sicuramente ci riproveremo».

Il linguaggio del corpo: bocca chiusa, bocca aperta, il destino di Ciccone era segnato
Il linguaggio del corpo: bocca chiusa, bocca aperta, il destino di Ciccone era segnato

Lo stupore di Vingegaard

Vingegaard non l’ha fatto da super cattivo, anzi alla fine ha scherzato sull’imprudenza di attaccare da tanto lontano. Si è anche voltato spesso, senza scavare solchi profondi. Del resto, fra i rivali davanti è il solo ad aver corso il Tour lottando sino alla fine con Pogacar e a non essersi preparato in altura.

«Oggi mi sentivo benissimo – ha detto Vingegaard – quindi ho chiesto alla squadra di accelerare e hanno fatto un lavoro fantastico. Sono entusiasta di essere riuscito a concludere. A dire il vero, non sapevo che fossi così lontano quando ho attaccato. Non ho fatto i compiti molto bene e sono rimasto sorpreso quando ho visto il cartello dei 10 chilometri. Una volta che ho guadagnato un po’ di vantaggio, ho continuato. Non cercavo la maglia rossa. Il mio obiettivo principale era vincere la tappa e guadagnare tempo sui miei rivali».

La tappa di oggi misurava 195,5 chilometri, attraverso la provincia autonoma di La Rioja
La tappa di oggi misurava 195,5 chilometri, attraverso la provincia autonoma di La Rioja

La promessa di Pidcock

Per una singolare coincidenza del calendario, si è visto oggi sugli scudi anche Tom Pidcock. Il britannico della Q36.5 ha scalato la salita finale assieme ad Almeida. E’ parso troppo a lungo a rimorchio e solo nel finale ha dato il suo contributo, limando una decina di secondi al margine di Vingegaard.

«Mi sentivo davvero bene – ha detto il campione olimpico della moutain bike – ma quando Jonas parte è sempre difficile seguirlo. Ha sempre tanti compagni con sé. Ho creduto che Almeida fosse la ruota perfetta da seguire, ho pensato che saremmo potuti rientrare insieme. Chapeau a lui, non sono proprio riuscito a dargli il cambio. Mi ha urlato contro, ma nel tratto più veloce della salita, sembrava un trattore. E’ ripartito nell’ultimo chilometro ed è stato impressionante, sono riuscito a superarlo solo all’arrivo. Sono contento, a essere sincero. So che è difficile conoscere appieno le mie capacità, ma ci stiamo divertendo».

Dopo un Giro a dir poco anonimo, il Pidcock della Vuelta è molto più propositivo
Dopo un Giro a dir poco anonimo, il Pidcock della Vuelta è molto più propositivo

La singolare coincidenza del calendario sta nel fatto che proprio oggi Van der Poel è tornato a correre in mountain bike, centrando un buon sesto posto a Les Gets, in Francia. Mathieu ha nel mirino il mondiale che si correrà nel Vallese il 14 settembre, proprio nel giorno finale della Vuelta a Madrid. Magari l’olandese si starà già fregando le mani sapendo che nel gruppo non ci sarà la vera star attuale del movimento. Anche se Pidcock dopo la Vuelta volerà in Africa e si giocherà da par suo il mondiale di Kigali.

Vince, sbaglia, impara: Seixas saluta gli under 23

31.08.2025
5 min
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Diversi modi di avere 18 anni. Quello di Lorenzo Finn, che dal Tour de l’Avenir fa rotta sui mondiali del Rwanda per under 23. Quello di Paul Seixas, che l’Avenir l’ha vinto e in Africa correrà con i professionisti (in apertura un’immagine decathlonag2rlamondiale). Entrambi iridati a Zurigo nel 2024: l’azzurro su strada, il francese nella crono. Il fatto che Seixas non possa essere schierato nella squadra dei più giovani per le regole UCI, avendo già corso nel WorldTour, c’entra fino a un certo punto. Diversi modi di avere 18 anni e di crescere, senza sapere quale sia la ricetta migliore.

Seixas ne compirà 19 il 24 settembre (Finn dovrà aspettare il 19 dicembre). Lo vedi che è giovane, eppure in quelle sopracciglia folte e lo sguardo sempre fisso vedi un’età probabilmente superiore a quella effettiva. Chi lo ha vissuto da vicino al Tour de l’Avenir ha colto anche la voglia di godersi i 18 anni e di cadere in errori che presto non saranno più perdonati. «Mi è piaciuto correre senza radio – ha detto – non è un’opportunità che mi capita spesso tra i professionisti. Ho commesso piccoli errori, succede anche questo, fa parte del processo di apprendimento».

Il Tour de l’Avenir è stato vinto da Isabella Holmgren fra le donne e Seixas fra gli uomini (foto @jolypics / @lewiscatel)
Il Tour de l’Avenir è stato vinto da Isabella Holmgren fra le donne e Seixas fra gli uomini (foto @jolypics / @lewiscatel)

Avenir, tutto da perdere

Nel piccolo Tour aveva soltanto da perdere e lo sapeva bene. Non più ragazzino da scoprire, non ancora professionista fatto e finito. Tra i grandi era arrivato a febbraio senza pressioni, correndo il UAE Tour, il Tour of the Alps e il Delfinato (cercando di non strafare), dove ogni lampo di talento era stato ritenuto messianico e prodigioso. Al Tour de l’Avenir Seixas non poteva che vincere.

«Si è messo in una situazione difficile – ha raccontato a L’Equipe il tecnico francese Francois Trarieux – presentandosi a una gara U23 in condizioni diverse da quelle del Delfinato. Sapeva benissimo che tutti lo avrebbero aspettato. Gli ho detto che aveva vinto molto e con facilità da più giovane perché era di una categoria superiore. Questa volta invece si trovava contro corridori pronti, che volevano battere Paul Seixas. E anche questo lo ha messo in difficoltà».

Il Tour of the Alps aveva iniziato a mettere in mostra Seixas anche tra i pro’
Il Tour of the Alps aveva iniziato a mettere in mostra Seixas anche tra i pro’

I dubbi e le domande

Widar lo ha staccato per due volte, in entrambi i casi per appena cinque secondi che a Seixas sono sembrati come schiaffi in faccia davanti ai suoi amici. Prima a Tignes 2100 e poi l’indomani a La Rosiere, con Finn che in entrambi i casi si è piazzato a otto secondi dal vincitore, alle spalle del francese. Per vincere il Tour de l’Avenir gli è servita la crono finale, quando i secondi mollati a Widar sono stati 32 con buona pace del giovane talento belga.

«E’ ancora più bello vincere così – ha detto Seixas subito dopo – questo è lo sport. Sono stato nel vivo dell’azione, abbiamo avuto giornate combattute. Ho dovuto lottare sino alla fine, attraversando momenti difficili nella mia testa. Mi sono chiesto se davvero avessi quel che serviva per vincere. Anche prima che l’Avenir partisse, mi chiedevo se avessi fatto bene a venire, dati i miei valori in allenamento. La chiave è stata la resilienza. Le risorse mentali che ho dovuto raccogliere, i momenti di dubbio, le difficoltà. Ho dovuto accettare lo status di favorito senza essere al massimo».

Il francese Maxime Decomble ha guidato l’Avenir dalla seconda tappa all’ultima crono (foto @jolypics)
Il francese Maxime Decomble ha guidato l’Avenir dalla seconda tappa all’ultima crono (foto @jolypics)

Tignes, una lezione preziosa

C’è maturità nelle sue parole, tanta capacità di analisi. Al tempo stesso, Seixas ha dovuto capire che cosa si richieda a un leader. In testa all’Avenir è stato dal secondo all’ultimo giorno il compagno Decomble: toccava ad altri attaccarlo, invece a Tignes fra i primi a muoversi c’è stato Seixas. Al punto che l’indomani dalla squadra francese sono permeate le voci di un lungo debriefing per chiarire.

«Volevamo che la squadra restasse attorno al nostro leader – ha spiegato ancora Trarieux – ma c’è stata impazienza. Seixas deve padroneggiare la voglia di vincere e l’ha capito perché ne abbiamo parlato a lungo. Nella tappa finale, Decomble ha dovuto accettare di cedere a lui la maglia: è stato un importante atto collettivo. Si è fidato di lui e questo è fantastico. Paul non è un corridore completamente formato, ha bisogno di tempo e una tappa come quella di Tignes la ricorderà a lungo. Voleva staccare Widar, ma non era il più forte. Negli anni scorsi è sempre stato fisicamente superiore, ora si rende conto che più diventa grande, più i livelli si avvicineranno».

La cronoscalata a La Rosiere ha permesso a Seixas di conquistare la testa della classifica (foto Tour de l’Avenir)
La cronoscalata a La Rosiere ha permesso a Seixas di conquistare la testa della classifica (foto Tour de l’Avenir)

In Rwanda con i pro’

Tignes sarà la base di lavoro della nazionale francese U23 in vista dei mondiali di Kigali, ma laggiù Seixas non sarà con loro. Per il regolamento e anche per la chiara intenzione del cittì Voeckler che ha scelto di inserire Paul nella squadra dei pro’.

«Per me è un corridore selezionabile – ha dichiarato a L’Equipe l’ex corridore di Schiltigheim, 46 anni – non mi interessa la sua età. La decisione è di fare ciò che è meglio per lui e per gli interessi della squadra francese, senza necessariamente pensare a breve termine. Il mio compito è anche quello di lavorare di concerto con le persone che lo circondano».

Seixas ha conquistato il primato nella cronoscalata finale, vinta con 28″ su Nordhagen (foto @jolypics)
Seixas ha conquistato il primato nella cronoscalata finale, vinta con 28″ su Nordhagen (foto @jolypics)

Il Tour de l’Avenir potrebbe essere stata l’ultima corsa di Seixas fra gli under 23, mentre il mondo dei grandi lo aspetta a braccia aperte. E’ stato utile per prendere le misure e per sostenere la responsabilità di leader, mentre d’ora in avanti per lui inizierà la routine del professionismo. Dopo il mondiale infatti e anche a causa del mondiale, il suo programma sarebbe stato già cambiato. Si parla già infatti di campionati europei e Giro di Lombardia.