De Marchi tira le somme: «Avrei voluto correre di più»

27.11.2023
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Il ciclismo riparte lentamente: prime pedalate, qualche mini ritiro, sopralluoghi ed esercizi in palestra. Anche Alessandro De Marchi si è rimesso in moto e guarda al 2024, prendendo spunto dalla stagione passata. Lo intercettiamo mentre è in strada, diretto dal fisioterapista. «In realtà – dice – non si smette mai. Vero che mi sono fermato quattro settimane, ma il “callo del ciclista” non si perde mai».

La stagione era iniziata con una buona prestazione alle Strade Bianche: 130 chilometri di fuga
La stagione era iniziata con una buona prestazione alle Strade Bianche: 130 chilometri di fuga

10.000 chilometri

Tra i tanti numeri accumulati dal “Rosso di Buja” quello che fa più impressione è quello relativo ai chilometri in gara: 10.448. 

«Me lo avevano già fatto notare – ammette – e devo dire che non sono pochi. Anche se, ad essere sincero, con il senno di poi li dividerei in due momenti. La prima parte di stagione è andata molto bene, se guardo fino a giugno mi posso ritenere contento. Da quel momento in poi ho ciccato un po’ di cose. Avevo in programma tante gare a settembre, ma sono arrivato con una condizione traballante, con il senno di poi avrei cambiato qualcosa. Per esempio avrei messo qualche corsa in più ad agosto, cosa che era in programma, ma un malanno mi ha impedito di correre l’Arctic Race of Norway. Ammalarsi ti fa perdere il ritmo e nel ciclismo di ora non è una buona cosa».

Al Giro due tappe sfiorate, la prima a Napoli era in fuga con Clarcke. I due sono stati ripresi a pochi metri dall’arrivo
Al Giro due tappe sfiorate, la prima a Napoli era in fuga con Clarcke. I due sono stati ripresi a pochi metri dall’arrivo
Non è bastato allenarti?

Sono abituato a fare periodi di allenamento a casa, anche ad alta intensità, cosa che con il ciclismo di ora si fa spesso. Ma quest’anno avrei preferito fare un passo verso il ciclismo vecchio stile, la pausa di luglio mi ha fatto regredire troppo. Sarebbe stato meglio accorciarla. 

Un modo per prendere le misure verso il tuo secondo anno in Jayco-AlUla, visto il rinnovo…

Devo essere sincero, il rinnovo era una certezza già dalla firma del contratto a novembre dell’anno scorso. Non ho firmato un biennale perché la proposta è arrivata tardi e la squadra aveva qualche dubbio sui vari rinnovi. Ma al Giro avevo già in tasca il secondo anno qui.

La prima parte di stagione si è conclusa con la vittoria di Zana al Giro di Slovenia, De Marchi lo festeggia a modo suo
La prima parte di stagione si è conclusa con la vittoria di Zana al Giro di Slovenia, De Marchi lo festeggia a modo suo
Com’è stato questo primo anno nel team australiano?

Come me l’aspettavo e come lo avevo percepito. Fin da subito la squadra mi ha responsabilizzato dandomi il giusto valore. Questo vuol dire molto, vedere riconosciuto i propri meriti per un corridore è importante. 

Nella prima parte, positiva, di questo 2023 c’è da inserire il Giro, no?

Sono ritornato dove ero prima del 2022. Quella è stata una stagione strana e rischiavo di far diventare quello il mio livello standard. Invece grazie alla Jayco ho ritrovato le mie migliori prestazioni e già solo potermi giocare due tappe al Giro mi ha permesso di far vedere cosa so fare. Con il giusto ambiente intorno sono tornato ai miei livelli, e per questo un grazie va alla Jayco e Copeland. Ho un altro bel ricordo di questo 2023…

Ai mondiali gravel ha ritrovato il cugino Mattia, i due hanno corso insieme con la maglia della nazionale
Ai mondiali gravel ha ritrovato il cugino Mattia, i due hanno corso insieme con la maglia della nazionale
Dicci.

Un altro bel ricordo del 2023 è stato il Giro di Slovenia vinto da “Pippo” (Zana, ndr). Abbiamo dominato come squadra ogni giorno, prendendo in mano la corsa e senza paura. Zana meritava quella vittoria e sono contento che sia toccata a lui, un giovane.

Nel 2023 sei tornato anche a correre nel gravel, una disciplina che ormai ti ha conquistato?

Già nel 2022 volevo correre il primo mondiale, quello di Cittadella. Sono stato contento di tornare a correre questo evento (il mondiale, ndr) anche quest’anno, considerando che si era ancora in Italia. La parentesi dell’europeo in Belgio mi ha fatto scoprire anche un altro modo di vivere e vedere questa disciplina. In accordo con la squadra cercherò di tornare a correre in questa disciplina che fa gola a tanti, basti vedere Mohoric. In più il gravel mi ha permesso di correre accanto a mio cugino Mattia, altro fatto che mi ha reso felice. 

Valerio Piva
Nel 2024 De Marchi ritroverà Valerio Piva, hanno lavorato insieme per sei anni, prima in BMC e poi in CCC
Valerio Piva
Nel 2024 De Marchi ritroverà Valerio Piva, hanno lavorato insieme per sei anni, prima in BMC e poi in CCC
2024 che vedrà l’arrivo di un altro giovane, De Pretto, lo hai già conosciuto?

Sì, è stato in stanza con me durante il training camp a gennaio 2023. Abbiamo passato una settimana abbondante insieme, è un ragazzo tranquillo e mi è sembrato anche timido, ma era normale visto il contesto molto grande. La cosa più importante che ho percepito è che sembra uno voglioso di ascoltare e apprendere. La Jayco per un giovane è l’ambiente giusto, dove il corridore non viene mai abbandonato. Avrà modo di lavorare con Pinotti una figura molto importante è che apprezzerà sicuramente, anche quando andrà avanti con la carriera. A mio modo di vedere è difficile trovare qualcuno come lui. 

Arriva anche Valerio Piva

Quando ho saputo di Valerio ero il più felice della squadra. Ho lavorato per sei anni con lui (quattro in BMC e due in CCC, ndr). Sono sicuro che darà un grosso stimolo e una grande spinta al team, sia dal punto di vista dell’organizzazione ma anche in corsa.

Formolo è più forte di così, ma deve sprecare di meno

26.11.2023
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Dopo quattro anni al UAE Team Emirates, in cui divenne uno dei primi fidati del giovanissimo Pogacar, Davide Formolo ha preso le sue cose e si è trasferito al Movistar Team. Come siano andate le cose ce l’ha raccontato il veronese qualche giorno fa, a noi interessa approfondire il ruolo che nella scelta ha avuto Leonardo Piepoli, che a detta Formolo è stato decisivo. La collaborazione fra i due è di vecchissima data, si è interrotta soltanto nel periodo alla UAE, mentre ora i due vestiranno la stessa maglia. L’amicizia resta, il rapporto sarà probabilmente ancora più stretto.

Formolo corre sempre allo scoperto, non sa stare nascosto e per questo spende troppo
Formolo corre sempre allo scoperto, non sa stare nascosto e per questo spende troppo

Può fare meglio

Più che sapere in che modo sarà impiegato Formolo nella nuova squadra, puntiamo il fuoco sull’idea che di Davide si è fatto Piepoli. La nostra, radicata dai tanti anni di conoscenza, è quella di un atleta che potenzialmente vale più di quanto ha mostrato finora.

«Io credo che lui sia molto meglio di quello che abbiamo visto – conferma Piepoli – e credo che le colpe siano all’80 per cento sue. Davide ha la tendenza a finirsi. Può essere legato all’alimentazione, al tempo da stare in bici o in una corsa quando si vede chiaramente che ne ha. Lui non fa mai la corsa che non lo vedi per tutto il giorno e alla fine spunta e vince. No, lui quando ne ha, lo vedi. Ma questo mostrarsi e spendere fa sì che il giorno dopo non ci sei più. Sei un grande per l’80 per cento della corsa, ma quando arrivi ai meno 15 dall’arrivo, di colpo sparisci? Vuol dire che hai sprecato prima. Questo è Davide in generale ed è un peccato, perché poteva e può ancora ottenere molto di più».

Alla Liegi 2018 vinta da Jungels, 7° posto dopo una corsa da protagonista. Nel 2019 sarà secondo
Alla Liegi 2018 vinta da Jungels, 7° posto dopo una corsa da protagonista. Nel 2019 sarà secondo
Questa sua attitudine a finirsi è in qualche modo reversibile?

Secondo me sì e ne abbiamo parlato. Ci sono diverse situazioni. Si possono fare dei tentativi e magari le cose vanno bene, anche se hai lavorato nel modo sbagliato. Oppure cambi squadra, inizi con un nuovo allenatore e si mettono in atto svariate situazioni, per cui lui non ti conosce e passi il tempo a fare degli aggiustamenti. Io con lui sono stato chiaro. Io so esattamente dove sbaglia, non ci dobbiamo inventare la ripetuta particolare, non dobbiamo andare per tentativi. A lui basta gestire il suo potenziale attuale, non è che bisogna inventarsi tanto.

La conoscenza aiuterà a non sbagliare?

Sappiamo che quando non va, ha commesso degli errori. Quindi il lavoro in teoria è facile. Basta togliere gli errori o non fare gli errori che ha sempre fatto e che lo hanno limitato. Gliel’ho detto: «Il lavoro non è difficile, però ci devi credere tu. Basta con prove e tentativi. Io devo essere rigido, traccerò la linea e tu devi seguirla». Non ci può essere, come c’è stato prima, un margine di decisione o di manovra. Non è più tempo di giocare alla lotteria e io credo che questa cosa lui l’abbia capita.

Davide Formolo, Tadej Pogacar, Uae Tour 2020
Per un paio di stagioni, nel 2020 e 2021, Formolo ha fatto parte del gruppo Pogacar. Poi qualcosa è cambiato
Davide Formolo, Tadej Pogacar, Uae Tour 2020
Per un paio di stagioni, nel 2020 e 2021, Formolo ha fatto parte del gruppo Pogacar. Poi qualcosa è cambiato
La sensazione è che, come nel caso di Bettiol, dopo la morte di Battaglini tu sia per Formolo anche un riferimento oltre la preparazione.

Negli ultimi 2-3 anni era seguito dai tecnici UAE, ma è capitato di incontrarci. Parliamo, lui si confida. Il bello di questo lavoro è che si creano rapporti affettivi che non finiscono con la preparazione.

In questo momento Formolo ha più fragilità o punti di forza? Perché non ha lasciato prima la UAE?

Ha conosciuto il Pogacar giovanissimo, per età e risultati. In più inizialmente, se non sbaglio, abitavano nello stesso palazzo: uno al primo e l’altro al terzo piano. Si allenavano assieme e così Formolo è entrato nel progetto di Pogacar. Poi anno dopo anno sono arrivati in squadra corridori sempre più forti e lui è stato allontanato da quel gruppo. In cuor suo, credo che avendo la fiducia di Pogacar con cui si trovava benissimo, abbia sempre sperato che le cose tornassero come prima e questo lo ha trattenuto dal prendere decisioni. Fino a quando ha capito che con Pogacar non avrebbe corso quasi più e che, nel caso, avrebbe dovuto tirare dopo la partenza e prima dell’elicottero, così immagino che alla fine abbia deciso di cambiare aria.

Al Lombardia del 2022 fu Formolo a fare le selezione: dietro di lui erano rimasti solo i capitani
Al Lombardia del 2022 fu Formolo a fare le selezione: dietro di lui erano rimasti solo i capitani
In attesa che la squadra vari il suo programma, quali sono oggi i punti di forza di Formolo?

Il punto di partenza è che è stato ingaggiato per supportare Mas. Può fare un gran lavoro sicuramente nelle tipiche tappe delle Marche alla Tirreno. All’Amstel e la Liegi. Sono corse in cui in questo momento lo vedo davvero forte. Finora le cose migliori in assoluto le ha fatte nelle corse di un giorno. Alla Liegi, a parte quando ha fatto secondo, un’altra volta lo hanno preso a 300 metri dall’arrivo. All’Agostoni e alla Veneto Classic nemmeno ci puntava, ma le ha vinte. Al Lombardia del 2022, quando si è spostato, erano rimasti Landa, Mas e Pogacar. Già oggi, senza grandi rivoluzioni e tenendo presenti le esigenze della squadra, è super competitivo.

Nelle corse a tappe?

Ha fatto per tre volte la top 10 nei grandi Giri, non è l’ultimo arrivato e vuol dire che è in grado di scollinare più o meno sempre con i 10 migliori corridori. Mi piacerebbe che anche lì avesse un upgrade.

Nel 2023, Formolo è stato il migliore degli italiani: 9° a 1’23” da Pidcock
Nel 2023, Formolo è stato il migliore degli italiani: 9° a 1’23” da Pidcock
Se esagera in allenamento, che tipo di inverno dovrà fare?

Cercherò di tenerlo frenato, infatti siamo già in discussione. Fosse per lui, al secondo giorno di allenamento farebbe tre ore al medio. Medio di battiti, va bene, con pochi watt, ma sempre tre ore con 140 battiti medi, che non sono pochi. Ma non giocheremo a guardie e ladri, il mio approccio sarà diverso. Prima ero uno dal di fuori che veniva contattato solamente in caso di difficoltà, invece adesso è diverso. Lui è un corridore della squadra e viene con totale fiducia nei miei confronti. E io non devo diventare lo sceriffo, starà a lui ascoltarmi e sono certo che lo farà.

Petilli diventa “professore di ciclismo” e sull’addio di Piva…

26.11.2023
4 min
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Simone Petilli (foto Instagram in apertura) prepara il 2024, forte del carico di corse fatto nel finale di stagione. Un altro anno, il quarto, da correre insieme con la Intermarché-Circus-Wanty, orfana di Valerio Piva. Non è però l’unica novità per il lombardo, perché da qualche giorno ha annunciato che diventerà “professore di ciclismo” un progetto parallelo che ha portato avanti nel corso degli anni. 

«Non l’ho mai raccontato a nessuno – racconta Petilli – ma in questi anni ho portato avanti il mio percorso di studi. Lo avevo interrotto al termine della maturità, quando ancora ero dilettante. Ho voluto concentrarmi sul ciclismo al 100 per cento per passare professionista e così è stato. Poi dopo 3 o 4 anni da corridore mi è venuta voglia di riprendere, è vero che un ciclista tra allenamenti e trasferte è spesso impegnato, ma poi nel pomeriggio si ha del tempo libero».

La Intermarché nel 2024 avrà una grande matrice italiana con ben quattro corridori, da sx: Busatto, Rota, Colleoni e Petilli
Oltre a Petilli la Intermarché nel 2024 avrà altri tre corridori italiani, da sx: Busatto, Rota e Colleoni

Due lauree

Il tempo libero Petilli lo ha impegnato rimettendosi sui libri e conseguendo prima la laurea triennale in Scienze Motorie, e poi la magistrale in Scienza e Tecnica dello Sport. Un percorso che lo ha portato ad aprire il suo studio. 

«Avevo tanti interessi – prosegue – però poi mi sono detto: “Perché non studiare quello che faccio?” La passione è nata dal voler capire e migliorare i miei allenamenti, poi con l’Università ho sviluppato la parte teorica. Questo soprattutto grazie a materie come Metodologia dell’allenamento e Endocrinologia. Vedevo e capivo perché succedessero determinate cose ed ora conosco i sistemi del nostro fisico e come reagisce il corpo a certi stimoli.

«Per prima cosa l’ho visto su di me – dice ancora Petilli – vi faccio un esempio: ho sempre pensato che più si fa e meglio è per crescere e diventare più forti. Capitava tante volte di fare allenamenti intensi dove tornavo a casa distrutto. Studiando, invece, ho capito la periodizzazione, ovvero che se certi giorni hai meno da fare e stai bene, devi comunque fermarti e rispettare il piano di allenamento. Così da avere più benzina quando conta. Il mio motore è sempre stato quello che è, però ho sempre puntato a diventare costante durante tutta la stagione. Ed è una cosa che mi ha aiutato a rimanere in questo mondo. Per la squadra questa mia caratteristica è utile e lo si nota in tante occasioni».

La voglia di studiare per Petilli è nata dalla curiosità verso i suoi allenamenti (foto Instagram)
La voglia di studiare per Petilli è nata dalla curiosità verso i suoi allenamenti (foto Instagram)

Trasmettere ai giovani

Petilli ha poi deciso di intraprendere questa nuova strada, spostandosi dall’apprendimento e diventando “professore”. 

«Ho deciso di provare a intraprendere la strada del preparatore – racconta – e lo farò con un piccolo gruppo di atleti. Per il momento inizio con poche persone, cinque o sei, anche perché la carriera va avanti e spero vada avanti ancora molto. Però mi piacerebbe passare la mia esperienza ai giovani per aiutarli a imparare prima. Ho voluto unire la teoria di quanto appreso nel percorso di studi alla mia esperienza da professionista. Non voglio lavorare solamente con i giovani, ma anche con atleti di diverse discipline come mountain bike e triathlon. Guardare ad altri sport permette di apprendere nuovi metodi, l’ho visto a Sierra Nevada dove durante il ritiro ho avuto modo di parlare con triatleti di primo livello e confrontarmi con loro».

Giro d’Italia, Campo Imperatore, Petilli terzo al traguardo, quel giorno in ammiraglia c’era Valerio Piva, un valore aggiunto
Giro d’Italia, Campo Imperatore, Petilli terzo al traguardo, quel giorno in ammiraglia c’era Valerio Piva, un valore aggiunto

Novità in casa Intermarché

Abbiamo già avuto modo, insieme a Lorenzo Rota, di parlare dell’addio di Valerio Piva dal team belga. Ma anche lo stesso Petilli ha condiviso tanti anni insieme al diesse ora alla Jayco. 

«Il 2024 – analizza Petilli – vedrà praticamente lo stesso blocco di corridori, se ne è andato solamente Rui Costa, con il quale avevo un grande rapporto. I cambiamenti più importanti, però, sono avvenuti al livello di staff, soprattutto per noi italiani. Avere al nostro fianco Piva era una bella cosa, spesso ci ha aiutati e molte volte ha avuto un occhio di riguardo per noi. In squadra si è sempre parlato inglese, ma nelle fasi cruciali della gara con noi in strada e lui in ammiraglia si parlava italiano. In certi momenti non si pensa troppo. In squadra rimarrà tanta Italia, a partire dallo sponsor Vini Zabù. Poi tante persone all’interno dello staff parlano italiano, però cambia qualcosa in termini mentalità. Piva inoltre ha un suo modo di fare molto arrembante e spigliato, tante volte ha fatto da tramite tra noi italiani e il team combattendo battaglie in nostro favore.

«Valerio – conclude – era anche in ammiraglia a tutti i miei Giri d’Italia e anche nella Vuelta del 2021 quando per sei tappe abbiamo tenuto la maglia rossa con Eiking. E’ stato presente in tanti successi della squadra».

Nel nome del padre: Christophe Sercu parla di papà Patrick

26.11.2023
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Patrick Sercu è stato un gigante della pista e un grande anche della strada. E alla sua epoca, la seconda metà degli anni ’60 e ’70, non era facile finire sulle prime pagine avendo fra i propri connazionali campioni come Merckx e De Vlaeminck, eppure Sercu ci riusciva. E ci riusciva soprattutto in pista e passando dalle Sei Giorni, di cui è tutt’oggi il Re. Il Re delle Sei Giorni: ne ha vinte ben 88.

Christophe Sercu è suo figlio. Oggi cinquantenne, è cresciuto a pane e ciclismo, e raccoglie l’eredità del papà. E’ infatti l’organizzatore della Sei Giorni di Gand, nonché il team manager del Team Flanders-Baloise, squadra professional che lavora molto con i giovani.

Christophe, partiamo dalla Sei Giorni di Gand, ormai l’unica vera Sei Giorni: qual è il segreto?

Questo ci fa piacere, ma purtroppo è l’ultima vera Sei Giorni perché l’unica altra rimasta è quella di Rotterdam. Posso solo dire: speriamo bene per il futuro. Qual è il segreto di questa? Un insieme di cose: la sua vitalità, la sua tradizione, un buon pubblico, un’organizzazione collaudata e degli ottimi corridori.

La corsa gioca ancora un ruolo centrale qui?

Direi di sì, anche per questo la gente rimane fino a tardi. Qui si incontrano amici, ci si beve una birra e si guardano le gare: abbiamo un buon equilibrio tra tutto questo e penso che sia il segreto del nostro successo.

Il ciclismo è un affare di famiglia per lei. E’ stato naturale prendere l’eredità di suo padre?

Mio papà ha sempre corso qui. Qui ha avuto successo come corridore, prima, e come organizzatore poi. Io, che gli sono sempre stato vicino, di fatto sono dentro questa organizzazione da 40 anni, da quando ero un bambino, quindi ben prima della malattia e poi della morte di mio padre (avvenuta nel 2019, ndr). Abbiamo continuato a lavorare allo stesso modo, ma abbiamo anche modernizzato il tutto. Credo che si debba andare di pari passo col proprio tempo, ma anche rispettare le tradizioni.

Ha citato suo padre, iniziamo a parlare di lui, di Patrick. Qual è il ricordo ciclistico più importante che ha?

Oh, non è facile dirlo! Ne ho moltissimi, ma sono anche lontani. Avevo 12-13 anni quando lui ha smesso di correre, ci dovrei pensare un bel po’. Però c’è una foto a casa che vedo spesso ed è un bellissimo scatto della sua ultima Sei Giorni di Milano ed io ero lì con lui. Questa foto ci ritrae da dietro, mentre lasciavamo la pista. E lui mi mette un braccio sulle spalle. Un bel ricordo. Simbolico.

Le ultime apparizioni di Patrick Sercu su pista risalgono al 1982
Le ultime apparizioni di Patrick Sercu su pista risalgono al 1982
Tra le Sei Giorni d’inverno e la strada nel resto della stagione, non era molto presente a casa suo padre… Cosa ricorda di quel tempo?

In effetti mancava moltissimo, ci sono state stagioni in cui ha fatto anche più di 200 giorni di competizione in un anno. Lo vedevamo poco, ma cercava di essere presente lo stesso.

Sentirsi non era facile come oggi? Come facevate?

Eh sì – sorride Sercu – in effetti era un bel problema. Ricordo che si doveva prendere appuntamento, quando era all’estero. Dovevi farti passare una linea dall’operatore per quel giorno a quell’ora. Si pagava un bel po’ e si aveva a disposizione un certo numero di minuti.

Immaginiamo che in casa vostra ci sia stato un certo via vai di campioni…

Ne ricordo molti, ma non erano solo corridori quelli che venivano a casa. Erano dei buoni amici. Penso ad Eddy (Merckx, ndr), a Roger (De Vlaeminck, ndr), a Martin Van Den Bossche. Però quando sei piccolo non hai la sensazione di avere di fronte dei campioni di quel calibro.

Suo papà ha corso con grandi corridori ce n’è qualcuno con cui era più legato?

Difficile dire questo o quello. Diciamo che in gruppo aveva molti amici.

Cambiava la sua personalità, il suo carattere, quando era in bici e quando invece era a casa?

Un po’ penso di sì, come tutti i corridori del resto. Ma per quel che mi riguarda lui era lo stesso, il suo carattere non cambiava una volta giù dalla bici. Era sempre una persona civile. Dire che in bici era aggressivo non è la parola giusta forse, ma di certo era molto motivato. 

Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
E tra strada e pista? C’era più agonismo in lui sul parquet… visto il suo palmares?

No, no… Strada o pista era sempre molto determinato. Un grande corridore è sempre professionale.

Quando eravate a casa parlavate mai di ciclismo?

Sì, certo. Si parlava di gare. Successivamente è diventato cittì della squadra nazionale, poi ancora capo dell’organizzazione di questa Sei Giorni. Ma in generale ho avuto l’opportunità di viaggiare molto con lui dopo la sua carriera e il ciclismo c’è sempre stato in tutti noi.

Rispetto ai tempi di suo padre in cosa sono più cambiate le Sei Giorni?

Credo nell’americana. In passato queste corse erano più lunghe. Chi faceva questa specialità era davvero bravo. Alla fine si facevano 200 chilometri al giorno in pista. Si facevano anche altre gare, come quella a cronometro, ma bisognava fare i conti con le mode, con le richieste. E queste erano americane, americane, americane… Poi man mano le cose sono cambiate. Prima s’iniziava alle sei del pomeriggio e si finiva alle tre, anche le quattro di notte. Ora tutto è più corto, ci sono altre tempistiche e altri interessi.

Su strada, Sercu ha ottenuto la sua prima vittoria in Italia: l’ultima tappa della Tirreno del 1969
Su strada, Sercu ha ottenuto la sua prima vittoria in Italia: l’ultima tappa della Tirreno del 1969

Sercu e l’Italia

Patrick Sercu dunque è stato un grande, un gigante del ciclismo belga. E lì non è facile stare tra i giganti. Su pista ha vinto un’Olimpiade (Tokyo 1964) nel chilometro da fermo, 88 Sei Giorni come detto, ma anche tre titoli iridati e una trentina di campionati nazionali.

E anche su strada ha un palmares importantissimo, tanto più che ha corso spesso in supporto di Eddy Merckx. Patrick Sercu era un velocista chiaramente viste le sue doti in pista. Pensate: 13 tappe al Giro d’Italia, sei al Tour con tanto di maglia verde nel 1974.

Prima di congedarci, giusto ricordando questi numeri lo stesso Christophe, con un grande ed onorato sorriso ha aggiunto: «Quanto tempo ha passato mio papà in Italia. Ci ha corso molto: Faema, Brooklyn e anche se era belga nella Fiat… considerava l’Italia la sua seconda casa. Veramente. Lo diceva spesso».

Una Specialized per Roglic: come nasce la nuova bici

26.11.2023
8 min
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Prima non si poteva sapere, almeno fino a che la firma con la Bora-Hansgrohe non è stata ufficializzata. A quel punto è scattato il divieto di mostrare immagini, che si interromperà il primo gennaio. Tuttavia, dopo aver vinto il Giro dell’Emilia e aver fatto terzo al Lombardia, Roglic ha avuto i primi contatti con gli uomini della nuova squadra e ha cominciato a ragionare con loro dei materiali. E da lì è iniziato lo sviluppo della Specialized con cui correrà nel 2024 (in apertura, una foto di Paul Matthis).

Il 17 ottobre, dieci giorni dopo il Lombardia e durante il primo ritiro a Soelden, è stato fatto il posizionamento sulla bici da strada con il sistema Retul. Roglic ha ascoltato e poi ha espresso le sue preferenze. Nella stessa occasione sono state riportate sulla bici da crono le misure della Cervélo. L’indomani, lo sloveno è uscito per provare la nuova bici. Finché il 23 ottobre, assieme a Hindley e pochi altri fra cui Sobrero, è volato in California per i primi test nella galleria del vento di Morgan Hill. I risultati ottenuti in casa Specialized saranno verificati nelle prossime settimane nel velodromo di Palma de Mallorca, in occasione del ritiro di dicembre.

Per guidarci in questa immersione di Roglic nel mondo Specialized abbiamo chiesto il supporto di Giampaolo Mondini, uomo di raccordo fra l’azienda e i team, che lo ha seguito sinora e lo seguirà ancora nei prossimi passi. Il discorso parte dal vincitore del Giro, ma è un bello spaccato di come si lavori oggi nelle squadre WorldTour: se non altro quelle equipaggiate Specialized.

Tutti gli anni i corridori dei team Specialized vanno a Morgan Hill: qui Asgreen, Cattaneo ed Evenepoel nel 2022
Tutti gli anni i corridori dei team Specialized vanno a Morgan Hill: qui Asgreen, Cattaneo ed Evenepoel nel 2022
Arriva uno come Roglic, qual è il vostro approccio? Si parte dalla bici precedente o si prende un foglio bianco?

Dipende molto dalla predisposizione del corridore e questo indipendentemente che sia un grande campione o chiunque altro. L’approccio di Retul con i professionisti è sempre molto personale. Hai dei corridori che sono nella stessa posizione da anni e vogliono replicarla, senza cambiarla una virgola. Per cui quando viene fatta la posizione, se c’è qualcosa che non va, se ne parla col corridore e con il fisioterapista del team.

Cosa si può fare?

Si valuta se la posizione può essere corretta con piccoli aggiustamenti, se il corridore se la sente, oppure se è meglio evitare. Questo il discorso generale, poi ci sono corridori che magari hanno avuto cadute oppure operazioni chirurgiche e allora il caso si complica.

In quali termini?

La posizione va rivalutata. Perché magari ne è stata individuata una per il periodo del recupero dall’infortunio e dopo qualche mese bisogna controllarla, per vedere se non debba essere aggiornata (viene in mente il caso Froome, da poco raccontato, ndr). Le cadute sono una fase delicata. Magari il bacino si è un po’ inclinato, quindi può essere utile andare a rivedere che tutto quanto sia a posto. Ad alto livello, questi corridori un paio di cadute all’anno le fanno. Magari non sono gravi, magari sul momento non sembra niente, però magari è successo qualcosa a livello scheletrico…

Roglic, qui al Giro di Slovenia, si è mostrato curioso del lavoro Specialized e ha voluto approfondirlo
Roglic, qui al Giro di Slovenia, si è mostrato curioso del lavoro Specialized e ha voluto approfondirlo
Roglic nel 2023 è rientrato da un infortunio: lo hai visto attento a questi discorsi?

Ho trovato un corridore molto motivato e aperto, davvero entusiasta. Mi è parso curioso di capire il nostro metodo di lavoro e questo ci ha aiutato sicuramente nell’approccio. In fin dei conti non abbiamo cambiato molto, però bisogna dire che in questa prima fase – cambiando il tipo di bicicletta, cambiando i pedali, cambiando le scarpe e cambiando la sella – cerchiamo sempre di non toccare il resto. Invece, quando andremo a Palma de Mallorca ai primi di dicembre, anche in base ai feedback che ci darà Primoz, vedremo se ritoccare qualcosa o se il corridore stesso nel frattempo è andato a cambiare qualcosa.

Sono cose che succedono?

A dicembre sì, anche se rispetto a una volta è tutto molto diverso. Vent’anni fa c’erano corridori che giravano con la brugola e intervenivano su qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Adesso gli è stato vietato, da gennaio il corridore non dovrebbe avere la libertà di cambiare la posizione sulla bici. Questo anche per aiutarlo a evitare problemi e infortuni. A volte si interviene perché fai più fatica e pensi che dipenda dalla posizione e magari fai un danno doppio. Soprattutto perché a volte si seguono i consigli di chissà chi e si peggiorano le cose. Questa abitudine per fortuna negli anni è cambiata e dopo gennaio la bici rimane quella. Anche per la crono, mentre una volta capitava di vedere alcuni che modificavano l’altezza delle protesi prima della partenza.

Saremmo curiosi di sapere come avresti impedito a Pantani di usare la sua brugola. Ti avrebbe tagliato la gola!

Il “Panta” (Mondini ride, di Marco è stato compagno di squadra nel 2001, ndr) alla Valenciana si fermò per mettere a posto i tacchetti durante una tappa. Si sedette su un paracarro e si mise ad armeggiare. E noi intanto guardavamo il gruppo che in quel momento si stava aprendo a ventaglio e ci mettemmo le mani nei capelli. Per fortuna eravamo tutti abbastanza forti e riuscimmo pure a rimediare, ma certo una volta (ride ancora, ndr) succedevano certe situazioni… 

Roglic ha chiesto qualche modifica alla geometria della bici da crono rispetto a quella 2023
Roglic ha chiesto qualche modifica alla geometria della bici da crono rispetto a quella 2023
Roglic vi ha dato la scheda 2023 e voi l’avete replicata?

Ha comunque fatto la posizione con Retul, in cui abbiamo cercato di replicare il più possibile, magari dando le nostre annotazioni rispetto a qualche angolo. A tanti corridori diamo la bici a metà ottobre subito dopo aver fatto il posizionamento, sapendo che ci saliranno dopo due o tre settimane, finite le vacanze. Roglic invece ha fatto il Retul e la mattina dopo era già fuori. Si è fatto dare un po’ di materiale ed è andato a provare la bici.

Che misura di telaio gli avete dato?

Una Tarmac Sl8 taglia M, una 54. Niente di speciale. Primoz è leggermente brevilineo, quindi con le gambe più corte del tronco. Ha il manubrio integrato largo 40 con l’attacco da 12 e le pedivelle da 170. Ci è parso molto contento dell’assetto della bici, i primi feedback sono stati subito molto positivi. E’ rimasto impressionato anche dalla leggerezza, idem per quanto riguarda quella da cronometro.

Anche lui usa pedivelle da 170, ormai è la regola…

Adesso c’è questa tendenza, sia per la bici da strada sia per le crono. Anzi, quasi tutti quelli che fanno le crono sul serio, stanno cercando le 165. Anche Remco. La pedivella da 165 ti permette di chiudere di più il diaframma e di abbassare di più il tronco, senza colpirti col ginocchio. Invece non serve per abbassare la bici. Puoi far scendere il piantone, ma l’altezza di sella resta identica e i vantaggi aerodinamici non ci sono.

La Bora corre le crono sulle Specialized Shiv Disc. Per Roglic si sta studiando una nuova posizione (foto Anderl Hartmann)
La Bora corre le crono sulle Specialized Shiv Disc. Per Roglic si sta studiando una nuova posizione (foto Anderl Hartmann)
A Morgan Hill invece avete lavorato solo sulla bici da crono?

Esatto. E mentre sulla bici da strada non ha chiesto nulla, in questo caso ha fatto delle richieste specifiche. Ha chiesto di provare qualcosa di specifico in termini di altezza e allungamento, su cui la galleria del vento ha dato delle risposte, che andremo a verificare nel velodromo per capire se siano davvero efficaci.

Anche per la bici da crono si parte dalla precedente?

Dalla scheda vecchia e dalla posizione vecchia, perché sennò rischi di a stravolgere troppo la posizione. Una cosa molto interessante che mi ha detto Primoz è che lui usa la bici da crono anche tre volte a settimana, però sui rulli, come fanno i triatleti. Magari prima fa l’uscita su strada, poi se deve fare un’ora di variazioni di ritmo, le fa sui rulli. Mi ha spiegato che è soprattutto un fatto di sicurezza, perché i lavori con la bici da crono si fanno ad alta velocità e le strade di Monaco non sono le più adatte.

Visto che è molto curioso, vi ha chiesto su corsa interverreste?

E’ super disponibile, molto aperto. Si è affidato al consiglio della squadra. Oltre a questo è stato sorprendente come si sia messo nelle nostre mani. In una giornata, penso che abbia fatto 8 ore immobile in galleria del vento. Non si è mai lamentato, tanto che a un certo punto gli ho chiesto se almeno volesse bere o mangiare qualcosa. E allora ha ammesso che effettivamente aveva sete e anche fame.

Il tempo di ricevere la nuova bici e Roglic è uscito per provarla: dal 2024 vuole ottenere il massimo (foto Paul Matthis)
Il tempo di ricevere la nuova bici e Roglic è uscito per provarla: dal 2024 vuole ottenere il massimo (foto Paul Matthis)
Dato che ha richiesto delle modifiche sulla posizione da crono, avete messo a punto un doppio assetto in modo da poter fare confronti?

Abbiamo fatto 3-4 posizioni. Sicuramente una come la vecchia e poi altre che saranno verificate in pista. E poi insieme abbiamo fatto anche una sessione sui body e il resto del materiale. La squadra è interessata a questo tipo di test e noi ovviamente diamo la massima disponibilità. Sono stati portati vari tipi di materiali e sono stati provati con tutti i corridori, per capire se certe soluzioni sono soggettive oppure vanno bene per tutti.

Se qualcuno dovesse vedere Roglic in giro sulla nuova bici, che materiali gli avete dato?

Per ora si va sul semplice. Ruote basse da allenamento, credo che abbia preso le Alpinist, con copertoni da 28. E’ bene che usi la bici, così a dicembre faremo un altro sviluppo, per arrivare al setting con cui correrà nel 2024. E per gennaio si potranno vedere anche le foto. Per ora abbiamo evitato in tutti i modi che si potesse associare il nome Roglic a quello di Specialized.

Aerodinamica, manubri super stretti e test curiosi: tecnica da pista

25.11.2023
6 min
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Una Sei Giorni è anche un’occasione per testare, provare e riprovare, fare esperimenti. Le bici più utilizzate, visto l’alto numero di prove di situazione, erano bici “semplici”. Quelle in pista che si utilizzano solitamente nelle madison. Tuttavia qualche chicca al Kuipke l’abbiamo notata in occasione della Sei Giorni di Gand.

FES, qualità tedesca

Uno dei pezzi pregiati ammirati sulla pista fiamminga era la FES della coppia Soudal, Theo Reinhardt e soprattutto Roger Kluge.

Una bici che ha già un’Olimpiade alle spalle, la B20 indica che era stata concepita per Tokyo 2020, ma che secondo i meccanici a Gand era ancora una delle migliori. E lo era per la sua aerodinamica e per il suo carbonio in primis. Una bici che sarà appena ritoccata, soprattutto nei suoi componenti, in vista di Parigi 2024.

Le biciclette FES sono progettate, sviluppate e prodotte dall’Istituto tedesco per la ricerca e lo sviluppo di attrezzature sportive, la cui sigla è appunto FES. Di fatto è un brand di ricerca non solo sul ciclismo ma anche per altri sport olimpici come canottaggio, vela, bob, pattinaggio di velocità, skeleton… e infatti è un istituto finanziato dal governo. Il carbonio è ad altissimo modulo, ma non è facile specificare di che tipologia si tratti. C’è molta riservatezza in merito, anche cercando online.

Questa bici ci ha colpito per la sua solidità e anche per la sua leggerezza. E’ sul filo del limite dei 6,8 chili, pochissimi per una bici da pista. 

Una bici da quartetto?

Ma non solo FES ha catturato la nostra attenzione. Il fortissimo danese Lasse Norman Hansen ha corso l’intera kermesse con una Canyon più da quartetto che da prove di situazione.

Nel paddock di Gand era opinione comune che il corridore danese, che fa giusto parte del quartetto rivale dell’Italia, stesse facendo delle prove. Ha voluto mettere sotto stress questo telaio per vedere come reagiva in quanto a rigidità e reattività in altre prove. Saltella troppo in una madison? E’ reattiva? Queste le domande principali…

E il fine era doppio. Uno, alle Olimpiadi Hansen potrebbe prendere parte anche alla madison e se riuscisse a trovare un buon feeling con questa bici, che è meno agile di quella “tradizionale”, si ritroverebbe con un mezzo più aerodinamico.

Due, perché Canyon sta lavorando ad un’evoluzione di questo telaio. Sembra che s’interverrà soprattutto sull’avantreno e la forcella. Dovrebbe essere più stretta. Ma viene da chiedersi dove “limare”. Siamo infatti nell’ambito dei “millimetri di millimetri”. Probabilmente più che sui passaggi delle ruote si lavorerà sui profili stessi dei tubi.

L’utilizzo diverso di una bici nata per altre prove, aiuta gli ingegneri ad avere feedback. Ma per fare questo, quei feedback devono arrivare da un corridore di un certo livello e soprattutto dal suo utilizzo in gara. Hansen era l’identikit perfetto.

Manubri minimal

La questione aerodinamica in pista è decisamente importante, specie per gare come il quartetto o il chilometro. Ebbene a Gand si è vista una serie di manubri estremamente stretti. Il concetto è quello della strada di cui abbiamo parlato più volte in passato (pieghe più strette).

E qualche manubrio era così stretto che la notizia è arrivata persino al cittì Marco Villa, il quale giustamente curioso, ha chiesto delle foto a Michele Scartezzini, uno dei suoi storici ragazzi. Questi manubri erano talmente stretti che in presa alta l’intero palmo della mano non ci entrava. 

Chiaramente una bici simile va bene per una prova veloce, i 500 metri, un giro lanciato… Ma non per una madison in cui ci si deve dare i cambi e fare leva sul manubrio stesso. Una bici così è difficilissima da guidare. Gli scarti sono violentissimi e la base d’appoggio minima. Parliamo di pieghe larghe 25 centimetri.

E infatti alla vista di questi manubri più di qualche atleta ha storto il naso, sperando non venisse utilizzato nell’americana.

Autozai Contri, pronta a rilanciarsi nel 2024

25.11.2023
7 min
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Pochi giorni fa ci siamo fatti raccontare dal promettente allievo, Alessio Magagnotti, come sia arrivato alla scelta della Autozai Contri per il suo passaggio tra gli juniores. La sua risposta basata sulla fiducia nel progetto ci ha incuriosito, così siamo andati a bussare al Riboli Team per farci spiegare il retroscena e le prospettive per il 2024

La Autozai Contri, che dalla prossima stagione perderà Petrucci come sponsor, ha portato sulla strada del professionismo atleti come: Davide Gabburo, Edoardo Affini, Filippo Zana, Luca Mozzato, Mattia Petrucci. Stiamo parlando di juniores è vero, ma in questi ultimi anni questa categoria sta diventando sempre più importante e un bacino da cui le grosse squadre hanno già iniziato ad attingere. Quest’anno il Riboli Team aveva due secondi anno che hanno trovato squadra rispettivamente Marco Martini con la Technipes #inEmiliaRomagna, e Riccardo Biondani alla General Store-Essegibi-F.lli Curia. Una dimostrazione della qualità del progetto Autozai.

Ripresa Autozai

Per parlare del dietro le quinte di questo rilancio della squadra veronese abbiamo chiesto a Enrico Mantovanelli, direttore generale della squadra.

«Siamo ritornati un po’ in auge nella campagna acquisti, chiamiamola così – racconta – perché abbiamo avuto un vuoto dopo Zana e Petrucci, dove non riuscivamo a portare a casa nessun atleta di valore. La svolta è iniziata un po l’anno scorso con l’arrivo di Erazem Valjavec. Che è stato il nostro primo atleta straniero anche grazie ad una nostra battaglia con la federazione che ci ha concesso questa possibilità.

«Grazie all’interessamento – afferma Mantovanelli – del nostro socio Gianni Bertoldo, che ha fatto una vita nel mondo del ciclismo, abbiamo iniziato alla fine dell’anno scorso in maniera non pressante, ad esporre il nostro modo di lavorare ad Alessio. Si dice che noi l’abbiamo convinto con i soldi, ma questo non è assolutamente vero. Abbiamo avuto poi la fortuna che all’interno della CC Forti e Veloci Trento ci fosse Luca Prada, che è stato un corridore di Bertoldo, ed è stato un mio compagno di squadra da dilettante. I genitori di Alessio ci hanno detto che noi siamo stati tra le poche società delle più di 20 che li hanno contattati che non hanno parlato male delle altre, ma che anzi si sono concentrate esclusivamente a raccontare il progetto.

«Per prendere Magagnotti e il suo compagno Idrizi abbiamo speso più di 10.000 euro. Sono d’accordo che la squadra che l’ha formato debba essere pagata in base al punteggio, ma dato che lui dal Trentino si trasferisce in Veneto, abbiamo dovuto pagare gli stessi punti anche al Comitato regionale».

Sempre prima

La categoria juniores sta diventando sempre più importante e a farne le spese come sempre sono i ragazzi. L’avvento dei procuratori è un segnale che le squadre partono fin dagli allievi per la selezione futura.

«Il tema è che oggi i procuratori – spiega Mantovanelli – hanno in mano già gli allievi. E’ un mondo che è cambiato. La filiera si è accorciata molto dal punto di vista delle categorie. Una volta l’atleta faceva due anni da junior e due/tre anni da dilettante, poi se aveva le carte in regola passava pro’. Adesso con la scusa che la categoria dilettanti è praticamente sparita, gli juniores sono diventati uno spartiacque pazzesco. E questo dal mio punto di vista, non è un bene perché ci sono atleti che non sono ancora maturi e al secondo anno da junior si trovano a dover smettere perché non hanno trovato la squadra.

«Valjavec è seguito dai Carera – dice Mantovanelli – ed è attenzionato dalla Soudal Quick-Step, questo non vuol dire niente perché anche se l’accordo c’è, deve sempre andare forte. Con Magagnotti non c’è nessun interesse nascosto sotto, perché poi quando passerà, so già che incasserò meno di quanto abbiamo speso per prenderlo. Zana come Affini, come Mozzato da junior, non avevano il procuratore e sono venuti da noi. Però è un ruolo che adesso esiste e bisogna rispettarlo. L’importante è che questi ragazzi tengano sempre i piedi per terra».

Parola al team manager

Alla direzione tecnica troviamo Emiliano Donadello, ex pro’ dal 2007 al 2010 e diesse con esperienza tra Autozai e Trevigiani: «Enrico ha voluto strutturare la società come un’azienda essendo abituato nel suo lavoro a essere molto metodico. Io con l’esperienza della continental, ho cercato di portare un po’ quello che ho imparato. La categoria juniores è completamente cambiata. Questa stagione tutto sommato è andata bene, non avevamo ancora una squadra, tra virgolette, super competitiva perché comunque avevamo dei ragazzi che non avevano mai vinto nelle categorie minori. Avevamo otto corridori e abbiamo ottenuto sette vittorie.

«Per il 2024 – afferma Donadello -posso dire che è facile partire con corridori forti, però bisogna anche essere bravi a gestirli, quindi dobbiamo farlo bene. La categoria è all’esasperazione, tra inviti e raduni della nazionale a cui Alessio verrà chiamato, tra pista e strada, bisogna veramente tenere i piedi per terra e  stare calmi. Occorre andare a stilare un calendario, essendo disposti a dire anche qualche no, per salvaguardare il ragazzo, anche perché non abbiamo solo Magagnotti. Siamo riusciti a prendere dei ragazzi che hanno fatto vedere belle cose e ci fanno ben sperare. Credo sempre nel gruppo e non privilegio nessuno».

Obiettivi

Con un roster rinforzato il 2024 si prospetta avvincente e potenzialmente ricco di vittorie. «Ho visto – dice Donadello – che è uscito il calendario provvisorio. Con le nuove normative che dicono che si può correre anche sabato e domenica e dove non c’è limite di corse a tappe, comincia a essere interessante. Ci piacerebbe fare qualche esperienza all’estero. Sarà importante fare un bel blocco di riposo durante l’estate, perché la stagione, anche negli junior è diventata veramente lunghissima, da Marzo a ottobre. Essere al top tutto l’anno è impossibile e come abbiamo fatto quest’anno dovremo fare un periodo di stacco a metà».

Talenti come Magagnotti meritano di non essere “spremuti”, a questa parola Donadello ha tenuto a rispondere fermamente: «Io non sono nessuno. A me piace sentire tutte queste belle parole che dicono alcuni ex pro’, i manager e i presidenti. Però nessuno sa com’è la realtà.  Questi ragazzini tornano a casa da scuola alle 14,45 e viene buio alle 16,30, quindi di cosa stiamo parlando? Un’ora di allenamento a tutta. Tutti ormai hanno un misuratore di potenza, il preparatore, il biomeccanico, il dietologo, lo psicologo e chi più ne ha più ne metta.

«Il ciclismo è una cosa molto semplice – conclude Donandello – ci vuole tanta voglia di far fatica. Se prendiamo un ragazzo come Magagnotti, quello che si deve fare è tenerlo lontano dalle pressioni e farlo lavorare con calma. Questi ragazzi non devono essere spremuti di testa. Il fisico è in un’età che può lavorare: con il giusto bilanciamento, ma può lavorare. E queste saranno le nostre premure più importanti».

Favero alla Soudal, una scelta per crescere a 360°

25.11.2023
5 min
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Due giorni per conoscersi. Per assaggiare che cosa significa far parte di una grande famiglia ciclistica, una di quelle che sono considerate il vero riferimento delle due ruote. Per approdare alle porte del “Wolfpack”, da vero cucciolotto che ambisce a essere “uno del branco”. Renato Favero (in apertura nella foto Scanferla) ha iniziato la sua avventura alla Soudal QuickStep, nel cui team Development correrà il prossimo anno, attraverso un primo incontro in Belgio, per conoscere compagni e staff e ha subito avuto il polso di quel che lo aspetta.

Nel suo racconto traspare un mix di emozioni proveniente da una scelta coraggiosa e difficile, per un ragazzo alle soglie della maggiore età: «La cosa che più mi ha colpito è la professionalità del team, sin da quando il diesse mi è venuto a prendere all’aeroporto di Charleroi. Parlava un po’ d’italiano, così mi ha messo a mio agio per tutto il viaggio verso l’hotel».

Foto di gruppo per i partecipanti al primo raduno in Belgio, riservato al Team Devo (foto organizzatori)
Foto di gruppo per i partecipanti al primo raduno in Belgio, riservato al Team Devo (foto organizzatori)
Il primo incontro in che cosa è consistito?

Innanzitutto in un primo incontro con tutto lo staff, c’erano anche i vertici del team, ho avuto la possibilità di conoscere Lefevere e Bramati. Abbiamo fatto tutte le operazioni legate alla bici Specialized che mi è stata data in consegna per gli allenamenti, poi alla sera c’è stata la cena ufficiale con tutti i compagni e i dirigenti. Io in hotel ero in camera con Raccagni Noviero che ha iniziato a spiegarmi tutti i segreti del team. La squadra è formata da 15 elementi, una vera multinazionale, quindi è importante anche potersi esprimere con tutti, dovrò migliorare la mia padronanza delle lingue…

Tu avevi una Pinarello prima, dovrai apportare delle modifiche sulla nuova bici in base alle tue misure?

No, abbiamo fatto tutto lì in Belgio, hanno regolato tutte le misure necessarie, infatti c’è voluto un po’ di tempo per effettuare tutti i passaggi, ma ora non vedo l’ora di provarla e pian piano abituarmi alla mia nuova bici.

In azzurro ai mondiali 2022. Le sue doti a cronometro sono un suo segno distintivo
In azzurro ai mondiali 2022. Le sue doti a cronometro sono un suo segno distintivo
Che cosa ti ha portato a scegliere la Soudal?

Non c’è voluto molto per convincermi, stiamo parlando di un autentico riferimento del ciclismo di vertice, il team che ha vinto tutto nelle classiche e che ha un leader assoluto come Evenepoel nelle sue file. Entrare in un Devo team come questo significa essere trattato alla stregua di un professionista. Avere la possibilità, se riuscirò a crescere abbastanza come prestazioni, di correre anche nella prima squadra al fianco dei migliori, di gente già esperta e quindi imparare ancora di più.

Hai preso in considerazione la possibilità di fare una scelta italiana?

Sinceramente, sentivo il bisogno di uscire dalla mia “comfort zone”, fare un passo difficile, mettermi alla prova anche dal punto di vista esistenziale, umano. E’ una grande scommessa, anche se ho notato che, tra staff e compagni, ci sono molte persone che parlano italiano e questo, non avendo ancora dimestichezza con l’inglese, mi ha messo a mio agio.

Su pista, Favero ha portato il quartetto al record e titolo mondiale. Una passione che vuole mantenere viva
Su pista ha portato il quartetto al record e titolo mondiale. Una passione che vuole mantenere viva
Al momento della notizia del tuo ingaggio, molti addetti ai lavori hanno sollevato alcune perplessità conoscendo la tua propensione per la pista, le tue grandi prospettive. Che cosa dicono nel team, avrai libertà di movimento in tal senso?

Non ne abbiamo ancora parlato, lo faremo al primo ritiro quando ognuno di noi avrà a disposizione una bozza di calendario. Magari se ne parlerà a fine mese quando dovrò svolgere dei test in Belgio. Chiaramente sanno dei miei risultati, ma si valuterà in base agli impegni e alle chiamate da parte del cittì Villa. Io vorrei assolutamente continuare, ma è naturale che la strada sia il primo obiettivo perché la carriera si costruisce innanzitutto lì. Spero che si riesca a trovare il giusto compromesso, considerando anche le prove a cronometro alle quali tengo molto.

Quando è nato il contatto con la squadra?

Sono venuti a cercarmi dopo le mie prestazioni all’Eroica juniores, con la vittoria nella cronosquadre inaugurale e il secondo posto nella semitappa successiva. Le loro parole mi hanno subito convinto, era la scelta giusta da fare. Tutto ciò mi ha fatto anche riflettere: sono convinto che per un corridore italiano partecipare alle gare della Nations Cup sia un’esperienza fondamentale, soprattutto se si corre all’estero perché è un modo completamente diverso di gareggiare, intanto perché si affrontano soprattutto gare a tappe alle quali gli stranieri sono più abituati, poi perché sono una vetrina privilegiata presso i team di maggior rilievo.

La vittoria di Kral nella seconda semitappa all’Eroica battendo Favero. Per l’azzurro è iniziato tutto lì (foto Fruzzetti)
La vittoria di Kral nella seconda semitappa all’Eroica battendo Favero. Per l’azzurro è iniziato tutto lì (foto Fruzzetti)
Che cosa ti aspetti da questa prima presa di contatto con un mondo completamente nuovo?

Io vorrei crescere a 360°, fisicamente, mentalmente, anche dal punto di vista tattico. So che per me cambia tutto, anche se apparentemente non è così visto che continuerò ad allenarmi a casa. D’altronde ho gli esami a fine anno scolastico e nel team tengono molto che nel mio primo anno lo studio sia preminente, infatti già so che la prima parte della stagione sarà più tranquilla. Come è giusto che sia.

Coach Malori e il piano B che sta andando alla grande

25.11.2023
4 min
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BASILICANOVA – Parma dista una ventina di minuti, dietro le colline là in fondo c’è una valle incantata in cui vengono prodotti i prosciutti migliori. Lo studio di 58×11 di Malori lo riconosciamo dalla vetrina e difficilmente lo dimenticheremo, dato che prima di ripartire un vigile ha pensato bene di regalarci una multa per il verso sbagliato nell’uscire dal parcheggio. Colpevoli, bisogna ammetterlo, ma lui è stato inflessibile.

Dopo la solita raffica di battute, Malori fa da guida (in apertura con Fabrizio Pasolini e Nicola Percivaldi, i titolari di Regola Bikes, di cui Malori è testimonial). L’ambiente è dominato da alcune sue foto da corridore. Lo capisci da ogni parola che il discorso interrotto da quell’incidente del 2016 in Argentina continui a galleggiare nell’aria. La sua seconda vita richiede ugualmente abnegazione e impegno e in breve il campione del mondo 2008 della crono U23 si è costruito una posizione. Preparatore per gli amatori, ma anche per gli juniores della Nial Nizzoli, perché un piede nel ciclismo agonistico continua a tenerlo, in prospettiva che magari qualche squadra più grande un giorno venga a bussare alla sua porta. Intanto la sua esperienza la… sfruttiamo noi, con i tanti e bellissimi approfondimenti su quel che succede nel gruppo.

«Sono partito a fare questo mestiere – racconta – nel settembre 2017. Prima lo facevo da un meccanico poi nel 2018 mi sono messo in proprio. E dopo un periodo in un altro centro, mi sono trasferito qui. Non ci avrei mai pensato, senza quell’incidente. Finché ho corso, anche per l’ultima gara, non ho mai voluto considerare un piano B. Volevo soltanto tornare a correre. Invece il giorno che ho smesso, eravamo a Ponferrada, sotto strada c’era un bar. Ho bevuto un paio di birre e ho chiamato Zabala, il mio allenatore di allora alla Movistar».

Nello studio di 58×11 si riconoscono le maglie delle società con cui collabora, ma anche tante delle sue
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Cosa dovevi dirgli?

Poche parole. Gli ho detto: «Insegnami a fare il preparatore, perché è l’unico modo per non disperdere il mio background». Mi venne in mente che fosse il modo migliore per passare agli altri il bagaglio tecnico che non avevo potuto sfruttare a causa dell’incidente.

Il fatto di chiamarsi Malori funziona come richiamo?

Sicuramente sì. All’inizio molti venivano chiaramente attratti dal nome. Adesso viene gente anche da fuori, perché hanno sentito parlare di come lavoro. E questo lo trovo molto gratificante.

Hai abbandonato la biomeccanica, spostandoti sulla preparazione?

Continuo a fare entrambe, ma il training è la parte dove sono più forte: quando alleno un ragazzo, mi immedesimo in lui e cerco di immaginare i lavori che gli do, come se dovessi farli io. Come mi sento. Le sensazioni in base al freddo e al caldo. I percorsi su cui andrà a lavorare, perché il mio lavoro mi ha dato la fortuna di conoscere i percorsi in tutta Italia. Quindi posso dare indicazioni a un cliente dal Trentino al Piemonte, l’Umbria, la Sicilia, la Puglia. Dovunque il ciclismo mi abbia portato.

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Quando si apre un centro come questo, si lavora con i corridori, ma anche con gli amatori. Cosa cambia?

Infatti alleno per la maggior parte degli amatori. Poi ho un buon bagaglio di under 23, di juniores e qualche ragazza che corre in squadre continental. L’importante è avere ben chiare le differenze, che ci sono e sono consistenti. Non tanto sui lavori singoli, ma certo cambia tanto il recupero. Se un ragazzo di una continental è capace di fare un lavoro di intensità per tre giorni di fila, un amatore riesce a farlo una sola volta e poi ha bisogno di recupero. La capacità del preparatore sta nell’essere bravo a calibrare tutto.

I tuoi juniores invece di cosa hanno bisogno?

Di poche parole e soprattutto chiare. Oltre all’aspetto atletico, cerco di tenerli sulla corda a livello motivazionale. Vorrei che corressero senza subire la corsa, pensando piuttosto a come mettere in difficoltà gli avversari.

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Hai parlato del tuo background e infatti sei testimonial di un’azienda di bici, un’altra di plantari, casco, occhiali. Diciamo che la tua esperienza è apprezzata, no?

E questo mi fa molto piacere. Essere considerato nell’ambiente, nonostante siano quasi 10 anni che ho smesso. Per il resto continuo ad andare in bici, un paio d’ore per volta e sempre a tutta. Non mi piace passeggiare, nonostante tutto, sulla bici ho sempre amato andare veloce. Volevo diventare il corridore più forte del mondo, mi sono fermato prima di poterci provare davvero.