Per due ore Pellizzari ha fatto sognare gli italiani

25.05.2024
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BASSANO DEL GRAPPA – «Quando mi ha ripreso mi ha detto di mettermi a ruota. Io ci ho provato ma andava troppo forte e mancavano ancora tre chilometri alla vetta. Era una volata per me quel ritmo. Sono passato da 350 a 600 watt». Tadej Pogacar che riprende Giulio Pellizzari. E’ questa “la foto” di oggi e, forse, dell’intero Giro d’Italia. Di certo lo è per il marchigiano.

Era già successo sul Monte Pana che Pogacar rintuzzasse Pellizzari, ma stavolta questo recupero ha un valore gigantesco. Stavolta Pellizzari era in fuga da solo. Stavolta era una tappa lunga.

E in tutto ciò la folla impazzisce. Quella a bordo strada. Quella all’arrivo di Bassano e quella alla televisione.

Qualche attimo di stanchezza, ma un minuto dopo Pellizzari era già pronto per le interviste
Qualche attimo di stanchezza, ma un minuto dopo Pellizzari era già pronto per le interviste

Per sé e per la gente

Appena arriva, il corridore della VF Group-Bardiani si appoggia alle transenne. Si siede. Ha il fiatone, ma poco dopo è già pronto a raccontare. Un recupero impressionante. Aspetto non secondario. Vuol dire che sta bene.

Pellizzari è un fiume in piena di emozioni: «Volevo assolutamente prendere quel Gpm, perché volevo indossare la maglia blu a Roma domani, anche se non è mia. Non pensavo di aver guadagnato così tanto quando sono partito».

«Sull’ultima salita ho dato tutto. E forse ad un certo punto ci ho anche creduto. C’era tanta gente sulla strada che urlava il mio nome e mi diceva di crederci. “Vai che è tua”. Io facevo le corna! Ma quel tifo è servito. E’ stato come avere una gamba in più. Ero qui nel 2014 da bambino a vedere Quintana e oggi c’ero io: un’emozione assurda».

Lo spettacolo del Grappa. «Mio padre è di queste parti. Ci tenevo a fare bene per tutta questa gente»
Lo spettacolo del Grappa. «Mio padre è di queste parti. Ci tenevo a fare bene per tutta questa gente»

Sguardo avanti

Quel ragazzino, under 23 di primo anno, che incontrammo al Giro della Valle d’Aosta, guarda caso in lotta per la maglia dei Gpm, sembra lontanissimo. E invece è storia di appena due estati fa. Condividevamo l’albergo e ogni sera si parlava un po’. Ma in quanto a spontaneità è lo stesso.

«Tutto il Grappa – va avanti Giulio – è stata una grande emozione, poi quando ho visto Pogacar che potevo fare? Ho pensato solo ad andare a tutta e di provare a tenerlo ma lui andava troppo, troppo forte. Speravo solo di arrivargli il più vicino possibile. Probabilmente se non ci fosse stato Tadej ora avrei due vittorie al Giro».

Prima abbiamo accennato al recupero di Giulio, qualità fondamentale per chi punta ai grandi Giri. L’aver concluso bene il Giro, essere stato così protagonista nella terza settimana, dopo aver persino superato dei malanni, ha un significato gigantesco in ottica futura.

«Il mio Giro non era iniziato proprio nel modo che volevo – riprende il corridore – Qualcuno addirittura mi aveva detto che non ero pronto a questo e al salto nel WorldTour: io volevo solo dimostrare il contrario, quindi sono contento anche per questo.
«Questa mattina ho sentito Massimiliano Gentili (il suo diesse tra gli juniores, ndr) e lui mi ha detto: “Dimostra che al ventesimo giorno sei questo”».

Tonelli sta tagliando il traguardo, Pellizzari al Processo alla Tappa si volta e lo cerca con lo sguardo
Tonelli sta tagliando il traguardo, Pellizzari al Processo alla Tappa si volta e lo cerca con lo sguardo

Tonelli, che guida

Ma oggi è stata brava anche la sua squadra, come del resto per tutto il Giro. La VF Group-Bardiani ci ha sempre provato e verso Bassano sono riusciti ad imbastire un gioco di squadra tra i giganti. L’aiuto di Alessandro Tonelli è stato funzionale… e bello.

«Stamattina – ha raccontato Tonelli – l’idea era di portare Giulio in fuga con uno tra me, Fiorelli o Tarozzi. Poi invece sono entrato io e Giulio si è mosso solo al primo passaggio sul Grappa. Io sono rimasto davanti ma senza forzare troppo. Anche perché hanno preso la salita come se il traguardo fosse a lì a tre chilometri. Io mi sono gestito. Poi quando è uscito Giulio ho pensato solo ad aiutarlo.

«Certo, nello strappo in discesa è stato un po’ frenetico. Mi ha fatto spendere tanto, magari senza quello sforzo sarei riuscito ad aiutarlo un pelo di più dopo».

Tonelli non solo ha tirato, e si è preso l’Intergiro, ma ha pensato a Pellizzari anche dopo che lui lo avrebbe lasciato.

«Nel breve tratto in pianura tra i due Grappa gli ho detto di mangiare, d’idratarsi e soprattutto di gestirsi in salita, perché la scalata sarebbe durata un’ora. Per due terzi di salita Roberto (Reverberi, ndr) mi teneva aggiornato. Sentivo che Giulio teneva bene. Poi è uscito Pogacar. Ma si sapeva…».

Tonelli (qui al podio per l’Intergiro) e la squadra hanno dato a Pellizzari un ottimo supporto
Tonelli (qui al podio per l’Intergiro) e la squadra hanno dato a Pellizzari un ottimo supporto

Futuro Pellizzari

Il ciclismo può diventare tecnico e futuristico quanto vuole, ma il nocciolo resta questo: il ragazzo che attacca in salita. E’ l’emozione, il sogno.

E non si può non insistere sul coraggio di Pellizzari e su quella manciata scarsa di chilometri con Pogacar.

«Quando Tadej mi ha ripreso – continua il marchigiano – ho pensato proprio a lui l’anno scorso al Tour, quando andando in crisi disse: “I’m gone, I’m dead”. Pensavo a come oggi questa frase la dicano gli altri… ed anche io». 

Giulio Pellizzari (classe 2003) in azione sul Grappa. Alla fine ha chiuso 6° con il drappello dei big
Giulio Pellizzari (classe 2003) in azione sul Grappa. Alla fine ha chiuso 6° con il drappello dei big

E ora Roma

Il fatto di aver tenuto il ritmo dei migliori, stando già fuori da oltre un’ora, nel secondo passaggio sul Grappa non è una cosa banale.

«La resistenza – prosegue Pellizzari – è un po’ il mio punto di forza. Ho cercato di procedere con regolarità. L’ho scalato entrambe le volte con lo stesso ritmo. Il Grappa è davvero duro, ma è il tipo di salita che piace a me».

«Sono contento del mio Giro d’Italia. Tanti tifosi mi chiedevano una tappa, ma ora sono anche contento che sia finito perché sono veramente stanco».

Giulio Pellizzari alle 21:45, come tutta la carovana, volerà verso Roma. La valigia che caricherà sull’aereo conterrà un’esperienza in più… e ovviamente gli occhiali e la maglia rosa che Pogacar gli ha dato sul Monte Pana.

Bardet e la sua Foil RC: un bel… mostro da competizione

25.05.2024
6 min
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ALPAGO – Le strade del Grappa saranno l’ultima occasione di questo Giro per vedere all’opera in salita Romain Bardet. Il francese classe 1990 corre dal 2021 al Team DSM Firmenich e come tutti i corridori della squadra olandese è passato dall’avere a disposizione due tipi di bici – aero e da salita– al fare tutto con lo stesso modello. Scott infatti ha spinto affinché i team sponsorizzati utilizzino unicamente la Foil RC. In DSM è scelta comune per i team WorldTour maschile e femminile e per i devo team. Stessa scelta per la Q36.5 in Svizzera.

Si può dire senza troppi dubbi che la scelta di Scott sia stata avveniristica e abbia convinto altri marchi a creare una bici leggera che fosse anche aerodinamica. A ben guardare ormai tutti i team puntano a ridurre al minimo la scelta di bici, traendone vantaggi logistici ed economici.

Una bici standard

Felipe Ennes Houdjakoff, il cui soprannome è Capo e ha una vera venerazione per Ayrton Senna, è brasiliano, fa il meccanico e lavora con DSM da dieci anni. E’ lui a condurci nelle specifiche della bicicletta di Bardet, prendendo la scorta dal tetto dell’ammiraglia, perché quella da gara è già montata sui rulli in previsione di una partenza veloce.

«In realtà – dice guardandola – nessuno dei nostri corridori usa qualcosa di particolare. Ne parlano con i vari esperti e già prima del Giro predispongono il materiale, quello che serve per eventuali situazioni più o meno delicate. Poi per il resto, niente di speciale. E Bardet non fa eccezione. Usa ruote da 35 per le tappe di montagna e più alte per quelle veloci. Il telaio ha misura standard, una L. La posizione l’ha rivista a inizio stagione, ma lui è qui già da qualche anno, per cui non ha dovuto cambiare misure. Ricordo che venne con le sue schede, fece il bike fitting con i biomeccanici e da allora non s’è più spostato».

Bardet pedala in salita in posizione non troppo avanzata e con ruote Dura Ace C35
Bardet pedala in salita in posizione non troppo avanzata e con ruote Dura Ace C35

Aerodinamica e regole

Scott e la squadra hanno fatto un ragionamento piuttosto ampio, considerando un solo sistema quello composto dall’uomo, la bici e i componenti. Solo in questo modo si possono valutare, a loro avviso, gli effettivi vantaggi aerodinamici. Perciò, quando nel 2021 l’UCI ha varato le nuove regole in termini di geometrie e misure, avendo la Foil come punto di partenza, il team ha iniziato a rielaborare la bicicletta che voleva dare ai suoi atleti.

Il primo step conseguito da Scott è stato quello di ridurre la resistenza aerodinamica di ciascun tubo. Per questo sono stati ridotti al minimo gli incroci fra i vari segmenti. Inoltre per ciascun atleta si è messa a punto una posizione in linea con i valori di avanzamento imposti dall’UCI e in grado di produrre un sensibile guadagno. A questo scopo concorre anche il tubo di sterzo, evidentemente sovradimensionato. Oltre a consentire il passaggio interno di ogni cablaggio, funge anche da carenatura, tagliando l’aria in abbinamento con la forcella dai foderi larghi e sottili.

La cura dei dettagli

Il tubo obliquo e il piantone si integrano nel sistema. I foderi obliqui sono stati abbassati, aumentando il comfort, ma riducendo la resistenza all’aria. A ciò concorre anche una rotazione di 10 gradi verso l’interno favorendo l’espulsione dell’aria che passa attraverso i raggi mentre girano. Inoltre grazie all’abbassamento dei foderi, è stato possibile “nascondere” le pinze dei freni a disco, riducendo la resistenza aerodinamica e donando alla Foil una superiore pulizia estetica.

«La bici è veloce – spiega Felipe – a maggior ragione quando si fa la giusta scelta di ruote. Anche nelle tappe di salita, il cerchio Dura Ace C35 di Shimano tiene basso il peso complessivo, dà rigidità in discesa e negli scatti e non compromette la velocità della bici in discesa. Nelle corse veloci invece la ruota C50 esalta la velocità di questa bici, che trova così il massimo della sua aerodinamica. Sulle ruote per tutti ci sono dei tubeless che variano in base al percorso e alle condizioni della strada. Quanto ai rapporti, Romain usa una scala piuttosto standard. Anche oggi una guarnitura 40-54 e pacco pignoni 11-34.

Veloce e leggera

L’ultima annotazione del meccanico riguarda proprio la scelta dei componenti, considerati appunto tutt’uno con la bici.

«Esiste un equilibrio tra aerodinamica e peso – dice – la bici aerodinamica di solito è più pesante, invece questa Foil è leggera e i corridori se ne sono accorti e sono contenti. Con la stessa Foil RC lo scorso anno il vostro Dainese faceva le volate, quindi è veloce, leggera e anche rigida. Sono stati disposti meglio i fogli del carbonio, non ci sono tante giunzioni, i collarini sono minimali per forme e peso. Abbiamo ridotto il peso senza rinunciare a sicurezza e rigidità. Il manubrio è una delle parti che Romain preferisce. E’ nato per la bici come il reggisella. Forse non hanno bisogno di personalizzazioni perché va già tutto bene così com’è…».

Cherry Juice: il succo rosso che bevono dopo l’arrivo

25.05.2024
4 min
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SAPPADA – La novità da quest’anno è contenuta nelle bottigliette da mezzo litro che vengono passate ai corridori dopo l’arrivo. Tutti le vedono, tutti chiedono di cosa si tratti: contengono un liquido rosso scuro. Dei nitrati e della barbabietola abbiamo già parlato, ma la sensazione è che si tratti d’altro: infatti è il Cherry Juice. Per questo ci siamo rivolti a Laura Martinelli, nutrizionista della Jayco-AlUla, per avere lumi in merito. Che cosa c’è dentro quelle bottigliette?

«Sono ciliegie – risponde – anzi, amarene. Sono particolarmente ricche di antiossidanti che favoriscono il recupero. E quello prima inizia e meglio è ed è il motivo per cui lo bevono sulla linea d’arrivo. Inoltre lo stesso prodotto, se viene assunto nel dopocena, dato che contiene naturalmente della melatonina, favorisce anche l’addormentamento. Ha lo stesso colore del nitrato, ma non c’entra nulla con la barbabietola».

Nelle borse dei massaggiatori all’arrivo, bibite e bottigliette con il succo di ciliegia
Nelle borse dei massaggiatori all’arrivo, bibite e bottigliette con il succo di ciliegia

Le preziose amarene

Succo di ciliegia. Ne avevamo già parlato su bici.STYLE quando Rossella Ratto ci ha descritto i benefici delle ciliegie e ora i tasselli compongono un mosaico più chiaro e dai contorni definiti.

«Alcuni studi preliminari – ha scritto la nostra esperta di nutrizione – suggeriscono che le ciliegie di Montmorency, note anche come amarene, si differenziano per un maggiore contenuto di melatonina, ormone che regola il ciclo sonno-veglia e il loro consumo potrebbe favorire il sonno migliorandone la qualità ed aumentandone la durata. Le amarene più sono scure più contengono antociani e hanno quindi un miglior potere antinfiammatorio. Sembrerebbero inoltre capaci di ridurre il dolore muscolare e la fatica durante l’esercizio prolungato.

«Con queste proprietà le ciliegie possono essere quindi un frutto di prima scelta per i ciclisti, da consumare quotidianamente in questo periodo, al fine di sostenere anche gli allenamenti più impegnativi e migliorare il recupero durante il sonno».

Il Cherry Juice viene disciolto in acqua nella concentrazione voluta
Il Cherry Juice viene disciolto in acqua nella concentrazione voluta

Gel disciolti in acqua

Tolta la prima parte di curiosità, ancora con Laura Martinelli quel che ci preme capire è il dosaggio di questo succo di ciliegie e il quantitativo che ciascun corridore manda giù per avere l’effetto voluto sul recupero.

«Sembra tanto liquido – risponde – ma in realtà è perché si tratta di succo concentrato che si vende in forma di gel e si schiaccia dentro la bottiglia da mezzo litro. Parliamo di un prodotto molto concentrato da 40 ml disciolto in mezzo litro d’acqua. Contiene anche 25 grammi di zucchero, però penso che i corridori preferirebbero bersi mezza Coca Cola o mezza Fanta. Non so se altre squadre abbiano bevande già pronte, noi abbiamo i gel e li sciogliamo in acqua. Sono molto dolci e i corridori farebbero fatica a prenderli così, anche se qualcuno lo fa, ma è davvero molto stucchevole».

Questo il Cherry Juice in dotazione alla Jayco-AlUla, prodotto da 6D Sport Nutrition
Questo il Cherry Juice in dotazione alla Jayco-AlUla, prodotto da 6D Sport Nutrition

Il protocollo del recupero

Interessante anche la parte legata al quantitativo di melatonina contenuto nelle amarene. Non tanto perché il gel diventi un sonnifero, ma perché assumendolo il riposo notturno diventa un momento di miglior recupero.

«Mentre dopo l’arrivo si dà a tutti – spiega Martinelli – dopo cena lo prende solo chi magari fa fatica a dormire. Per cui si parla di un prodotto che si prende principalmente per il recupero nell’immediato dopo corsa, dopo che hanno bevuto qualcosa di fresco, ma c’è anche chi per questo usa i chetoni. Una volta nel bus, diamo il recupero con le proteine disciolte in acqua oppure latte. Quindi fanno la doccia e poi mangiano la pasta o il riso. Diciamo che la novità di quest’anno è il Cherry Juice. C’è chi lo usa già dall’anno scorso, ma nel nostro protocollo è la novità del 2024».

Covi: infiammazione al tendine rientrata, è tempo di ripartire

25.05.2024
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Prima la Eschborn-Frankfurt, poi il Giro di Ungheria, il mese di maggio per Alessandro Covi ha avuto il sapore della ripartenza. 

«Sto abbastanza bene ora – dice il “Puma di Taino” – sto recuperando da un infortunio ai tendini che ha condizionato la prima parte di stagione. Erano i giorni della Tirreno-Adriatico e mi si è infiammato prima il tendine d’achille e poi il ginocchio. Già alla Milano-Sanremo avevo forti dolori ma la squadra contava su di me e mi sono messo a disposizione. Poi avevo in programma le Classiche del Nord ma dopo il Fiandre sono stato costretto a fermarmi. Ho saltato il filotto di Amstel, Freccia e Liegi. Erano le gare sulle quali avrei dovuto mettere il focus per questa prima parte di stagione e invece nulla».

Covi è tornato a correre nel mese di maggio dopo un aprile ai box per recuperare dall’infiammazione al tendine d’Achille
Covi è tornato a correre nel mese di maggio dopo un aprile ai box per recuperare dall’infiammazione al tendine d’Achille

Strascichi di infortuni passati

A leggere le varie statistiche del 2024 di Alessandro Covi si potrebbe pensare che qualcosa a livello di prestazioni non sia andato nel verso giusto. Poi ci si ferma, si ascolta la voce del giovane corridore del Team UAE Emirates e si capisce la frustrazione di poter fare al meglio ciò che si ama. 

«Il 2024 già era iniziato con un handicap – prosegue – visto che mi trascinavo le conseguenze della mononucleosi che ho preso nel 2023. E’ una malattia balorda, che ti destabilizza e per riprenderti ci metti sempre un po’. Così questo inverno sono partito con il freno a mano tirato, senza forzare nella preparazione. In Australia sono tornato a correre, stavo bene ma non ero sicuramente al massimo delle mie potenzialità. Dopo un mesetto però stavo migliorando e mi sentivo bene, poi alla Tirreno è iniziato il secondo calvario».

Il varesino aveva iniziato la stagione con il Tour Down Under dopo un inverno rallentato dagli strascichi della mononucleosi
Il varesino aveva iniziato la stagione con il Tour Down Under dopo un inverno rallentato dagli strascichi della mononucleosi
La tendinite.

Il mese peggiore è stato quello di aprile, dove sono rimasto fermo. All’inizio non sapevo bene neanche io come gestire la cosa. Ho fatto, per un paio di settimane, delle pause di cinque giorni alle quali seguivano due giorni di allenamento. Il dolore passava ma poi una volta tornato in bici riemergeva. 

Hai capito poi quale fosse il problema?

Mi si era formata una bolla nella zona del tendine d’Achille. Ogni volta che provavo a mettere la scarpa saltavo in aria talmente era forte il dolore. La scarpa mi dava fastidio, figuratevi pedalare. 

Il sorriso di inizio anno è stato spento dall’ennesimo stop degli ultimi mesi
Il sorriso di inizio anno è stato spento dall’ennesimo stop degli ultimi mesi
Com’è stato curato?

Sono stato fermo fino al completo sgonfiamento della bolla e poi sono tornato a pedalare piano piano. Anche l’infiammazione al ginocchio, una conseguenza, è poi andata via. Un po’ più lentamente della prima ma è sparita. Il problema era che fin dalla Tirreno pedalavo per il 60 per cento con una gamba e per il restante 40 per cento con l’altra. Per cercare di compensare.

Hai fatto qualche tipo di terapia?

Laser e tecar per far sparire l’infiammazione, poi abbiamo sistemato il problema al ginocchio per tornare a spingere equamente. 

La bolla a cosa era dovuta?

Dal movimento che il piede faceva sul pedale in fase di massima spinta. Io ho sempre usato le tacchette gialle, che sono quelle più mobili. Quando mi alzavo sui pedali o comunque spingevo forte, il piede si muoveva, questo ha portato via via all’infiammazione del tendine. Sono passato alle tacchette blu e la cosa si è sistemata. 

Nonostante il dolore Covi ha stretto i denti e dato supporto alla squadra alla Milano-Sanremo
Nonostante il dolore Covi ha stretto i denti e dato supporto alla squadra alla Milano-Sanremo
Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 hai avuto una buona dose di sfortuna…

Non credo nella sfortuna. Penso che ci siano dei periodi così, che ti aiutano a crescere di testa, che ti rafforzano per avere un futuro migliore. 

Quindi ora sei ripartito con maggiore forza?

Sono alla ricerca della migliore condizione. Fermarsi per quindici o venti giorni durante la stagione non è facile. Ricostruire tutte costa fatica ma dal Giro di Ungheria sono uscito con buone sensazioni. Ora ho un calendario fitto e cercherò la migliore condizione per arrivare al meglio nella seconda parte dell’anno. 

Covi e Ulissi, per entrambi una stagione senza grandi Giri con il fine di raccogliere più risultati
Covi e Ulissi, per entrambi una stagione senza grandi Giri con il fine di raccogliere più risultati
A proposito di calendario tu, come Ulissi, non hai grandi giri in programma…

I manager mi hanno comunicato questa decisione durante l’inverno e io l’ho accettata. Il piano era avere più occasioni per me e cogliere maggiori risultati. Però il team è pieno di campioni, quindi in tante occasioni ti trovi a tirare comunque. Avrei preferito essere al Giro a tirare per Tadej che fare la stessa cosa in altre gare. Nel trittico delle Ardenne avrei sicuramente avuto più spazio, ma l’ho saltato per l’infortunio.

Allora la seconda parte di stagione vuole essere una rivincita?

Lo spero. Ora ho una gara in Belgio, una in Svizzera e poi due corse a tappe: Giro di Slovenia e Giro d’Austria. Il finale di stagione sarà sempre il solito, con il calendario italiano e le corse di casa. Ho tanta voglia, soprattutto per le gare di fine anno. Sapere di correre vicino a parenti e amici ti fa venire voglia di lottare.

Tra orgoglio e rivincita, la firma di Vendrame su Sappada

24.05.2024
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SAPPADA – Nel giorno della battaglia del Piave, Andrea Vendrame porta a casa la battaglia sportiva di questo arrivo infradiciato dalla pioggia che cade da ore. 147 chilometri di fuga dal mattino, 28 da solo. Il corridore della Decathlon-Ag2R, nato a Santa Lucia di Piave, aveva annunciato dal mattino che avrebbe provato a cercare la fuga. E quando finalmente si è trovato nel gruppo al comando della corsa, ha iniziato a pensare a come portare a casa la vittoria.

Andrea Vendrame ha 29 anni, è professionista dal 2017 e con questa il conteggio delle sue vittorie passa a sei. Basta guardarlo in faccia per capire che la sua non è una storia banale. Le cicatrici sul volto gli ricordano ogni giorno che in questo mestiere non c’è nulla di facile. Un’auto gli tagliò la strada e lo travolse in allenamento a Vittorio Veneto. Era da solo, sfondò il vetro con il volto e fu lui a chiamare i soccorsi. Gli ricucirono la faccia con sessanta punti, ma Andrea non si diede per vinto. Dal Trofeo Piva di aprile passò direttamente al Val d’Aosta di luglio. E appena ritrovò una forma di condizione accettabile, arrivò terzo al campionato europeo e poi quarto in un assaggio di professionismo alla Coppa Sabatini. La sua carriera tra i grandi iniziò in questo modo, guarendo da un incidente. Per questo quando Vendrame vince, è sempre qualcosa di speciale e sudato.

«E’ da anni che cercavo la vittoria – dice – ho fatto tanti piazzamenti. Dicono che non sono un corridore molto vittorioso, ma sempre piazzato. Oggi penso di aver fatto vedere un po’ di che pasta sono. Sono felice per come è uscita la corsa, come si è messa la tappa e per come ho vinto. Ho fatto vedere che non sono un corridore da sprint, non sono un corridore da montagna, ma posso giocarmela in diversi terreni. Sono un corridore mix…».

Sin dalla partenza, Vendrame aveva detto di voler entrare nella fuga giusto. E’ stato di parola
Sin dalla partenza, Vendrame aveva detto di voler entrare nella fuga giusto. E’ stato di parola

Lacrime a San Martino

Ride, è contento e se la merita tutta. La sua precedente e unica vittoria al Giro risale al 2021, quando andò in fuga verso Bagno di Romagna e battè Chris Hamilton nello sprint a due. Nel 2019, quando correva ancora con la Androni Giocattoli-Sidermec, la vittoria gli sfuggì a San Martino di Castrozza, quando era abbondantemente solo in testa alla tappa. Come oggi, praticamente all’ultimo chilometro. Invece la sua bici si ruppe, Chaves lo superò e a lui non rimase che un amarissimo secondo posto.

«Ogni tanto ci penso ancora – sorride amaramente – ci siamo passati l’altro giorno in discesa e sinceramente mi è venuta giù una lacrima. Per fortuna pioveva, così nessuno l’ha vista. Quella di oggi era una tappa in cui avevo messo un bollino rosso. L’importante era essere nella fuga di giornata perché si sapeva che sarebbe andata a giocarsi la vittoria. Quindi entrandoci, il primo obiettivo l’ho centrato. A quel punto stava a me gestire al meglio la situazione. Ero arrivato al Giro con una condizione già buona, però ho dovuto fare i conti con una bronchite che mi ha messo fuori gioco dalla tappa di Rapolano, quella con le strade bianche. Ho dovuto lottare con questo piccolo problema fisico, ma alla fine ne sono venuto fuori».

Infiniti piazzamenti, ma la vittoria a Vendrame mancava da giugno 2021
Infiniti piazzamenti, ma la vittoria a Vendrame mancava da giugno 2021

L’oro di Decathlon

La sua squadra è in testa alla classifica a tempi. Le tappe vinte sono due, dopo quella di Paret-Peintre. O’Connor è ancora quarto in classifica generale a 1’43” dal podio. Rosario Cozzolino, responsabile del ciclismo di Decathon Italia, dice che le bici Van Rysel di alta gamma, che erano già introvabili in Francia, sono esaurite anche in Italia. Attorno al team si respira certamente un’aria nuova.

«Fin dall’inizio del Giro – dice Vendrame – stiamo andando veramente forte. O’Connor è in classifica generale, domani si deciderà il risultato finale di questo Giro. Siamo a un passo dal podio, ci proveremo. Per il resto, sono cambiati i materiali, è cambiato il clima all’interno della squadra. Tra noi c’è più unione, si scherza, si ride, c’è più collaborazione. Questo lo dimostrano tutti i risultati che abbiamo ottenuto finora. Sono contentissimo di questo cambiamento e per l’entrata dei nuovi sponsor. Speriamo che sia così anche per il prosieguo».

La fuga più dura

Quando nella stanza entra Pogacar, si capisce che il tempo per il vincitore sia finito. Perché puoi anche aver vinto una tappa al Giro, ma devi sempre stare un passo indietro rispetto al padrone della corsa. Andrea si alza, lo accompagnano l’addetto stampa della squadra e lo chaperon che lo scorterà fino all’antidoping. L’ultima domanda, ricordando il video del mattino, gliela facciamo su quanto sia stato davvero difficile entrare nella fuga giusta.

«Secondo me è stato più difficile prendere la fuga che vincere – riflette Vendrame – perché c’era una battaglia veramente ardua. Ero presente fin dall’inizio, nella prima fuga, ma ci hanno ripresi. Poi siamo riusciti a portare via un altro drappello a San Daniele del Friuli. L’importante era essere dentro, quindi il primo obiettivo era quello. Poi lo sapete, sono un po’ matto, mi chiamano Joker. Ho attaccato in discesa ed è andata bene. Ho tenuto un ritmo regolare e sono arrivato in solitaria all’arrivo. Non potete neppure immaginare quanto sia importante per me questa giornata…».

Maguire ci presenta il Pogacar che non conosciamo

24.05.2024
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SAPPADA – Oggi Tadej Pogacar ha vissuto una giornata tranquilla, specialmente in bici. Poi per lui sono iniziate le solite pratiche: interviste, controlli, conferenza stampa… e in questo frangente interviene il suo “angelo custode”, Luke Maguire, addetto stampa della UAE Emirates (al suo fianco nella foto di apertura).

Mentre si attende l’arrivo della maglia rosa, oggi un quarto d’ora più indietro di Vendrame, è proprio Maguire che ci porta a scoprire un Tadej diverso. Quello dietro le quinte, nel vero senso della parola. E ci apre uno spiraglio anche sul suo lavoro, quello di assistere al corridore più forte del mondo. E di come Tadej abbia trovato il suo equilibrio con il Giro d’Italia.

Un Giro che lo ha visto praticamente sempre con il microfono in bocca. In quanto vincitore di tappa o portatore della maglia rosa, cosa che fa ininterrottamente dal 5 maggio, “Pogi” era in mix zone, alle interviste flash dopo il traguardo o alle conferenze stampa post tappa. In un paio di occasioni è parso nervoso, ma molto più spesso è stato solare.

Luke Maguire con Tadej Pogacar in mix zone
Luke Maguire con Tadej Pogacar in mix zone
Come fai a capire quando lui sta bene, è nervoso, è tranquillo, insomma, il suo stato d’animo?

Tadej è un ragazzo molto calmo, direi. E il suo stato d’animo lo si capisce molto bene anche dal suo linguaggio del corpo. solitamente è sorridente. Si trova bene con le persone intorno a lui. Trasmette ottimismo. E anche per questo c’è una buona atmosfera. In più è un grande motivatore.

Sa fare gruppo dunque…

Nella nostra squadra l’atmosfera è ideale. Lui è sempre molto propositivo con tutto lo staff, con tutti coloro che sono sull’autobus e noi lo vogliamo vedere così… E’ un esempio. Fa lavorare al meglio tutti, dai massaggiatori ai meccanici. E questo suo modo di essere sorridente ed ottimista è una spinta in più.

Dopo la gara solitamente cosa chiede prima di tutto? 

La prima cosa quando attraversa la linea d’arrivo è il suo telefono per mandare messaggi o chiamare Urska (Zigart, la sua compagna, ndr). Questa è la cosa più importante per lui. Poi sì, si concentra molto anche sul recupero, gli integratori, assume le sue bevande e il suo cibo. Non ne è ossessionato, ma è certamente molto professionale. Dal suo modo di fare fa sembrare tutto molto naturale e facile, ma in realtà in quello che fa ci pensa molto.

Pogacar spesso è salito sul podio anche tre volte: vittoria di tappa, maglia rosa e maglia blu di miglior scalatore. In queste fasi Maguire è cruciale
Pogacar spesso è salito sul podio anche tre volte: vittoria di tappa, maglia rosa e maglia blu. In queste fasi Maguire è cruciale
Luke, veniamo al tuo lavoro: che differenze hai notato nel seguire Tadej fra Giro d’Italia e Tour de France?

La mia giornata è abbastanza simile, con gli obblighi del podio e le conferenze stampa, sia al Tour che al Giro. Penso che qui al Giro con lui si sia fatto un passo in avanti per i tanti tifosi che si sono visti a bordo strada. E penso anche che sia stata una gara fantastica per Tadej, ma anche per noi e per gli italiani: si sono entusiasmati in un modo diverso dal solito. Okay, lui è sloveno ma passa molto tempo in Italia. Vive vicino all’Italia, quindi credo che il vostro Paese sia un posto speciale per lui.

Quando siete in macchina per tornare in hotel di cosa parlate? Quali sono gli argomenti?

Prima di tutto controlliamo se è un bell’albergo! Poi, visto anche che gran parte del nostro staff è italiano, magari chiediamo loro qual è il piatto tipico della regione. O cosa potremmo trovare a cena. Anche se questo riguarda più noi dello staff che Pogacar o i corridori.

Possiamo immaginare…

Loro devono seguire tutti gli aspetti della dieta che gli indica il nutrizionista. Quindi Tadej non mangia sempre le specialità locali, ma noi sì! E si scherza su queste cose. Fa alcune battute in merito. E anche se è stanco ha sempre una bella energia.

In verde l’adesivo di Hulk che Pogacar ha sul manubrio della sua bici
In verde l’adesivo di Hulk che Pogacar ha sul manubrio della sua bici
Durante questo Giro hai avuto qualche richiesta particolare o strana da parte di noi giornalisti?

Una richiesta particolare, forse potrebbe riguardare il piccolo logo sul manubrio, Hulk. Questa è probabilmente la richiesta più insolita. E neanche io so bene perché lo chiedano.

E per Roma Pogacar vi ha fatto qualche domanda? Si è informato? Magari avete previsto una passeggiata in centro la sera per vedere il Colosseo o Fontana di Trevi?

Penso che per quella sera il nostro hotel sia abbastanza lontano dal centro di Roma, quindi non sono sicuro di quanto potremmo godercela. Prima dovremmo sbrigare le cose principali,  successivamente ci riuniremo tutti in gruppo e ceneremo in un ristorante vicino all’hotel. Dopodiché, penso che Tadej abbia degli obblighi con la gara. Obblighi che avranno anche le altre maglie di leader. Ma la verità è che tornare a casa sarà una priorità per lui.

Luke, più che una domanda chiudiamo con un consiglio. Visto che non sempre Pogacar si è potuto gustare le specialità locali, una pasta molto romana, forse ancora più tipica della carbonara che lui ama tanto, è la cacio e pepe…

Va bene. Glielo dirò e penso che gli piacerebbe provarla.

Van Aert è tornato in gara. Pensando all’oro olimpico

24.05.2024
6 min
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Sessantesimo posto a 2’52” dal vincitore Thibau Nys. Inizia così il Tour of Norway di Wout Van Aert, ma quel che è certo è che l’attenzione che il belga della Visma-Lease a Bike ha avuto da parte di addetti ai lavori e pubblico è stata ben superiore a quella del vincitore. Non poteva essere altrimenti dopo oltre due mesi di assenza dalle corse di uno dei “magnifici sei”, uscito con le ossa rotte (in senso letterale) dalla Dwars door Vlaanderen.

La terribile caduta di Van Aert, costatagli fratture a sterno, clavicola e diverse costole (foto team)
La terribile caduta di Van Aert, costatagli fratture a sterno, clavicola e diverse costole (foto team)

Al di là delle vittorie che in casa belga non sono mancate, l’assenza sua (unita a quella di Evenepoel) è pesata e non poco e intorno al suo ritorno alle gare si è creata una grande attesa, per questo un piazzamento di per sé insignificante ha avuto così grande risalto. Lo ammette anche Guy Van den Langenbergh, prestigiosa firma di Het Nieuwsblad.

Quanto si è sentita l’assenza di Wout Van Aert in questi due mesi per il ciclismo belga?

Molto, in realtà era l’unico che sarebbe stato in grado di competere con Van der Poel al Fiandre e alla Roubaix. Senza di lui la meccanica di queste corse è diventata un po’ prevedibile. Era il migliore in quel momento della stagione. Sono convinto, e molti come me, che avrebbe davvero potuto fare la differenza. Con la sua assenza, non c’era nessuno che potesse opporsi a VdP. Quindi sì, ci è mancato molto.

Per la Visma il ritorno del belga è fondamentale, in attesa di notizie più certe su Vingegaard
Per la Visma il ritorno del belga è fondamentale, in attesa di notizie più certe su Vingegaard
Che cosa avrebbe potuto fare Van Aert in questo Giro, che spazi avrebbe avuto?

Difficile da dire. Non ho visto tutte le tappe, ma ovviamente con il suo modo di correre, Wout è sempre in grado di vincere. A volte lo consideriamo un velocista, ma anche se rispetto a specialisti come Milan e Merlier ha qualcosa in meno, ha un treno a sua disposizione di prima qualità e penso che avrebbe avuto le sue occasioni. Sarebbe stato lui il protagonista. Quindi penso che forse avrebbe potuto vincere una o due tappe. È così forte, così versatile che può vincere tappe in ogni Grand Tour. Se è sulla linea di partenza puoi sempre aspettarti che possa alzare le braccia, questo è certo.

La sua bruttissima caduta di marzo che spazio aveva avuto sui media belgi?

Tanto. Nel bel mezzo di quella che chiamiamo Settimana Santa, c’erano tutte le grandi gare in arrivo e si stava preparando il terreno per il Giro delle Fiandre. Si sa quanto sia importante il ciclismo in Belgio: in Italia se guardi la Gazzetta dello Sport, il ciclismo lo trovi in fondo, in Belgio soprattutto in quei giorni era il primo argomento sportivo sui giornali. Lo schianto ovviamente è diventato una notizia molto importante da noi.

Van Aert ha ripreso a correre in Norvegia. Finora ha 12 giorni di gara con 2 vittorie
Van Aert ha ripreso a correre in Norvegia. Finora ha 12 giorni di gara con 2 vittorie
Gli appassionati in Belgio ora a chi sono più legati, a Van Aert o a Evenepoel, si è creata una rivalità fra le tifoserie come avveniva da noi ai tempi di Moser e Saronni?

Beh, non si può paragonare con quel periodo perché in quell’epoca tutti facevano le stesse gare. Wout predilige le classiche su pietre, Remco quelle delle Ardenne e anche nei grandi giri partono con obiettivi e compiti diversi. Quindi difficilmente si incontrano durante le gare. Ognuno ha i suoi fan, questo è certo, ma ci sono molte persone che sono tifose di entrambi i corridori proprio perché non si deve scegliere.

Wout riparte questa settimana dal Giro di Norvegia: a questo punto è la gara olimpica il suo grande obiettivo?

Lo è sempre stato. Anche senza l’incidente e il conseguente cambio di programma. La crono olimpica e la corsa su strada sono due dei suoi obiettivi principali perché è alla ricerca di nuovi traguardi. Ecco perché ha deciso di cambiare la sua pianificazione, fare meno gare in primavera e ancora prima di dedicarsi meno al ciclocross. Avrebbe fatto solo Fiandre e Roubaix, poi sarebbe andato in ritiro in quota per il Giro, ma sempre pensando a Parigi. Dedicando molto spazio per concentrarsi sull’allenamento specifico per la cronometro di Parigi e la corsa su strada. Naturalmente ora le cose sono cambiate.

Intorno al belga c’è sempre una grande pressione mediatica, anche in Norvegia
Intorno al belga c’è sempre una grande pressione mediatica, anche in Norvegia
In che maniera?

Il Norvegia è il primo passo per prepararsi verso Parigi. Non è ancora chiaro se parteciperà al Tour. Io sono abbastanza sicuro che ci sarà, ma nella comunicazione del team si procede per gradi. Ma sì, Parigi resta il suo obiettivo principale. Ora ha una gran fame di vittorie e una medaglia d’oro olimpica è in cima alla sua lista dei desideri. E’ già stato secondo a Tokyo, quindi se sei secondo una volta, vuoi essere il vincitore in quella successiva. Le due gare di Parigi ovviamente sono molto importanti per lui. Nella cronometro dovrà battere Ganna, sarà difficile ma io sono ottimista.

Il percorso di Parigi è adatto alle sue caratteristiche secondo te?

Ci ho parlato, lui dice di sì, gli ricorda un percorso da classiche. Lo conosce bene, ci ha già corso un paio di volte, sembra anche molto simile al tracciato di Glasgow dell’anno scorso. Su quel percorso, lui che ha vinto sprint ma anche corse collinari, può inventare qualcosa. Se è in ottima forma, se la può giocare su ogni tipo di tracciato. Quello di Tokyo è stato un percorso molto duro eppure lui era lì ed è riuscito a chiudere secondo. Se sta bene è tra i favoriti, questo è certo.

Per Van Aert l’avvicinamento ai Giochi potrebbe ora prevedere anche il Tour de France
Per Van Aert l’avvicinamento ai Giochi potrebbe ora prevedere anche il Tour de France
Tra Olimpiadi, Mondiali ed Europei, Van Aert ha 6 medaglie d’argento e 2 di bronzo. Non c’è il rischio che questo sia un peso psicologico, che corra pensando all’ennesima sconfitta?

E’ stato anche tre volte campione del mondo di ciclocross, quindi sa cosa vuol dire vincere. E’ un problema che forse riguarda più noi, la stampa o i tifosi che lui. Non si può negare che sia stato secondo troppe volte, non solo in campionati ma anche nelle classiche. Ma è così forte mentalmente che normalmente non gli importa. Voglio dire, se arriva 2° e ha fatto del suo meglio, allora può sopravvivere. Avrebbe potuto vincere se qualcosa fosse andato un po’ diversamente? Forse, ma non ho mai avuto l’impressione che sia frustrante per lui arrivare al secondo posto, anche se so che vorrà ancora di più vincere. Questo è un dato di fatto. Vuole diventare campione olimpico o campione del mondo o campione europeo. Wout pensa che i Mondiali di quest’anno sono troppo difficili per lui. Ma crede con fermezza che un giorno ci riuscirà, che diventerà campione del mondo o campione europeo. Ogni volta che è sulla linea di partenza, sa che può essere la volta buona. E’ un vero animale da competizione.

Il Giro a Peonis, nella leggenda di Ottavio Bottecchia

24.05.2024
5 min
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Il primo traguardo volante di oggi, dopo 56 chilometri dalla partenza, è piazzato a Peonis, frazione di Trasaghis in provincia di Udine. Un paesino di duemila anime tra le sponde del Tagliamento e le prime propaggini montuose della Carnia. Perché RCS Sport ha scelto proprio Peonis? Forse perché lì, il 3 giugno 1927, fu trovato agonizzante Ottavio Bottecchia: il primo italiano a vincere il Tour de France, giusto cent’anni fa. Ma chi era davvero Ottavio Bottecchia, perché è stato così importante nella storia del ciclismo e perché, nonostante questo, è stato a lungo dimenticato?

Poche settimane fa ho avuto la fortuna di presentare ad una serata “Il corno di Orlando. Vita, morte e misteri di Ottavio Bottecchia” la monumentale biografia scritta nel 2017 da quello che è forse l’ultimo grande aedo del ciclismo italiano, Claudio Gregori. Quindi ho alzato il telefono e l’ho chiamato, per farmi raccontare direttamente da lui.

Claudio, perché Bottecchia è stato così importante?

Per questo basta ricordare tre numeri. Ha vinto due Tour de France come Coppi e Bartali, ma Bartali ha portato la maglia gialla 23 giorni, Coppi – il più grande corridore di sempre – 19. Bottecchia in maglia gialla ci è rimasto per 34 giorni! E nel 1924, anno della sua prima vittoria, dalla prima all’ultima tappa. Questo significa che al Tour non è stato solo l’italiano più vincente, ma anche il migliore.

E questo nonostante abbia gareggiato da professionista per pochissimi anni, dal 1922 al 1927.

Esatto, questo è fondamentale per capire il livello della sua grandezza. La carriera di Bartali è durata vent’anni, quella di Coppi quasi altrettanto, pur dovendo fare i conti con la Seconda Guerra Mondiale. Bottecchia invece ha corso davvero solo per quattro anni.

La sua vita è stata sempre segnata dal dolore, dalla miseria e dalla tragedia.

Veniva da un mondo umile, dove prima di tutto si doveva trovare il modo di guadagnare “schei” per andare avanti. E’ stato eroe di guerra, catturato tre volte e tre volte fuggito. Durante la rotta di Caporetto, si trovava vicino al Tagliamento a difendere la ritirata dei suoi commilitoni quando il suo battaglione è stato attaccato con l’iprite, il terribile gas usato in quegli anni. Lui è rimasto al suo posto, si è caricato la mitragliatrice da 50 chili sulle spalle e con quella teneva occupati i tedeschi.

Bottecchia rimase in maglia gialla per 34 giorni: 11 più di Bartali, 15 più di Coppi
Bottecchia rimase in maglia gialla per 34 giorni: 11 più di Bartali, 15 più di Coppi
Come è finita?

Quando ha sparato l’ultima pallottola, l’hanno catturato. Lui durante una marcia ha finto di cadere in un burrone e l’hanno lasciato lì. Così la mattina dopo si è ripresentato dai suoi compagni, riportando anche la mitragliatrice dicendo: «Ciò, l’è roba del Governo, no poteva miga lasarla là». Dopo la guerra è stato ricoverato per la malaria e per le conseguenze dell’esposizione all’iprite. Poi si è rotto la clavicola, ha dovuto affrontare la morte della primogenita… Insomma, Bottecchia ha sempre dovuto duellare con il dolore, ancora prima che con gli avversari. Basti pensare che portava a casa alla moglie il rifornimento che gli davano alle corse.

E in tutto questo è stato il primo corridore italiano a vincere il Tour de France. Come ci è riuscito?

Con la perseveranza e la fame. Dopo il Giro del 1923, in cui corse da “isolato” e si fece notare arrivando 5° in classifica generale, fu ingaggiato dalla squadra francese Automoto per il Tour dello stesso anno. Doveva aiutare il suo capitano Henri Pélissier, ma si trovò in maglia gialla. Prima della 10ª tappa aveva oltre 12’ di vantaggio sul secondo, Alavoine, e quasi mezz’ora sul terzo, proprio Pélissier. Ma in quella frazione, la Nizza-Briançon, fu vittima di una congiura. Gli misero del lassativo nella borraccia. Così Bottecchia visse una via crucis che al traguardo gli costò 41’ di ritardo sul vincitore e, naturalmente, la maglia gialla.

E chi fu il vincitore quel giorno?

Henri Pélissier, il suo capitano. In questo modo Automoto al termine del Tour fece 1° e 2° in classifica generale. I francesi erano contenti e, tutto sommato, anche Bottecchia. Perché tornò dalla Francia con un contratto principesco per i tre anni successivi, che pose fine ai famosi problemi di schei. E in più la promessa di poter correre da capitano unico. Infatti nel 1924 indossò la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa, poi vinse anche il Tour del 1925.

Nell’antica mola della frazione di San Martino, dove Bottecchia nacque nel 1894, sorge ora un museo a lui dedicato
Nell’antica mola della frazione di San Martino, dove Bottecchia nacque nel 1894, sorge ora un museo a lui dedicato
Bottecchia è rimasto famoso anche per la sua morte, un mistero tuttora irrisolto. Cosa successe quella mattina a Peonis?

Di certo c’è solo che la mattina del 3 giugno 1927 fu trovato ferito e incosciente da un gruppo di contadini sulla strada di Peonis, zona in cui si allenava abitualmente. Lo caricarono su un carro e lo portarono all’ospedale di Gemona, dove i medici riscontrarono due fratture al cranio oltre ad altre ferite meno gravi. Morì il 15 giugno dopo 12 giorni di agonia. Ci sono almeno venti versioni diverse e io nel mio libro le vaglio tutte. Dall’aggressione fascista ad una vendetta legata a giri di scommesse, dal malore alla caduta accidentale. La mia tesi è questa: il mistero si accompagna bene a Bottecchia, lo ingigantisce, lo esalta. Perché lui non appartiene alla storia, ma alla leggenda.

Come ti salvo il velocista in montagna. Parola a Bramati

24.05.2024
5 min
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PADOVA – E adesso sono tre a due per Milan. Dopo la vittoria di ieri Tim Merlier accorcia le distanze nello scontro diretto con il friulano. E sarà la volata di Roma a dirci chi sarà il miglior velocista del Giro d’Italia 2024. Già, ma a Roma bisogna arrivarci. E se tante salite sono ormai alle spalle, parecchie ne restano. A cominciare da quelle di oggi verso Sappada.

Come ti porto il velocista a Roma? E’ questa la summa dell’articolo. Non si tratta solo di tenere duro e arrivare entro il tempo massimo. Ne parliamo con Davide Bramati, direttore sportivo esperto, che ha proprio in Merlier lo sprinter di punta.

Tra l’altro in casa Soudal-Quick Step non è la prima volta che si ritrovano a lottare con il proprio uomo veloce sulle montagne. Memorabile fu l’arrivo di Fabio Jakobsen due anni fa al Tour de France. Lo sprinter fu aiutato dalla squadra. Squadra che per il velocista non è importante solo in vista della volata in pianura, ma anche nelle tappe dure per aiutarlo a portare su i suoi tanti chili.

Davide Bramati, è uno dei direttori sportivi della Soudal-Quick Step
Davide Bramati, è uno dei direttori sportivi della Soudal-Quick Step
Come sta Merlier, “Brama”, lo abbiamo visto anche ieri..

Sta bene, siamo a pochi giorni dalla fine di questo Giro e penso che ha fatto veramente bene.
Prima di Padova, venivamo da due giorni non facili. Quella verso il Passo Brocon è stata veramente una tappa dura. Però con i compagni di squadra Tim è arrivato abbondantemente in tempo. C’era ancora un po’ di margine rispetto al tempo massimo. Tutto sotto controllo.

Sei andato dritto al cuore dell’articolo: “con i compagni di squadra”. Spesso si pensa che il velocista se la debba cavare da solo, invece come si organizza il treno “al contrario” del velocista? Quello che lo deve aiutare a salvarsi dal tempo massimo?

Stando vicini in primis. Facciamo l’esempio del Brocon. In partenza c’era da fare subito il Passo Sella. Si sapeva che tante squadre volevano andare in fuga e questo per i velocisti sarebbe stato un bel problema. Si sarebbero staccati… come poi di fatto è successo. Ma già dall’inizio del Giro quando Tim sarebbe stato in difficoltà avrebbe sempre avuto al fianco Cerny, Van Lemberg e Lamperti. Tre uomini per non perdere troppo e, se possibile, rientrare. Nelle tappe durissime il nostro obiettivo era arrivare in tempo massimo.

Quindi si stabilisce la tattica in base all’altimetria? Del tipo: qui si può andare più forte. Qui si recupera. Di qua possiamo perdere tot…

Certo. Ne abbiamo parlato anche ieri mattina nel bus nell’andare alla partenza. Ad un certo punto Merlier ed altri velocisti nella prima valle, quella che portava al Passo Rolle avevano recuperato. Era un gruppo di 30-35 corridori e girando tutti hanno ripreso un minuto e mezzo al gruppo della maglia rosa. Quando dietro c’è un bel gruppo che collabora le cose diventano più facili. E questo gli consente anche di andare un po’ più piano sulle salite.

Tim Merlier ha una squadra “tutta sua” che lo scorta in salita
Tim Merlier ha una squadra “tutta sua” che lo scorta in salita
E risparmiare energie preziose in vista di tappe come quella di ieri o quella di Roma…

Esatto. Verso il Brocon, la tappa che abbiamo preso ad esempio, era tutto sotto controllo, tanto che sono arrivati in cima al Rolle, la seconda salita di giornata, con 10 minuti e mezzo. Mancavano circa 90 chilometri, 30 dei quali in salita. Vista la media oraria che avevano, sui 36 all’ora, il tempo massimo sarebbe stato sui 57 minuti. E infatti alla fine è stato di 58′. Sono arrivati con 48′ di ritardo: quindi tutto sotto controllo.

Sempre in relazione al tempo massimo e alle frazioni di montagna: sono peggio le tappe corte o  quelle più lunghe?

Sicuramente nelle tappe più lunghe c’è più tempo e anche più margine per gestirsi. Ma in generale devo dire che qui al Giro d’Italia in una tappa come quella del Brocon, il tempo massimo era fissato al 22 per cento in più rispetto al tempo del vincitore… un bel po’. 

Una volta forse era più dura restare nel tempo massimo…

Si, lo devo dire: oggi è più facile rispetto al passato. Tre giorni fa, proprio in vista della tappa di Selva di Val Gardena, ho ricordato ai ragazzi di una frazione che arrivava a Selva. Che poi fu quella famosa che vinse Guerini su Pantani che prese la maglia rosa. Io ero in Mapei ed ero nell’ultimo gruppo, sul Pordoi riuscii ad entrare sul penultimo gruppo. L’ultimo gruppo andò fuori tempo massimo. E il tempo massimo era 36-37 minuti su 6 ore e un quarto di gara. Adesso è più ampio e credo sia anche giusto.

Le scale posteriori con ingranaggi molto corti come il 34 aiutano non poco i velocisti in salita, specie se queste sono molto pendenti
Le scale posteriori con ingranaggi molto corti come il 34 aiutano non poco i velocisti in salita, specie se queste sono molto pendenti
Perché?

Perché adesso il ciclismo è di altissimo livello, si va veramente forte. Un velocista farebbe tanta fatica e queste percentuali sono corrette.

I rapporti moderni, ben più corti che in passato, aiutano il velocista?

Sì, li aiutano. In salita ormai si spingono ingranaggi davvero corti e riescono a sfruttare un po’ meglio la loro potenza, ma se poi guardiamo che rapporti spingono in pianura fanno paura. Velocità pazzesche. I materiali sono all’avanguardia e anche l’un per cento di differenza oggi è già tantissimo.

Quando analizzate i file delle tappe di montagna notate mai il velocista andare a tutta?

Certo, trovi sempre qualcuno nel gruppetto che magari neanche è un velocista puro, e per restarci attaccato sprigiona dei watt impressionanti. E lì gli sprinter soffrono molto. E anche per questo verso Padova c’era un po’ di timore dello sprint.

Cioè?

Siamo alla 18ª tappa, velocisti e uomini veloci avevano speso molto e richiudere su un’eventuale fuga non sarebbe stato scontato. Ricordiamoci quanto accaduto a Lucca quando ha vinto Thomas.