Il volo del campione. Pogacar domina il Galibier

02.07.2024
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VALLOIRE (Francia) – Il Col du Galibier si conferma terra per artisti. Come Pantani 26 anni fa, anche Tadej Pogacar ha dipinto un capolavoro che resterà indelebile nella storia del ciclismo. Ha dipinto le curve in discesa e aggredito in tornanti in salita. Ha demolito l’avversario. Il risultato è un quadro. Tappa, maglia e l’orgoglio di essere riuscito finalmente a vincere una battaglia dopo tante sconfitte.

L’avversario chiaramente è Jonas Vingegaard. Ma come detto questa era “solo” una battaglia. La guerra è lontana dal finire. Una guerra bella… questa. Sportiva sia chiaro. Gli occhi di Pogacar visti oggi in mix zone facevano paura. Felicità certo, ma anche una consapevolezza sconcertante.

Pogacar taglia il traguardo. Stoppa il computerino. Ha fatto 19,3 km di fuga solitaria
Pogacar taglia il traguardo. Stoppa il computerino. Ha fatto 19,3 km di fuga solitaria

Quadro Galibier

L’opera d’arte della UAE Emirates, prende corpo sul Lautaret, lungo colle che porta poi al Galibier. Il vento contrario complica i piani ai ragazzi di Matxin. Tra pendenze dolci e appunto vento contro, a ruota non si stava bene, ma benissimo. Però è un ritmo che fa male. Che logora. E’ un ritmo che se non sei al top ti fa consumare tanto.

Dopo la svolta per il mitico Colle, ecco l’affondo tambureggiante della UAE. Prima Pavel Sivakov, poi Adam Yates. Poi ancora il balletto Joao Almeida e Juan Ayuso. Il gruppo si sgretola. Restano i giganti.

A 1.200 metri ecco lo scatto. Pogacar a destra, Vingegaard a sinistra. Sembra di rivedere il San Luca. Solo che si apre una breccia. Un metro, due. Un tornante e il rilancio violento dello sloveno. Dopo due anni di cazzotti incassati stavolta è lui a portare a segno il colpo.

Il resto è una planata che lascia tutti col fiato sospeso. Un arrivo quasi rabbioso con pedalate piene fino ad un metro dopo il traguardo.

Galibier. Lo sloveno è partito da pochi istanti. Vingegaard si appena staccato. Qui il buco è ancora di pochissimi metri
Galibier. Lo sloveno è partito da pochi istanti. Vingegaard si appena staccato. Qui il buco è ancora di pochissimi metri

Tappa e maglia

Il re del Giro d’Italia taglia il traguardo. E’ stanco e si vede. Ma lucidissimo. La cassa toracica si gonfia e si sgonfia in modo impressionante. Lui spegne il computerino. Qualche istante e ha già recuperato. 

«Il mio piano – ha detto Pogacar – è stato un po’ rovinato dal forte vento. Se non ci fosse stato avremmo potuto fare ancora di più, ma sono orgoglioso dell’azione e della squadra. E per me conta molto aver vinto da squadra.

«Dobbiamo continuare così. Dobbiamo avere in corsa la stessa atmosfera che abbiamo a cena, nel bus, alla mattina. E dobbiamo mantenere questo spirito di combattimento fino alla fine. La strada è ancora molto lunga».

Pogacar famelico

Sarà che lo abbiamo seguito giorno dopo giorno al Giro d’Italia, ma Pogacar sembra davvero un altro. In Italia dominava senza problemi. Qui si sapeva che gli avversari sarebbero stati diversi. Ma in tanti anni non lo avevamo mai visto così feroce.

«Sapevo – riprende il campione sloveno – che con il vento contro restare davanti da solo sarebbe stato difficile. Avrei voluto attaccare prima, così ho aspettato gli ultimi chilometri, i più difficili. Avevo davvero buone gambe e per questo ho dato tutto per creare un po’ di spazio prima della cima».

E poi, insaziabile ha aggiunto: «Non è stato il mio finale migliore, perché faceva anche freddo e alcune curve erano bagnate, ma quei 35”-37” mi rendono orgoglioso».

In effetti qualche curva Tadej non l’ha tirata benissimo, ma è normale quando si è al limite. Tra l’altro la scelta di attaccare in discesa è figlia anche di un momentaneo punto debole di Vingegaard quando la strada scende. Non dimentichiamoci che Jonas viene da una caduta in discesa e ci sta che anche psicologicamente avesse un filo di “incertezza”. 

Insomma in questa guerra a livelli siderali ogni minima crepa diventa un appiglio per aprire una breccia.

Almeida e Ayuso si sono alternati nel tratto finale del Galibier a causa del forte vento
Almeida e Ayuso si sono alternati nel tratto finale del Galibier a causa del forte vento

Applausi UAE

Per questo, in quei pochi metri che si sono aperti tra Pogacar e Vingegaard sul Galibier c’è di mezzo un mondo. Forse l’intero Tour de France. Tutto è in divenire ma per ora uno è davanti e l’altro insegue.

«Io – riprende Pogacar – credo che Jonas stia molto bene, ma in tre settimane qualcosa può cambiare. Vedremo come andranno le cose nelle prossime tappe e anche nella crono».

Ma c’è un altro aspetto che va preso in grande considerazione: oggi Vingegaard è rimasto solo. Se gli altri anni i Visma-Lease a Bike dominavano, oggi nei primi otto c’era solo il danese. E questo forse è l’aspetto che più ha reso felice Pogacar. «La squadra conterà di sicuro da qui in poi. E noi oggi abbiamo dimostrato di avere uno dei team più forti».

Ancora Ayuso e Almeida: i due si sono parlati dopo il traguardo
Ancora Ayuso e Almeida: i due si sono parlati dopo il traguardo

Ayuso e Almeida

Una bella atmosfera ha detto Tadej. E in effetti oggi la UAE Emirates ha lavorato alla grandissima. Ha mostrato compattezza, nonostante un piccolo episodio riguardante Ayuso proprio nel finale del Galibier.

Un momento su cui anche Pogacar è intervenuto. «Magari è sembrato un gesto plateale, ma quando sei a 200 battiti è difficile parlarsi. Joao non era arrabbiato».

«Tutto è andato come volevamo – ha detto un freschissimo Almeida dopo il traguardo – siamo stati perfetti. La mia gamba è buona e di sicuro da qui alla fine sarà ancora meglio. Siamo felici, ma sappiamo che c’è ancora molto da fare».

Come dicevamo solo un piccolo “caso”, quando Ayuso era in quinta ruota, quindi dietro a Pogacar, e Almeida era in testa. Il portoghese gli aveva fatto quel gesto invitandolo a venire avanti. «Quel gesto con Ayuso? Non mi ricordo bene ora», glissa Joao.

In pratica, secondo Matxin, visto il vento forte che c’era e il ritmo alto che dovevano imprimere, anziché dare una lunga trenata ciascuno, i due dovevano alternarsi. Ma Ayuso era rimasto un po’ troppo nascosto. Tanto è vero che poi quando è passato il ritmo è un po’ calato. Il dubbio dunque è che Ayuso abbia fatto il furbo. L’ambizione personale dello spagnolo è nota… Ma ci sta anche che i ritmi siderali lo abbiano reso un filo meno lucido.

All’arrivo comunque i due si sono abbracciati. Almeida gli ha sussurrato qualche breve parola all’orecchio e poi si sono scambiati il cinque. Ma per il resto davvero tattica ineccepibile. E grandi sorrisi. D’altra parte come potrebbe essere diversamente di fronte ad una simile opera d’arte?

Vingegaard incassa, ma un colpo così non l’aveva mai preso

02.07.2024
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VALLOIRE (Francia) – Se lo aspettavano che Pogacar avrebbe attaccato in quel punto. Così quando lo sloveno è partito, Vingegaard ha fatto quello che tutti si aspettavano da lui: rispondergli. E’ sembrato di rivedere la scena del San Luca e di tante salite dello scorso anno, solo che questa volta il danese è parso meno brillante. Lo ha tenuto lì, ma è bastato che fra le loro ruote si aprisse una crepa, perché Pogacar prendesse il largo e Jonas iniziasse a pensare come limitare i danni.

Evenepoel è arrivato a Valloire al secondo posto ed è secondo anche nella generale
Evenepoel è arrivato a Valloire al secondo posto ed è secondo anche nella generale

Una bomba a orologeria

Come siano andate le cose lo spiega molto bene Remco Evenepoel, secondo all’arrivo dopo una discesa prodigiosa e secondo anche nella classifica generale.

«Ero vicino a Tadej – sorride – ed era come una bomba a orologeria che sta ticchettando. Aspettavo che andasse e l’ho visto partire. Penso che fosse abbastanza chiaro che si sarebbe mosso nell’ultimo chilometro, perché c’era un po’ di vento a favore ed era anche il tratto più ripido. E soprattutto con gli abbuoni sulla cima, penso che sia stato un attacco molto intelligente. Ha mostrato ancora una volta le sue qualità: ritmo elevato e attacco brutale. Penso sia chiaro che è lui il più forte in campo.

«Per un momento ho pensato di seguirlo anch’io, ma poi mi sono detto che sarebbe stato meglio aspettare e non esplodere. I suoi attacchi sono così esplosivi, che è piuttosto difficile prendergli la ruota. Se non lo fai subito, lui va via. Ma penso che arrivare secondo in una grande tappa di montagna di un grande Giro ed essere secondo nella generale, non è così male».

Vingegaard ha meno tifosi di Pogacar, ma i suoi sostenitori si fanno sentire e notare
Vingegaard ha meno tifosi di Pogacar, ma i suoi sostenitori si fanno sentire e notare

Salvare la pelle

La partenza da Pinerolo, nel giorno in cui il Tour ha lasciato l’Italia, per Vingegaard è stata nel segno della grande cautela. La risposta del San Luca è parsa abbastanza pronta, ma l’arrivo di Valloire avrebbe proposto per la prima volta delle grandi salite. Quale sarebbe stata oggi la risposta del danese? Vingegaard ha ricevuto la visita di Nathan Van Hooydonck e poi si è avviato alla partenza sapendo che avrebbe dovuto cercare di limitare i danni.

Così quando lo troviamo al pullman, per la prima volta sconfitto in modo significativo, la sua reazione è di grande calma. Sapeva che avrebbe avuto delle difficoltà. E se è vero tutto quello che ha passato, essere riuscito a duellare sopra i 2.500 metri con Pogacar è stato davvero un gesto da campione.

Vingegaard ha tagliato il traguardo a 37 secondi con Carlos Rodriguez
Vingegaard ha tagliato il traguardo a 37 secondi con Carlos Rodriguez
Cosa ti sembra dei 37 secondi che hai perso oggi?

Penso, ovviamente, che sia un peccato essere indietro. Ma ad essere onesti, ci aspettavamo di essere dietro dopo queste prime quattro tappe, di perdere tempo quasi ogni giorno. Quindi essere stati in difficoltà oggi per la prima volta è qualcosa che potrebbe anche soddisfarmi. In più la maggior parte del tempo perso oggi è venuto nella seconda parte della discesa, dove il peso conta un po’ di più.

Cosa ti è mancato in discesa?

La differenza in vetta era di 10 secondi e al traguardo è stata di 37. La discesa è andata abbastanza bene sino alla fine del tratto con più curve. Lo tenevo davanti a 10 secondi, poi quando la strada è diventata dritta, la gravità ha fatto la sua parte e ho perso terreno. Devo accettarlo.

La discesa è stata un accumulo di acido lattico: Vingegaard ha pagato proprio nel finale
La discesa è stata un accumulo di acido lattico: Vingegaard ha pagato proprio nel finale
Devi accettare anche il fatto che sul Galibier sei rimasto presto da solo?

Aiuta sempre avere qualcuno accanto in salita, forse lo avrei messo davanti. Ma oggi è andata così e non cambia la stima che ho nei confronti di Jorgenson e Kelderman. So quello che possono fare e so che lo faranno. Pensavo che sarebbero rimasti davanti più a lungo, ma ormai è cosa fatta.

Hai detto di voler aspettare il passare dei giorni. Credi di poter crescere?

Sì, di sicuro. Ci aspettavamo a questo punto di essere 50 secondi indietro, quindi penso che sia una piccola vittoria. Ora mi trovo in una situazione nuova, ma sappiamo cosa fare e certo non lo dirò qui. Negli ultimi due anni abbiamo creduto nel nostro piano e ci crediamo anche oggi. Quindi vedremo come andranno le cose alla fine del Tour.

In casa Visma temevano di avere già un passivo superiore, invece tappe come Bologna hanno detto che Vingegaard c’è
In casa Visma temevano di avere già un passivo superiore, invece tappe come Bologna hanno detto che Vingegaard c’è

Il piano della Visma

Il piano dello scorso anno consisteva nel far sfogare Pogacar nelle prime tappe e di… cucinarlo poi nel finale, come era stato anche nel 2022 con l’attacco sul Granon. La grande differenza la fa il punto di partenza. Lo scorso anno lo sloveno usciva da un infortunio e non aveva una squadra di superstar. Quest’anno l’infortunio è toccato a Vingegaard e la sua Visma-Lease a Bike non è nemmeno parente di quella che lo scorso anno vinse Giro, Tour e Vuelta. Mentre il UAE Team Emirates ha fatto un altro deciso salto di qualità.

«Speravamo che Jonas potesse tenere Pogacar sul Galibier – dice Grischa Niermann, diesse del team olandese – ma non è stato così. Abbiamo perso un po’ di tempo in discesa e anche questo era fra le possibilità. Ora abbiamo 50 secondi di ritardo da Pogacar, ma se me lo aveste proposto venerdì prima della partenza del Tour, avrei firmato subito. Oggi è stato il primo, grande test in montagna e Jonas è stato bravo: oggi come nei primi giorni. In una tappa come questa c’è solo un corridore che può staccarlo ed è Tadej Pogacar, quindi non sono assolutamente preoccupato del fatto che Jonas non sia all’altezza».

Vingegaard ha perso abbastanza presto l’appoggio di Jorgenson, con 2’42” all’arrivo
Vingegaard ha perso abbastanza presto l’appoggio di Jorgenson, con 2’42” all’arrivo

«Ora Tadej dovrà difendere la maglia – conclude Nierman – ma ha una squadra molto forte, soprattutto in salita, quindi sarà in grado di farlo. Per noi potrebbe essere un vantaggio, ma credo sia sempre meglio essere in vantaggio che dover inseguire. Semmai, parlando di noi, sapevamo che Jonas non avrebbe avuto gregari in cima alla salita. Il nostro miglior scalatore è Sepp Kuss e non è qui.

«Quindi quando Pogacar accelera e in testa restano appena 3-4 corridori, sappiamo che Jonas dovrà cavarsela da solo. Mentre Yates, Ayuso, Almeida e Pogacar sono fra i 4-5 migliori scalatori al mondo. Noi dobbiamo solo aspettare che le cose migliorino. E in questo abbiamo molta fiducia».

Nespoli: un giovane ambizioso in casa MBH Bank-Colpack

02.07.2024
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Alle spalle di Pavel Novak e Florian Kajamini, alla corte della MBH Bank-Colpack-Ballan-Csb, sta crescendo il talento di Lorenzo Nespoli. Atleta brianzolo, di Giussano, classe 2004 che al suo secondo anno da U23 ha conquistato la maglia dei GPM al Giro Next Gen (in apertura foto NB Srl). Lo ha fatto all’ultima tappa, quella di Forlimpopoli, che ha incoronato il talento di Widar

«L’idea di guardare alla classifica dei GPM è nata nella tappa di Fosse – racconta lo stesso Nespoli – mi sono trovato in fuga e ho conquistato tanti punti. Me ne mancava però uno per prendere la maglia blu, così nell’ultima tappa sono andato in fuga per conquistare questo importante traguardo personale. La squadra mi ha aiutato parecchio e per questo li ringrazio ancora».

Lorenzo Nespoli al Giro Next Gen ha conquistato la maglia blu della classifica dei GPM (foto NB Srl)
Lorenzo Nespoli al Giro Next Gen ha conquistato la maglia blu della classifica dei GPM (foto NB Srl)

Contro i “big”

La prima esperienza al Giro Next Gen ha permesso a Nespoli di confrontarsi contro i più forti atleti del panorama under 23. Ne è uscito con delle buone risposte ma anche con la certezza che bisogna lavorare ancora tanto. 

«Ne sono uscito stanco – ammette – tanto che in queste settimane mi sono riposato un po’. Come esperienza, quella del Giro Next Gen, la considero positiva. Siamo andati davvero forte per tutte le otto tappe, io ho aiutato Kajamini e Novak. Devo dire che sembrava di correre con i professionisti, cosa che ho fatto alla Coppi e Bartali e al Giro di Ungheria. Anzi, al Giro Next Gen secondo me siamo andati più forte in salita rispetto alla Coppi e Bartali. Durante la corsa rosa tutti abbiamo fatto dei numeri incredibili, i watt medi ogni giorno erano altissimi».

Un fisico particolare per il brianzolo: alto, slanciato ma anche estremamente leggero (foto NB Srl)
Un fisico particolare per il brianzolo: alto, slanciato ma anche estremamente leggero (foto NB Srl)
Questo è il tuo secondo anno alla Colpack, come ti sei trovato?

Mi sto trovando bene. Nel 2023 ho avuto qualche problema fisico, ma è stato risolto facilmente. Quest’anno la preparazione è stata fatta diversamente, curando gara per gara, con obiettivi prefissati. Sono cresciuto tanto, ma ancora c’è tanto da fare.

Con lo staff come va?

Con i preparatori, Antonio Fusi e Dario Giovine, mi trovo molto bene. Ma anche con Gianluca Valoti e Antonio Bevilacqua il rapporto è molto bello, sincero e positivo. Siamo tutti molto uniti, un fattore importante, perché quando siamo in ritiro o alle gare tutto passa in maniera più leggera. 

Chi ti segue, Fusi o Giovine?

Entrambi. Abito vicino a Fusi e quando sono a casa mi segue spesso lui. Le tabelle, invece, me le fa Giovine ed è con lui che mi confronto in ritiro. Rispetto al 2023 abbiamo fatto un bel lavoro, preparando bene gli appuntamenti. Ad esempio per il Giro Next Gen siamo stati tre settimane a Sestriere. 

Ora arriva il Giro della Valle d’Aosta…

Sarà un bell’appuntamento. Anche in questo caso le nostre punte saranno Kajamini e Novak, ma anche io potrò dire la mia. Spero di allenarmi al meglio in queste settimane, ma la salita metterà tutti al loro posto. Penso di poter far bene in Valle d’Aosta, sarà una corsa importante per me. 

Hai un fisico particolare, sei tanto alto: 185 centimetri, ma anche leggero, appena 65 chilogrammi. 

Una caratteristica che mi ha sempre accompagnato, fin da quando ho iniziato ad andare in bici da piccolo. Ora credo di essere un passista-scalatore. Rispetto agli scalatori puri, in salita pago qualcosa, ma in pianura ho un passo migliore, cosa che mi accompagna anche a cronometro. Anche da junior, ho vinto poco, ma ero sempre piazzato e due delle quattro vittorie che ho ottenuto sono state due cronoscalate. 

Per fare il passo definitivo cosa ti manca?

In salita penso che manchi poco per essere competitivo, ma in generale c’è tanto da fare. In pianura vado forte e rispetto ai corridori più leggeri reggo meglio ritmi elevati. Nell’arco degli otto giorni al Giro Next Gen stavo bene anche nelle tappe finali, questo è un buon segnale. 

Un gruppo con il quale riesce a lavorare bene e in simbiosi, sia tra compagni che con lo staff (foto NB Srl)
Un gruppo con il quale riesce a lavorare bene e in simbiosi, sia tra compagni che con lo staff (foto NB Srl)
Quindi pensi di poter diventare un corridore da corse a tappe?

Dipende da cosa si decide insieme alla squadra. Mi sono reso conto alla Coppi e Bartali, dove ho fatto gruppetto per due tappe, che i giorni dopo stavo davvero bene. Quindi gli obiettivi possono essere diversi, magari risparmiare energie per poi puntare tutto su una tappa. Oppure distribuire le forze per essere competitivo nelle altre classifiche, come fatto al Giro Next Gen. Forse potrei anche provare a mettermi alla prova in una corsa a tappe di minore importanza per vedere se posso curare la generale. 

Magari dal prossimo anno si apriranno finestre diverse… 

Il 2025 sarà importante. Penso che le corse con i pro’ siano più adatte alle mie caratteristiche. Preferisco avere ritmi elevati, con meno scatti, la regolarità è il mio forte.

Notari presenta Glivar, altro sloveno da mettere sul taccuino

02.07.2024
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Al campionato nazionale sloveno, ha tagliato il traguardo in seconda posizione, dietro a Damen Novak e davanti ad un certo Matej Mohoric. Stiamo parlando Gal Glivar, giovane atleta della UAE Emirates Gen Z, la devo della UAE Emirates di Pogacar e, in questo caso, proprio del “compagno maggiore” Novak. Il ventiduenne di Novo Mesto si è dunque inserito tra i grandi. Ha incassato una ventina di secondi da Novak, ma ne ha rifilati ben due ad un campione quale Mohoric.

A parlarci di lui è Giacomo Notari, coach della proprio della UAE Emirates Gen Z, che lo segue ogni giorno passo, passo.

Gal Glivar (classe 2002) è arrivato 2° al campionato sloveno, piazzamento che gli ha consentito di vincere il titolo U23 su strada e di bissare quello a crono
Gal Glivar (classe 2002) è arrivato 2° al campionato sloveno, piazzamento che gli ha consentito di vincere il titolo U23 su strada e di bissare quello a crono
Insomma, Giacomo, chi è questo ragazzo, questo Glivar che fa quel numero al campionato sloveno?

E’ un ragazzo all’ultimo anno della categoria under 23, non è iper giovane dunque. Ma io penso che nell’era di questi baby fenomeni ci si faccia prendere un po’ la mano e non so se sia sempre un bene che emergano così presto. Ognuno ha i suoi tempi di maturazione e Gal ci sta arrivando adesso.

Chiaro…

Prima di tutto lasciatemi dire che al netto dell’atleta, è un bravissimo ragazzo: umile, educato. Anche dal punto di vista delle personalità in qualche modo è un leader, è una guida anche per gli altri della squadra e non lo è solo in virtù della sua esperienza. E’ proprio una questione di carisma. In gruppo è furbo. Si sa muovere bene, vede la corsa. Si fa trovare al posto giusto, nel momento giusto. Poi chiaramente ha anche un buon motore.

In fuga con Novak e Mohoric (foto Instagram)
In fuga con Novak e Mohoric (foto Instagram)
Ecco, quali sono le sue caratteristiche tecniche?

E’ un buon passista esplosivo direi. Infatti al campionato sloveno è andato bene anche perché il percorso era adatto a lui. Va molto bene sulle salite di 5′-7′, dato che è abbastanza leggero. Quindi può fare l’azione di attacco, come può arrivare da solo. Per esempio al Giro Next Gen alla seconda tappa ha battuto in volata Teutenberg, che è praticamente un velocista, ma certo non è per le salite lunghe. 

In Slovenia, Roglic ne è l’esempio classico, non tutti i ragazzi arrivano al ciclismo che conta con la strada classica, ma c’è chi faceva altri sport, questo vale anche per Gal Glivar?

No, no… lui è cresciuto a pane e ciclismo. Suo papà Srecko è stato un corridore e anche un direttore sportivo dell’Adria Mobil (una squadra storica slovena, ndr) e forse anche per questo è così scaltro in gara. Magari più o meno direttamente ha incamerato le direttive del padre.

Secondo al campionato nazionale: ti aspettavi che andasse così forte?

In parte sì. Mi spiego: Gal usciva bene dal Giro Next Gen. Lui era il faro di una squadra nella quale ha aiutato Torres, tra l’altro torna il discorso di prima. Un suo pregio è quello di saper aiutare gli altri, di trovare le parole giuste. Dicevo del Giro Next, ha fatto bene, ha corso in appoggio e ne è uscito con una buona gamba. In più il percorso era adatto alle sue caratteristiche anche perché in Slovenia non essendo tantissimi accorpano gli elite con gli under 23, anche per questo la distanza non era impossibile, poco più di 150 chilometri.

Glivar tra due campioni come Novak e Mohoric, questo ultimo giunto a 2’51”
Glivar tra due campioni come Novak e Mohoric, questo ultimo giunto a 2’51”
Ma assegnano due maglie, giusto?

Sì, una per categoria. 

UAE Emirates e UAE Gen Z, alla fine ha corso come una squadra unica?

Più o meno sì. E infatti Glivar ha lavorato moltissimo per Novak. Anche perché poi da un certo punto era praticamente sicuro di aver vinto il titolo under. Ma da qui a battere gente come Mohoric… non era così scontato! Tra l’altro lui e Novak sono anche compagni di allenamento, abitano vicini. Ed è stata una fuga tra amici.

Ora quali saranno i programmi di questo ragazzo?

Corre stasera al Città di Brescia, poi farà il Medio Brenta e quindi il Valle d’Aosta che per lui è un po’ duro… ma sarà comunque importante.

La gialla di Carapaz, progettata e raggiunta. Ecuador in festa

02.07.2024
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TORINO – Tutta l’America Latina in visibilio nel nome di Richard Carapaz. Il campione olimpico di Tokyo 2020 ha un rapporto speciale con Torino. E dopo averci sfrecciato in rosa il 21 maggio di due anni fa, ieri ha coronato il lungo inseguimento giallo, regalandosi una giornata storica non soltanto per l’Ecuador ma per l’intero Continente.

Dopo la maglia conquistata quasi per sbaglio da Tadej Pogacar a Bologna, ne arriva una cercata, voluta e sudata nel primo arrivo per ruote veloci nonché la tappa più lunga di questo Tour (230,8 km). Nell’arzigogolata classifica dopo le prime due tappe, erano ben quattro e a pari tempo i pretendenti al simbolo del primato. Oltre all’asso sloveno c’erano Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e appunto Carapaz. Quest’ultimo, con la rabbia ancora in corpo per l’esclusione dai Giochi di Parigi 2024 da campione uscente, era per tanti il candidato numero uno a indossare la maglia tanto ambita. E così è andata con il quattordicesimo posto nella tappa vinta da Biniam Girmay.

«Richard, ma sei in maglia?», gli chiediamo pochi metri dopo lo sprint. Lui ribatte: «Credo di sì», ma al tempo stesso fa segno di aspettare e butta giù alcuni orsetti gommosi. Poi arriva l’ufficialità e comincia la festa. «Good job, guys» il messaggio di un euforico Carapaz al traguardo, dopo la conferma che la missione era compiuta e prima di abbracciare il campione portoghese Rui Costa, tutti i compagni che arrivano alla spicciolata, artefici dell’impresa corale.

Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla
Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla

Il piano giallo

A pilotarlo fuori dal traffico nel concitato finale, evitando la caduta ai – 2 km è stato Marijn Van der Berg (13°) che, mentre defatica sui rulli, rivive quegli istanti con noi: «Ho provato a tirargli la volata – dice – è stato qualcosa di nuovo trovarsi lì davanti con uomo di classifica alle tue spalle, ma è stato spettacolare e penso che Richard fosse super felice di quello che abbiamo come squadra».

Poi, racconta il piano maglia gialla: «Al mattino, prima della partenza da Piacenza, abbiamo cominciato a studiare come prenderla e abbiamo fatto di tutto perché diventasse realtà. Avere la maglia gialla è super speciale. Ovviamente, tutti sognano di conquistarla in prima persona, ma se la indossa un tuo compagno, la senti davvero vicino ed è qualcosa di pazzesco. Siamo stati uniti come squadra e ora speriamo di tenerla per un po’, anche se ci aspetta subito una giornata molto dura, ma ci proveremo».

L’irlandese Ben Healy gli fa eco: «Ce l’abbiamo fatta, siamo andati a tutto gas e ci siamo riusciti. Il mio lavoro è stato meno tattico e più di fatica perché è arrivato ben lontano dal traguardo, ma credo che faremo un po’ di festa ora. Sarà bello vedere Richard vestito di giallo».

Una festa di paese

Il diesse della EF Procycling Charly Wegelius racconta ancora: «Dopo la grande prestazione di Richie a Bologna, abbiamo guardato la classifica. Sapevamo che in caso di parità, si sarebbe guardata la somma dei piazzamenti. Valeva la pena lavorare per un obiettivo di questo calibro, ma sapevamo che in un arrivo così concitato allo sprint poteva succedere di tutto».

E a chi mormora che Pogacar volesse comunque cedere la maglia, ribatte: «Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pensare a chi la voleva lasciare. Ora teniamo i piedi per terra e cercheremo di difenderla, ma sarà la strada a parlare».

I tifosi al motorhome fucsia attendono il loro beniamino e fanno un gran fracasso. «Eravamo a Verona quando ha trionfato al Giro 2019. Ora siamo qui per questa festa gialla che proseguiremo a Pinerolo, acclamandolo alla partenza della quarta tappa», racconta Osvaldo, originario di Ambato, ma oramai trapiantato a Torino, e a capo della curva ecuadoregna.

Attorno al bus della squadra americana si sono radunati tifosi provenienti anche da Panama, Costa Rica, Colombia tutti uniti nella festa della Locomotiva del Carchi. Accanto al costaricano Ricardo e alla panamense Argelia si fa largo Josè, ecuadoregno arrivato da Varese, che fa da capocoro col suo megafono e poi ci racconta. «Sono originario di Milagro – dice – ma oramai vivo qui ed è fantastico averlo visto raggiungere questa maglia storica. Ora speriamo che vinca il Tour».

Il sogno giallo

Il bus della squadra se ne va, non c’è nemmeno la troupe di Netflix a immortalare questo giorno storico perché oggi aveva la giornata libera. Però Johannes Mansson, video e social manager della squadra ci assicura che la nuova maglia gialla è in arrivo ed è pronto a filmare tutto. La strada viene riaperta e comincia a ripopolarsi di macchine, scendono le prime gocce di pioggia, ma ecco che alle 18,11 compare un puntino giallo in lontananza e si sente musica latina nell’aria.

I tifosi rimasti in via Filadelfia, proprio davanti allo Stadio Olimpico Grande Torino, vengono ricompensati dalla visione paradisiaca. Richard sorride a tanto affetto e ci concede qualche battuta: «Mi sto godendo questo momento unico. Ho sempre sognato di portare questa maglia, è davvero speciale e non potete capire quanto sono felice in questo momento».

Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra
Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra

Torino porta bene

Torino gli ha regalato un’altra giornata magica, da aggiungere al cassetto dei ricordi: «E’ una bella casualità. Passai proprio qui da leader del Giro nel 2022 e ora guardate, sono qui vestito di giallo».

E’ il primo sudamericano a indossare tutte le tre maglie dei Grandi Giri in carriera, lui sorride e replica: «Sono molto contento di questo». E chissà che non ci torni l’anno prossimo nel capoluogo piemontese che dice bene ai ciclisti dell’Ecuador. Lo aveva già dimostrato l’accoppiata tappa e maglia di Jhonathan Narvaez (preferito a Carapaz per l’imminente Olimpiade) nella prima tappa dello scorso Giro. Torino, infatti, ospiterà anche la grande partenza della Vuelta nell’agosto del 2025 come confermato ieri da più fronti istituzionali per un tris inedito.

Sul calore proveniente da ogni angolo del Centro e Sud America, commenta: «E’ qualcosa di splendido rappresentare insieme questi Paesi e vedere che il ciclismo sta crescendo anche lì. È una grande cosa e mi rende molto felice». La dedica? «E’ per la famiglia, perché soltanto loro sanno quanti sacrifici ho fatto e quanto tempo passo lontano da casa. I miei figli quando saranno grandi potranno rendersi conto di quello che ho fatto e sono questi gli sforzi che vale la pena fare». 

Johannes carica la bici sul tetto, le porte si chiudono, ma il tripudio latino-americano prosegue per le strade torinesi: «Carapaz-Carapaz-Carapaz». Un ritornello che travolgerà anche Pinerolo in un altro abbraccio giallo prima che la corsa lasci l’Italia.

Anche Gaviria rivede la luce. Prima il Tour, poi Parigi (su pista)

01.07.2024
4 min
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TORINO – Gaviria arriva che tutti i compagni sono già sul pullman. Sorride. Non sorride. Dice che è contento. Dice di no. Arrivare secondo per un velocista di razza è difficile da accettare. Anche se a ben vedere è da tanto che Fernando non alza le braccia. L’ultima volta fu a Duitama, prima corsa di stagione, nel Giro del suo Paese. Poi tanti piazzamenti nei dieci, con il quarto posto nella tappa di Roma del Giro come miglior risultato di primavera e il secondo di oggi a Torino alle spalle di Biniam Girmay.

«Non è vero che è mancato poco – dice – non abbiamo dimostrato nulla. Se avessi avuto le gambe migliori, avrei vinto. Però ci abbiamo provato. La squadra ha fatto un lavoro molto buono, è un peccato non aver ottenuto la vittoria».

Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero
Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero

Scalatori contro giganti

Max Sciandri passa per un saluto. Stasera il toscano tornerà a casa e scherzando dice di aver avviato la squadra sulla strada giusta. Intanto attorno al corridore del Movistar Team arrivato secondo si concentrano anche le telecamere colombiane. Lui tiene gli occhiali e il casco giallo perché la Movistar è in testa alla classifica. Parla calmo e continua a spiegare.

«Sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto – dice – la squadra mi ha aiutato molto. Vedere compagni come Nelson Oliveira e Alex Aranburu davanti a me, che mi sostenevano e mi stavano accanto, è stato importante. Perché alla fine qui ci sono corridori di 90 chili che ti toccano e scalatori che ne pesano 50, quindi il lavoro che hanno fatto per me è da ammirare. Eravamo così concentrati che nemmeno mi sono reso conto della caduta. Oggi volevo fare bene. Ho sentito che era successo qualcosa. Ho sentito che parlavano alla radio, ma ero in un altro mondo».

Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon
Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon

Tra il dire e il fare…

Questa prima tappa, che si pensava sarebbe stata il terreno del primo assalto di Cavendish si è trasformata nel ritorno di Girmay, che a sua volta non vinceva dalla fine di gennaio. Non è più il Tour di una volta che nelle prime settimane proponeva volate su volate. Dopo le prime due tappe piene di dislivello, domani il Galibier sarà un alto ostacolo da scavalcare per poter puntare ad altre volate successive.

«Speriamo di vincerne una – risponde laconico – non so se lo sapete, ma noi corridori vinciamo tante tappe in anticipo e poi alla fine dobbiamo fare i conti con la realtà. Difficile dire se oggi io abbia capito di poter vincere. E’ difficile, perché ogni giorno lo sprint è diverso. Oggi puoi finire secondo, la prossima volta magari avrai le gambe migliori e ugualmente finisci ventesimo. E’ molto difficile sapere come andrà a finire ogni tappa, ma alla fine cercherò di fare ogni giorno del mio meglio».

L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium
L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium

Da Nizza a Parigi

La sua strada porta a Nizza attraverso le montagne e le volate. Poi però da Nizza porterà a Parigi. Nonostante le polemiche, Gaviria correrà infatti le Olimpiadi dell’omnium in pista, tornando a sfidare Viviani davanti cui si inchinò nel 2016 a Rio.

«Però adesso la priorità è il Tour de France – dice – come per tutti i corridori. E’ una delle corse più importanti del mondo ed è una priorità. Più tardi penseremo ai Giochi Olimpici. Forse la preparazione che ho fatto è più adatta a quell’obiettivo, ma in questo momento sono concentrato sul Tour, cercando di fare il meglio che posso. Quando mi hanno detto che sarei andato a Parigi, le sensazioni sono state molto buone.

«Alla fine dello scorso anno ero tornato ad allenarmi in pista e ho fatto il campionato Panamericano. Quest’anno ho ricominciato ad allenarmi in velodromo e nell’ultimo mese ho fatto ancora di più. Quindi mi sento abbastanza bene e motivato da questi nuovi obiettivi che ci siamo prefissati, sia con la squadra che con il Comitato Olimpico. Hanno preso questa decisione e sono contento di rappresentare nuovamente il Paese ai Giochi Olimpici. Perciò innanzitutto speriamo di non superare il tempo massimo di domani sul Galibier. E poi avremo il tempo per pensare a cosa verrà dopo…».

Primo eritreo al Tour. Girmay colpo storico a Torino

01.07.2024
5 min
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TORINO – «Bi-ni, Bi-ni, Bi-ni». Corso Galileo Ferraris si trasforma nella Curva Maratona dello Stadio del Toro che è proprio qui a fianco. E’ una bolgia quella degli eritrei che, incredibilmente, spuntano all’improvviso ovunque si corra. Dal Sud della Spagna al Nord del Belgio. Dall’Italia alla Francia. Loro ci sono sempre e sono anche felicemente rumorosi.

La terza tappa di questo Tour de France va a Biniam Girmay e ci va anche con margine. Il corridore della Intermarché-Wanty è autore di uno sprint di personalità. Preso in testa con la squadra, dominato e senza nessuno che sia stato in grado di affiancarlo nel lungo rettilineo finale.

Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali
Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali

Sprint perfetto

E’ festa grande. I giornalisti, i fotografi, i compagni… tutti lo assalgono. Le Cube sono appoggiate ad una transenna, mentre i corridori si abbracciano. Girmay si mette la faccia tra le mani. Quasi non ci crede dopo l’anno (e mezzo) difficile che ha passato. Di fatto era dalla tappa del Giro, finita con il tappo di spumante nell’occhio, che Bini non andava tanto forte.

Okay il recente titolo nazionale, ma qualche certezza iniziava a schricciolare. Sono bastati 300 metri fatti alla grande per cancellare tutto.

«E’ stato uno sprint molto duro, fisico – racconta Girmay – i miei compagni hanno aiutato moltissimo. Ma lo hanno fatto anche nei primi due giorni. Hanno cercato di mettermi nelle migliori condizioni possibili.

«E’ stato uno sprint nervoso. Negli ultimi chilometri avevo perso i mei compagni e ho dovuto fare uno sprint per riprenderli e ritrovarli. Poi siamo stati uniti. Mi hanno portato fuori benissimo (all’ingresso del rettilineo finale erano in tre, ndr). Devo ringraziarli tantissimo.

«Sapevo che sul lato sinistro c’era più vento e quindi mi sono tenuto sul lato opposto, molto stretto alle transenne. E lì ho passato Mads Pedersen».

Un africano a Torino

A Torino si è fatta la storia? Quando Girmay iniziò a seguire il ciclismo i vincenti erano Sagan e Cavendish. In Eritrea si corre o si gioca a pallone. Il ciclismo però rispetto a molti altri Stati limitrofi la bici ha un certo peso specifico. 

«Un africano nero che vince una tappa al Tour è incredibile – dice Girmay – Abbiamo il ciclismo nel sangue. Ciò che è che è successo oggi è formidabile. Questa vittoria è importante per me e per il mio continente. Gli africani conoscono il Tour. Per il ciclismo eritreo è un grande momento.

«Mio padre guardava il Tour dopo pranzo e mi sedevo con lui. Mi diceva che il ciclismo era uno sport difficilissimo. Era il 2011. Poi vennero Merhawi Kudus e Daniel Teklehaimanot. La svolta vera c’è stata quando proprio Teklehaimanot è salito sul podio del Tour e ha vestito la maglia a pois. Questo mi ha dato una grande spinta. Ma c’erano ancora grandi ostacoli per arrivare sin qui. In Africa bisogna fare molte corse locali e non c’è tanto spazio per mostrare il nostro potenziale. Arrivi in Europa a 22-23 anni e ti ritrovi in un altro mondo. Ma adesso penso ai tanti nostri giovani e voglio dirgli che tutto è possibile».

La cabala del bus

Ma l’emozione è anche quella del team manager Jean-François Bourlart. E’ grande e grosso, un tipico “omone del Nord”, eppure si commuove quando inizia a raccontare.

«Per noi è incredibile – dice Bourlart – una piccola squadra che riesce a vincere qui: il sogno si è avverato. Bini ha vinto al Giro e ora anche al Tour. E’ qualcosa d’incredibile. Questa è una vittoria per tutta la squadra. Tutta.

«Si sapeva che era forte, che era sempre là e che poteva fare bene. Ma in questo periodo difficile ha anche ricevuto messaggi poco belli. E’ stato attaccato. Tutti pensavano che la sua vittoria alla Gent-Wevelgem era stato un colpo di fortuna. Sappiamo tutti che ha talento, ma anche che non è facile per un ragazzo così giovane vincere gare importanti. E’ stato un periodo duro per lui, per la sua famiglia. 

Tra l’altro in questo Tour si sta diffondendo la cabala del bus rotto. A quanto pare se il grande mezzo va ko il leader vince. E’ stato così per la maglia gialla di Bardet ed è stato così per la Intermarché-Wanty di Girmay, che a Torino aveva per supporto un piccolo camper.

«E’ la vittoria della passione – va avanti Bourlart – al Giro d’Italia era caduto. Le cose non vanno sempre bene. Abbiamo portato la miglior squadra possibile per sostenerlo per gli sprint: Gerben Thijssen, Mike Teunissen, Laurenz Rex. Gli ho detto di mettersi alla ruota di Gerben. E oggi tutto ha funzionato bene… Ora vado ad abbracciare Biniam».

EDITORIALE / La grandezza del Tour, Pantani e le piccole cose

01.07.2024
4 min
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PIACENZA – La terza tappa del Tour è partita da poco. Anche se non è tempo di fare bilanci della presenza della corsa in Italia, qualcosa si può cominciare a dire. C’è voluto il Tour per ricordarci di Gino Bartali, Gastone Nencini e Marco Pantani. E oggi che la Grande Boucle ricorderà Coppi, dovremo dirgli nuovamente grazie. A volte in questi casi torna in mente quel solito fare battute (tutto italiano e pessimista) secondo cui le cose andrebbero diversamente in questo Paese se a governarlo fossero degli stranieri. E al netto dei problemi logistici, in qualche caso propiziati proprio dall’incapacità italiana di stare nelle regole, si è visto che la capacità dei francesi di valorizzare quello che propongono è davvero magistrale.

Il pubblico di San Luca è stato oceanico: il Tour ha fatto suo per un giorno un simbolo del nostro ciclismo
Il pubblico di San Luca è stato oceanico: il Tour ha fatto suo per un giorno un simbolo del nostro ciclismo

La bravura di Prudhomme

Il Tour sta alle altre corse come una squadra WorldTour sta a una grande professional. Si può fare e in effetti si fa un buon lavoro in entrambi i casi, ma è innegabile che avere soldi da spendere e spenderli per far crescere il prodotto scavi un solco piuttosto profondo rispetto a chi eventualmente pensasse più ad accumularli che a reinvestirli.

Il Tour sa raccontarsi. Propone i suoi eroi e le loro storie. Li rappresenta e li porta sulle strade in cui passerà la corsa, per prepararle il terreno. La presenza di Prudhomme in giro per l’Italia da mesi dà la misura di quanto ci tengano a conoscere e a farti sentire importante. Ti accolgono, dal Villaggio alla sala stampa. Sorridono. Sono affabili e insieme inflessibili. E ti dimostrano di fare le cose con un senso. Volete un esempio? Eccolo.

Ieri mattina al Villaggio di Cesenatico, il fotografo Stefano Sirotti ha ricevuto un premio per la presenza della sua agenzia al Tour. Al momento di consegnarglielo, Prudhomme gli ha spiattellato in faccia un indovinello.

«Ti ricordi – gli ha chiesto – in che giorno ti consegnammo il premio per i vent’anni?».

«Era il Tour del 2015», ha risposto Sirotti.

«Ma era anche il giorno dopo la prima vittoria di Bardet a Saint Jeanne de Maurienne – gli ha risposto Prudhomme – e oggi è il giorno dopo un’altra vittoria di Romain».

Se anziché limitarsi alla stretta di mano, il direttore generale del Tour de France ha avuto l’attenzione di raccogliere o farsi raccogliere simili informazioni, vuol dire che ha a cuore le persone cui si rivolge. E questo fa la differenza.

Durante la consegna del premio, Prudhomme ha spiazzato Sirotti con il suo aneddoto
Durante la consegna del premio, Prudhomme ha spiazzato Sirotti con il suo aneddoto

I soldi e la memoria

Eppure, da vecchi pantaniani ormai anestetizzati dalle troppe cerimonie, non riusciamo a trovare il bello di aver ricordato Marco ieri a Cesenatico. Intendiamoci, il “Panta” lo merita ogni santo giorno che Dio ci darà da vivere. Ma perché farlo solo oggi e solo perché tre regioni italiane hanno messo i loro milioni sul piatto? Va bene, l’hanno raccontata e vestita alla grande, ma perché non lo hanno fatto prima?

Ieri nelle cronache televisive si è sentito un discreto arrampicarsi sugli specchi quando Tonina Pantani ha detto (diretta come al solito) che Marco non è stato trattato bene.

Si è voluto far notare che oggi la dirigenza del Tour sia un’altra, che non c’è più il vecchio Leblanc che a un certo punto dopo il 2000 decise di non invitare più Marco alla corsa francese che aveva vinto. Niente di strano: gli preferì la solidità (anche finanziaria) di Armstrong e dei suoi sponsor, nel cui nome fu persino coperta una positività al doping del texano.

E allora perché, se la mano che guida è un’altra, nel momento in cui Armstrong è stato visto nella giusta luce, nessuno ha sentito la necessità di rivolgere un pensiero a Marco Pantani da Cesenatico, rileggendo la storia prima che qualcuno pagasse per farlo? Le occasioni non sarebbero mancate.

La memoria di Pantani resiste alle offese e alle dimenticanze dello sport
La memoria di Pantani resiste alle offese e alle dimenticanze dello sport

Sono gli affari, lo sappiamo. E il Tour sa condurli meglio degli altri, al punto che è ormai cosa fatta anche la partenza della Vuelta 2025 – corsa di proprietà del Tour – dal Piemonte. Perciò ci prendiamo il bello dell’Italia che i francesi stanno mostrando con tanta maestria. Restiamo ammirati dalla dedizione, la gentilezza e la preparazione di Prudhomme e i suoi uomini. Ma non ce la sentiamo di abbracciarli oltre un certo limite. Non lo stanno facendo solo per noi. Se i soldi nel piatto li avesse messi la Spagna, avrebbero parlato (e anche giustamente) con identica competenza e passione di Fuente, Ocaña, Bahamontes e del povero Java Jimenez.

Matxin: «Ai giovani serve fiducia per crescere senza pressioni»

01.07.2024
5 min
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Per tutto l’arco del Giro Next Gen i ragazzi del team UAE Emirates Gen Z hanno avuto accanto la figura di Joxean Matxin che in questi giorni è al seguito della squadra WorldTour al Tour de France. Ritrovarsi accanto il tecnico spagnolo ha un significato importante per questi ragazzi. Dopo averlo visto sulle strade del Giro dei grandi possono finalmente parlare e confrontarsi con lui in una specie di fil rouge che unisce devo team e WorldTour. La presenza di Matxin diventa ancora più importante se si pensa che negli stessi giorni è andato in scena il Giro di Svizzera, dove Yates e Almeida hanno banchettato senza nessuno che si riuscisse ad opporre. 

«Credo sia più importante essere qua – dice subito Matxin – invece che essere allo Svizzera, dove i ragazzi hanno dimostrato di essere in condizione».

Il secondo posto al Giro Next Gen di Torres non ha fatto montare la testa a nessuno, la crescita prosegue (foto LaPresse)
Il secondo posto al Giro Next Gen di Torres non ha fatto montare la testa a nessuno, la crescita prosegue (foto LaPresse)

Il primo Giro Next Gen

Il 2024 ha rappresentato per il UAE Team Emirates un anno di esordio al Giro Next Gen, vista la recente nascita del devo team. Come è andata la corsa più importante a livello di under 23? Cosa ha detto questo appuntamento?

«La corsa si è rivelata una bella soddisfazione – spiega Matxin – vedere Torres fare un cammino del genere a soli 18 anni ci dà un bel motivo per essere felici. Vederlo tra i migliori al mondo vuol dire che la sua crescita, il suo miglioramento, sta andando nella giusta direzione. Poi dall’altra parte c’è uno come Widar che è altrettanto giovane e forte, ma questo non ci intimorisce. 

«Poi ci sono anche gli altri ragazzi ovviamente. Con Glivar avevamo puntato tre tappe e ha portato a casa un buon terzo posto. Giaimi deve ancora crescere e migliorare, ma mettersi alle spalle una corsa del genere gli fa bene (in apertura è lui che parla con Matxin, ndr). Lui è un corridore che ogni anno deve fare un passo in più». 

Matxin a colloquio con Torres prima della tappa di Fosse dove lo spagnolo arriverà secondo
Matxin a colloquio con Torres prima della tappa di Fosse dove lo spagnolo arriverà secondo
Come mai pensi sia più importante essere qui che in altre gare, magari tra i professionisti?

Per me, per la squadra, per tutto. Io sono responsabile del gruppo giovani. Mi piace questa corsa, è il sesto anno che vengo ed il primo con il team Gen Z del quale sono responsabile. Sono qui anche per far vedere loro che ci siamo in ogni momento, la nostra presenza è costante. Sia quando si vince, per congratularci, ma anche quando bisogna crescere. 

Per mostrare fiducia. 

Sì, per dire: «Noi siamo qui». Senza nessuna pressione, vogliamo vedere e imparare con loro. Per sentire se ci sono problemi. Ascoltiamo le loro opinioni e il loro pensiero. I giovani sono importanti per noi e devono sentirsi parte del progetto. Tanto passa anche dai momenti fuori dalla corsa, insegnamo loro a convivere e vivere una settimana insieme. 

E l’opinione verso questi ragazzi qual è?

Si capisce e capiscono che è un progetto under 20, per questo ci sono solamente corridori di primo o secondo anno. L’eccezione è Glivar, che però ha una storia e un progetto diverso. Abbiamo voluto fare questa scelta per una questione di onestà. 

I ragazzi del team Gen Z hanno già accumulato esperienza con i professionisti, qui Glivar al Tour of Sharjah, vinto
I ragazzi del team Gen Z hanno già accumulato esperienza con i professionisti, qui Glivar al Tour of Sharjah, vinto
In che senso?

Noi adesso non abbiamo lo spazio sportivo per dare tanti corridori al team WorldTour. Preferiamo dare una crescita e diventare dei corridori importanti in futuro. Non abbiamo voluto prendere corridori pronti per trovarci poi con poco spazio per ognuno. 

E quanto dura da voi il percorso di crescita?

Dipende. Ci sono ragazzi che hanno bisogno anche del quarto anno e altri che sono pronti dopo due. Torres è un esempio, ora parliamo di un corridore che è arrivato secondo al Giro Next Gen. Se avessimo parlato di lui un mese fa, non eravamo in grado nemmeno noi di definire il percorso di crescita. Poi c’è da dividere le cose, un corridore pronto sportivamente non vuol dire che lo sia anche umanamente

Meglio avere un cammino solido nel team Gen Z?

Il concetto da noi è che questi ragazzi possono salire nel WorldTour ma non viceversa. Si può fare ma non ho quel concetto. Torres ad esempio ha corso con noi alla Coppi e Bartali e al Giro d’Abruzzo. Glivar, invece ha corso già più gare con i grandi. 

Anche Luca Giaimi, nonostante sia un primo anno, ha corso molto con i pro’ a inizio stagione
Anche Luca Giaimi, nonostante sia un primo anno, ha corso molto con i pro’ a inizio stagione
Vero anche che questi 2005 vanno forte…

Dipende, ora quando parli con gli juniores c’è un po’ una febbre. Molti ragazzi sono nei devo team ma con contratti già firmati per il WorldTour. E’ importante tante volte dargli un percorso, io credo che serva tranquillità a questi ragazzi. Non trovo il senso di far firmare loro contratti di due anni, credo che serva più tempo. Per questo noi vogliamo che firmino per tre o quattro anni. Tanti ragazzi dopo due anni possono crescere ancora tanto. 

Non serve avere fretta insomma. 

Quella rischia di tagliare le gambe.